"Non importa quanto si da,
ma quanto amore
si mette nel dare."
Maria Teresa di Calcutta.
La Chioccia
22 Settembre1942, Dachau,
Germania
La piccola
Yamanaka Ino siede sul prato della bella collinetta verde su cui i suoi
genitori hanno costruito la loro casetta di legno.
Il tramonto
colora di rosso ogni cosa che illumina, compreso la gonna di lana e il
maglioncino bianco di Ino. Seppur così tardi, i suoi
genitori non sono ancora tornati.
Loro lavorano
fino a notte fonda laggiù, in quella vecchia fabbrica nella
quale entrano un sacco di persone.
Giusto in quel
momento, sente lo stridulo fischio di treno in arrivo.
È
abituata. Ne arrivano a decine di quei treni solo in una settimana.
Escono tantissime persone, intere famiglie, e la sua mamma le ha detto
che gli aiutano a costruire nella fabbrica.
A costruire cosa,
non gli e la voluto dire però.
Ino Yamanaka
osserva il treno fermarsi, e le persone scendere.
Le è stato assolutamente vietato parlare o solo
guardare quella gente.
Una volta ha
disubbidito però, in un noioso pomeriggio
dell’autunno 1941: ha visto quelle persone, infagottate in
giacche lerce e pezzate, che tenevano stretto stretti bambini con il
moccio al naso. Davanti a loro, stavano uomini e donne con il fucile
puntato, che gli dicevano brutte cose.
I bimbi sono stati separati dalle mamme, e la mamme dai papà.
Senza motivo,
è stata colta da un brivido freddo lungo la schiena, e ha
avuto tantissima paura: non è mai più andata
così vicino alla fabbrica.
Non ha chiesto
niente ai suoi genitori: avrebbe dovuto ammettere di aver disubbidito.
E pian piano, quell’esperienza era andata nel dimenticatoio.
Fino ad ora.
Due figure la distolgono dai suoi pensieri però: mamma e
papà, entrambi in divisa grigia e pistole attaccate alla
cintura, le vengono in contro con un gran sorriso.
«Mama, papa!»
Grida, andando loro incontro. Suo papà la prende al volo,
facendola volteggiare in aria.
«Buonasera, principessa di quasi otto anni!»
Dice ridendo, e le strofina il nasino contro il suo.
Sua mamma la
bacia con affetto, stringendola a se, e Ino, con gesto veloce, le
scioglie i lunghi capelli biondi dallo chignon severo che si fa sempre
per lavorare.
Il treno e le
persone senza volto sono già nel dimenticatoio.
*
«Ino, klein, vai a
chiudere le galline nel recinto. E poi vieni a dormire, domani
è un gran giorno.»
«Siena, papa.»
La piccola trottò fuori di casa, la pancia piena dopo la
gustosa cena di precompleanno, e aiutò le galline con i loro
pulcini a trovare la via del pollaio.
Stava per
rientrare in casa, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
In fabbrica,
giù dalla collina, si lavorava ancora. Dalla ciminiere
più alta usciva perennemente un fumo denso e grigio, diverso
dagli altri. Era un fumo terrorizzante, e non sapeva dare un motivo a
questa sensazione.
Le luci dei fari
accesi sparsi per l’area di cemento che circonda la fabbrica
illuminavano il suolo in pozze d’oro distinguibili fin da
lassù.
Ma apparve
all’improvviso un’ombra scagliata contro la luce
accecante.
Appena fu
più vicino e riconoscibile, Ino vide una bambino che correva
incespicando su per la collina, il capo voltato verso la fabbrica.
Quando bimbo
girò lo sguardo, subito non vide la piccola tedesca. Poi si
perse nei suoi grandi occhioni azzurri, e sussultò.
Ino lo
squadrò senza pudore: quello strano bambino aveva una giacca
che gli andava due o tre volte, e gli arriva a metà delle
ginocchia. I pantaloni invece sembravano piccoli e stretti, pieni di
pezze.
La guardava come
se avesse visto il diavolo, con gli occhi scuri lucidi dalla paura e i
capelli lunghi fino alla spalle sporchi e in disordine.
«Hallo!
Chi sei?»
Domandò cortesemente Ino, avvicinandosi.
Il bambino
restò silenzioso, sbarrando il più possibile gli
occhi a mandorla.
«Parli la mia lingua?»
Scandì piano la bambina.
Lui
sembrò pensarci. Poi decise di rispondere.
«Sì.»
«Sei tedesco allora!»
Disse contenta lei, sbattendo le manine in giubilo.
Il bambina fece
un sorrisetto triste, che lei non capì.
«Come ti chiami?»
«Shikamaru Nara.»
«Io Ino Yamanaka! Che ci fai qui? Dove sono i tuoi
genitori?»
Shikamaru rimase di nuovo in silenzio.
«Lavorano alla fabbrica?»
Domandò ostinatamente lei, accennando al campo di
concentramento.
Lui prima non
capì, poi seguì il suo sguardo e fissò
terrorizzato il campo.
Abbassò
il capo come in attesa di una punizione, e gli sfuggì un
singhiozzo.
«Ehi, ma piangi?»
Altro singhiozzo. Due lacrimoni cominciarono a rotolare giù
per la guancia del bambino.
«Vuoi venire in casa? Anche i miei genitori lavorano alla
fabbrica.»
Shikamaru scosse la testa con un brivido –non ci voleva un
genio (e lui lo era) per capire che lavoro facessero i suoi- e
continuò a piangere sommessamente, le spalle tremanti dal
pianto.
«Sai, domani è il mio compleanno.»
Continuò Ino, come se questo fosse motivo di
felicità per tutti, e gli fece un gran sorriso
incoraggiante, mostrando alcune finestrelle.
Shikamaru le
gettò un’altra occhiata.
«Oggi è il mio.»
Disse con un filo di voce, immerso nei suoi pensieri.
Il suo ottavo
compleanno, passato in una carrozza ferroviaria buia, puzzolente e
fredda.
Il giorno in cui aveva visto bruciare bambini dentro una doccia chiusa.
Il giorno in cui aveva perso il padre e la madre in lacrime.
Il suo primo
compleanno e la sua prima volta ad essere completamente solo al mondo.
«Bisogna festeggiare! Dai vieni, ti presento i miei
genitori!»
«No!»
Strillò Shikamaru, con la pelle d’oca.
«Come vuoi…»
Replicò imbronciata Ino, sporgendo il labbro.
Mica era colpa
della sua mamma e del suo papà se lui adesso era triste,
giusto?
Shikamaru si
guardò alle spalle un’ultima volta, si
asciugò gli occhi e tirò su con il naso.
In meno di un
attimo si trasformò: con gli occhi asciutti e lo sguardo
corrucciato sembrava quasi un giovane uomo.
O forse, lo era
appena diventato.
«Sai mica come si raggiunge il confine?»
Domandò con voce seria.
Ino rimase
spiazzata. Ne aveva giusto una vaga idea, tratta dai discorsi dei suoi
genitori.
«Credo… oltre il bosco.»
Rispose, indicando la foresta nera e tenebrosa alle spalle di casa sua.
Shikamaru si
accigliò ancora di più, stringendo a pugno le
mani.
Fece un passo in
quella direzione.
«Vuoi attraverso il bosco di notte? Bist du verrückt?
Ci sono i lupi, e gli orsi e le streghe, e poi, poi… non
puoi andare!»
Disse Ino, accaldata. A lei era severamente e categoricamente vietato
avvicinarsi al bosco, e ne capiva benissimo il motivo.
Shikamaru le
regalò un’occhiata gelida, e si
avvicinò ancora di più alla soglia del bosco.
«No!» strillò la bimba, afferrandoli una
manica della giacca. Shikamaru roteò gli occhi, sbuffando.
Lei strinse di
più le dita attorno alla stoffa.
«Senti, non puoi andare ora. Morirai!»
Sussurrò, rabbrividendo. Non sapeva che, a pochi passi da
lei, c’era la casa della morte. «Va bene se non
vuoi vedere i miei genitori, ma non posso lasciarti andare.
È il tuo compleanno!»
Shikamaru rimase immobile. Dove voleva arrivare quella figlia di
nazisti?
Ino sospirò. «Ti nasconderai nel pollaio.
L’ha pulito la mia mamma ieri, quindi non è
sporchissimo. Sarai al caldo per tutta la notte. E quando i miei
genitori andranno a lavoro domani mattina, ti
lascerò andare nel bosco, ok?»
Propose, sorridendo. Non si rendeva conto della gravità
della situazione, se i suoi genitori avessero scoperto Shikamaru. Ma il
giovane Nara sì, che si rendeva conto.
Eppure quella
bimba gli dava fiducia, e sembrava sincera. E non aveva per nulla
voglia di attraverso quel pauroso bosco da solo. E aveva fame. E freddo.
Annuì
una sola volta.
Ino sorrise «ok, ti porto una coperta e qualcosa da mangiare,
va bene?»
«Non dire niente ai tuoi genitori, mi raccomando.»
Si premurò Shikamaru.
Lei annuì.
«Grazie, Ino.»
Pronunciò per la prima volta il suo nome. Aveva un bel
suono. Era dolce.
Seccante, in ogni
caso.
"Guarda le piccole cose,
perchè
un giorno ti volterai
e capirai che
erano grandi."
Jim Morrison.
Il giorno dopo,
al compleanno della piccola salvatrice tedesca, l’ebreo
Shikamaru Nara non partì.
E quello dopo neppure.
Con una scusa
dopo l’altra, la ormai non più piccola Ino
Yamanaka tratteneva l’amico a casa sua, per non perderlo.
Forse per
egoismo, in modo che non si annoiasse più durante il giorno.
O forse per
amicizia.
Ma finita la Seconda Guerra Mondiale, durante la quale il giovane Nara
era sopravvissuto grazie a un pollaio e a una piccola amica generosa
quanto una chioccia, quando Ino seppe la verità sulla
fabbrica e su cosa succedeva oltre la sua collinetta verde, chiese
scusa a Shikamaru.
Gli chiese scusa,
e chiese anche di rimanere assieme a lei mentre i suoi genitori
marcivano in prigione.
Due bambini di
undici anni erano rimasti soli al mondo, con l'amica sempre al fianco.
Senza
accorgersene, Ino Yamanaka era cresciuta quella sera, in cui aveva
salvato l’amico, trasformando il suo pollaio in un covo per
rifugiati: si era concentrata su qualcun altro che non fosse lei,
proprio la sera prima del suo compleanno.
Mentre Shikamaru
Nara aveva ricevuto il più bel regalo della sua vita.
La vita stessa.
Nonché,
ma ancora non lo sapeva, l’amore futuro.
...
White Love for White
Bhirtaday!
Buona Compleanno a Shika [ <3 ] e, con anticipo, alla
piccola Ino!
Dedicato a
Sakurina, che mi ha gentilmente invitato a questi ShikaIno's dayS, e a tutte le
Mosche Bianche!
Traduzione:
Mama, papa = mamma, papà
Klein = piccola
Bist du verrruckt? = sei pazzo?
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