Al Bar
Al bar, come al solito, con la
musica a tutto volume, come
al solito, quella musica cubana dovuta a Juan, il proprietario
dell’unico bar
nelle vicinanze dell’isolata cittadina dell’Ohio in
cui ci trovavamo.
Era un posto isolato dal resto
del mondo , ma in fondo, me
lo avevo voluto io.
Io, una cittadina di New York,
io che non potevo fare a meno
del computer portatile, trasferita nell’Ohio, da sola, in una
casa in mezzo agi
alberi, in un letto a due piazze, ricordando e piangendo il motivo per
cui mi
ero trasferita così lontano.
E i buena vista social club
continuavano con i loro
strumenti stranissimi, con la loro musica assolutamente coinvolgente, e
io
ballavo, con gli occhi chiusi, con quella musica che mi prendeva da
dentro, e
le gambe, le mani che non volevano fermarsi.
Non li vidi entrare, non li
sentii avvicinarsi al bancone,
non vidi i suoi occhi che mi puntavano e non vidi Juan parlare con
loro. Sentii
solo che la musica finì e quando aprì gli occhi
vidi due ragazzi, appoggiati al
bancone, che parlavano con Juan.
Uno di loro indossava una
giacca di pelle scura, non nera,
ma sul marrone, mentre l’altro aveva un maglione nero e sotto
aveva una camicia
aperta e che usciva fuori dal maglione. Erano davvero strani, non si
vedevano
spesso stranieri in quella zona, e quelli che si vedevano non tornavano
mai,
capivano l’aria tremendamente triste e monotona di quella
zona.
Mi avvicinai lentamente al
bancone, per cercare di capire al
meglio i due nuovi arrivati, e subito mi colpisce l’odore
buonissimo di uno dei
due, era così aspro, ma allo stesso tempo così
piacevole, non era un vero
profumo, era il suo odore, quello vero, e mi aveva stordita.
Quando li vidi capii subito da
chi proveniva l’odore, erano
due ragazzi completamente diversi, uno altissimo, superava sicuramente
il metro
e novanta, aveva i capelli un po’ buttati sulla fronte, gli
occhi scuri e una
bocca piccola e sicura, aveva l’aria del ragazzo
tremendamente bastonato.
L’altro invece, anche lui era un ragazzo, ma aveva
quell’aria così sicura, come
di chi ne ha passate così tante che ormai non sarebbe mai
cambiato niente nella
sua vita, aveva occhi così profondi e verdi. Capii subito
che il secondo era
quello che mi aveva stordita, quella sua aria così sicura
era sicuramente una
facciata, nascondevano qualcosa, ma non riuscivo a capire cosa.
“Juan dammi una
birra” lo dissi forse troppo ad alta voce, i
due ragazzi si girarono verso di me e mi fissarono, il più
grande soprattutto,
il “duro” mi fissò interessato.
“Juan te la pago
domani, ora vado che non ho la macchina e
vado a piedi, a domani, buona notte” mi girai verso gli altri
per salutarli
quando vidi, di sfuggita, un’occhiata che si diedero i due
ragazzi, veloce,
rapida, e quando stavo per uscire i due ragazzi mi presero un braccio e
il più
grande mi disse
“dove vai? Non vedi
che è buio?” ancora tenendomi il
braccio.
“lasciami il braccio,
non credo siano affari tuoi io dove
stia andando” gli risposi inacidita e cercando di liberarmi
dalla sua mano.
“aspetta- mi rispose
il più piccolo dei due- aspetta, non
uscire, non da sola, ti accompagniamo noi a casa, con la nostra
macchina, ma
non vorrai avventurarti qui fuori da sola vero?” i chiese con
quei suoi occhi
da cucciolo.
“certo che voglio,
non mi lascio certo accompagnare da voi
due, ragazzi grandi e grossi a casa mia, come mi fido?preferisco andare
a piedi
grazie” risposi con un finto sorriso.
Ancora quello più
grande mi prese per la vita e mi spostò
“allora forse non hai
capito, non puoi andare da sola a
piedi, per di più, a casa. O ti accompagniamo noi o ti
accompagna qualcun
altro, chiaro?” mi
guardò con aria di
sfida.
“certamente non
prendo ordini da te, faccio quello che
voglio e quando voglio, e io voglio tornare a casa ora!”
cercai di farmi strada
tra le sue spalle, missione pressoché impossibile, dato che
aveva delle spalle
davvero grandi.
“Alex lasciati
accompagnare a casa da loro, io li conosco,
sono dei miei vecchi amici,ti puoi fidare” mi disse Juan con
la voce
visibilmente preoccupata.
“Juan ma io voglio
tornare a piedi” gli dissi quasi puntando
i piedi.
Juan si avvicinò e
mi disse in modo da non far sentire a
tutti
“non tornare da sola
a casa, ti prego, non stanotte, fatti
accompagnare da loro, fidati, sono dei bravi ragazzi” mi
disse con gli occhi
imploranti.
Mi girai verso il
più giovane e gli dissi
“va bene,
accompagnatemi voi a casa, ma guai a voi se alzate
le mani” dissi in modo di sfida, e guardai il più
grande, che intanto mi
fissava con occhi che sputavano fuoco. mi girai verso Juan, gli diesi
un sonoro
bacio sulla guancia e uscii dal bar, fuori era abbastanza freddo, e io
avevo
solo quella camicia bianca a maniche lunghe con quei jeans, non avevo
pensato a
portarmi alcun tipo di cappotto.
Venne il ragazzo più
alto e mi porse un giubbino, che
accettai senza risentimento.
Mi era simpatico, era
dolce, carino e, soprattutto, non era arrogante come il fratello.
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