Care ragazze ciò che ci lega
tutte indissolubilmente è l’amore per il nostro Capitano. Come accaduto a molte
di voi subito dopo aver visto il film ‘Space pirates Capitan Harlock’ la mia
testa ha iniziato, quasi da sola, ad elaborare una storia alternativa. Un amore
salvifico per il nostro Harlock. A tal proposito approfitto subito per
ringraziare Harlocked alla quale per mesi ho raccontato la storia e che mi ha
sempre spronato a scrivere. Questo capitolo è tutto tuo. Oggi eccomi qui tentennante.
Spero vi piaccia il mio modo di scrivere e che la storia vi avvinca.
Ringrazio di cuore tutti coloro
che si fermeranno a leggere.
1
LA HORIZON
- Arcadia
“Capitano!” disse Kei continuando a guardare i suoi monitor “sul radar vedo una nave ad appena un anno
luce da noi”. Harlock dal suo trono spostò solo lo sguardo da Kei a Yattaran .
“Yattaran?” L’uomo dopo aver controllato i suoi strumenti con tocchi veloci
delle dita sugli schermi sorrise quasi beffardo “ah ah..è una grossa nave capitano!..Dai
dati in nostro possesso … è..è la Horizon una corazzata classe Destiny!” E
continuando a scaricare dati “hey hey..armamento offensivo e difensivo
utilizzata per il trasporto di contingenti e di rifornimenti..” l’ultima parola
l’aveva pronunciata sorridendo sardonico. ”Kei sai che vuol dire?” Disse
guardando la bionda ragazza alla sua destra. ”Non è una nave è un forziere..ci
sarà di tutto! E in abbondanza..” “Già!“
rispose sarcastica lei “ma anche un vero esercito … dovremmo lasciar perdere
Capitano” guardò verso il trono. Harlock seguendo il filo dei suoi pensieri
“Yattaran imposta le coordinate non possiamo farci sfuggire una occasione come
questa, infliggeremo alla Gaia Sanction una perdita che non dimenticherà.
Tecnica nautica in skip” disse alzandosi con la calma regale distendendo il
mantello ed avanzando maestoso verso il timone. “Ma Capitano vi potrebbe essere
un intero contingente armato!” il tono di Kei era preoccupato. “Tutti gli
uomini disponibili si preparino ad assaltare la nave. A bordo resteranno solo
quelli strettamente necessari, verrò anche io!” . Il tono era imperativo di
quelli che non ammettevano repliche. Kei era perplessa ma la sua partecipazione
all’assalto le dava certezza di esito positivo. L’allarme sonoro dell’Arcadia
si diffuse violento per la nave e la voce di Yattaran l’accompagnava “Tutti gli
uomini disponibili sul ponte per un assalto all’arma bianca, forza razza di
pigroni oggi il Capitano sarà dei nostri!”. A quelle parole gli uomini si
guardarono compiaciuti, qualcosa di grosso bolliva in pentola se il Capitano
lasciava l’Arcadia. Corsero ad indossare le tute blindate. Eseguita rapidamente
la manovra di avvicinamento Harlock piantato davanti al timone ferocemente
determinato, speronò con consumata esperienza e grande tecnica e totale
consapevolezza di forze e mezzi, la nave nemica, creando così a seguito del
violentissimo impatto tra le due, un corridoio di passaggio da cui effettuare
l’abbordaggio. Al contrario dei suoi uomini non indossava l’equipaggiamento
blindato ma una semplice mascherina nera sul volto. Senza alcuna esitazione
raggiunto il punto d’attracco si preparò all’attacco vero e proprio. Gli uomini
gli stavano rispettosamente alcuni passi indietro. Harlock, sfoderata la spada
con agile risolutezza si lanciò implacabile sull’altra nave sparendo oltre la
coltre di fumo e scintille come una fiera che ‘sente’ la preda pur non
vedendola. Inesorabile, impavido, il viso contratto dalla tensione del momento
fendette l’aria, le armature, i corpi di chi si frapponeva tra lui e la meta. I
nemici vestiti di bianche corazze cadevano a terra uno dopo l’altro come
fiocchi di neve. Tolta la mascherina incedeva senza fretta da un corridoio
all’altro come guidato dall’odore del sangue. Un nero felino, un puma, un passo
dopo l'altro fiero e sprezzante, i sensi allertati e' lui Il predatore, la sua
lentezza denotava un’immensa sicurezza. E’ solo vendetta che cerca il suo animo
tormentato? Intanto seguiva l’andamento della battaglia attraverso le
trasmissioni radio tra gli uomini e l’Arcadia. Tutti aspettavano i suoi ordini,
lui è il capo, il condottiero, tutti dipendono da lui. E’ lui il faro tra il
fumo e le fiamme,la luce guida delle loro vite. Incedeva senza fretta, sapeva
che altrove i suoi uomini stavano facendo un buon lavoro. La nave nemica come
previsto era colma di ogni tipo di derrate, armi e strumentazioni. Si
susseguirono piccole esplosioni, vi era fumo ovunque, rumori di arma da fuoco e
corpi che cadevano. Mentre camminava un movimento in un corridoio laterale attirò
la sua attenzione. Voltò il capo. Un soldato chino accanto ad un altro
probabilmente ferito. Harlock nell’avvicinarsi creò volontariamente rumore, il suo
codice d’onore gli impediva di colpire qualcuno alle spalle. Il soldato
alzandosi, lo vide, gli puntò la pistola contro, esplose diversi colpi in
successione, uno, due, tre, nessuno andò a segno come se una forza invisibile
non lo permettesse . Harlock sollevata la
pistola con spietata risolutezza la puntò dritta al cuore del soldato.
La morte per mano sua, doveva sempre essere una morte netta! Immediata! L’ultimo
atto d’onore ad un combattente nemico. Ma nello stesso istante in cui premette
il grilletto qualcosa attirò il suo sguardo, spostò il braccio di poco più in
alto così da cambiare la traiettoria del proiettile. Su quell’armatura bianca
all’altezza del cuore c’era dipinta una croce di colore rosso. Quello davanti a
lui.. era un medico!
Il proiettile
deviato all’ultimo istante colpì di striscio il soldato all’altezza
dell’attaccatura del casco dell’armatura. Il casco si staccò, volò via, cadde, rotolò,
rotolò e finì poco più in là. Il soldato perse per un attimo l’equilibrio ma
restò in piedi. E come la forza dell’acqua, per troppo tempo trattenuta dallo
sbarramento di una diga, una volta libera defluisce impetuosa all’esterno alla
ricerca di libertà , allo stesso modo un fiume di lunghi e morbidi capelli
castani esplose fuori dal casco ondeggiando per poi trovar pace lungo le curve
della schiena. Un bellissimo volto di donna ora lo guardava, lo scrutava. Non
c’ era paura in quei grandi e profondi occhi neri. Spesso Harlock aveva
incrociato un lampo di terrore e ansia negli occhi di chi stava per morire per
mano sua. C’era chi indietreggiava, chi tremava e chi addirittura fuggiva.
Quella donna non si mosse, l’arma ancora in pugno lungo la gamba destra, teneva
gli occhi fissi sul suo volto. Harlock immobile abbassò la pistola. Uno strano
ed immotivato turbamento si stava lentamente impossessando di lui. Una
inquietudine che veniva da lontano, da una zona remota ed ormai sepolta del suo
spirito che non seppe spiegarsi. Un richiamo ancestrale a qualcosa, ma cosa?
Come se il velo delle tenebre si fosse scostato per un breve istante
mostrandogli qualcosa di cui aveva colto l'importanza non comprendendolo. “Sei un medico?” chiese “sono il primo ufficiale – medico di questa
nave” rispose la donna. La sua voce dolce e ferma non tradiva nessuna emozione,
continuava a fissarlo. “Il mio nome è Helèn Stèren”. “Sai chi sono io?” chiese lui. “Tu sei...Harlock. Ho visto le tue foto
segnaletiche”. Harlock era rapito da quel viso. Non riusciva a distoglierne lo
sguardo. L’aria intorno a loro sembrava ferma. Harlock rispondendo quasi ad un
richiamo esterno alla sua volontà, e contravvenendo puerilmente ad ogni regola
dettata dall’esperienza e dal buon senso si sentì dire “Mi serve un medico a
bordo della mia nave, la tua tra poco esploderà!”. “Non è la mia nave”
puntualizzò lei quasi a volerne prendere le distanze. “Mi vuoi arruolare
Harlock?” non c’era sarcasmo nella sua voce. “No! mi serve un medico a bordo,
potrai andar via quando vorrai”. In realtà portarla sull’Arcadia voleva
semplicemente dire, in quel momento, salvarle la vita , prendere tempo per
capire. Era l’unica cosa che gli era chiara: lei non doveva morire! Helen dalla
sua si rendeva conto della situazione e benché non fosse nella posizione di
dettare condizioni disse “Verrò ad una condizione, vorrei prendere alcuni
effetti personali dalla mia cabina”. In quel momento Yattaran correndo capitò
in quel corridoio. Dovette fermarsi. Li guardava attonito. L’uno poi
l’altro. Intorno impazzava la battaglia,
l’odore della morte aleggiava tra fumo , schegge, urla di lamiere, scariche
elettriche, ma quei due se ne stavano lì come se fosse l’ora del tè . Come
rapiti da un incantesimo. ’Yattaran!’ la voce del Capitano lo scosse
bruscamente dalle sue considerazioni. “Il medico qui viene con noi! Deve andare
nella sua cabina, và con lei, avete cinque minuti prima che salti ogni cosa! “.
“Ma ...ma Capitano !“ Fece l’uomo
balbettando “noi non facciamo prigionieri !” “Non è un prigioniero è il nostro
nuovo medico!” Così dicendo Harlock si voltò’ facendo ondeggiare il suo nero
mantello. Helen pensò che sembrava un angelo, l’angelo nero della morte.
Gli uomini
fecero tutti ritorno sull’Arcadia. Tra tutti spiccava questo soldato con la
bianca armatura della Gaia, tutti lo guardavano ostili e non spiegandoselo , ma
ciò che il Capitano decideva era legge. Si tolse il casco e vi fu un brusio.
Una ...donna! Kei fu la prima a farsi avanti
ancheggiando ”Tu chi sei?”. “Non
pensavo ci fossero donne a bordo dell’Arcadia!” rispose lei sorridendo. Un
sorriso caldo, trasparente e rassicurante che colpì Kei. Riecheggiò il rumore
prodotto sul metallo dagli stivali di Harlock . Tutti alzarono il viso in
quella direzione. “Bene! vedo che non c’è bisogno delle presentazioni! Lei è il
nostro nuovo medico. Kei mostrale il suo alloggio.” Stava per voltarsi quando Helèn interrompendo
il silenzio che sempre accoglieva i suoi ordini, “preferirei vedere l’infermeria, ci sono degli uomini
feriti” al suo occhio esperto non erano sfuggiti pirati claudicanti, con tagli
o escoriazioni. “E sia!” disse Harlock con un cenno del capo a Kei prima di
sparire nel suo mantello. Kei molto seccata da quella novità diede una
occhiataccia a Yattaran che alzò gli
occhi e le mani al cielo. Kei gli occhi fissi sulla nuova arrivata , guardinga
e diffidente. Non solo una donna! ma pure della Gaia! penso'. Se lo sentiva che
quella nave avrebbe portato guai. “Io sono Helèn” disse a voce sostenuta la
nuova arrivata“ sono un medico non un nemico, chi ha bisogno per favore, ci segua”.
Gli uomini dell’Arcadia all’inizio riluttanti e sospettosi, lentamente
cominciarono, più che altro per la necessità dettata dal bisogno reale d’essere
medicati , ad andare da Helèn. E comunque sempre in due ed armati fino ai
denti. I primi ad uscire dall’infermeria invogliavano gli altri ad entrare, mostrando
le loro medicazioni e facendo segni di approvazione. Era competente, pratica,
disponibile, piena di buoni consigli e sorrideva sempre. Un sorriso semplice e
caldo che riempiva i cuori come un raggio di sole in un luogo ormai buio da
troppo tempo. Addirittura qualcuno che tanto ormai era lì , le parlò anche di
qualche vecchio acciacco. Un camice bianco, quando stai male, pensò tra se,
elimina sempre le iniziali diffidenze. Kei voleva scoprire di più sul suo conto
e la raggiunse “il capitano vuole che ti mostri la nave”. L’alloggio a lei
riservato era in realtà adiacente all’infermeria ed un po’ più grande di quello
degli altri, letto, due poltrone, comò e grande bagno con doccia. Qualcuno le
aveva già portato le sue cose.
L’Arcadia era
una nave immensa vi erano molti spazzi comuni, cucina robotizzata con annessa
mensa dai grandi tavoli e panche in metallo fissati al pavimento , grande
palestra e sala per gli allenamenti, un piccolo teatro , alloggi. Ma ciò che la
lasciò senza parole fu la plancia. L’immensa vetrata sullo spazio, il timone. Sembrava
di essere su di un antico galeone piuttosto che sulla nave più potente
dell’universo conosciuto. Non lo avrebbe mai immaginato. Non aveva mai visto
nulla del genere sulle navi della Gaia Flett. Harloch aveva un trono, lo guardò
affascinata, svettava sinistro sul ponte di comando, rosso porpora con i teschi
argentei come poggia mani. Incuteva timore ma anche rispetto. Sembrava
raccontare di chi fosse e cosa pensasse l’uomo a cui apparteneva. Alle sue
spalle il motore della nave, un retaggio della guerra di Come Home,niente del
genere sulle navi della Gaia Fleet dove vi erano motori a evanescenza. Che
strana nave, sembrava una cattedrale gotica, volte immense, immersa nella semi
oscurità, piena di echi, ombre lunghe e strani rumori, sembrava viva pensò.
Consumarono un piccolo pasto “non sono
una nemica Kei ” le disse ad un tratto, per interrompere il silenzio, e
toccando la mano della ragazza, ”chiedimi ciò che vuoi” lo sguardo di Helen era
sincero “se il capitano ha deciso che
fossi dei nostri c’è un motivo, lui non sbaglia mai!” disse Kei ”e poi ero
stufa di stare sola qui” proseguì strizzandole l’occhio. Helen le raccontò di
come si era arruolata, dei suoi studi da medico e rispose a qualche domanda.
Parlarono di armi, battaglie , uomini, uniformi, come a Kei non capitava da
tanto. Le raccontò qualcosa sui membri dell’equipaggio e di Harlock, della loro
fede incrollabile in lui e negli ideali che lui perseguiva. Del fatto che fosse
un uomo molto introverso ma giusto e leale. Ognuno di loro non avrebbe esitato
un solo istante a dare la vita per lui. Alla fine parte dei timori di Kei erano
diminuiti, più che altro perché Helèn le ispirava fiducia e davvero aveva
voglia dopo tanto tempo di avere nell'equipaggio un'altra donna. Si disse però
che l’avrebbe comunque tenuta sott’occhio. Percorsero un
tratto insieme “la tua cabina è alla fine di questo corridoio, notte.” “Notte
Kei e grazie.” Helèn si incamminò lentamente per il lungo corridoio illuminato
solo da una bassa luce notturna azzurrognola. Ogni tanto, ai lati si apriva una
stretta finestra rettangolare dal vetro spesso da cui si intravedevano i
pianeti galleggiare lenti in un immenso mare nero e denso. Ripensò a quando,
solo poche ore prima con apprensione dai vetri della Horizon aveva visto per la
prima volta la grande polena a forma di teschio dagli occhi rosso sangue
dell’Arcadia ammantata da un nero mantello come il suo Capitano. Fu lì che lo
sentì arrivare, si voltò e stavolta anche se la luce non era moltissima riuscì
ad osservarlo bene. Camminava lentamente ma con passo fermo come chi ha tutto
il tempo dell’universo, i capelli che incorniciavano un viso dai lineamenti
antichi, ondeggiavano così come il lungo mantello, accompagnando l’andatura
elegante e sicura, la spada ad ogni passo toccava la gamba sinistra
ritmicamente. La snella figura si stagliava alta e fiera al centro del
corridoio. Il mantello dall’alto bavero rosso lo rendeva ancor più maestoso ed
imponente. Ecco da dove arrivavano gli strani racconti di chi anche se per
poco, lo aveva veduto. Si fermò a qualche passo da lei, era impossibile non
avvertirne l’ aura forte e potente. Ne osservò il viso, lo sguardo per la prima
volta da vicino. Era un uomo forgiato come una spada nel fuoco del tempo e
delle battaglie, temprato nel ghiaccio
vivo del dolore e della malinconia e battuto nella valle della solitudine e del
rimpianto. “Rimpianti?” Le chiese lui dando voce ai suoi pensieri (ma.. leggeva
nella mente?). Aveva una bellissima voce morbida e calda, Helèn si chiese di che colore sarebbe stata
la sua risata. “No non ho rimpianti ero
da poco sulla Horizon”. Era bello, molto, i lineamenti gentili , ma aveva il
viso di chi è stanco ma non può arrendersi, di chi soffre dentro e non può
smettere. La guardava con uno sguardo profondo ed indagatore ma non la metteva
a disagio al contrario lei ne percepiva solo il buono. “Paura?” chiese
lui. “Ho smesso di avere paura tanto
tempo fa’’. Quella donna lo incuriosiva e lo metteva a disagio al tempo.
L’ovale delicato, le labbra sensuali ,
gli occhi così oscuri, quel viso...non poteva non guardarlo senza che qualcosa
dentro di lui, nel profondo cominciasse a scricchiolare. Come quando da una
parete rocciosa si staccano i primi frammenti di pietra che preludono alla
frana. Perché ? E perché l’aveva voluta sull’Arcadia? Non era attrazione fisica
ne era certo, era altro, ma cosa? Era la stessa cosa che gli aveva impedito di
spararle quando si erano visti. Il suo occhio si spostava lento su di lei. Helèn
portava una semplice divisa nera l’aveva scelta perché non vi erano i simboli
della Gaia, pantaloni aderenti e giacca militare sfiancata. Non era altissima
ma armoniosa , il fisico allenato di chi vive combattendo, ma i suoi occhi
erano gli occhi di chi si era perduto, pensò Harlock. “Riposati!” le fece e si
avviò voltandosi. “Harlock!” lo chiamò, lui si voltò lievemente, prima di
girarsi del tutto perché lei non parlava. Chinò il capo a sinistra in attesa.
Avrebbe voluto essere già lontano ma era ancora lì davanti a lei. Helèn aveva
solo dato fiato ai suoi desideri chiamandolo, sentiva chiaramente che il lungo
viaggio che aveva intrapreso tanti anni prima era arrivato alla fine. Avrebbe
voluto parlarne con lui ma non poteva, non ancora “nulla...notte!”. Si avviò
dalla parte opposta accompagnata dal rumore dei passi cadenzati di lui che si
allontanavano. Si voltò un attimo a guardare la figura dietro quel mantello
ondeggiate ed i capelli lievemente arruffati. Le diede un senso di grande
solitudine. Era quasi arrivata alla sua stanza che una luce strana alle sue
spalle la illuminò, si voltò di scatto e vide Meeme. Eterea, sembrava
fluttuare, irradiava una soffusa luce verde, la guardava quasi a scavarle
dentro non tradendo emozioni “io... io sono Helen” le disse. Aveva sentito
parlare di lei, si favoleggiava di questa aliena che viveva con Capitan Harlock
e che forse era la sua donna. “Lo so” rispose “ Ti aspettavo, sapevo che un
giorno saresti arrivata “ alcune piccole luci come dotate di vita propria
iniziarono a fluttuare intorno ad Helen. “Il tuo viaggio è finito”. Helen la
guardò stupita. “Non è questo che ti stavi chiedendo?” e come era arrivata, sparì. Helen chiuse la
porta della stanza alle sue spalle appoggiandovisi stanca e guardandosi
intorno. Era stata una lunga giornata che mai avrebbe pensato si sarebbe
conclusa a bordo dell’Arcadia. La Horizon attaccata, distrutta. Aveva visto
tanti, troppi morire, poi forse sarebbe toccato a lei, ma Harlock l’aveva
risparmiata chiedendole di andare con loro. Aveva accettato perché ormai non
aveva più nulla da perdere, quello che aveva avuto da perdere nella sua vita lo
aveva già perso . Tolse le sue tre piantine dalla cassa e le mise accanto alla
finestra. Poggiò la fronte al vetro freddo, guardò fuori non sapendo quanto si
sbagliasse . Avrebbe avuto ancora tutto e perso tutto … ancora una volta.
I personaggi descritti sono di
chi li ha inventati primo tra tutti Leiji Matsumoto ma anche Shinji Aramaki e
Harutoshi Fukui grazie per averci riportato il nostro Capitano dopo tanti anni.
Un ringraziamento speciale alla
mia beta collega ma soprattutto amica Erika.
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