Cold
and afraid
Hold
me tonight
What
happened to me
My
head in the clouds
Fallen
so deep
You
came in soft
No
shoes on my feet
Cold
and afraid
It
feels like I could break down
Right
here on this shore
Or
go astray
Dash
Berlin –
Earth meets Water
Il
sorriso di Katara era caldo e rassicurante, ma era servito solo ad
aumentare la
sua irritazione. Scosse nervosamente il capo, mentre il suo cervello
escluse
automaticamente le parole di incoraggiamento che l’amica le
andava rivolgendo.
Razionalmente era consapevole che avrebbe dovuto ascoltarla, Katara
stava per
dare alla luce il suo terzo figlio, avrebbe saputo darle buoni
consigli,
sarebbe stata in grado di guidarla sulla giusta strada. Ma Toph non era
mai
stata tipo da seguire la strada, non era mai stata persona da regole,
restrizioni o percorsi prestabiliti; Toph Beifong era uno spirito
libero,
un’anima inquieta incapace di rimanere ferma troppo a lungo o
di legarsi in
modo vincolante a qualcuno.
Nei
suoi trentadue anni di vita non era mai stata in grado di creare una
relazione
stabile, di sopportare una presenza costante e influente della sua
vita; aveva
sempre avuto numerosi partner, compagni occasionali per lo
più, spiriti liberi
come lei che cercavano solo un po’ di calore e comprensione,
rigorosamente per
la durata di una notte, mai più a lungo. Una volta sola
aveva rischiato di
compromettere davvero la sua libertà, ma si era trattato di
un pensiero
fuggevole durante una notte senza luna; ricordava il sapore di
quell’ultimo
bacio a fior di labbra, la sensazione della barba ruvida sul suo viso,
ma
ricordava anche di avere scacciato a forza quel pensiero, di essersi
silenziosamente alzata dopo avere aspettato che lui si fosse
addormentato,
ricordava di avergli passato una mano sul viso, di avere seguito la
linea del
codino e di avere lasciato a malincuore la presa andandosene
silenziosamente.
Non si erano rivisti per tre anni, non che lei lo avesse progettato, si
era
solo trattato della prima di una serie di circostanze impreviste nella
sua vita.
La
gravidanza, che poco ma sicuro non era stata voluta, era a parere della
giovane
dominatrice della terra la più seccate di queste circostanze
impreviste, ma non
sempre le cose nella vita vanno come ci aspettiamo e oramai Toph
l’aveva
imparato. L’aveva imparato nel momento in cui si era accorta
di quel ciclo
mancato, l’aveva compreso quando si era resa conto che le
nausee mattutine
erano ben più di un’allergia alimentare, e ne
aveva avuto conferma quando
Katara le si era avvicinata e con fare materno le aveva confermato che
sì, era
incinta, e a giudicare da ciò che poteva percepire doveva
trattarsi di una
bambina.
Ora
che era al terzo mese, a distanza di sessanta giorni dalla sconvolgente
scoperta
che le aveva cambiato la vita per sempre, Toph si chiedeva se
c’era qualcosa
che avrebbe potuto fare per prevenire questa situazione. Certo avrebbe
potuto
comprarsi una cintura di castità e forse avrebbe dovuto
tenere ben serrate le
gambe e chiudersi in casa a chiave, ma non era troppo sicura che
sarebbe stata
in grado di resistere, era quel tipo di persona che i piaceri della
vita
preferiva goderseli piuttosto che fingere non esistessero.
Annuì
distrattamente a Katara, guardandola allontanarsi, diretta verso il
tavolo a
cui Aang e Zuko erano seduti a parlare; quella era stata la serata dei
grandi
annunci o almeno di sicuro il suo era stato grande,
non le era servita la vista per sapere che le mascelle di quelle teste
vuote
dei suoi amici si erano aperte a mezz’aria. La risata calda e
cristallina di
Iroh aveva invaso il salone del Jasmine Dragon, quella sera riservato
solamente
a loro, quindi le si era avvicinato e l’aveva abbracciata in
un modo che a Toph
aveva ricordato moltissimo sua madre, o meglio come sua madre
l’abbracciava
quando era solo una bambina. Poi era stato il momento delle
congratulazioni,
delle strette di mano, delle urla entusiaste di Aang che in quel
momento era
tornato ad avere dodici anni e si era messo a blaterare qualcosa a
proposito
del crescere tutti assieme un esercito di mostri domatori degli
elementi.
«
Che fortuna » era stato il laconico commento di Mai, che
senza nemmeno alzarsi
dalla sedia si era limitata a farle le sue congratulazioni sventolando
una mano
mentre con l’altra tentava di tenere ferma la sua irrequieta
figlia.
Si
era chiesta se avrebbe dovuto dirlo anche ai suoi genitori, ma
nonostante
fossero passati anni non era sicura di volerli affrontare, incontrare
suo padre
le causava ancora una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco,
una volta
Sokka l’aveva definita ansia, ma come al solito lei si era
limitata a
ignorarlo.
Mentre
i festeggiamenti continuavano – più che
festeggiamenti si trattava di
inseguimenti senza sosta dietro i figli maggiori di Aang e Katara
– Toph riuscì
silenziosa a sgusciare fuori dalla sala da tè, cominciava a
sentirsi soffocare
e aveva bisogno d’aria. Con movenze cadenzate, quasi
eleganti, si allontanò
dall’edificio, dirigendosi verso quella che sapeva essere la
residenza dei
Beifong a Ba Sing Seh; non vi si sarebbe recata se non avesse avuto
l’assoluta
certezza di non trovarvi nessuno. Aveva bisogno di restare sola e
sebbene il
calore e la solidarietà che i suoi amici le avevano
dimostrato le avesse
scaldato il cuore, tutto quel parlare del futuro non aveva fatto altro
che
contribuire ad alterare il suo stato d’animo, già
da qualche tempo soggetto a
sbalzi d’umore.
Lo
aveva sentito arrivare ancora prima che lui provasse, maldestramente,
ad aprire
la porta senza fare rumore; si chiese se davvero pensava che non se ne
sarebbe
accorta, era cieca, non sorda e a dirla tutta non è che ci
vedesse poi così
male, certo a modo suo.
«
Che cosa vuoi, ragazzo boomerang? » lo sentì
ridere sommessamente davanti a
quel nomignolo con cui ancora ogni tanto si divertiva a chiamarlo.
Sokka si
sedette accanto a lei sulla terrazza del cortile, i piedi nel prato, le
braccia
distese dietro di sé.
«
Scappare dalla festa che mia sorella ha organizzato con così
tanto amore solo
per te, tsk » le lanciò un’occhiata in
tralice per vedere la sua reazione e
quasi si morse le labbra nel constatare che qualcosa in Toph non andava
« Cosa
c’è, bandita cieca? Cosa succede? »
domandò poggiandole delicatamente una mano
sul capo.
La
ragazza sorrise mestamente, continuando a mordicchiarsi nervosamente il
labbro
inferiore, mentre batteva ritmicamente un piede a terra.
Il
silenzio durò per svariati secondi.
Anche
quella sera non c’era nessuna luna in cielo a illuminare i
loro volti, se Sokka
poteva vedere l’espressione mesta dell’amica era
solo grazie alla pallida luce
di una candela posta sul muretto del porticato.
«
Non sono sicura di poterlo fare » sussurrò piano
Toph, rompendo il silenzio «
Non sono sicura di essere capace, Sokka ».
L’uomo
– perché dopo tutti quegli anni di viaggi e
progetti era questo che Sokka era
diventato – l’avvicinò dolcemente a
sé, stringendola contro la sua spalla con
fare fraterno e protettivo.
«
Nessuno nasce imparato, Toph, ricordi Katara alle prese con baby Bumi?
Io e
Aang abbiamo rinominato quei primi sei mesi “Il caos
isterico”. Non sapeva
nemmeno da dove partire; oh, e non hai mai visto Aang alle prese con un
pannolino immagino! »
«
Sokka, sono cieca… »
«
Molto divertente, ma non fingere di non capire. So che sei spaventata,
lo
capisco, ma non sei sola. Ci siamo noi. Ci sono io. »
Sentì
Toph rilassarsi contro la sua spalla, ma quando finalmente gli rispose
la sua
voce era poco più di un bisbiglio: « Non sono
spaventata, Sokka, sono
terrorizzata. Non sono la regina dello zucchero io, non sono mai stata
dotata
di istinto materno. E se non dovessi piacerle? E se non fossi in grado
di
crescere un figlio? Tutto quello che ricordo io della mia infanzia sono
precettori, regole, cose che non potevo fare, non so niente di come si
crescono
i bambini ».
Sentì
le mani di Sokka stringerle spalle e costringerla gentilmente a girarsi
–
questa mania di guardarsi in faccia parlando continuava a non capirla,
lei
comunque non poteva vederlo – le sentì scivolare
lungo le sue braccia,
accarezzandole dolcemente, per poi prenderle le mani e sollevarle.
«
Toph, non abbiamo più diciotto anni oramai e il mondo
è tutto diverso da come
lo conoscevamo, anche noi siamo diversi in qualche modo, ma ti prego di
non
pensare, nemmeno per un istante, che ti lasceremo da sola ad affrontare
questa…
questa cosa. Siamo una squadra, tutti insieme, la squadra
dell’Avatar, ricordi?
»
Si
sentì abbracciare e suo malgrado sorrise.
«
Sono gravida, Sokka, non arteriosclerotica ».
«
Che novità » mormorò lui posandole un
bacio leggero sul capo « Una variazione
sul tema ».
Erano
passati anni da quella notte senza luna in cui le certezze di Toph
erano
vacillate per la prima volta; adesso, in una notte molto simile, solo
un po’
più fredda, una giovane donna sentiva le stesse certezze
vacillare di nuovo, ma
ora non a causa di uomo – o forse non solo a causa di un uomo
– bensì a causa
di una nuova piccola vita che sentiva prendere forma dentro di
sé e che per la
prima volta sentiva di accettare.
Quello
che Toph Beifong scoprì quella sera, stretta tra le braccia
del suo migliore
amico, fu una nuova forma di coraggio e, in qualche modo, un nuovo
inizio.
Note:
Questo è il secondo di quelli che credo saranno quattro
capitoli.
Diciamo che è venuto più Tokka di quanto avrei
voluto, ma va bene così;
questa storia è sempre parte della sfida una fic al giorno
per sette
giorni prima dell'uscita del Book 4.
Ho voluto rimarcare in più
punti la cecità di Toph per evidenziare come lei non l'abbia
mai
vissuta come un handicap, mentre considera tale la condizione in cui si
trova ora. Nel mio headcanon Toph e Sokka prima ancora di essere amanti
sono migliori amici, poi da cosa nasce cosa, ma è tutto a
libera
interpretazione.