Just
Keep Breathing
Respira.
Solleva un braccio,
ora l’altro. Stendi le dita, senti l’aria elettrica
sui polpastrelli mentre la fendi con le mani. Poi piega la schiena,
scatta di lato e muoviti a ritmo sulle ginocchia.
«Geurae
Wolf, naega Wolf, Awoo~
Ah,
saranghaeyo!»
Respira. La musica ti
pulsa attorno, senti i bassi rimbalzare tra lo sterno e lo stomaco
mentre la base scandisce il ritmo negli auricolari. Attorno a te si
muovono altre braccia, altre gambe. Dei tuoi colleghi, compagni,
fratelli, che ballano intorno e insieme a te, che ti osservano, basano
i loro movimenti sui tuoi. Sei tu che guidi la danza. Sei tu il
direttore d’orchestra.
Ora salta, gira; poi
scivola indietro. Aggressivo, elegante. Con gli occhi fissi davanti a
te nel nero della macchina da presa. «Guardatemi»
sembrano dire. Sono occhi magnetici e attenti, freddi e scuri come una
stanza buia. Ma irradiano forza e calore, come blocchi incandescenti di
magma. Sono occhi concentrati che sembrano non vedere il set
tutt’intorno, sembrano persi a guardare qualcosa di visibile
solo a te. O forse non vedono proprio. Eppure ghiacciano e scaldano
assieme.
Sia quando garrisci in
prima linea sia quando ti ritiri nelle retrovie. Lontano da
quell’unico occhio nero, più nero dei tuoi; allora
il tuo sguardo non cambia, ma riesci a distendere un pelo di
più i nervi.
Respira.
Più forte.
Prima di
iniziare sei sempre rigido, agitato, anche se hai perso il conto delle
volte in cui ti sei esibito, e non sapresti quantificare le ore passate
ad esercitarti. Con lo sguardo incollato ai piedi ti ripeti che
qualcosa andrà storto per forza, e che incidenti di
qualunque tipo possono sempre capitare. Ma quando esplode la prima nota
e tu dischiudi le tue labbra per prendere fiato, qualcosa nel tuo
cervello si spegne. Riusciresti a contare le particelle di ossigeno che
ti si riversano in gola, una ad una, le senti distintamente diffondersi
nei polmoni e poi schizzare in alto a vibrare tra le tue corde vocali.
E mentre le butti fuori modulando la voce senti la tensione dissolversi
– o amplificarsi, mai capito – e il tuo corpo si
muove da solo. Ogni giuntura, ogni muscolo... si ricorda cosa
deve fare. Inclina il bacino, stendi la gamba. Senti il piede arcuarsi
e stirarsi da solo dentro le adidas.
Respira.
L’aria si fa pesante. Una goccia di sudore ti si impiglia tra
le ciglia. Il respiro si fa più veloce, ma sai mantenere il
controllo. Lo tieni a bada come fosse una bestia selvaggia. Saper
gestire il fiato è la dote fondamentale di un ballerino.
L’aria è la tua più importante alleata
e la tua nemica più infida. Ancora, solleva le
mani, guardale, guarda le nocche, le unghie.
Prega. Poi torna
davanti.
Non sei più
Jongin ora. Sei Kai.
Butta nel naso aria
preziosa e bollente, convertila dentro di te e poi urlala fuori. Fino a
raschiarti la gola. Canta, e gestisci assieme il fiato del ballo. Il
sudore cola sul mento e si perde sotto le tue scarpe. Incrocia i piedi
veloce, piega le braccia, incrocia anche quelle, ora cambia passo.
Cambia ritmo. Cambia respiro.
Senti
l’ossigeno fluire nel sangue, rimbombare attraverso i muscoli
tesi. Diventi tu stesso quel vento, soffi impetuoso nelle vene
attraverso i tuoi tessuti, i tuoi organi. Abbi coscienza del tuo corpo
come non puoi fare lontano dal palco.
Sentiti vivo.
Respira.
Può
essere durato cent'anni, un istante, in realtà tre minuti e
cinquantun secondi. Abbassi rigidamente i gomiti e ti ricordi che
è finita. La tensione torna a livelli stabili, e ti sembra
che qualcosa si sciolga a livello della pancia.
Sorridi, stanco, con i
ciuffi appiccicati alla fronte.
Puoi smettere di
controllare l’aria adesso, la lasci fluire e defluire in
ampie boccate, seconde le esigenze del tuo corpo. La senti gonfiare e
sgonfiare il tuo petto, infilarsi tra le tue costole e refrigerarti.
Puoi respirare.
Solo respirare.
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