Frammenti - Nives Frost

di Levyan
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Cold As Ice

Frammenti - Cold As Ice

 

Frammenti. Piccole scaglie di un lungo ponte che collega le persone tra di loro. Un ponte chiamato amore. Amore per la propria famiglia, per la propria metà, per chiunque vi stia a cuore.
Sono i piccoli pezzi a creare le grandi costruzioni. Così si può costruire l’armonia tra le persone.
 
- Glaceon, Froslass, seguitemi...
La voce di Nives era simile ad un sospiro gelido e silenzioso. Il suo alito formava candide e intangibili nuvolette che si disperdevano subito nell’aria. La ragazza, seguita dai suoi fedeli Pokémon, camminava a passo lento nella neve lasciando impronte effimere che si sarebbero subito andate a riempire.
- Devo vedere due persone, abbiamo da catturare un Weavile...
 
- Mamma, mamma, posso uscire a giocare a palle di neve con papà?
Il timbro di voce acuto del ragazzino era così tenero e supplicante da riuscire a convincere qualsiasi adulto. O almeno ad esasperarlo.
- Va bene, Max, ma indossa sia la sciarpa, non vorrei che ti prendessi un brutto raffreddore. - Rispose la donna mentre con le mani si occupava della pentola piena di zuppa che bolliva sul fuoco del caminetto.
Era una signora sui quarantacinque, i suoi capelli castani iniziavano a perdere il loro colorito striandosi sempre più di un grigio antico e laido. Aveva indosso una vestaglia marrone a quadri che, oltre a tenerla al caldo, fasciava le sue forme burrose e ormai decadenti. Il tempo non era stato crudele con lei, anzi, ma oramai non aveva più il corpo di una ragazza. I suoi “bei tempi andati” erano solo un ricordo e un vecchio album di foto ingiallite da riaprire quando si era davanti al falò con la famiglia.
Le faceva male. Lucy, questo era il nome della donna, Lucy Dawnstone. E le faceva male ricordare le vecchie esperienze.
La sua era sempre stata una vita semplice, aveva compiuto studi mediocri, trovato marito, e poi aveva sempre vissuto senza lavorare. Una donna di casa, costantemente chiusa nel suo gineceo personale dove l’unico modo per passare il tempo era occuparsi dei figli e della casa. I figli, però, non gradiscono troppo l’eccessiva invadenza del genitore e la casa non ha sempre bisogno di essere spazzata o pulita. A quel punto rimane solo la miglior amica di ognuno di noi. La televisione.
Sinnoh Tv, un ammasso di programmi deculturati e di basso livello morale. Gare Pokémon, reality e quiz show, documentari sempre uguali riguardanti gli ecosistemi più bizzarri della regione e stupidi servizi di gossip su attori, vari Coordinatori Pokémon e vip del Parco lotta.
Le giornate di Lucy erano farcite di noia e ricerca di qualcosa che occupi il tempo meglio dell’ozio o del lavoro casalingo.
I pettegolezzi con le altre signore non erano nella lista, lei era sempre stata uno dei fantocci più spettegolati della sua città, era una donna da sparlare, non con cui si sparlava.
Per fortuna, da quando c’era Max, le cose si erano fatte molto più movimentate. Il ragazzino era solare e iperattivo, un grillo. Ma l’arrivo del figlio faceva parte del secondo periodo della vita della donna.
Prima c’era l’arrivo dell’uomo che Lucy aveva accolto in casa e che aveva scosso parecchio la sua vita. Riempito le sue tasche, più che altro. Richard Frost, businessman di grande fama e nome importante della borsa di Giubilopoli, riccone annoiato e presissimo dal suo lavoro che non avrebbe mai avuto tempo per una relazione seria.
Si erano conosciuti all’inaugurazione della nuova palestra di Nevepoli, la signorina Bianca era finalmente riuscita a superare l’esame di ammissione e la Lega le aveva concesso di fondare una palestra nella sua città natale. Lucy era ancora una giovane donna, piaceva agli uomini e le piaceva piacere agli uomini. Si era sempre saputa divertire.
Purtroppo, quello che le era sembrato l’uomo della sua vita, si era rivelato presto una delusione. Richard Frost, l’uomo che si era portata sull’altare, aveva abbandonato presto la sua fetta di talamo nuziale. Usciva la mattina presto e rientrava la sera dopo cena. Le poche volte che c’era, era sempre occupato e il suo cellulare trillava insistentemente anche la domenica. Aveva una sola passione, quella che aveva da tempo rimpiazzato il suo sentimento per la moglie. Adorava sua figlia, la bambina che era frutto del loro frugale rapporto.
Giocava spesso con lei, spendeva le sue ultime energie per stare con la figlia. Era letteralmente ossessionato da quella piccola e innocente creatura.
Quella bambina che aveva abbandonato la famiglia tempo dopo. Per gli avvocati, i due genitori non avevano mai riconosciuto la figlia all’anagrafe. Per le donne che spettegolavano invece il marito era talmente ossessionato da quella bambina che persino la moglie stava iniziando ad ingelosirsi.
Perché certi uomini sostituirebbero la loro moglie noiosa e sfiorita con una ragazzina. Soprattutto quando si parla di riempire un vuoto che era un tizzone ormai spento del debole falò del loro rapporto coniugale. Insomma, ogni uomo ha bisogno di sentirsi tale.
Come andò, come non andò, la loro figlioletta era scomparsa dalle loro vite. Orfanotrofio. Piccola e sola, abbandonata dai genitori
Naturalmente i due ne avevano approfittato per trasferirsi. Un’enorme villa a Giubilopoli era la loro nuova dimora. Molto propinqua agli uffici che erano sede economica della regione, permetteva a Richard di non stare via da casa troppo tempo.
La nuova sistemazione era stata per Lucy il simbolo di una rinascita. Aveva voluto dimenticare la figlia, la vecchia vita del marito e i pettegolezzi che tanto tempo erano girati per le vie di Nevepoli che riguardanti lei e la sua famiglia. Era arrivato il momento di ricominciare.
 
- Io vado, mamma! -  Esclamò felice quello fiondandosi fuori dalla casetta di legno.
- Preparaci qualcosa di buono che saremo affamati al nostro ritorno. - Avvisò il marito.
L’ometto sostava sulla soglia. Aveva anche lui indosso il piumino pesante come il figlio e portava un ridicolo cappello bianco coi pon pon ai lati delle orecchie. Era in ferie, si era preso un paio di settimane sotto Natale per passare le vacanze in famiglia. Per la vigilia avrebbero chiamato due parenti ma nulla di più.
La donna annuì sfoggiando un sorriso splendente e il marito era anche lui uscito affondando i doposci nello spesso strato di neve.
Avevano comprato molto tempo prima una piccola baita vicino a Frescovilla, a Kalos, precisamente appena sotto la Caverna Gelata, e avevano deciso di confinarsi lì per festeggiare un Natale differente. Solo loro tre e la natura.
La modesta abitazione era stata festosamente addobbata dalla famiglia che l’aveva riempita di festoni luccicanti e alberi pieni di luci che la facevano assomigliare più al Banana Club che ad una calma baita persa nel nulla.
Era il ventuno dicembre, era appena entrato l’inverno, il pranzo si avvicinava e il sole splendeva in alto riflettendosi sul bianco asfalto ghiacciato e creando un paesaggio mozzafiato. Era una bella giornata e si prospettava un Natale tranquillo e calmo.
Lucy cucinava mentre dalla finestra teneva d’occhio i due uomini di casa che giocavano a palle di neve come due ragazzini. Ogni tanto Richard si gettava a terra e si fingeva morto, ma quando il piccolo Max gli si avvicinava per appurare la sua salute, trovava l’occasione di sorprenderlo con un colpo a tradimento.
Tutto scorreva serenamente.
Attorno alle cinque, il buio iniziò a scendere su Kalos, l’aria si fece più fredda e il cielo più scuro.
- Forza, rientrate, è quasi ora! - Esclamò la donna affacciandosi sull’uscio.
I due avevano fatto un grosso pupazzo di neve. Stavano ancora lavorando alla testa, ma il corpo era già completo.
- Sì, finiamo di costruire... - Max si interruppe. - ...papà, come lo possiamo chiamare? - Chiese il ragazzino riferendosi al pupazzo di neve.
- Non lo so, secondo te è un maschietto?
- Certo!
- Allora possiamo chiamarlo Jack. - Affermò il babbo.
- Perché Jack? - Chiese Max titubante.
- Te lo racconterò dopo, ora finiamo di creargli una testa...
- Va bene! - Esclamò il bimbo entusiasmato.
 
Il fuoco scoppiettava felicemente. I tre erano riuniti accanto al falò e, nascosti sotto una coperta e sdraiati sul divano, sorseggiavano della cioccolata calda dalle loro tazze. La tv era accesa ma a volume molto basso.
- Allora papà, dovevi raccontarmi quella cosa. - Fece contento Max ignorando la tele.
- Sì, ecco vedi... - l’uomo si sistemò meglio facendo attenzione a non far cadere la cioccolata. - ...devi sapere che c’è un ragazzo elfo che è uno dei più importanti aiutanti di Babbo Natale. Lui va in giro per le case e fa comparire il ghiaccio sulle finestre quando scende l’inverno, sulle foglie dei pini lascia sempre una sottile patina di brina e sotto i tetti appende quegli strani ghiaccioli a forma di cono. Lui fa arrivare l’inverno e fa scendere la neve, vedi... -
Max pendeva dalle sue labbra. Per quanto fosse stentato e mal narrato quel racconto, al bambino stava piacendo.
- ...lui porta l’inverno, lui fa venire il freddo e ci permette di giocare a palle di neve e di venire in vacanza qui per stare tutti insieme a bere cioccolata calda. Il suo nome è Jack Frost ed è considerato il padre dell’inverno. - Concluse con voce profonda per enfatizzare.
- Wow, ma è fantastico. Va bene, allora il nostro pupazzo si chiamerà Jack! - Esclamò il ragazzino entusiasta.
La mamma sorrideva, era felice di veder il suo pargolo così contento. Il suo sorriso era un secondo sole per lei.
- Mamma, papà, voi avete mai visto Jack Frost portare la neve? - Chiese tutto contento.
- Io no, non ho mai avuto il piacere... - rispose Lucy calma.
- E io invece l’ho pure accompagnato a casa sua! - Esclamò Richard saltando in piedi e caricandosi il figlio in spalla.
Il ragazzino rideva a crepapelle reggendosi al padre e quest’ultimo correva e lo scombussolava come fosse sopra ad un’astronave.
- L’ho visto che volava e ad un certo punto è caduto sopra al tettuccio della mia auto, quindi mi ha chiesto uno strappo per tornare a casa sua sulla cima del Monte Corona!
- No, davvero? L’elfo che porta l’inverno al mondo abita nella nostra regione? - Chiese Max tutto confuso.
- Lui ha milioni di case, su tutti i monti più alti del mondo. - Rispose il padre felice abbracciandolo.
- Che bello... - si staccò dall’abbraccio del padre. - ...allora quando sarò grande vorrò assolutamente cercare tutte le sue case e scalare tutti i monti più alti! - Esclamò contento.
- Certo. - Intervenne la madre ricostringendolo in un abbraccio a tre.
 
- Papà, adesso possiamo fare finta che tu sei il mostro enorme e io e la mamma dobbiamo sconfiggerti?
Max aveva il naso rosso a causa del freddo. I guanti da neve foderavano le sue mani che erano ormai divenute esperte nel fare palle di neve perfette.
Il sole era sorto da poco, era la vigilia di Natale. Un giorno magico per ogni bambino ma speciale un po’ per tutti.
- Dai, scivoliamo ancora con lo slittino! - Aizzò il genitore.
- No, voglio fare a palle di neve! - Rispose il bambino.
- Diamo retta a lui... - disse la madre. - ...tanto siamo qui fuori per farlo divertire. - proseguì passiva come sempre.
- Eh, va bene dai... - ammise Richard ironicamente deluso.
- Dai papà! - Max lanciò la prima palla all’uomo colpendolo in pieno petto.
- Ah! - Questo si gettò a terra. - Ah! Che dolore! Come soffro! - Cominciò ad agonizzare.
- Papà!
Max corse immediatamente dal padre. Disperato si gettò su di lui e cominciò a scuoterlo. Quello non apriva gli occhi. Nel frattempo Lucy si godeva la scena da lontano nascondendo al figlio un sorriso.
- Papà, svegliati! Che ti è successo? Non volevo farti male, non ho fatto apposta! - Esclamò disordinatamente il bambino con gli occhi lucidi.
- Ti ho fatto tanto male?
L’uomo stava fermo a terra con la lingua di fuori e gli occhi vuoti.
- Per favore papà, dimmi che non ti sei fatto male... - Max iniziò a piagnucolare.
- Max... - fece il padre con voce soffocata. - ...voglio dirti una cosa...
Il ragazzino lo fissò senza esprimere nulla ma con gli occhi ancora zuppi che dicevano tutto su quanto fosse scosso e spaventato.
- Prima che me ne vada... - tossì per finta. - ...voglio chiederti di portare quel pupazzo di neve davanti alla casa di Jack Frost sul Monte Corona... - chiese imitando una voce ansimante.
- Certo papà, farò tutto per te.
Max abbracciò il padre stringendolo forte e versando tutte le sue lacrime.
- Ehi, Max. - Cantilenò ad un certo punto Richard.
- Eh? Papà?
L’uomo aveva alzato la testa.
- Ci sei cascato, ci sei cascato! - Prese a canzonarlo.
- Papà! - Lo sgridò lui ridendo gioiosamente.
- Stavo solo scherzando, tesoro, il babbo non se ne va...
Come tre giorni prima, con l’intervento della madre, i tre si strinsero forte in un caldo abbraccio familiare in mezzo alla neve fresca.
 
- Forza, tocca a te, amico.
Weavile affilò le unghie passandosi la lingua sulle labbra.
Nives sostava, come suo solito, sulla cima di un albero. Il Pokémon appena catturato si scaldava il pelo a contatto col suo corpo.
- Forza, fai quello che ti ho detto.
 
- Papà, papà! Mamma, mamma!
Era impossibile, quel “coso strano” era comparso dal nulla. Era nero e molto veloce. Aveva colpito in un lampo.
Max affondava nella neve goffamente mentre guizzava da un corpo all’altro.
Casa sua distava pochi metri, come era potuto accadere? Stavano giocando serenamente, suo padre gli aveva appena detto che non se ne sarebbe andato facilmente. Tremava terrorizzato e coi brividi di ciò che aveva visto che gli percorrevano il corpo.
La superficie bianca circostante era tutta intrisa di sangue, le membra esanimi dei genitori, dilaniate oscenamente, giacevano a terra. Le sue lacrime scorrevano copiose e cadevano nel vuoto fino a depositarsi su quello scempio che c’era sul manto nevoso.
 
Poco lontano, a godersi la scena, c’era una ragazza dai capelli e gli occhi celesti. Accanto a lei solo un Glaceon, un Froslass e un Weavile.
- Buon Natale, mamma e papà... ti voglio bene fratellino...




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