Disclaimer:
la storia prende spunto dalla shot (che invito fortemente a leggere) "Al
sapore di caffè" di Danya, la quale mi ha dato il permesso di
poter pubblicare questa "spin-off", e a cui dunque essa è dedicata :)
A
brother's advice
Da
quando aveva ritenuto di aver compiuto un'età accettabile, Minto si
era imposta di indossare i tacchi alti il più spesso possibile.
Aveva sempre dovuto subire le angherie per essere la più bassa di
turno, quindi aveva dovuto ricorrere a metodi alternativi per
asserire nuovamente che lei, più in basso degli altri, non era nata
per starci.
Soprattutto
ora che si trovava Kisshu Ikisatashi tra i piedi.
Voleva
proprio sapere cosa le fosse passato per la testa per aver accettato
di ospitarlo, quando se l'era trovato davanti insieme ai suoi
fratelli. Ovvio che Taruto fosse andato da Purin; ovvio che Retasu
non avesse potuto resistere allo sguardo di Pai; ovvio che Zakuro,
tra il lavoro e Keiichiro, non avesse nemmeno sfiorato col pensiero
l'idea di dire di sì; e, infine, ovvio che Ichigo, quella
menefreghista dei suoi stivali che per anni l'aveva torturato, fosse
troppo presa dalla convivenza con Aoyama per potersi confrontare
quotidianamente con il suo vecchio stalker.
Era
rimasta solo lei. Be', e Shirogane, ma ovvio
che una gelida occhiata fosse bastata per mettere subito in chiaro le
cose.
“Ikisatashi!”
batté a palmo aperto sulla porta del bagno “Ti vuoi muovere, io
devo uscire!”
Lui
aprì uno spiraglio sufficiente a far uscire la testa e la mano che
stringeva lo spazzolino: “Caghi soldi dal buco del culo e ti sei
ridotta a vivere in un appartamento con un bagno solo?”
Le
dita di Minto tremarono dalla voglia di tirargli un ceffone:
“Tralasciando il fatto che sei volgare e schifoso,” fece una
smorfia e chiuse gli occhi per evitare il rivolo di dentifricio che
gli colò dal mento “Si chiama indipendenza,
volevo uscire dalla casa dei miei. Ringrazia per la camera degli
ospiti.”
“E
sentiamo, questa chi te la pagherebbe?” Kisshu uscì con
nonchalance “Io mi sarei tenuto la villa.”
Minto
chiuse la porta bianca con un botto e fece un respiro profondo,
afferrando la borsa con i trucchi e cercando di prepararsi il più
velocemente possibile senza poggiare i piedi nudi nelle orrende
pozzette d'acqua che quel demente aveva lasciato sul pavimento.
Sentendo
la rabbia montarle nuovamente, fece marcia indietro, desiderando aver
già indossato i suoi stivaletti nuovi per rendere i suoi passi
ancora più minacciosi.
“Kisshu.”
esclamò furiosa “Cosa ti...”
Si
bloccò quando lo vide nella sua stanza, immobile davanti al suo
notevole armadio per le scarpe.
“Diamine,
donna,” lo sentì borbottare “Ma quante ne hai?”
“Punto
numero uno”, Minto gli volò davanti, sbattendo anche quelle due
ante “Non chiamarmi donna.
Numero due, stai lontano dalla mia camera. Numero tre, fatti gli
affari tuoi.”
“D'accordo,
d'accordo,” Kisshu alzò le mani e avvicinò il viso con un ghigno
“Non essere sempre così dolce con me, chérie.”
Si
voltò fischiettando e si diresse contento verso il salotto.
Minto
sospirò di nuovo. Erano passati solo quattro giorni e già le stava
rendendo la vita un inferno. L'avrebbe ucciso, si disse. L'avrebbe
ridotto in tanti piccoli pezzettini che avrebbe sparso per la baia di
Tokyo. Fratelli a parte, che era sicura l'avrebbero capita, nessuno
era a conoscenza della sua esistenza, quindi non l'avrebbero cercato
e lei sarebbe stata libera. Graziata. Con un bagno decente.
Gemette
sottovoce, agitò le mani in aria, e indossò le scarpe.
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Maledetta
la sua faccia da schiaffi. Maledetta lei che aveva accettato.
Maledetti anche quei centimetri che continuavano a separarli
nonostante i tacchi e che facevano sì che lui continuasse a
torreggiare con il suo detestabile sarcasmo sopra di lei. Lui e
quelle sue maledette gambe lunghe che con due passi la costringevano
a farne cinque mentre lo inseguiva furibonda, rischiando di cadere da
quei trampoli di dieci centimetri che un giorno gli avrebbe piantato
nel cervello, perché lo aveva beccato ad osservare con troppa
contentezza la sua biancheria intima nel cesto del bucato pulito,
ancora.
E
adesso Minto era in ritardo, ma stava tornando indietro perché,
nella fretta del mattino numero dodici in cui si svegliava con Kisshu
Ikisatashi in casa e connessa tentazione di spiaccicargli il toast
imburrato in faccia, aveva dimenticato il cellulare sul comodino.
Pigiò
freneticamente il bottone dell'ascensore come se ciò l'avrebbe
chiamato più velocemente, battendo ritmica il piede in terra, le
chiavi già pronte in mano.
“Sono
io!” esclamò quando finalmente entrò in casa, praticamente
lanciando la porta contro il muro “Ho dimenticato il cellu-”
Si
schiantò contro qualcosa di caldo e bagnato; o meglio, qualcuno.
Era
evidente che Kisshu fosse appena uscito dalla doccia, con nient'altro
che un asciugamano allacciato in vita. Lui, con il suo fisico, era
riuscito a resistere allo scontro senza spostarsi, con solo lo sbuffo
dell'aria uscitagli dai polmoni per l'impatto e la sorpresa.
L'asciugamano, ovviamente, no.
Non
era la prima volta che lo vedeva senza maglietta, Kisshu aveva la
“brutta” abitudine di andarsene in giro senza perché “tanto
per lui faceva caldo”. E se doveva essere sincera, la settimana
prima era passata davanti al bagno, la porta era socchiusa, e lei
aveva potuto dare una sbirciatina innocua e totalmente non voluta al
suo lato B.
Ma
mai si sarebbe aspettata ciò.
La
traiettoria del suo sguardo passava sopra al braccio di lui, fino
alla poltroncina dell'ingresso su cui era appoggiata una maglietta di
quello sciattone. Minto non avrebbe dovuto guardare in giù, lo
sapeva, ma doveva staccarsi perché era già passato mezzo secondo da
quando si erano scontrati anche se sembrava molto di più, e lei non
voleva certo dargli strane idee, che caldo che faceva; ma Kisshu si
stava già spostando nel momento in cui lo fece lei, cambiandole di
quanto bastava la prospettiva e per
il cielo, Aizawa, guarda da un'altra parte.
“Sarà
meglio che tutto ciò non sia mai accaduto,” commentò ostica,
cercando di non far notare il raschiare della sua voce ma
concentrandosi sul fatto che il soffitto aveva bisogno di essere
ritinteggiato “Vestiti, razza di scriteriato.”
Uscì
di corsa, fregandosi del cellulare, perché quel suo sorrisetto tra
lo scioccato e il compiaciuto le era già abbastanza.
Quasi
non voleva tornare a casa dopo l'avvenimento di quella mattina. Ma i
piedi la stavano e uccidendo e lei, Minto Aizawa, non si sarebbe
certo fatta mettere i piedi in testa da quel maniaco che aveva
accettato, in un momento di pura bontà d'animo che avrebbe dovuto
essere ricompensata, di tenersi in casa.
Nossignori,
lei sarebbe entrata in casa proprio a testa alta, perché non era
decisamente la vista di un... uomo a renderla impaurita e intimidita!
Si
ripeté il discorso più volte nell'ascensore e, nonostante tutto, fu
un po' titubante nell'entrare in casa, accertandosi di fare
abbastanza rumore.
“Ciao!”
chiamò ad alta voce “Perché c'è ancora la tua maglietta sulla
poltrona?”
“Perché
mi piace torturarti, passerottino bisbetico!”
La
voce di Kisshu proveniva dal salotto, dove Minto lo trovò intento a
sbafarsi un enorme panino dal dubbio contenuto.
“Hai
già cenato?” le domandò “E' passata Retasu, ti cercava e ha
lasciato un po' di avanzi.”
Minto
si sedette accanto a lui sul divano: “E così la convivenza con Pai
sta andando bene?”
L'alieno
fece spallucce: “Così sembra. Passano praticamente tutto il tempo
disponibile assieme.”
“Lo
dici con aria schifata.”
“E'
lui il fratello sentimentale.”
“Tu sei quello imbecille?”
“Sei
sempre una dolcezza,” le rivolse un sorriso sarcastico “Fra te e
Ichigo non so chi sia più acida, e dire che siete così carine
quando dormite...”
L'occhiata
furiosa e incredula che la ragazza gli rivolse, gli fece andare di
traverso l'ultimo boccone del panino: “L'altro
giorno,
quando ti sei appisolata qui sul divano, te
lo giuro.”
“Sarà
meglio!” strillò lei “Ne ho già abbastanza delle tue
porcherie.”
Kisshu
le fece una smorfia, pescando poi un cono dalla borsa frigo ai suoi
piedi. Scoccandole un ultimo sguardo, sorrise malizioso e,
appoggiandolo in una posizione inequivocabile, sussurro: “Gelato?”
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Sentiva
che sarebbe stata candidata al Nobel per la pace; se lo meritava,
dopotutto. Era riuscita a resistere quasi tre settimane con
Ikisatashi, non aveva ancora ucciso nessuno nella sua compagnia, e il
gatto della vicina di casa aveva finalmente imparato a non fare la
pipì sulle peonie della sua terrazza.
Forse
sarebbe sopravvissuta. Forse non sarebbe andata in carcere per
omicidio. Forse.
Girò
le chiavi nella porta stancamente, il peso della giornata che le
rendeva le gambe pesanti... e si corrucciò quando trovò l'intero
appartamento avvolto nell'oscurità.
“Kisshu...?”
provò tentennante “Hai usato di nuovo il phon mentre la
lavastoviglie era accesa?”
“...No.”
La risposta dal tono offeso la fece ridere, si diresse in cucina
da dove proveniva una luce tremula.
La
vista che le si parò di fronte quasi la scioccò: il tavolo era
elegantemente apparecchiato ed ornato da fiori e candele; i suoi cibi
preferiti, tra cui spiccava una créme brûlée
come solo Keiichiro sapeva fare, erano ordinatamente disposti sui
piatti di ceramica a cui teneva di più. E Kisshu, quel
Kisshu, teneva in mano uno splendido mazzo di rose.
“Ehm...
è stato un consiglio di Pai,” spiegò lui imbarazzato,
gesticolando verso il livido che aveva sulla guancia, residuo del
ceffone dei giorni passati causati dalla sua odiosa battutina “Ha
visto, ehm, questo
e
mi ha detto che devo comportarmi bene, blah blah blah.”
Minto
sorrise: “Ti fai fare le prediche come i bambini pestiferi?”
“Senti,
colombella, potresti scendere dal tuo diavolo di trono e accettare
tutto sto casino senza umiliarmi ulteriormente?” sbottò lui,
arrossendo.
Le
spinse le rose sotto il naso, evitando di guardarla negli occhi.
Minto le annusò, inspirando contenta, pensando a quanto in effetti
lei avesse il diritto di meritarsi tutto questo, ma che in effetti
era stata una cosa eccezionalmente carina... e Dio, ora si sentiva
come Ichigo, a cui bastava una cosa melensa per sciogliersi in brodo
di giuggiole, e lei era decisamente
superiore
a Ichigo e alle sue paturnie, ma d'altro
canto
Aoyama-kun non aveva certo il sedere di Kisshu...
Appoggiò
le rose sul tavolo. “Potevi almeno metterti una camicia.”
L'alieno
le puntò un dito contro: “Cornacchietta dei miei stivali, tu-”
Mai
fu più grata di non essersi tolta i tacchi; non importava quanto
aveva potuto tirarlo per il colletto della maglia, Kisshu era sempre
dannatamente troppo alto per lei e baciarlo si stava rivelando più
difficoltoso del previsto.
Anche
se stava valendo la pena di far raffreddare la créme
brûlée.
Svariati
minuti dopo, un bancone della cucina su cui sembrava fosse passato un
tornado, qualche filo dei vestiti abbandonati in corridoio strappato,
e metà delle candele già sciolte, Minto sospirò fissando il
soffitto della sua cabina armadio.
“Come
ci siamo finiti qui?” domandò pigramente.
Kisshu,
steso di fianco a lei, scosse le spalle: “Ho calcolato male il
teletrasporto. Sai com'è, ero distratto.”
Lei
gli diede una gomitata leggera: “Non essere volgare.”
“Parla
quella che-”
“IKISATASHI.”
“D'accordo,
d'accordo,” l'alieno rise, e le lasciò un bacio sulla punta del
naso “Però, devo dire a Pai che i suoi consigli superano l'effetto
desiderato.”
“Ah,
sì?” lei alzò un sopracciglio “Perché tu cosa desideravi?”
Kisshu
sorrise malizioso, e glielo sussurrò all'orecchio.
Le
Kishinto devono conquistare il mondo! :3 Grazie a chi è arrivato fino a
qui, spero che questo frutto delle mie notti insonni sia piaciuto :) Mi
raccomando, passate da Danya.
fonte di ispirazione originale (a tal punto da aver lasciato
addirittura quell'accenno Ichigo/Masaya, pensa te! :P), che però ovviamente non sarà
esente dal farci sognare con la sua versione di come siano andate in
realtà le cose tra questi due ^______^
Buonanotte a tutti e grazie a chi lascerà un'impronta :)
Hypnotic
Poison
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