Il Miele sul Bicchiere

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5. Fratelli e Guernica

 


 

Diari di Spagna

 

Non ricordo bene cos’è successo quel giorno. Forse perché è capitato tutto troppo in fretta, oppure è solo perché non ho voglia di ricordarmelo.

Ero già a pezzi per la mia guerra civile, sia mentalmente che fisicamente. Era proprio uno di quei momenti in cui non sai da che parte stare. Ero diviso in due, e ognuna delle due parti si stava lentamente sgretolando.

Quel giorno è stato il colpo di grazia, credo. Non c’è stato scontro, non c’è stata lotta, per questo hanno deciso di attaccare una città così debole e vulnerabile. Sono caduto e basta. Ho avuto solo il tempo di alzare gli occhi e non appena ho realizzato quello che stava per succedere, be’, è successo. Però ero vivo.

Ho subito pensato che la scelta più saggia era quella di starsene buoni, perché non volevo provocare nessuno, e non volevo che ricapitasse più una cosa del genere. Se penso alle mie condizioni di quel tempo, e anche a quelle di Germania, lui sarebbe stato in grado di radermi al suolo completamente. Dovevo decidere: o rischiare la morte e abbandonare così il mio popolo, o decidere di proteggerlo accettando la sottomissione. Forse un tempo sarei stato più coraggioso, ma per una volta ho voluto agire con la testa e non con il cuore. Volevo rimanere vivo. Ma la verità è che il mio cuore continuava a sperare che non sarebbe successo nulla di quello che suggeriva la testa. La testa ha avuto ragione in entrambi i casi, comunque.


.



26 aprile 1937, Spagna

 

Romano mise piede fra le macerie e un’asta di legno si spezzò sotto le suole come un ramo secco. La gamba sprofondò tra i detriti e un tubo d’acciaio arrugginito gli graffiò la caviglia. Romano mosse un altro passo e cacciò via un blocco di calce che esplose addosso al muro diroccato. Le pareti nere, consumate e ancora fumanti. Gli edifici di Guernica sembravano un accumulo di denti cariati dalle cime aguzze e marce. Romano inalò del fumo pungente che gli bruciò la gola. Tossì e si coprì il naso con tutto il palmo della mano.

Qualcosa si mosse dentro a uno dei palazzi diroccati. Romano voltò il capo di lato, verso dove era provenuto il rumore di calcinacci che si sgretolavano. La vetrata era saltata. I residui dell’ampia finestra spuntavano dalle pareti come artigli lucenti. Dal cornicione si sgretolò un altro frammento di cemento che piovve in una cascata di polvere. Romano non si tolse la mano da davanti il viso. Scavalcò un palo della luce caduto di traverso come un albero nella tempesta, e si avvicinò all’edificio. Una puzza di benzina, di polvere, di ferro e di calce, gli ribaltò lo stomaco.

Romano calciò via i fili del cavo tutti intrecciati tra i detriti e si appoggiò con il braccio al muro dell’edificio. La parete si scrostò sotto il suo tocco e venne via come squame di pelle secca. Romano tossì ancora e strizzò gli occhi. Le palpebre bruciavano. Lacrimavano per il calore del fumo e per il tanfo.

“Ohi, bastardo!”

Gli avanzi della vetrata smisero di staccarsi. Precipitarono dalla cornice come delle stalattiti di ghiaccio. Romano balzò di lato, e le schegge schizzarono sulle sue gambe come proiettili.

Di nuovo qualcosa si mosse dentro il palazzo sgretolato. Romano si sporse e salì con una gamba sopra il cornicione. Il cuore fermo, il sangue gelido, lo stomaco stritolato.

Un musetto peloso scostò via il cadavere di un armadio di legno. Le due ante carbonizzate si separarono, lasciando uscire il nasino. Il cane sgusciò fuori dal guardaroba abbaiando un lamento, e saltò in mezzo ai detriti del tetto forato. Aveva una camicia a righe avvolta attorno alla coda. Il cane tastò la montagna di cemento sgretolato con la punta del naso e volse gli occhi impauriti a Romano. Un lungo e acuto guaito uscì dalla gola dell’animale.

Romano sospirò e chinò il capo, tenendosi appoggiato al muro. Il cane saltò tra le macerie, schivò i vetri più grossi e balzò di fianco a Romano, tuffandosi nella strada. Zampettò lontano, a muso basso, sventolando la coda per aria.

“Fratellone Spagna!”

La voce di Italia fece sobbalzare Romano.

Romano si voltò e scagliò via una grossa scaglia di calce con la punta dello scarpone. Italia alzò le mani attorno alla bocca, dandogli una forma di cono. Guardava in alto, verso i tetti sbriciolati e il cielo ancora grigio di fumo denso e pestilenziale. Italia inarcò le sopracciglia, le labbra tremarono, e gli angoli della bocca si piegarono verso il basso. Prese una forte boccata d’aria densa e pungente fino a gonfiarsi completamente il petto.

“Fratellone Spagna!” Urlò più forte, ma la voce tremava.

I piedi di Italia inciamparono su una lastra di acciaio contorto e piegato come fosse fatto di sottile alluminio. Il rumore del metallo colpito tuonò nella stradina. Italia saltellò e finì con le gambe intrecciate ai cordoni d’acciaio legati attorno ai pali della luce precipitati. Non cadde, ma si lasciò scappare un’esclamazione.

Romano si tolse dall’edificio, le pareti avevano scricchiolato e la crepa che attraversava la facciata si era allargata. Calciò un blocco di calce fumante e trattenne nel petto il ribollire della rabbia.

Italia si spolverò i vestiti battendoci sopra con i palmi delle mani. Gli occhi tristi rimasero bassi. “L’hai trovato?”

Romano strinse i denti e ringhiò. “No.” Si liberò la strada scalciando via gli avanzi dei palazzi in rovina. I pugni tremanti, stretti sui fianchi. Romano alzò gli occhi verso la colonna di fumo che ondeggiava verso il cielo. Grossi e spessi riccioli grigi si aggrovigliavano, evaporando dalla montagna di macerie incenerite.

“Ma cos’è successo?” pigolò Italia. Era immobile, con le ginocchia tremanti, come se si fosse trovato nel mezzo di un campo minato.

Romano si strofinò i capelli e abbassò il capo. La testa girava, gli occhi bassi puntavano gli scarponi immersi nei detriti grigi, duri e ruvidi.

“Non lo so.” La sua voce tremava di rabbia, confusione e paura.

Un boato si elevò dietro a uno dei palazzi. A Romano saltò il cuore in gola. Si alzò un’altra nube di fumo più scuro che si dissolse subito in un gigantesco sbuffo. Un palazzo aveva finito di crollare. Romano fece un salto e diede le spalle a Italia. Il terreno cedevole e frammentato ballava sotto la sua marcia pesante. Gli scricchiolii secchi della calce, dell’acciaio e del legno lo facevano rabbrividire.

“Tu vai a cercarlo lì dietro, io vado da questa parte,” disse Romano.

“Sì.” Italia si mosse di scatto, sbriciolando altri cumuli sotto i suoi piedi.

 

.

 

Il tanfo del fumo diventò più aspro e pungente. Bruciava le narici, la gola, mandando a fuoco i polmoni. Romano continuò a camminare tenendo la manica della giacca davanti al viso, respirando dalla stoffa. Le palpebre strizzate, gli occhi lacrimanti per il bruciore. Romano tossì, coprendo il clangore dei detriti sotto i suoi piedi. Le gambe si trascinavano, risucchiate come da una colla melmosa che le teneva intrappolate.

I fumi di un’auto ribaltata si unirono a quelli che evaporavano dagli edifici. Il tettuccio scoperchiato, la carrozzeria nera, abbrustolita, accartocciata come un foglio consumato, e i finestrini scoppiati. La ciliegina sulla torta di macerie.

Romano sventolò la mano e dissolse il muro di polvere. Inspirò a pieni polmoni attraverso la manica e cacciò un grido. “Vieni fuori, bastardo!”

L’eco fece crollare un altro cumulo. Il resto rimase in silenzio. Romano sentì un nodo allo stomaco, la sabbia nei polmoni si pietrificò.

E se fosse già...

Romano scosse la testa e il pensiero svanì come la polvere che aleggiava sulla città devastata. Riaprì gli occhi e un’ombra si mosse in mezzo al panorama sfigurato. La sagoma camminava di spalle, gobba, sul ciglio della strada sparpagliata di cocci e pezzi di ferro raggrinziti come fiammiferi consumati. La figura inciampò tra i resti e si aggrappò a un muro diroccato. Le mani scivolarono, e lo piegarono verso il basso insieme alle ginocchia traballanti.

Romano spalancò gli occhi. Una fitta al petto gli fece sprofondare il cuore fino ai piedi. Romano tolse una mano dal viso e si tuffò in mezzo alle rovine fumanti. Saltò sopra i calcinacci che si sgretolarono sotto il balzo, e scivolò in avanti, scavandosi la via. Scavalcò un grosso tubo di metallo appoggiandosi con entrambe le braccia e riatterrò davanti alla figura china, all’ombra del muro distrutto. I palmi delle mani restarono neri per la polvere.

Romano parlò tra gli affanni. Il cuore in gola gli bloccava la voce. “Ehi.”

La mano di Spagna scivolò lentamente sulla parete. Lasciò una scia nera sull’intonaco screpolato. Tutto il corpo era impanato in uno strato di sabbia e fuliggine che gli impolverava i capelli scompigliati. I vestiti laceri, strappati e bruciati, lasciavano vedere le piaghe lucide e lacrimanti. Gli occhi allucinati, stravolti, erano l’unico barlume di vita in mezzo al viso sporco di nero e grigio. Un profondo taglio gli attraversava la guancia, i rivoli di sangue colavano fino al collo.

Romano gli prese una spalla e strinse le dita sulla stoffa carbonizzata. Il corpo di Spagna era immobile, rigido come una statua. Romano lo scosse.

“Guardami, pezzo d’idiota.”

Spagna sbatté lentamente le palpebre. Le labbra si separarono e un barlume di confusione gli attraversò lo sguardo. Il viso era quello di uno svegliatosi di colpo e che è balzato in piedi sul letto, al buio. Romano grugnì e gli agguantò anche l’altra spalla. Sotto la stoffa lacerata, la pelle era rovente, madida di sudore impastato con le scorie dell’esplosione.

“Svegliati e guardami,” gli ripeté.

Le pupille di Spagna si sollevarono, incontrando lo sguardo di Romano. La ferita alla guancia gocciolò ancora, alcune ciocche di capelli sporchi e spettinati si incollarono alla fronte lucida e macchiata di nero. Spagna sbatté di nuovo gli occhi, l’espressione non cambiò.

“Ro-Romano?”

Romano allentò la presa. Sospirò, e fece scivolare piano le mani sulle braccia di Spagna. Le dita incontrarono un’altra ferita, la pelle squarciata e pulsante, scivolosa al tatto. Romano ritirò subito la presa.

Spagna abbassò le palpebre. Il dolce sorrisetto si inarcò verso l’alto, dandogli un’espressione sognante. Spagna si sbilanciò lentamente in avanti e finì con la fronte sulla spalla di Romano.

“Che bello, allora sono già in paradiso.”

Romano irrigidì. La voce soffice e debole di Spagna gli soffiò nell’orecchio, vicino ai capelli. Romano sbuffò, simulando un’espressione irritata, e lo agguantò di nuovo per le spalle.

“Piantala, non sei in paradiso.” Gli diede un’altra scossa, scrollandogli via dal viso lo sguardo inebetito. Aggrottò la fronte e questa volta fu lui a parlargli nell’orecchio. Urlando. “E non sei nemmeno morto, perciò vedi di riprenderti e di darti una mossa. Dobbiamo andare via di qui prima che – ”

Un boato ruggì sopra le loro teste, squarciando il cielo. Romano gemette e sollevò gli occhi, le dita strinsero il corpo di Spagna. La sagoma di un aereo sfrecciò in mezzo ai fumi che aleggiavano sopra la città. Romano trascinò il peso morto di Spagna contro la parete e lo schiacciò dietro la sua schiena. Il cuore di Spagna batteva lento contro le sue spalle, Romano a malapena lo sentiva.

Romano allargò le braccia sulla parete sbriciolata e alzò di nuovo gli occhi. Il suo petto sembrò sul procinto di esplodere per il forte battere del cuore. Il sudore ghiacciato gli scaricò una scossa sul collo, la paura gli irrigidì i muscoli. Un altro tuono nel cielo. “Merda!”

L’aereo continuava a ronzare tra le nuvole grigie. Un paio ventole roteava di fianco al muso a punta, grosse e larghe ali marchiate da una croce nera bordata di bianco tagliavano in due i fumi. Due grossi rigonfiamenti ingigantivano la pancia dell’Heinkel 111.

Romano strinse i denti. “Un aereo crucco.”

Spagna mugugnò qualcosa. Poggiò la fronte bagnata sul collo di Romano e rimase immobile. Il fioco respiro gli scaldava la pelle e gli faceva il solletico dietro le orecchie.

“Che cazzo ci fa qua?”

Il ronzare dell’Heinkel svanì come il verso di un’ape che si allontana. La città devastata tacque di nuovo. Romano trasse un sospiro di sollievo e i muscoli tornarono a rilassarsi, il cuore riprese a battere. Si scollò dal muro e il corpo di Spagna scese lentamente verso il basso, come uno straccio bagnato che si piega. Romano scattò verso di lui e lo afferrò per una spalla. Strinse i denti e si circondò il collo con un suo braccio, tenendolo in vita con la mano libera.

“Resta sveglio, deficiente,” gli abbaiò.

Spagna chiuse gli occhi. Le labbra tornarono a sollevarsi in un piccolo sorriso. “Non pensavo che saresti venuto.”

“Sta’ zitto.”

Romano gli diede uno strattone e lo tenne sollevato con più forza. Fece un passo lontano dal muro e i piedi di Spagna si trascinarono tra i detriti.

“Che diavolo è successo?” Gli occhi di Romano si levarono di nuovo sui resti della città. I palazzi diroccati, che cadevano a pezzi, le strade sommerse dai detriti franati, le auto accartocciate e i pali spezzati. Romano deglutì. “Perché ti hanno ridotto così? Ti sei forse schierato?”

“I-io, no...” Spagna prese un fioco sospiro e barcollò. “Io non credo, non... non mi ricordo.” Sollevò il braccio ciondolante e si aggrappò alla spalla di Romano. Le sue ginocchia tremavano ogni volta in cui le raddrizzava. “Ho visto solo una... una luce. Poi ci sono state tante esplosioni e io ho...” Spagna vacillò di lato. Sbiancò come un cadavere. Romano lo tenne in piedi e lui subito scosse il capo. Una pioggia di polvere gli cadde dai capelli. “E poi era tutto distrutto, e il boato era sparito.”

“Ti hanno bombardato.” Romano si strinse al collo il braccio di Spagna e guardò in avanti. Lo sguardo grigio più del fumo. “Aspetta che lo vengano a sapere Inghilterra e Francia. Che cazzo, pensavo che avessero tolto l’artiglieria a quello stronzo. Come diavolo ha fatto a – ”

“Romano.”

Romano si fermò di colpo, Spagna ancora ciondolante dalle sue braccia. Italia era fermo tra le dune di detriti, respirava a grandi boccate, il volto era sporco di calce e gli scarponi tutti graffiati dai calcinacci. Italia si strofinò la fronte e distese un sorriso sollevato.

“L’hai trovato.”

Spagna alzò di poco il capo. Una ciocca di capelli si scostò dagli occhi e s’incollò alla scia di sangue che gli colava dalla guancia. Spagna chiuse gli occhi e ricambiò il sorriso. “Ita.” Il tono allegro ma roco si trascinò fuori dalle labbra.

Italia balzò giù da un blocco di cemento con gli occhi lucidi di gioia. “Meno male stai bene, pensavo che...”

“Fermati!”

L’urlo di Romano fece raggelare sia Italia che Spagna. Italia si retrasse, portandosi le mani sul petto come se il fratello lo avesse colpito con un proiettile. Romano sollevò gli occhi sull’altro. Occhi furenti, scuri. Uno sguardo estraneo che fece mancare il fiato a Italia.

“Non ti avvicinare,” disse Romano.

Italia fece un passo all’indietro. Corpo e viso iniziarono a tremare. I cocci si fracassarono sotto i suoi piedi. “R-Romano...”

“Hai visto cos’è successo, eh?” Romano strinse il braccio attorno al busto di Spagna, fino a sentirgli le ossa. “Questo è tutto merito del tuo amichetto, Veneziano.”

“Eh?! No, ti sbagli,” Italia scosse la testa, i pugni stretti sui fianchi, “non è stato Germania a fare questo, non ci credo. Lui...” Riaprì piano gli occhi. Le macerie grigie, ammassate come una sfilza di cadaveri immobili. Italia rabbrividì. “Lui non ne sarebbe mai capace.”

“Piantala! Apri gli occhi, Veneziano!” Italia sobbalzò. Romano aveva alzato il tono ancora di più.

Romano distese il braccio libero su un fianco e indicò i resti della città. “Guardati in giro e renditi conto che questa è la fine che faremo noi se tu decidessi di tornare insieme a lui. Vuoi per caso finire ammazzato in queste condizioni? Vuoi essere disintegrato fino all’osso, Veneziano? Io te l’avevo detto che non c’era da fidarsi.”

“Romano.”

La mano di Spagna si aggrappò con un gesto lento e debole alla maglia di Romano. Romano esitò e abbassò gli occhi, incrociandoli con quelli stravolti di Spagna. Il poveretto guardò verso l’alto, rivolgendogli un’occhiata di rimprovero.

“Non dirgli così.”

Italia piegò le spalle e restò tremante in mezzo al cumulo di detriti. Il viso scosso, le palpebre vacillanti. Le lacrime pronte a esplodere gli gonfiarono le guance.

Romano fece schioccare la lingua. Si voltò trascinandosi Spagna dietro e diede un calcio a uno dei massi di calce.

“Te l’ho già detto, Veneziano.” Abbassò il tono che si fece più profondo. “Fai quello che vuoi, alleati e tradisci l’Italia, ma se oserai anche solo avvicinarti a me, sarò io a ucciderti.”

Italia guaì come un cane bastonato. Tuffò il viso tra le mani ed emise dei profondi singhiozzi che gli scossero la schiena. Scavò con i piedi tra i frantumi e si voltò, scappando via.

 

♦♦♦

 

Romano appoggiò le labbra sopra il nastro di cerotto, srotolandolo dal rocchetto. Diede un morso con gli incisivi e strappò via una lingua di benda adesiva bianca. Spagna gettò il capo all’indietro e guardò in alto. Il sorrisetto sognante stampato sulla bocca, gli occhi chiusi, e le guance rosse.

“Aahw ~ Romano che si prende cura del Boss.” Sollevò una palpebra e la pupilla scintillante si abbassò verso il ragazzo. “Quanto sei carino.”

“Zitto, bastardo.”

Romano tese la lista di cerotto e la schiaffò sulla guancia tagliata di Spagna. Il nastro bianco coprì la ferita che aveva smesso di sanguinare. La schiena di Spagna era coperta dalla giacca sbottonata, solo appoggiata alle spalle. Il torso nudo completamente fasciato dalle bende di garza che gli avvolgevano anche le braccia. Le costole in rilievo sporgevano da sotto le lingue di tessuto, il bendaggio sugli avambracci si era già intiepidito e inumidito, le piaghe lacrimanti aprivano grosse chiazze scure che impregnavano la stoffa. Romano passò il pollice sopra il cerotto sulla guancia di Spagna e appiattì l’adesivo.

Spagna incrociò le gambe a terra, appoggiò il gomito sul ginocchio e inclinò la testa di lato. La guancia pulita premuta sul palmo. “Siamo proprio sicuri che io non sia morto e che questo non sia il paradiso?” Spagna sbatté le palpebre e un’ombra coprì per un attimo lo scintillio degli occhi. L’eterno sorriso sempre stampato sulle labbra.

Una delle bende sul braccio si era sciolta, il lembo scivolava verso il gomito come un costume da mummia da film dell’orrore di bassa categoria. La pelle piagata, mangiata e carbonizzata sui bordi, ebbe uno spasmo che fece brillare la carne viva.

Romano agguantò la bottiglia di vetro, piena a metà di tintura di iodio, e raccolse il panno di stoffa madido di sangue e di disinfettante. Il colore scuro dello iodio coprì quello del sangue.

“Ti ho detto di chiudere la bocca.” Romano inclinò la bottiglia, imbevendo il panno. Il pungente odore del disinfettante gli diede il capogiro. “Altrimenti ti faccio finire io all’altro mondo.”

Alzò il pezzo di stoffa gocciolante verso il braccio di Spagna e lo premette contro la ferita aperta. La garza ciondolante si tinse di un rosso scuro. Spagna raggelò come se Romano lo avesse toccato con un cavo elettrico spellato. Sbarrò gli occhi, le pupille si restrinsero e rimase solo il verde acceso dell’iride. I denti affondarono nella carne del labbro inferiore che divenne bianca come la pelle. Romano smise di fare pressione e il viso di Spagna riprese colorito. Il lamento soffocato si dissolse, mutando in una flebile risata.

Spagna chinò il capo e sollevò gli angoli delle labbra. “Scusa.” Rise ancora, e i capelli arruffati ancora impolverati gli nascosero lo sguardo.

Romano scollò il panno di iodio dalla piaga e Spagna la coprì con il lembo ciondolate della garza. Riallacciò la fasciatura dando un piccolo strattone per tenerla ferma. Romano avvitò il tappo sulla bocca della bottiglia di tintura e riappoggiò il contenitore vicino alle altre garze consumate. Pezzi di stoffa imbevuti di sangue ancora fresco e maleodorante giacevano sul pavimento, di fianco alle boccette di disinfettante e a quelle più tozze e basse, ripiene di liquido trasparente. Anestetici.

Romano ruotò gli occhi verso la figura china di Spagna. Lui prese un lembo della giacca appoggiata sulla schiena e la tirò sul petto bendato. La spallina sfregò un punto in cui il bendaggio era più scuro, già macchiato di sangue fresco, e Spagna strozzò un gemito. Tutta la schiena tremò, le guance impallidirono.

Romano distolse gli occhi. “Almeno ti sei un po’ ripreso, prima eri davvero ridotto a uno straccio.”

“Nah.” Spagna raddrizzò il collo e scostò via i capelli dalla fronte con un gesto del capo. Gli occhi incontrarono lo sguardo di Romano. “Il Boss non può permettersi di mostrarsi debole davanti al suo protetto.”

Romano si strinse le spalle ed esitò. Voltò il capo di scatto, arricciando il naso in una smorfia infastidita. Le guance erano imporporate.

“E piantala, bastardo.” Sollevò di più il mento, tenendo il viso nascosto.

Spagna rise di nuovo, ma un piccolo e soffocato lamento ruppe il risolino. Romano si voltò, e lui si stava tenendo il fianco. Il braccio completamente avvolto attorno al busto smagrito, fiaccato da laceri roventi.

“Cosa diavolo hai combinato per farti ridurre in questa maniera?” chiese Romano.

Spagna scosse il capo. “Nulla, te l’ho detto.” Tenne la mano cinta attorno alla pancia e sollevò la mano libera per togliersi i capelli dal viso. “Probabilmente la mia guerra civile stava dando più rogne del previsto e hanno semplicemente voluto terminarla dall’esterno.” Si sfregò la nuca. Un angolo delle labbra si sollevò, accennando un sorriso impacciato. “Forse un po’ me la sono cercata.”

Spagna rise e Romano digrignò i denti. Strinse un pugno sul ginocchio fino a che le nocche non sbiancarono.

“No, è solo colpa di quel crucco bastardo.”

Il ricordo del viso di Italia, umido e rosso di lacrime, gli arrivò come uno schiaffo. Italia si voltava, il braccio premuto sulle palpebre, e scappava via piangendo in mezzo alle macerie.

Romano sbatté un pugno a terra. “Merda.” Spremette le nocche sul pavimento, rigirando la mano. “Non riuscirò mai a capire cosa passi per la testa a Veneziano quando ci va di mezzo quello là.”

Il sorriso di Spagna sbiadì. Spagna tenne lo sguardo basso, la mano massaggiò la fasciatura sul fianco, e una luce triste attraversò i suoi occhi.

“Ita era molto scosso, prima,” disse.

Romano sbuffò. La mano si scollò dal pavimento. “Gli passerà.” Scrollò le spalle. “A lui passa sempre tutto.”

“Non avresti dovuto dirgli quelle parole.”

I due sguardi si incontrarono. La nota di rimprovero, ma allo stesso tempo triste, restò velata negli occhi di Spagna. Romano ebbe una fitta allo stomaco.

“Non è bello sentirsi dire quelle cose dal proprio fratello,” disse Spagna.

Romano fece schioccare la lingua e allontanò lo sguardo. Le mani strette attorno alle caviglie.

“Andiamo, entro domani se lo sarà già dimenticato. E poi se lo meritava. Se davvero ha intenzione di firmare l’alleanza, io... ” Romano inspirò forte. Si raggomitolò tra le spalle, la voce divenne un singolo ringhio di rabbia. “Io non so di cosa sarei capace.”

La dolce risata di Spagna gli fece rilassare i muscoli.

“Romano.” Spagna sollevò le sopracciglia. Il sorriso smise di essere forzato, come se si fosse appena dimenticato del dolore delle ferite. “Lo sappiamo tutti e due che non alzeresti un dito su tuo fratello. Se vuoi davvero sgridarlo, dovresti almeno usare delle minacce credibili.”

Romano sbuffò, inarcando le sopracciglia. Le guance andarono a fuoco. “Non farmi la predica, bastardo di un rottame.”

Le mani di Romano presero a tremare. Il brivido si arrampicò su tutte le braccia fino ad arrivare alle spalle. La schiena si muoveva come una foglia al vento, i denti affondarono di nuovo nelle labbra.

Spagna tornò a ingobbirsi. La pesante giacca frusciò sopra le bende che gli avvolgevano il corpo. “Tu e Ita non dovete lasciarvi separare così.”

Romano sollevò un sopracciglio e smise di tremare. Spagna abbassò le palpebre e una leggera piega di dolore gli scalfì il viso sciupato e incerottato.

“Centinaia di anni di lotte per tenervi divisi, e ora che avete la possibilità di restare davvero uniti decidete di sciogliervi.”

“Non l’ho deciso io!” sbottò Romano.

Romano affondò le mani tra i capelli, e premette un palmo sulla tempia. Scosse il capo, come se volesse scacciare via tutti i pensieri, tutti i ricordi. “È stato lui a farlo, è lui che vuole tornare a passare dentro a tutto quel casino che abbiamo dovuto subire, è lui che vuole finire come... ”

Il corpo fasciato, ancora tremante per le piaghe brucianti, aperte. I panni sporchi di sangue e di tintura di iodio. I vapori del disinfettante bruciavano la gola, le narici, le palpebre, proprio come quelli dell’esplosione. Le piaghe stritolavano la pelle in una morsa di fuoco.

“Finire male,” disse Romano. Deglutì e abbassò il tono. “Perché continua a fidarsi di quello là? Anche lui ha visto quello di cui è capace, e non solo oggi.”

Spagna prese un piccolo respiro. Chinò il capo di lato e rivolse un sorriso a Romano. Dolce come quelli che gli regalava quando era piccolo.

“Ita vuole molto bene a Germania, vero?”

Romano inarcò un sopracciglio. Un angolo delle labbra si piegò verso il basso. “Mhm?”

“Romano.” Il sorriso di Spagna svanì di colpo. Il tono giocoso si capovolse, diventato profondo, buio. Quasi estraneo. “Forse questa non è la scelta più sbagliata che voi due possiate fare.”

Romano esitò. Sbatté un paio di volte le palpebre e separò le labbra. “Che cosa stai dicendo?” Strinse il pugno. Il viso tornò una piega di rabbia. “Ti ci metti anche tu ora?”

Spagna scosse la testa, riacquistando il sorriso. Romano ebbe un brivido, non gli piacque quel sorriso. Spagna si tenne la spalla, gli occhi tristi e lucidi guardarono il busto fasciato.

“Credo che per me sia finita ancora prima che cominci, Romano.”

“Cominci?” Un altro brivido. A Romano si gelò il sangue nelle vene. Strinse i pugni e s’irrigidì per non far vedere il tremolio. “Cominci cosa?”

Non dirlo. Ti prego, non dirlo. Tutto ma non questo, non di nuovo, ti prego.

Spagna sollevò lo sguardo come se avesse sentito i suoi pensieri. Gli occhi tristi e il sorriso malinconico colpirono Romano come una mazzata in pieno stomaco. Spagna sollevò una mano, e tese il braccio verso il viso di Romano. Le dita leggermente piegate verso il palmo, e le nocche rivolte verso la pelle dell’altro. Romano seguì l’avvicinarsi della mano con gli occhi, e scostò la guancia dalla carezza ancora prima che potesse sfiorarlo. Sbuffò imbronciato, cacciando via la mano di Spagna con un gesto del braccio.

“Non devi abbandonare tuo fratello,” disse Spagna.

Romano aveva distolto lo sguardo. Quello di Spagna, lo sentiva, premeva sulle sue spalle come un macigno.

“Non lo sto abbandonando,” disse Romano. “Io sto facendo la scelta giusta, ed è solo per evitare la totale catastrofe.”

“Romano.”

Romano non si voltò. Chiuse gli occhi e sollevò il mento, a denti stretti.

“Se Germania vi ha proposto un’alleanza, voi avete la possibilità di restare dalla parte vincente.”

“No, saremmo dalla parte sucida, ecco dove saremmo.” Romano socchiuse un occhio. Di nuovo il corpo fasciato, di nuovo le ferite pulsanti, le garze sporche di sangue, il corpo abbandonato, barcollante tra le macerie. “Appena Inghilterra e Francia verranno a sapere quello che ha ti fatto, loro...”

Spagna lo bloccò con un gesto della mano. “Inghilterra e Francia non possono farci niente.”

Romano aprì entrambi gli occhi e rivolse un’occhiata interrogativa a Spagna. Lui scosse il capo.       

“Era la mia guerra, e l’ho persa, tutto qui. Loro non dovranno muovere un dito per me, e non posso dargli torto.”

Romano aprì la bocca, ma non disse niente. Gli occhi di Spagna si accesero. Lui posò una mano bendata sul ginocchio di Romano e lo fissò dritto in viso. La dolce luce verde delle iridi brillò tra le palpebre.

“Romano, non farti trovare dalla parte sbagliata. Puoi sempre non farlo per Germania, ma lo devi per tuo fratello.”

Romano gli cacciò via la mano e si spostò di lato, tenendo le gambe incrociate. “Smettetela di dire tutti le stesse cose.” Annodò le braccia al petto e fece una smorfia. “Veneziano questo, Veneziano quello, mai qualcuno che pensi a quello che voglio io.”

Spagna raddrizzò la schiena. Gonfiò il petto e ci posò sopra la mano. “Il Boss pensa sempre a te, Romano.”

Romano fece ruotare gli occhi al cielo. “I bastardi non contano.”

Spagna rise di gusto. Romano teneva il mento alto e non lo vide. La rabbia sul viso si sciolse piano, scivolando via come una maschera di panno. Romano fece correre i denti sopra la carne del labbro, i capelli coprirono gli occhi.

“Come faccio?” disse piano.

Spagna smise subito di sghignazzare.

“Come faccio ad andare dalla parte sbagliata anche se si tratta solo di stare vicino a Veneziano? Perché...” La voce squillò. Romano sbuffò e il tono tornò basso. “Perché nessuno capisce che anche io ho il mio orgoglio?”

“Io riconosco il tuo orgoglio, Italia Romano.”

Altra fitta allo stomaco. Questa volta, il colpo arrivò fino al cuore. Il viso di Romano raggelò di colpo, solo a sentire quel nome. Italia...

“Pensa a questo,” continuò Spagna. “Se rimarrete uniti, allora sarete in grado di compiere qualsiasi scelta vogliate, e rimarrete forti abbastanza da poter decidere voi da che parte stare.” Piccolo sospiro. La voce si stava indebolendo, era affaticata. “Dividetevi, e perderete tutto, Romano. Voi due siete...” Spagna si bloccò. Proseguì solo quando Romano si voltò a guardarlo. “Voi due non siete mai stati fatti per essere divisi. In questo momento Ita è smarrito, ma non riuscirai mai a fargli cambiare idea riguardo Germania, e il fatto di dividervi non vi aiuterà.” Scosse di nuovo il capo. “Non sarà questo a spronarlo a ritornare sulla strada giusta.”

Le labbra di Romano tremarono. Le sopracciglia inarcate piegarono il viso in un’espressione sofferta. La morsa allo stomaco si sciolse.

“E cosa dovrei fare?”

“Stagli vicino.” Spagna tornò a posargli una mano sul ginocchio. Romano non la spinse via. “Tu restagli accanto, e vedrai che sarà Ita a capire da solo di aver fatto una scelta sbagliata e sarà lui stesso a cambiare strada.”

Spagna chinò il capo. I capelli carezzarono le guance, coprendogli i cerotti incollati alla pelle.

“Ita era molto triste. Dagli una possibilità,” disse. “Perché tu non vuoi vederlo ridotto così per il resto della sua vita, vero?”

Il viso distrutto dal pianto, il singhiozzo incessante, le gambe cedevoli, il corpo che tremava sotto l’abbraccio. La spalla di Romano che si bagnava delle tiepide lacrime del fratello.

Le labbra di Romano tremarono. No, non lo voglio.

“Non avrà l’appoggio di Germania, se rifiuterete l’alleanza, e in più perderà anche il tuo. Ne uscirebbe devastato.” La voce di Spagna divenne un sussurro, quasi avesse paura delle sue stesse parole. “Potrebbe addirittura...”

“Non chiedermelo.”

Romano strinse i denti, serrò i pugni. Il petto bruciava, lo stomaco si aggrovigliò. Stava tenendo tutto dentro. Un calderone di rabbia, frustrazione, dolore, insicurezza e paura, ribolliva tutto dentro il suo piccolo corpo. Romano inclinò il capo all’indietro e strizzò le palpebre. La voce vibrava, come un gorgoglio.

“Io non posso.”

“Sì che puoi.” Spagna gli carezzò il ginocchio. Il calore della mano si espanse sotto il suo tocco. “A dispetto di quello che hanno sempre detto gli altri, io non ho mai dubitato della vostra forza, Romano.”

Romano mugugnò. Sguardo alto, impassibile.

“Della tua forza,” disse Spagna.

I due si guardarono. Un piccolo formicolio scaldò il cuore impietrito di Romano, facendolo rilassare.

Spagna gli sorrise con più convinzione. “Permettigli di sbagliare, permetti a te stesso di correre un rischio, e fate vedere a tutti cosa vuol dire essere una nazione unita. Io sarò qui...” Gli occhi si incrociarono, il cuore di Romano smise di battere. “Se alla fine avrai bisogno di me, io sarò qui.”  





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