Piccolo Fiore

di GoldFish27
(/viewuser.php?uid=281346)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


II.

Piccolo Fiore
____________________________________________________



II.

Non si trattava di una rappresentazione unica, a dire il vero. Era più che altro un "varietà". Seguirono scene recitate a monologhi, divertenti scenette di cabaret e intermezzi di buona musica classica.
Erano passate all'incirca due ore dall'inizio e senza poter riuscire a distinguere chi era in scena la mia pazienza si stava lentamente esaurendo. Iniziai a litigare con la poltrona per trovare una seduta più comoda, poi trafficai con il mio orologio da polso, cambiando più e più volte l'orario, per il solo gusto di farlo. Dovevo ammetterlo: lo spettacolo, per quanto vario, mi annoiava. Sarei rimasto volentieri a casa, se fosse stato per me, ma Marilena ci teneva tanto...
Mia moglie mi lanciò un'occhiataccia dopo che ebbi attivato per sbaglio la sveglia dell'orologio. Per fortuna ci trovavamo in un momento di distacco tra una esibizione e l'altra, così il parlottare delle persone aveva nascosto quello squillare molesto.
Gettai uno sguardo verso il palcoscenico, giusto per vedere di quale colore sarebbe stata la macchiolina pronta a esibirsi. Questa volta, però, ne apparvero tre o quattro, tutte nere, che si raggrupparono intorno a qualcosa di più grande e ignoto, trascinandolo al centro della scena. Dietro di loro comparve una figura tutta rossa, che venne accolta da un sonoro applauso.
Ero davvero curioso di sapere cosa stesse accadendo, ma mi imbarazzava chiedere a mia moglie di spiegarmelo. Per fortuna, un suo raro commento mi salvò la serata:
- Carino, il pianoforte; sembra uguale al tuo.
Mi limitai ad annuire. Quindi quella macchia nera era un pianoforte, e il pianista (o la pianista?) doveva essere quello vestito di rosso.
Le luci si abbassarono, i due lobi sfocati si congiunsero e il silenzio calò nella sala.
Seguì una scarica di note, fredde e veloci, che mi fece salire un brivido lungo la schiena. Poi, gli altoparlanti sputarono una sinfonia elegante, calda e appassionata. Mi adagiai sullo schienale della poltrona. Avevamo ascoltato jazzisti con le loro trombe, contrabbassi e violinisti, ma l'unico strumento che avrebbe rilassato le mie anziane orecchie era proprio quello: il pianoforte.
Anche io, tempo addietro, ero stato un virtuoso della tastiera bianconera. Prima di trovare lavoro, prima di conoscere Marilena, prima di sposarmi, il pianoforte era stato tutta la mia vita. Andavo in giro per le piazze, suonando per la gente, armonizzando i pomeriggi, incantando le serate, rendendo memorabili le afose giornate estive. Ogni sera, in ogni luogo, ero sempre lì, seduto di fronte al mio strumento, a liberare le meravigliose melodie che si celavano nel profondo della mia mente. Di solito evitavo di ricordare quei momenti, seppur piacevoli, perché mi avrebbero spinto a rifarlo, a scendere per strada, e non avevo più l'età per farlo. Ero vecchio. Vecchio e stanco.
Rimasi ad ascoltare il pianista che aveva resuscitato in me quei ricordi. Doveva essere davvero di qualità; chissà chi era. Si destreggiava sui tasti con disinvoltura, e anche senza riuscire a vederlo nitidamente, potevo giurare che avesse chiuso gli occhi.
Lo imitai.


 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2821331