Spades
“Abbiamo
finito!” annunciò la voce roca del tatuatore di
Liverpool,
impastata dalla nicotina. Liam strinse il pugno un paio di volte
guardando il
tatuaggio ricoperto dalla pellicola trasparente, proprio sul polso. Non
era
niente se non il simbolo di picche delle carte e nella sua mente
pensava che si
sarebbe divertito a cercare sul web come le fan lo avrebbero
interpretato.
Mentre pagava e ultimava le ultime questioni ripensò alle
pittoresche shipwar
in cui le sophiam – nella maggior parte dei casi –
sfidavano le ziam e tutte
portavano avanti le loro teorie; Liam amava come queste ragazze si
dedicassero
alla cura dei dettagli e all’arte
dell’investigazione, tanto che Sherlock
Holmes poteva quasi sembrare un dilettante, e alcune arrivavano anche
alla
verità ma finché nessuno gli avrebbe detto che
era così, loro avrebbero
continuato ad analizzare e cercare. Era dedicazione, era in un certo
senso
dimostrazione di affetto per delle persone che non conoscevano e di cui
si
fidavano in base alla voce e ad un paio di testi, pazzesco. Adorabile,
ma
pazzesco. Uscì dalla bottega senza dimenticare di fare una
foto con il tatuatore
cinquantenne e magro, a detta sua avrebbe portato clientela anche se
avrebbe potuto
fare a meno di tatuare pesciolini, stelline, farfalle e segni
dell’infinito se
avesse potuto. Liam era quasi scoppiato a ridere, era vero: quelli
erano i
tatuaggi più richiesti e certo non dovevano essere quelli
che un artista si
immaginava di dover fare quando imparava l’arte. Sarebbe
stato divertente fare
il tatuatore, si disse andando nella stazione e controllando gli orari
dei
treni locali: il primo treno per Londra sarebbe partito non prima di
un’ora dal
secondo binario, aveva tempo di fare il biglietto e di comprare un
tramezzino
ed una coca cola. Guardò la garza che ricopriva il simbolo
del picche e si
morse le labbra chiedendosi se fosse stato quello giusto, ma la piccola
sagoma
d’inchiostro sulla pelle non poteva certo dargli alcuna
risposta e si disse che
era in qualche modo un coglione a fare il sentimentale. Cosa stava
pensando
prima? Doveva pur passare il tempo dell’attesta in qualche
altro modo oltre ad
evitare le adolescenti e a tirarsi la visiera del cappello sopra il
viso. Le
stazioni erano ambienti strani: avevano un odore che non si trovava in
nessun
altro luogo del mondo, erano luoghi chiusi ma erano
all’aperto e c’erano tante,
troppe storie individuali che circolavano, con i loro proprietari che
correvano
alla ricerca di un binario, tentando di non fare tardi. Ah
già, stava pensando
che gli sarebbe piaciuto fare il tatuatore se non fosse stato un
cantante
famoso: bé un giorno o l’altro anche loro
avrebbero potuto smettere di aver
successo, un giorno si sarebbero svegliati e il loro singolo sarebbe
stato un
flop, era un rischio calcolato ed in quel caso Liam si disse che
avrebbe fatto
o il pompiere o il tatuatore anche se chi era più portato
per quella strada era
sicuramente Zayn, che disegnava da dio.
Zayn.
Prese
il suo iPhone e se lo rigirò tra le mani guardando
l’icona verde
di Whattsapp, ma resistette: era stato lui a dettare le regole di quel
gioco e
finora le aveva seguite alla perfezione almeno lui, non poteva certo
cedere sul
‘e non ci sentiremo fino a quando non saremmo tornati a
Londra, a casa’,
proprio quella su cui Zayn aveva predetto un suo fallimento. No, non lo
avrebbe
fatto.
Come
era iniziato quello stupido gioco che lo stava trattenendo a
Liverpool, città che non aveva mai programmato di visitare?
Non erano ubriachi
lui e il suo fidanzato, no, altrimenti la mattina dopo non se lo
sarebbero
ricordati. Erano solo sul letto, un paio di birre vuote,
l’odore di marijuana
nell’aria che impregnava le coperte ed erano nudi, o forse
mezzi nudi – quello non
se lo ricordava.
“Facciamo
un gioco” aveva detto Liam “sabato prendiamo il
primo treno
che parte. Non importa dove va. Lo prendiamo fino alla destinazione
finale e
quando arriviamo lì ci facciamo un tatuaggio, senza parlarci
per tutto il
giorno fino a quando non torniamo a casa, a Londra.” Zayn
aveva riso e scosso
la testa cercando di esprimere il suo disaccordo sull’idea ma
Liam non gli
aveva lasciato il tempo di ribattere. “Quando torneremo
vedremo se il tatuaggio
che ci siamo fatti è lo stesso. Se lo è, siamo
anime gemelle!” aveva liquidato
la questione con una scrollata di spalle come se avesse parlato del
tempo. A
ripensarci si sentiva pazzo e forse anche il suo ragazzo doveva aver
pensato
che era pazzo, ma dopo le prime risate aveva acconsentito ed ora
mancava poco
alla verità; come uno scemo, Liam aveva paura che il
tatuaggio non sarebbe
stato lo stesso, ma c’erano milioni di ragioni sul
perché non sarebbe stato lo
stesso: d’altronde cosa si aspettava, che pensassero
all’unisono? Fece una
smorfia solo a pensarci, sai che noia sarebbe stata la relazione! Il
treno
arrivò al binario con un paio di minuti di anticipo e il
ragazzo inglese
ringraziò il suo destino sperando che il mezzo sarebbe anche
partito in
anticipo. Si sedette e guardò fuori dal finestrino con una
curiosità in realtà
inesistente: era solo una scusa per distrarsi dai suoi pensieri. Si
dedicò al
tramezzino al tonno e alla coca cola in lattina molto piano ma
finì per tornare
a girarsi fra le mani il telefono per la seconda volta nel giro di
mezz’ora e
stette quasi per cedere quando questo vibrò – per
la sorpresa quasi non lo fece
cadere. Quando vide la notifica rossa sull’icona di whattsapp
strinse le
labbra: non voleva illudersi e invece era proprio lì,
niazkilam che gli aveva
inviato un messaggio.
“Il
mio treno mi ha sbattuto ad Edimburgo. Il viaggio di ritorno
è
lungo e non me ne frega un cazzo delle tue stupide regole, mi manchi
Lee.” e
sotto la frase, una foto di un polso con un simbolo di picche. Non
pieno però,
solo con i contorni: beh era anche meglio di quello che si aspettava.
Scosse la
testa e, alzando la garza, fotografò il suo.
A quanto
pareva erano davvero anime gemelle, si disse mentre il treno
cominciava a tremare in vista dell’imminente partenza ed una
voce metallica
distorta annunciava la notizia nell’aria di un tardo
pomeriggio d’inverno.
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