Salve!
Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei ribadire, come già menzionato
nell’introduzione, che per quanto questa storia possa funzionare anche come
one-shot a sé stante si tratta, di fatto, del
‘seguito’ di questa fanfic. Vi consiglio quindi di darvi un’occhiata prima di continuare –
in ogni caso, buona lettura!
{ Futuro
Si dice che la notte porti consiglio, ma
tutto ciò che il calar delle tenebre fa alla mente di Hanamiya
è immergerlo nei ricordi dal retrogusto amaro di un passato remoto che con
fatica annaspa alla superficie della sua coscienza annebbiata dalla stanchezza,
prima di diventare gradualmente sempre più chiaro.
In un pomeriggio di inizio primavera,
in un clima anche troppo freddo per quel periodo dell'anno, come una specie di
ombra oscura proiettata sui suoi pensieri era ancora forte il sentimento di
dolore che aveva provato nel momento in cui era scesa come la lama di una ghigliottina
la consapevolezza che una parte della sua vita se ne sarebbe andata per sempre
e mai più sarebbe ritornata.
In una vita vissuta nella completa apatia e nel disprezzo del
prossimo, colui che era riuscito a scuoterlo un po’
dalla noiosa e ripetitiva quotidianità lo stava salutando da dietro le porte di
un treno in partenza, un sorriso fastidiosamente forzato che gli incurvava le
labbra con l'inutile pretesa di nascondere le palpebre arrossate dallo sforzo
di non regalargli un’ultima vista troppo impietosa. Fermo con i piedi sulla
fatidica linea gialla mentre guardava il treno andarsene implacabile senza
poterlo fermare, si era convinto che anche lui là dentro, che correva di vagone
in vagone per poter prolungare quell'ultimo saluto il
più possibile, sapeva perfettamente che le loro strade stavano prendendo due
direzioni pressoché opposte.
Si scrissero qualche volta, si contattarono
sporadicamente, ogni tanto si videro anche di persona; ma era inevitabile che a
poco a poco le cose andarono come Hanamiya ebbe
predetto.
Imayoshi era troppo impegnato a
studiare e lui ad essere il solito, cinico ragazzo a
sua volta troppo impegnato ad escludersi dal resto del mondo per uscire da quel
guscio e correre dall’unica persona che mai lo avesse capito davvero. O meglio,
a cui avesse mai permesso di capirlo davvero.
Giorno dopo giorno era sempre più
lontano, e anche se era colpa di entrambi, in realtà essa era principalmente la
sua.
Arrivò presto la conseguenza più inevitabile, eppure,
nonostante questo, sempre e comunque dolorosa.
Non si parlavano più, adesso, e nessuno dei due aveva cercato
l'altro da giorni, settimane, forse mesi. A poco a poco si erano allontanati
del tutto, e i loro legami definitivamente logorati.
A questo punto, ormai era come vivere in una cupola di vetro.
Senza battere ciglio Hanamiya vedeva
la propria vita e quella degli altri scorrere indisturbata davanti ai suoi
occhi annoiati. Se prima di conoscerlo non aveva mai prestato attenzione ai
colori del mondo, adesso che lui era un affare del passato il
mondo un colore ce l'aveva eccome.
Era nero.
Si era ritrovato tante, troppe volte a rimpiangere di averlo lasciato
andare via, ma ancora di più a maledirlo per essere entrato, in primo luogo, a
far parte dalla sua vita. Gli aveva mostrato molte più cose di quanto forse
entrambi avessero immaginato, come una finestra sull'infinito - finestra che era stata però brutalmente chiusa e serrata,
tanto che ormai non valeva più neanche la pena grattare sul legno scheggiato
per cercare di aprire un ultimo spiraglio.
Avrebbe fatto solo male, sarebbe stata solo una perdita di
tempo.
Il tempo passava e lui non cambiava affatto.
Rimaneva ancorato alla sua posizione, irremovibile, mentre tutto intorno
progrediva e diventava diverso. Più attento, più pretenzioso, più difficile.
Sotto le pressioni da parte di molti smise di giocare a
basket.
Costretto da genitori si iscrisse ad
un’università prestigiosa locale solo per uscirne con il massimo dei voti e
ritrovarsi immediatamente dopo coinvolto in un ambiente in cui non sapeva
vivere, circondato da persone che tentavano di approcciarsi a lui ma che non
potevano, non ci sarebbero mai riuscite.
Per la prima volta, Hanamiya iniziò
a domandarsi se valesse davvero la pena continuare a vivere in un mondo del
genere, circondato da persone trascurabili e bocche capaci solo di vomitare
saccenterie infondate.
Decise di allontanarsi ancora di più da tutti, di scappare da coloro che ostentavano tanto di capirlo ma non sapevano
neanche chi avessero davanti.
Tagliò i ponti con una famiglia di fissati per costruire il
proprio nero e solitario angolo di mondo in una casa nascosta in mezzo a mille
appartamenti tutti uguali, guadagnandosi da vivere come segretario in una
deserta biblioteca di quartiere.
Non era la pace che cercava, ma dopo il dolore, la sconfitta,
l'umiliazione, poco a poco stava subentrando la rassegnazione.
Avrebbe continuato a vivere la sua vita in quella pateticità
assoluta e l'avrebbe accettato. Avrebbe continuato a vivere vicino e lontano dagli
altri, conscio del fastidio che gli facevano provare, ma consapevole anche delle
sue lacune e delle sue incapacità.
E in questo limbo passarono gli anni. Sedici,
per la precisione, da quell’addio.
In una giornata in cui pareva che nessuno avrebbe messo piede
tra quelle mura, un uomo dall'aspetto curato spinse la porta della biblioteca.
Ci volle ben più di qualche secondo, per Hanamiya,
per realizzare che colui che aveva davanti non era un’illusione
del suo cervello perennemente stanco: non poteva esserci nessuno, neanche a
distanza di così tanto tempo, con quello stesso sorriso e quello stesso sguardo
tagliente dietro le lenti lucide degli occhiali; con quella vocetta nasale e
l’inconfondibile, marcato accento.
“Ti ho trovato, Hanamiya.”
Non lo voleva.
All'inizio, fece tutto quello che poté per cacciarlo, per
farlo tornare in mezzo ai fantasmi del passato e lì farcelo rimanere, ma non
servì a niente. A differenza di tutte le persone che avevano bussato contro le
mura trasparenti della sua trappola, lui era l'unico che senza esitare la prese
a spallate finché non si creò un’apertura, noncurante delle ferite che lo
logorarono nel processo.
In mezzo al nero, Hanamiya riprese a
vedere i colori. Riprese a vedere con occhio diverso le persone che lo circondavano,
riprese a vedere se stesso, a respirare.
Era come se non fossero passati neppure cinque minuti dall’ultima
volta che si erano visti. Imayoshi era cambiato,
adesso che sfoggiava con fierezza il suo titolo di avvocato, ma al contempo era
sempre uguale - e tale era anche l'intesa che presto li
avvicinò e li unì di nuovo. Era un sogno? No, non poteva esserlo: i mesi che
seguirono furono forse il periodo dell'esistenza di Hanamiya
in cui egli si sentì più vivo in assoluto.
Eppure venne spontaneo domandarsi, perché proprio adesso?
Aveva sempre avuto quasi timore a chiederlo, ogni qual volta
che si ritrovavano a passare del tempo insieme. Perché
proprio ora un avvocato di successo del suo calibro aveva deciso di fare un
salto indietro nel tempo e cercare una persona come lui?
Quando trovò il coraggio di porgli quella domanda, l’altro sorrise con la sua solita espressione indecifrabile,
e Hanamya sentì lo stomaco contorcersi in una morsa
asfissiante.
Era come se l’atmosfera si fosse appesantita d’un tratto, e
gli angoli della sua visione tremante stessero,
lentamente, per venir inghiottiti di nuovo dal nero.
“Mi sposo.”
Dolore. Era come se il cuore stesso gli stesse sanguinando.
Sentì l'aria mancargli, il mondo girare e confondersi in un’ombra
buia intorno alle sue percezioni completamente annebbiate. Era tornato per
donargli vita e respiro, solo per negarglieli nuovamente?!
A che razza di dannato gioco sadico stava giocando?!
Era stufo, stufo di vivere la propria vita al centro di un’apatia
infinita, e proprio quando era sicuro di potersi concedere un po’ di pace dalla
pesantezza che gli attanagliava il petto dalla mattina alla sera, ecco che la
cura di tutto ciò gli veniva strappata dalle mani
senza che potesse fare niente per lottare e riprendersela.
Ma era davvero sua la colpa? Più
questa domanda risuonava nella sua testa, più si ritrovava a tremare.
Aveva compiuto il solito errore in cui era caduto al
principio, dando per scontato l’impegno del prossimo pur di non palesare le
proprie emozioni. Forse era proprio vero, dunque, che nel mondo lui un posto
tutto per sé in cui vivere in tranquillità non l’avrebbe mai trovato –
principalmente perché non se lo meritava affatto.
Sentì gli occhi bruciare, mentre una lacrima sfacciata e
furiosa lottava per palesarsi sul suo viso più sbiancato del solito.
“Con chi?”
L’altro sorrise, di nuovo. Sembrava
la stessa identica espressione di prima - eppure era diversa. Lo capì, Hanamiya, perché ancora
prima di sentire le sue parole, sentì ogni rancore svanire nell'aria come se fosse
fumo.
Successe tutto in un attimo: la gabbia di vetro si era
definitivamente sgretolata con quel singolo colpo, così che non potesse mai più
rinchiuderlo in quella trappola impenetrabile.
“Con te.”
In mezzo a quei ricordi, Hanamiya
chiude di nuovo gli occhi. È tardi, e non è il caso di lasciarsi trasportare
dalla nostalgia per colpa di uno stupido, trascurabile fastidio che gli
impedisce di rilassarsi come vorrebbe. D’altronde, è vero che non ha mai
portato alcun tipo di anello al dito - ma è sicuro che potrà presto abituarsi a
quella fascetta dorata che gli circonda l’anulare.
Così come avrà tutto il tempo di abituarsi alle notti e alle
giornate non più sole, e al calore delle braccia che in quel momento lo stanno
stringendo.
Ed
eccoci di nuovo qui, 1500 parole precise dopo.
Questa
era la mia entry per il prompt “Futuro” della #Spokon69minITA, tema che ho
deciso di sfruttare per chiudere ciò che era stato lasciato aperto in ‘Abbraccio’. Ho deciso di lasciare quelle due parole come
titolo per entrambe le storie, in quanto essenza più
pura dell’argomento delle singole one-shot… ma
comunque, in ogni caso.
Avete
mai ascoltato questa canzone? Vi consiglio di provare ad
ascoltarla e di leggerne il significato.
Fin
dal momento in cui l’ho scoperta mi è venuto spontaneo
associarla a Imayoshi e Hanamiya,
o meglio, a quel tipo di relazione che immagino tra i due: Hanamiya
chiuso in se stesso, rifiutandosi di fare entrare chiunque altro nel suo mondo,
e Imayoshi sempre pronto a bussare e ad infastidire
per farsi aprire. L’uno cercherà di allontanarlo, finché non deciderà di
fidarsi dell’altro e di chiedergli di aiutarlo a tirarlo via: non sentendolo
più alcuna risposta crederà di esser stato tradito, solo per sentire il proprio
salvatore irrompere nella silenziosa ‘stanza’ nel modo più rocambolesco e
impensabile.
È un
po’ il pattern che ho voluto seguire anche in questa storia, anche se ho reso
le cose un po’ meno figurate di quanto siano in quella canzone. Inoltre, ho
cercato di impegnarmi come potevo per immergermi nello stato d’animo di un Hanamiya privo riferimenti, ‘tradito’
e abbandonato in un mondo in cui fatica a relazionarsi con un ‘prossimo’ che
non scaturisce in lui alcun interesse. È vero che nella serie ci viene mostrato anche piuttosto carismatico, almeno coi suoi
compagni di squadra, eppure non riesco a fare a meno di pensare che per lui
diventerà sempre più difficile guadagnarsi il rispetto e la considerazione
degli altri, ovvero quando scoprirà che il mondo può essere molto più furbo e
spietato di lui. Il suo rocambolesco precipitare sarà però interrotto dal
bussare a quella porta che ormai credeva essere
destinata a rimanere chiusa per sempre… e proprio non ho resistito a regalare a
questi due scemi un happy ending, non dopo aver
rimarcato quanto la loro intesa si sia così agevolmente riallacciata.
Insomma,
perdonate il commento infinito, ma volevo chiarire queste cosette. Spero che
questa breve saga vi sia piaciuta! Al solito, ringrazio chiunque passerà,
leggerà e/o recensirà, ogni giudizio è sempre più che ben accetto.
Alla
prossima!