Non necessariamente le gocce di pioggia son lacrime
C A P I T O L
O U n
i c o
“ Non necessariamente
le gocce di pioggia
son lacrime „
Era
morbido e confortevole, e non gli importava di quanto si stesse
sporcando o quanto difficilmente avrebbe tirato via dai suoi abiti di
cavaliere tutto quel fango che gli stava fungendo da letto.
Lì era e lì voleva restare, ad osservare i pochi
spiragli di cielo rimasti visibili attraverso il fitto e vellutato
manto di quelle nubi sporcate di grigio – come se fossero state intinte nella terra bagnata anch'esse.
Aprì le braccia e le gambe, ripetutamente, sbattendole di
tanto in tanto al suolo per creare un casino di cui lui era il solo testimone –
sull'alto di un promontorio dove era certo nessuno lo avrebbe trovato.
Non subito almeno.
Schizzi di quella pasta fatta di terriccio e acqua si posarono sul suo
volto – mescolandosi con le innumerevoli lentiggini di cui era
ricoperto –, e i suoi occhi –
un tempo carichi dello stesso spirito della foresta, ma ora più
spenti, più pieni della stessa umidità che lo avvolgeva
–, se ne stavano fissi sullo scenario sopra di lui, su quei buchi
azzurri di un cielo che pareva esser stato preso a cannonate, pur di
spuntare anche solo in minima parte attraverso la fitta patina di
alterazione temporale.
I raggi del Sole disperatamente tentavano di raggiungere la superficie
terrena, venendo però continuamente mangiati dalla tristezza
della coltre che li copriva senza dargli possibilità alcuna di
continuare a predominare, come fino a pochi attimi prima, sulla fetta
contenitrice di quel piccolo spazio un tempo appartenente all'Immenso.
Hiccup ricordava quanto suo padre detestasse il suo rientro a casa, da
bambino, tutto imbrattato di fango, e trovava pressoché
divertente che una volta varcato il loro
ingresso, quella sera, non ci sarebbero stati disappunti di alcun tipo
provenienti dalla sua bocca nascosta dalla folta e articolata barba
– dalla sua voce calda e imponente, scocciata. Quella che aveva
paura di dimenticare.
Non c'era stata volta, in effetti, in cui qualcuno non lo avesse spinto in
qualche pozza sordida, a quei tempi in cui era ancora solamente lo
scheletro del più vergognoso vichingo che Berk avesse mai
sfornato. E non c'era volta in cui Stoick l'Immenso non si sbattesse
con ponderata rassegnazione la mano sul volto – col tentativo di
trattenere il fastidio nel vedere quel bambino diverso fin da quando gattonava, costantemente pennellato di quei guai che si tirava addosso senza nemmeno accorgersene.
"«Fila in bagno a lavarti!»",
seguiva sempre, dopo una manciata di silenziosi e pesanti secondi. E
Hiccup ci filava, senza replicar di una sola parola, perché era
perfettamente consapevole di essere il più grande disappunto del
villaggio e di suo padre – e sapeva bene quanto questi odiasse
che gli si sporcasse il pavimento del salotto con gli stivali
imbrattati di melma.
Più volte era stato in grado addirittura di spazientirlo, col
tentativo di spiegare che la colpa non gli apparteneva se le sue
condizioni eran sempre le stesse, ma la cocciutaggine del capo
villaggio – la medesima che lui stesso aveva ereditato –
non sembrava disposta ad accogliere giustificazioni di alcun tipo
– preferendo, piuttosto, sbattere un pugno sul tavolo ed esigere
a gran voce una ripulita perfetta e nei più brevi tempi
possibili.
E Hiccup, nel suo giaciglio di fango, non si spaventò davanti a
quei ricordi
che, per il bambino di allora, erano brividi lungo la schiena, ma rise;
rise perché in quel momento avrebbe solamente voluto tornare a
casa per sentirsi sgridare nuovamente, rise perché avrebbe
solamente voluto avere l'ennesima litigata padre figlio fatta di
incomprensioni e orecchie tappate dalla pervicacia – ma questo
non sarebbe
più stato possibile. Mai più.
Chiuse gli occhi, sforzandosi di sentire dall'interno la prepotenza
delle martellate del suo cuore, e sorridendo, un'altra volta,
nell'assaporare il nulla sotto le sue palpebre e il tocco leggero dei
primi spilli d'acqua accarezzargli la pelle, perché tutto quello
non era contro di lui, tutto quello non era la peggiore delle
condizioni in cui si sarebbe potuto trovare nelle circostanze di
quell'abbraccio uggioso e incomodo.
Tutto quello era il rumore di una percossa sul tavolo del suo
soggiorno, era un urlo di esasperazione condito di un ordine che non
voleva obiezioni.
Tutto quello era meraviglioso, era vicino, era Immenso –
perché lui lo sapeva che, nemmeno da lassù, suo padre
riusciva a sopportare che tornasse a casa a sporcargli il salotto.
F I N
E
»
N O T E
A U T R I C E
;
Dopo
un lungo soggiorno al mare, sono tornata nella mia grigia Milano. E in
realtà sono contenta, perché la città mi stava
iniziando a mancare – così come i miei amici e i miei
impegni qui.
Questa, è una storia che mi è venuta in mente proprio
durante il viaggio di ritorno, e non sono certa di averle reso
giustizia così come mi si era presentata nella mente, ma spero
– come sempre – che possiate comunque apprezzarla e che possa
entrarvi anche solo un pochino dentro – per insidiarsi quel che
basta nelle emozioni che mi piacerebbe poteste provare sempre con
quello che scrivo.
Come ho detto, non credo d'esser stata lodevole a scriverla come avrei voluto, ma il prompt lo adoro. Lo adoro sul serio.
Immaginarmi Hiccup che se ne scappa, per qualche ora, da tutto e da
tutti, solamente per buttarsi nel fango in una giornata di pioggia a
ore, mi smuove qualcosa dentro.
Non so, è come se lo figurassi moralmente distrutto, ma incapace di mostrarsi spezzato come invece è dentro – così
tanto che decide di buttarsi nel fango, in quell'occasione, l'unica cosa a cui si sente
veramente vicino emotivamente, nonché la stessa che, in
quel dato momento, lo lega a suo padre con un laccio che riesce ad
andare oltre il semplice ricordo che ha di lui.
Per Hiccup starsene sdraiato lì, paradossalmente, è come
ricevere ancora un suo abbraccio – proprio perché sa bene
quanto odi lo sporco in casa, un headcanon a cui mi piace pensare –, ed è assai nostalgico per le mie emozioni, immaginarmi un contatto diretto di questo con suo padre –
una sorta di grattacapo che inconsciamente, forse, vuole ancora dargli
per vedere se può ancora ottenere una sua reazione.
Va beh, non sta a me giudicare un mio lavoro – sarei estremamente
di parte o esattamente il contrario –, quindi spero possiate
lasciarmi qualche parere voi, a questo punto. :))
Grazie, in ogni caso, per aver letto!
Alla prossima,
©
a u t u m n
|