Maieutiké
“Vai
a parlare con Mur.”
Trotterellò
giù per gli scalini in fretta, Milo della costellazione dello Scorpione. Incurante
di saltarne qualcuno, incurante di mettere il piede in fallo e rischiare di
cadere giù ruzzolando come un marmocchio ancora instabile sui piedi.
“Vai
a parlare con Mur”, si ripeté, ruminando con i denti ad imitazione dei suoi
pensieri.
Tirò
su con il naso e strofinò con rabbia un braccio sugli occhi umidi.
“Mur
è perfetto. Mur sa sempre cosa fare. Mur ha sempre qualcosa di carino da
dire, che ti fa stare meglio, che ti fa passare una notte tranquilla. Mur è
perfetto, sì.”
Superò
la Settima Casa, avvolta nel suo raccolto e venerabile silenzio. Non se ne
sentì partecipe per niente, anzi. Il rispetto che nutriva per quel luogo, anzi
di più, per il Santuario intero, non era che un relitto amarognolo che a
malapena raggiungeva la sua razionalità, come un’eco smorta del sogno infantile
nel quale si era creduto con più intensità, in un tempo ormai lontano,
lontanissimo.
Corse
strusciando disattentamente la spalla contro quelle mura polverose che non avevano
fatto niente, niente, per opporsi alla guerra.
Abbatterle.
Tutte
quante, fino all’ultimo capitello.
Oh,
quello sì che sarebbe stato infantile.
Shaka
di Virgo se ne stava seduto fuori dalla Sesta Casa, in contemplazione.
Milo
gli rifilò uno sguardo di sbieco, e nulla più, passando. Rallentò un poco,
giusto per questione di fredda cortesia nei confronti di un quasi estraneo. Con
quell’uomo, dopotutto, non aveva mai avuto nulla da spartire. Nonostante la
vicinanza delle loro Case – con la Settima a fare da innocuo fantasma fra le
rispettive porzioni di scale – l’attenzione di Milo era sempre stata rivolta qualche
tempio più in alto, piuttosto che a valle.
-
Scendi? –
Ecco,
grandioso. Figurarsi se Shaka non doveva cominciare proprio quella sera, a
porre domande ovvie.
-
Sto andando da Mur. –
-
Mur riposa. –
-
Non me ne importa niente. Lo sveglierò, ho delle cose importanti da dirgli. –
-
Importanti? È forse successo qualcosa? –
-
Nulla che interessi a te, o nobile Shaka. Vuoi lasciarmi proseguire in pace,
ora? –
-
Ti invito a rivedere i termini che impieghi. Le sole cose che un Cavaliere
possa reputare importanti sono quelle che riguardano il Santuario, Athena, e il
benessere dell’umanità. In qual caso, informare non solo Mur, ma tutti i
compagni, è un preciso dovere. –
Il
volto di Milo si incendiò per lo sdegno. Il fatto che Shaka avesse spezzato il
ritmo incalzante del suo passo per una sciocca puntualizzazione travestita da
domanda passava del tutto in secondo piano, alla prospettiva che, ora, lo
stesse addirittura prendendo in giro.
-
Ti chiuderei quella bocca insolente, Shaka… - ringhiò a mò di monito.
Shaka
lasciò cadere la provocazione in un pigro nulla di fatto.
-
Mur riposa. – ribadì. – Se hai bisogno di lui, aspetta domattina. –
Milo
scese giù.
Tanto,
ne aveva piene le tasche di stare a sentire quella specie di santone da
strapazzo. Riprese a sgroppare per le scale, maledicendo Mur, per la sua
abitudine di andare a letto presto, e Shaka, che sa sempre tutto. Adesso, gli
sarebbe toccato bussare, rassicurare gli inservienti sul fatto che no, nessun
pericolo per il mondo, soltanto uno stolto depresso che passava di lì; aspettare
che qualcuno di loro andasse a svegliare il suo padrone, scusarsi più e più
volte per l’imperdonabile invadenza e poi, forse, a quel punto, spiccicare due
parole, quando ormai non avrebbe avuto nemmeno più senso. Quando oramai sarebbe
stato del tutto inutile cercare di ingoiare l’amarezza per non essere nemmeno
capace di curarsele da sé, le sue ferite. Mur avrebbe tirato l’alba senza
protestare, per offrirgli il suo conforto. Era fatto così. Il risultato sarebbe
stato che due paia di occhi non avrebbero riposato, ed inutilmente, per giunta.
Milo
tornò su.
-
Maledizione. – disse a denti stretti, scalpicciando rumorosamente sulle scale
davanti alla Casa di Virgo. – Vuoi farmi sentire in colpa o cos’altro? Ti
avverto, Shaka, non sono dell’umore adatto. –
-
Lo so bene, questo. La guancia. –
Il
Cavaliere dello Scorpione spalancò per un istante gli occhi.
-
Pulisciti la guancia. – precisò allora Shaka. – E’ bagnata di lacrime. –
Alla
perplessità di poco prima subentrò una fiammata di disagio.
-
Come mai così ansioso di vedere Mur? –
Milo
colse un tocco di malizia del tutto artificioso e voluto, in quella domanda. Come
se Shaka stesse deliberatamente fingendo di non capire niente; anzi peggio, di
capir male.
-
Se stai cercando di insinuare che… - si inferocì, ma una mano di Shaka lo mise
a tacere con un gesto lento, scocciato.
-
Non insinuo proprio nulla. – ribatté, ed era il ritratto della calma. – Ti ho
solo fatto una domanda. –
-
Vado da Mur perché mi va. Perché con lui riesco a parlare. –
-
Come non riesci a parlare con nessun altro? –
Gli
occhi gli sfuggirono verso il basso prima che lui riuscisse ad imporre loro di
restare fermi dov’erano. Ma non poteva chinare la testa così.
-
Esatto. – lo sfidò. Perse.
-
Strano. – dichiarò Shaka. Si mosse, finalmente, facendo qualche passo verso di
lui. – I sentimenti di cui sei preda si leggono sul tuo viso come si leggerebbe
una pergamena vergata di fresco, Milo di Scorpio. Non comprendo come possa
riuscirti difficile esternarli anche con altri. Forse che un particolare
affetto ti lega al Cavaliere dell’Ariete? –
-
Nessun affetto mi lega. Nessuno! Mur riesce a consolare il mio cuore senza
giudicarmi, ti pare così deplorevole? –
-
Ah. Dunque, lui ti consola. – concluse Shaka. Milo poteva giurarlo, di aver
sentito il timbro della sua voce brillare per la soddisfazione. – Parla al tuo
animo dolorante, allevia la morsa di angoscia che ti stritola, scioglie un po’
del ghiaccio che ti si è conficcato in corpo. –
-
E’ così. È così, ti disturba forse? –
Shaka
gli offriva le spalle con un ché di maestoso. E di tremendamente indisponente. –
Non ti serve qualcuno che ti consoli, Scorpione. Né qualcuno che ti parli. –
sentenziò, osservandolo da sotto in su con il sopracciglio inarcato. – Ti serve
qualcuno che ti ascolti. Che ti faccia rigettare il veleno che ti ostini a
covare nello stomaco. –
-
Che veleno vuoi che covi, accidenti a te! – abbaiò Milo, suo malgrado vinto da
un pruriginoso senso inadeguatezza. – Credi di poter giudicare sempre tutto, ma
ti sbagli, ti sbagli di grosso, le cose non stanno affatto come sembra. E io
non ho bisogno del tuo aiuto! –
-
Sei tu che sbagli. In effetti, la maggior parte delle volte le cose sono
esattamente come appaiono. Ad esempio, in questo momento tu mi sembri piuttosto
arrabbiato. Sei per caso arrabbiato, Milo? –
-
E’ naturale che sono arrabbiato! Tu… Tu! –
-
Io? Non ho fatto proprio niente che possa provocare il tuo furore. –
-
Mi hai fermato! –
-
Ti ho solo suggerito di fermarti. Il resto lo hai fatto tu, da solo. –
- Ora
non parlare come se io non rispondessi delle mie azioni. So molto bene cos’ho
fatto, so cos’ho detto, so anche cos’ho pensato! –
E
sarebbe andato avanti ad oltranza, il Cavaliere dello Scorpione, a difendere la
propria lucidità, vera o presunta che fosse, incrinata, questo almeno doveva concederselo.
Shaka
scostò un lungo, sottilissimo ciuffo di capelli dorati che lambivano il suo
mento affusolato. – Ne morirai, Milo. – dichiarò soavemente. – Parola mia.
Prima di quanto credi. –
Milo
si acquietò. Non seppe dire se perché Shaka avesse scelto di pronunciare la
parola “morte” in modo così improvviso, e deliberato, questo per certo. Ma
c’era qualcosa di difficile da spiegare, annidato in quell’avvertimento.
Qualcosa di buono.
Vinto
da una pesantezza alle gambe di cui non aveva avuto sospetto fino a quel
momento, si accucciò sul gradino stilobate, rannicchiando le ginocchia al petto
come fa un bambino prima di cominciare a giocare con i sassolini e la legna
sparsi a terra.
-
Vuoi proprio aver ragione tu, eh? – borbottò. Era meno duro, il suo tono di
voce. – Sentiamo, allora. –
-
Sentiamo? – replicò Shaka, per nulla impressionato. Andò a sedersi proprio lì
accanto a lui, ma raccolse le gambe signorilmente piegate sotto al busto, al
modo giapponese. Milo, al vederlo così, dondolò.
-
Ti si sono asciugati gli occhi. Si direbbe che la rabbia abbia spazzato via la
tristezza. –
Milo
formò una piegolina amara con le labbra, che tirava verso destra. – Forse sì.
Per un momento, almeno. –
-
E dopo? Dopo quel momento? –
-
Ritorna. Com’è normale che sia. –
-
E tu? –
-
Io? L’accetto. Che altro dovrei fare. –
-
L’accetti. –
Shaka
fece oscillare lentamente la testa, per due volte, in avanti.
Il
silenzio del Santuario non era mai davvero tale. Che fosse estate e frinissero
i grilli, o inverno, con i venti forti che dal mare mugghiano nelle fessure dei
faraglioni, non si poteva parlare di autentico silenzio. Ed era molto meglio
così, visto che Milo aveva avuto il piacere di scoprire sulla propria stessa
pelle contratta da brividi violentissimi quanto poco gli andasse a genio il
silenzio. Quello assoluto, quello serio. Quello che riesci a sentire soltanto
quando ti trovi davanti ad un corpo morto, e che da esso si trasmette a te,
insinuandosi nelle tue narici per poi entrarti nel sangue.
E
da lì, non se ne va più. Non se ne va mai.
-
Camus. – si decise, finalmente, a fare quel nome. – Camus… è morto. Vero? –
-
Perché mi fai domande stupide? –
Milo
chiuse di scatto le palpebre e contò fino a dieci. Non era possibile, non era
fisiologicamente possibile che Shaka fosse a tal punto privo di tatto.
–
Certo, che era una domanda stupida, certo! – sbraitò fin quasi a sentire la
gola grattare. – Mai sentito parlare di retorica? Di retorica, eh Shaka? Lo so
benissimo da me che Camus è morto, che cosa credi? Chi pensi che ci fosse, a
raccogliere il suo corpo esanime, su all’Undicesima Casa? –
-
Non saprei. – rispose Shaka, vago. – Ho l’impressione che Milo di Scorpio fosse
assente, in quel momento. Ma chi, esattamente, ci fosse, non so dirlo. –
-
Mi prendi in giro? –
-
Per nulla. Tu sai per caso chi si trovasse lassù? –
-
Chi è che fa domande stupide adesso, eh? Io, io, c’ero! –
-
Ah. Tu. E quindi, che sensazioni hai avuto? Com’è stato? –
-
Com’è stato, mi chiedi? –
Milo
strinse le dita di entrambe le mani finché le nocche non furono completamente
bianche, quando non addirittura segnate dai rigagnoli bluastri delle vene più
superficiali. Lo avrebbe colpito con tutta la sua forza, anzi di più, con il
suo cosmo. Sì, quell’arrogante bambola di Shaka, lo avrebbe distrutto, ne
avrebbe fatto un mucchietto di cenere da spargere al vento.
Ma
tutto ciò fu prima di rendersi conto di non saper dare una risposta alla sua
domanda.
-
E’ stato… io… - la frangia folta si scompaginò in mille ciuffi fra le sue dita
nervose.
E
dire che era certo di averci pensato e rimuginato così tanto, su ciò che aveva
passato in quei momenti. Non poteva credere di essere senza parole.
-
Che cos’è accaduto? – lo imbeccò Shaka. Nonostante l’imprevedibile piega presa
dagli eventi, conservava un autocontrollo assoluto, ai limiti
dell’imbarazzante.
-
Sono corso da lui. – ansimò Milo, accorato. Gli era presa un’ansia, a quel
punto, un’ansia mostruosa di non essere all’altezza dell’interrogazione. – L’ho
trovato riverso, seduto, non lo so. L’ho preso fra le braccia, così, l’ho
stretto. L’ho stretto forte. –
Cullò
l’aria tiepida fra i muscoli possenti delle sue braccia, il Cavaliere dello
Scorpione. Non ci pensava nemmeno, di risultare patetico; Shaka doveva vedere,
doveva capire, sapere che cosa esattamente avesse provato. E poi, con un po’ di
fortuna, Camus, il suo Camus bellissimo, sarebbe riapparso proprio lì,
nell’incavo dei suoi gomiti, avvolto da un tenero cristallo di neve che glielo
avrebbe depositato in grembo, restituendolo con tante scuse al suo legittimo
talamo.
-
Lui non respirava. – aggiunse penosamente. – Non un battito, non un segno. –
-
Che cos’hai provato, in quel momento? –
-
Niente. – ammise a mezza voce. – Il mio cuore era vuoto e buio. Un cielo
spento. –
-
Un cielo soffocato dalle nubi. Che cosa pensi che avresti fatto, se fossi stato
nella condizione di dare libero sfogo a quello che celavi in te? –
-
Non ne ho davvero idea. Forse avrei divelto tutto, ogni cosa davanti a me.
Oppure sarei morto, accasciandomi lì su quel corpo appena tiepido. – sorrise,
nell’ammetterlo, come si fa confessando sottovoce il primo bacio rubato. – Per
un momento, devo averci pensato. Avere il suo corpo appoggiato a me a quel
modo, senza alcuna resistenza, mi faceva sentire così tremendamente prigioniero
della mia stessa vita. Camus era volato via chissà dove, mentre io ancora respiravo,
e non c’era modo di fermarmi. Vedevo, toccavo, avvertivo distintamente
nell’aria l’odore di ghiaccio e di sangue. Non riuscivo a smettere di vivere,
ed era così ingiusto, così ingiusto. –
Le
nocche della sua mano sbiancarono di nuovo, ma questa volta Shaka era al
sicuro. Milo se ne rimase lì, a fissare tremando i poveri cocci che aveva
ritrovato di sé, molto più malconci del previsto.
-
Perciò, hai spento ogni luce in te, in modo da poterti fingere morto, almeno
con te stesso. –
-
Ho dovuto farlo. Riesci a capirmi, Shaka? –
-
E che ne è stato del resto? La rabbia, la paura, la desolazione. Te l’hanno
portato via, dopotutto, no? –
-
Che cosa avrei dovuto fare? Cercare il suo assassino, per libare il suo sangue
alla memoria di Camus? –
-
Non chiederlo a me. Io non lo so. –
-
Era un suo allievo! Camus non avrebbe mai voluto, mai! Avevo il dovere di
rispettare la sua volontà, anche se l’odio mi ha stritolato la milza fino a
farmi urlare. –
-
L’odio nei confronti di chi? –
-
Di chi? –
-
Del ragazzo, o di Camus? –
Shaka
arricciò le belle labbra sottili, simulando un interesse che non nutriva. Tese
pigramente una mano in avanti, facendo vibrare le dita al vento come se fosse
intento a far di conto fra sé e sé.
-
Perché il Cavaliere di Bronzo lo ha ucciso solo perché Camus lo ha lasciato
fare. O mi sbaglio? –
Milo,
stavolta, inarcò entrambe le sopracciglia. Decisamente, faticava a capire. –
Camus era forte. – borbottò, chiudendosi prudentemente in difesa.
-
Perciò, odi il Cigno assassino, o Camus che ti ha tradito immolandosi senza
dirti niente? –
-
Il Cigno ha potuto incontrare il suo maestro perché io gli ho permesso di
farlo! Ma non avrei mai pensato che… -
-
Ah, è questo, allora. Se Camus si fosse difeso, sarebbe andato tutto bene. –
-
Ovviamente. –
-
Ma lui non si è difeso. E così, il ragazzo che tu hai lasciato passare lo ha
privato della vita. E l’assassino diventi tu. –
-
Assassino, io! – strillò Milo, balzando in piedi come si sarebbe addetto ad un
leone, più che ad uno scorpione. – Come osi, tu, tu, maledetto… -
Colpevole.
La
sentenza rintoccò nelle sue orecchie prima che avesse il tempo di tapparle.
Milo
cominciò a piangere sommessamente, in aspro contrasto con i singulti che gli
squassavano il petto dando l’idea di volerglielo sfondare. Aveva ancora la
maledizione di Shaka a fior di labbra, ma oramai era tutta una gran confusione,
un susseguirsi di irragionevoli dubbi e di domande bacate che pretendevano da
lui ascolto e comprensione.
-
Non sarebbe dovuto succedere. –
-
La rabbia ti ha fatto da buon scudo, fino ad ora. –
-
Aiutami, Shaka. –
Lo
disse con le ultime lacrime che gli si spegnevano sul naso come mozziconi di
sigaretta, facendoglielo arricciare per riflesso. Si sarebbe aggrappato a quel
suo mantello candido, se solo anche l’ultima foglia secca di quello che credeva
essere il florido albero del suo orgoglio si fosse distaccata.
-
Provi dolore, ora? –
-
Come se il mio stesso sangue fosse il veleno di un aspide. –
Quando
si rimise in piedi, Shaka sembrò, per un istante, molto vecchio. Antico. C’era
da supporre che fosse normale, viste le sue influenze trascendenti. Ma Milo ne
ebbe improvvisamente un gran rispetto. A quel punto, non era più solo per il
suo mantello.
-
Ebbene, questa è la via. La morte provoca dolore, Cavaliere dello Scorpione. –
E
con quest’ultimo boccone amaro di ovvietà, Milo se ne tornò alla sua Casa, con
la coda fra le gambe. Coricatosi a letto, e presa subito coscienza del fatto
che non si sarebbe mai e poi mai addormentato fra quelle coltri rigide, valutò
che non potesse poi fargli così male passare una notte insonne.
Il
giorno dopo, sarebbe andato da Mur, senz’altro. Perché Mur avrebbe certamente
avuto qualcosa di carino da dire per aiutarlo, ma per quella notte, almeno per
quella notte, basta, basta così.
ANGOLINO!
Va
beh, il titolo la dice lunga. Ecco quello che definisco un “foglio volante”,
ovverosia una shot senza capo né coda, senza agganci/prequel/perché e percome.
Ne
ho un’altra in cantiere, su questi due simpatici ometti, di tutt’altro tenore,
con un ospite a sorpresa (ancora più a sorpresa di Shaka. No aspetta, forse
no), ma nel frattempo non so, deprimetevi un po’ con questa qui, che in questo
fandom ne abbiamo proprio bisogno.
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰
del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.