A
Rossella
Pochi
giorni fa mi hai scritto: “potrebbe anche essere qualcosa che
invece hai tirato fuori tu dal cappello”… direi
che sei stata profetica in ben più di un senso. Quindi un
buon non compleannoooo… aaaaa… teeeeee!
ALICE NON GUARDA PIÙ I
GATTI
Alice non guarda più
i gatti
ma la varda nel mirino
del fusiil
Alice l'ha
spendüü i culuu che gh' era
e adess l'e'
püssee scüra di so occ
L' ha nulegiaa anca lee
el so tocch de infernu
insema ai so culeghi
cunt el s'ciopp;
“Se vedi per
caso il cappellaio matto
digli che la scelta
è stata mia
In questo paese non vedo
meraviglie
ma solo la strana poesia
del calderon de la
stria.”
(“El calderon
de la stria”, D. van de Sfroos)
Alice
passò di nuovo lo straccio sulle canne del fucile di
precisione. Non aveva certezze nella vita, a parte una: il fucile va
sempre tenuto pulito. Lo diceva persino il Cappellaio Matto, e il fatto
che
lui non
cambiasse idea su qualcosa significava che quella cosa era una
certezza. Anche se era una cosa stupida come un fucile.
Nemmeno sul
tè alle diciassette precise cambiava idea, però.
E quella sì che era sul serio una cosa da matti.
Alice si
strinse nelle spalle. In fondo cosa importava? Nella stessa stanza in
cui lei passava e ripassava uno straccetto unto sui pezzi del fucile,
Tweedledee aveva aperto due bottiglie di birra, una per lui e una per
suo fratello, e suo fratello era morto tre anni prima. E il Califfo era
già da un pezzo che aveva smesso di dire anche quelle poche
parole che diceva di solito, per dedicarsi esclusivamente al suo
narghilè e agli anelli di fumo.
La Strega
aveva detto di aspettarli, che forse ci sarebbero state delle
novità, e loro aspettavano, ognuno a modo suo. Si diceva che
la Strega lavorasse solo con i matti; questo faceva chiedere ogni tanto
ad Alice dove si collocasse lei, e una volta l’aveva chiesto
alla Strega. Per tutta risposta, la Strega aveva sorriso in quel suo
modo stranissimo e le aveva risposto: –Non posso aiutarti,
temo. Siamo tutti matti, qui.
Ogni tanto ci
pensava, ma non spesso. Non aveva importanza, non dopo la morte di
Jabberwock. Aveva iniziato a vedere il mondo diversamente, dopo quella
volta, e una compagnia di matti andava benissimo finché i
lavori fruttavano. Anzi, era in un certo qual modo poetica. Non che
questo la collocasse senza ombra di dubbio fuori dalla follia,
naturalmente.
Lo scatto
della serratura attirò l’attenzione di Alice, che
alzò lo sguardo dal fucile. La Strega entrò, si
appollaiò su una sedia, li guardò e sorrise.
Quando
sorrideva così si faceva fatica a vedere altro: gli occhi
nascosti dietro gli occhiali tondi, il volto dagli zigomi alti, tutta
la sua persona sembrava quasi scomparire lasciando nell’aria
solo lo strano sorriso a mezzaluna.
-Abbiamo un
lavoro da fare-, annunciò. –Bill la Lucertola
è tornato.
La
staccionata.
Su
ogni palo, un cappello diverso. Bucherellato.
Un
botto, e una bombetta salta in aria, con un buco in più.
-Buon
lavoro, Alice. Ora non devono più aspettarti perfettamente
immobili mentre prendi la mira, basta che stiano fermi per i fatti loro.
La
bambina tiene un attimo il broncio. Poi sorride.
-La
gente sta ferma. Sta spessissimo ferma. Tu, per esempio, è
da prima che sei fermo.
Il
ragazzo, steso sul prato con una giacca a fargli da cuscino, solleva un
attimo la tesa del cappello, per fissarla meglio.
-Questa
è una giusta osservazione. Ma…
Con
uno scatto di reni si alza in piedi. Poi si toglie il cappello e lo
lancia in aria.
-Come
vedi mi sono mosso!
Alice
prova a sollevare velocemente la doppietta e sparare al cappello. Lo
manca di un metro buono. Il ragazzo lo riprende al volo.
-Devi
pensare velocemente, quando spari.
-Pensare
a cosa?
-A
dove vanno a finire le cose!-, esclama, e ributta il cappello in aria.
La
bambina capisce, mira appena più in alto, lo manca di un
pelo. Lui salta, lo riafferra e lo lancia senza dire niente, dalla
parte opposta di prima. Stavolta la bambina è pronta.
Il
cappello cade a terra con un buco.
Alice aveva
sentito parlare di Bill la Lucertola.
A dire il vero
chiunque aveva sentito parlare di Bill la Lucertola, se non altro per
la taglia che c’era sulla sua testa; ma, dopo aver rapinato
banche, diligenze e case private senza essersi mai fatto beccare, Bill
doveva aver deciso che era meglio godersi i suoi guadagni sparendo
dalla circolazione, e siccome la capacità principale di Bill
era sparire, doveva essersi nascosto in posti dove nessuno
l’avrebbe mai beccato. Così con il tempo avevano
tutti smesso di cercarlo, ma la taglia era rimasta. Una signora taglia,
altroché.
Dopo
l’annuncio della Strega, tutti si erano fatti estremamente
attenti. Persino il Califfo si era messo a sedere dritto, a gambe
incrociate sul divano viola.
-In quanti lo
sanno?-, aveva chiesto.
-Per ora solo
noi, almeno questo mi ha detto il mio informatore. Non so quanto
possiamo fidarci, quindi è il caso che ci muoviamo.
Tweedledee
fece una specie di ringhio. –Mente. Ci scommetto le palle.
La Strega
mosse pigramente la sua frusta avanti e indietro. Sembrava la coda di
un gatto.
-Forse
può mentire sull’esclusiva
dell’informazione, ma non sull’informazione.-
Sorriso. –Non l’ho ancora pagato.
-No?
Il Califfo la
scrutava, gli occhi arrossati ridotti a fessure.
-No. Gli ho
promesso una percentuale nel caso lo catturassimo. Ha accettato, il che
significa solo una cosa: Bill è sul serio qui, da qualche
parte.
-E se Bill
è da qualche parte…- La frase rimase sospesa nel
vuoto. Alice immaginò che dovesse concludersi con
“noi lo troveremo”, o qualcosa del genere.
Tweedledee aveva l’abitudine di dire le frasi metà
ciascuno con suo fratello gemello, ed ora che una metà non
c’era più, sembrava non rendersi conto che la
maggioranza delle sue frasi rimanevano tronche. Siccome in genere erano
frasi semplici, nessuno ci faceva troppo caso.
Il Califfo si
esibì in una splendida serie di tre anelli di fumo. Poi li
ruppe uno per uno, picchiettando la punta del narghilè
nell’aria mentre domandava: -Lo troveremo dove?
-Ah, ma
c’è un solo posto dove un uomo che non passa da
queste parti per un sacco di tempo può andare, per prima
cosa. E quindi è lì che chiederemo informazioni.
Alice?
La Strega
ghignava. Alice ghignò di rimando.
-Certo. Nel
Paese delle Meraviglie.
A
ogni lavoro andato bene, Jabberwock le regala un colore.
È
così che dice, “un colore”.
Può essere il viola dell’ametista,
l’azzurro dell’acquamarina, il verde della giada.
Ogni volta una perla diversa, in attesa di quando saranno
più ricchi, che allora, dice lui, ti regalerò il
bianco trasparente di un diamante enorme. E Alice ci crede. Non che
voglia davvero il diamante enorme; basta il pensiero, i suoi colori le
piacciono. La sua vita con Jabberwock le piace. Non sono ricchi, hanno
piccoli incarichi, non possono ancora permettersi la licenza da
cacciatori di taglie. Ma è lo stesso, prima o poi
l’avranno, pensa Alice.
Quindi
si stupisce quando Jabberwock le propone quella cosa.
-È
un furto-, gli dice. –Diventeremo fuorilegge. Saremo noi i
cacciati.
-Solo
se ci scoprono, tranquilla. Che pericolo vuoi che sia il reverendo
Dodgson? È un uomo di chiesa. Sarà un lavoretto
facilissimo. Non ci scoprirà mai nessuno, e saremo ricchi.
Avrai il tuo diamante, non sei contenta?
Alice
non lo è. Ma lui è Jabberwock, e lei lo ama. E si
fida di lui. E se dice che sarebbe stato un lavoro facile, allora lo
sarebbe stato.
La prima volta
che Alice aveva incontrato la Strega, era stato proprio lì,
in quello che chiamavano il Paese delle Meraviglie. Non sapeva che
fosse proprio la Strega, allora, era giovane e non sapeva niente.
Infatti si era persa, e le aveva chiesto indicazioni.
-Per andare
dove?-, le aveva chiesto la Strega.
-Poco
importa-, aveva risposto Alice, -purché io possa…
-Allora poco
importa che strada prendi.
Si era
spazientita, allora. Poi, riflettendoci su, aveva capito che la Strega
aveva ragione. In fondo, l’importante era non stare fermi in
un punto.
Nel Paese
delle Meraviglie si diceva che tutto appartenesse alla Regina di Cuori.
Nel momento in cui ci mettevi piede, diventavi un suo suddito. I
Gendarmi non ci entravano se non per diventare anch’essi
sudditi, il Paese delle Meraviglie si autogestiva: chi non ne
rispettava le regole non scritte doveva vedersela con i Fanti di
Picche, se era fortunato, perché se non lo era veniva
portato direttamente al cospetto della Regina. In
quell’intrico di vicoli, in quella zona
dall’architettura impazzita, in cui diversi stili si
susseguivano e sovrapponevano l’uno con l’altro, si
entrava per cercare denaro facile, piacere dei sensi o direttamente lei.
“Se
la Regina lo vuole, perdi la testa”. Lo sapevano
tutti nel Paese delle Meraviglie, e lo sapevano bene anche fuori da
lì. Adesso che l’aveva vista, Alice non faceva
fatica a capire perché.
Era mezza
stesa, languida, su una specie di triclinio foderato di stoffa rossa.
Anche il suo vestito era rosso, bordato di nero e oro, e dallo spacco
sulla gonna spuntava una gamba lunga, lunghissima, ricoperta di tralci
di rose tatuati. Lo stesso tralcio sbucava dal seno, appena contenuto
nel corpetto a forma di cuore, e si arrampicava sulla carne bianca
della spalla e del braccio. Non si faceva fatica a immaginarla, nuda,
avvinghiata da quel tralcio, e da lì a desiderare di
abbracciarla così, stretta da soffocare, non ci voleva che
il tempo di un battito di cuore.
Aveva i
capelli rossi, tantissimi capelli rossi e pesanti e inanellati sugli
omeri. Capelli da volerci affondare le mani, e il volto, e rimanere
lì, avvolti in mezzo a quei capelli, per sempre.
-La Strega, e
il Calderone della Strega, così mi è stato
annunciato.
La Strega
sorrise e fece una mezza riverenza, in quel suo modo che sembrava dire
“può sembrare che ti obbedisca, ma aspetta solo di
voltare la schiena e salterò sul tavolo per mangiare la tua
panna”.
-È
proprio così, Maestà.
-Siete qui per
avere i miei servigi?
Nel dirlo, la
Regina fece un gesto languido con la mano, comprendente le ragazze
dalle gambe lunghe vestite di piume rosa, le cortigiane
d’alto bordo e persino le sue guardie. Tweedledee
spalancò gli occhi e fece per dare di gomito a qualcuno che
avrebbe dovuto trovarsi alla sua sinistra, il Califfo invece rimase
immobile. Probabilmente non gliene fregava nulla delle ragazze
fenicottero, a meno che non avessero del fumo, cosa che comunque Alice
non si sentiva di escludere. Dal canto suo… no,
né gli eleganti cortigiani vestiti con i colori delle carte
da gioco né i Fanti di Picche facevano per lei.
Figuriamoci
per La Strega.
-Siamo qui per
lavoro, Maestà. Purtroppo-, si sentì in dovere di
aggiungere.
La Regina
inarcò un sopracciglio. I brillantini rossi che lo
decoravano luccicarono.
-Senza che io
ne fossi a conoscenza qualcuno qui ha una taglia sulla testa?
Dovrò dunque fargliela tagliare.
Il brusio in
sala si abbassò improvvisamente di intensità.
Alice fu certa di vedere un brivido che percorse tutti i presenti.
-Non che mi
risulti. Ci servirebbe un’informazione. Naturalmente faremo
uno scambio, non pretendo di averla gratis. L’informazione,
dico.
La Regina
arricciò un angolo della bocca in un sorriso malizioso.
–No, nulla qui si può avere gratis. Che tipo di
informazione potreste darmi che possa interessarmi?
Il sorriso
della Strega si aprì particolarmente. Restò come
sospeso in aria, nella stanza, mettendo il resto in secondo piano.
-Riguarda un
biglietto. Un biglietto dorato.
Mesi
dopo, un Tweedledee che ancora non conosce le avrebbe detto che
“Tranquillo è morto inculato”.
Il
reverendo Dodgson ha occhiali scuri e dita lunghe, macchiate, che tiene
unite davanti a sé. E sorride.
Alice
è stata catturata, ed è legata strettamente. Non
sa dove sia Jabberwock, è stato preso anche lui. Le viene da
piangere, ma cerca di non farlo.
-Dovrei
chiamare le guardie, sai? Farvi imprigionare, come meritate. Ma sono
generoso perché vedi, sono un reverendo e devo essere
generoso. Diciamo che è il mio dovere.
Alice
non sospira di sollievo. Ha paura. Il sorriso del reverendo non ha
niente di generoso, niente di clemente. È un sorriso
divertito, semmai. Eccitato. Come di chi sta per iniziare un gioco che
aspetta da tempo.
-Ti
piacerebbe avere la licenza da cacciatore di taglie, vero?
Alice
non capisce. Sgrana gli occhi, scuote la testa.
–Cosa…?-, farfuglia.
-La
licenza. La vorresti?
C’è
qualcosa. Ci deve essere qualcosa. Lei ha tentato di derubarlo, e lui
le chiede se le piacerebbe avere la licenza. E non ha chiamato le
guardie. Ma non si fida, c’è qualcosa che non va
sul suo volto. Il sorriso, è quello ad essere sbagliato.
Le
prende il mento, le accarezza il viso con quelle dita lunghe e sottili.
Alice vorrebbe ritrarsi, ma non può.
-Rispondi,
cara. Non aver paura. La vorresti o no?
-Sì.
Sì, la vorrei… reverendo.
-Molto
bene, cara. Posso fartela ottenere, sai. In cambio, dovrai solo
uccidere il tuo complice. Puoi farlo?
Alice
sgrana gli occhi. –Cosa?-, grida. Uccidere Jabberwock?
L’uomo che ama?
-Non
dire “cosa”, cara, è molto maleducato.
Dì “prego?”. Io vi lascerò
andare, entrambi. E vi darò tre giorni. A lui ho fatto la
stessa proposta. Se entro tre giorni uno di voi due non mi
avrà portato il cadavere dell’altro,
allerterò i cacciatori e sai, sono abbastanza ricco e
influente per la clausola “li voglio morti”. In
caso contrario, chi rimarrà vivo avrà la licenza.
Sono abbastanza ricco e influente anche per farvi ottenere quella. Non
la trovi molto generosa come offerta?
Alice
lo guarda, gli occhi che mandano lampi. Gli sputerebbe, se non fosse
troppo ben educata per farlo.
-Risparmi
il suo tempo, reverendo, e chiami le guardie. Nessuno di noi due
accetterà mai.
-Ne
sei davvero così certa, cara? Saresti disposta a giurare che
il tuo bello non ha accettato la mia proposta?
Alice
lo fissa con aria di sfida.
-Ma
certo. Lui mi ama.
-Oh,
che meravigliosa ingenuità! L’amore è
davvero una benedizione divina! Ad ogni modo, cara, non
chiamerò le guardie. Farò esattamente come ho
detto. Le guardie? La prigione? Troppo facile. Siete venuti in casa mia
e avete cercato di derubare me. La mia offerta è fin troppo
generosa: permetto a uno dei due di rimanere vivo. A voi decidere chi.
Batte
leggermente le mani.
-Stupitemi!-,
esclama, gli occhi che brillano di una luce di eccitazione.
La Regina, con
un solo gesto, aveva sgombrato il salone. Alice non si faceva
illusioni, sapeva che di certo erano sotto tiro e al minimo movimento
falso si sarebbero beccati una pallottola dritta in mezzo alla fronte,
ma nessuno dei tiratori era abbastanza vicino per sentire i patti che
concludeva la Regina. In ogni caso, non era lei il loro obiettivo.
Ora si era
seduta dritta. Le mani stringevano forte il bordo del triclinio,
l’espressione era diventata dura, acuta. La Strega sembrava
leccarsi i baffi.
-Non ditemi
che potete procurarmene uno. Sarebbe una menzogna talmente grande che
vi farei decapitare qui, seduta stante. Tendo a perdere le staffe se mi
si prende in giro.
-Non potrei
procurarvene uno nemmeno se volessi, Maestà. Ma so chi
potrebbe aiutarvi a farlo. O almeno, ad arrivarci più vicino.
Alice era
rimasta stupefatta quando aveva saputo della Regina e del biglietto
d’oro. Non avrebbe mai pensato che la Regina, proprio la
Regina, la sovrana del Paese delle Meraviglie, colei che aveva tutto,
bellezza, denaro, potere, avrebbe voluto andarsene via. Si chiese cosa
le mancasse, e cosa sperasse di trovare, nel Paese che c’era
oltre lo Specchio.
La Regina si
alzò in piedi. Percorse gli scalini di marmo a piedi scalzi,
lo strascico del vestito rosso fuoco dietro di lei, i capelli come una
nuvola al tramonto. Si fermò di fronte alla Strega; la
sovrastava di parecchi centimetri.
-Parla, Gatta.
Nessuno
chiamava Gatta la Strega. Anche se l’impressione generale era
quella. Alice aveva sentito solo un’altra persona farlo, e
nemmeno direttamente a lei; ma d’altronde il Cappellaio
chiamava Lepre e Ghiro i suoi compagni, quindi forse la sua era
semplicemente una mania.
-Maestà,
umilmente… prima la mia informazione. Non ho intenzione di
fregarvi. So che non ne uscirei viva.
-Concesso-.
L’espressione della Regina tornò languida, il
sorriso morbido. Nonostante la situazione, l’impressione era
che La Strega si sarebbe messa a fare le fusa. Alice non le dava tutti
i torti; la Regina ipnotizzava. –Che cosa volete sapere?
-Bill la
Lucertola è tornato. E, se tanto mi da tanto, è
venuto qui. Non riesco nemmeno a immaginare che non abbiate voluto
vederlo di persona, Maestà, dopo tutti questi anni di
assenza… Cosa cerca? Come mai è qui? Dove si
nasconde? Ecco, se voi poteste dirmi qualcosa…
-Bill. Dovevo
immaginarlo che foste venuti per lui. Ebbene, sì,
l’ho visto. Avete fatto un bingo.
La Strega
sorrise e avvicinò il volto a quello della Regina.
–E…?
-E non mi ha
certo detto dove si nasconda, né quello che vuole. Non
è stupido. Ma so chi è il suo complice. Potreste
sempre…- La Regina guardò Tweedledee e
inarcò un sopracciglio –chiedere a lui.
La Strega
annuì. -È abbastanza-, decretò.
-Sì,
penso che lo sia. Ora, prima di dirvi il nome, dovreste dirmi qualcosa
voi.
Alice sapeva
bene che non era il denaro, il problema. La Regina ne aveva quanto
voleva. Il problema erano le referenze; l’acquisto di quel
biglietto era, per usare il termine che aveva usato Tweedledee la sera
prima, “più blindato della fica di una
suora”. Volevano solo cittadini candidi e immacolati, al
Paese che c’era oltre lo Specchio. E la Regina era rossa.
Decisamente troppo rossa.
-C’è
qualcuno che, dietro compenso naturalmente, ma su quello suppongo che
vi accorderete, può procurare documenti falsi che potrebbero
ingannare perfino i Controllori.
La Regina
aggrottò le sopracciglia e contrasse la mascella. Gli occhi
sembravano lampeggiare.
-Non farmi
perdere le staffe, Gatta. C’è una persona sola
capace di farlo, ed è…
-La Falsa
Tartaruga.
-Che
è scomparso tre anni fa!
La Regina
aveva afferrato la Strega per il bavero. Immediatamente tutti
scattarono, ma la Strega gli fece cenno di stare fermi. Alice era certa
di avere udito il click di sicure che
venivano tolte.
-Non
è scomparso, Maestà. Non precisamente scomparso. Si è
solo, diciamo, ritirato. Ma si da il caso che io sappia come trovarlo.
Bisogna sempre mettere da parte una buona informazione, no? Sapete,
perché può sempre esserci bisogno di una buona
informazione. Potrebbe piovere.
La Regina non
mollò. Le si avvicinò, naso contro naso.
-Lo sai?-, le
soffiò in faccia.
La Strega
avvicinò le labbra all’orecchio della Regina.
Adesso persino il Califfo aveva gli occhi sgranati come piattini da
tè.
Le
mormorò qualcosa all’orecchio. La Regina ebbe un
brivido.
La
lasciò andare.
-Il complice
di Bill è Humpty Dumpty, l’avvocato. Se la tua
informazione è falsa…
-Non dubito
che taglierete la testa a tutti noi, Maestà. Ora possiamo
togliete il disturbo?
-Secondo voi
perché vuole quel biglietto?
Il Califfo si
strinse nelle spalle. –Sei troppo curiosa. Non sono affari
tuoi.
Alice
sbuffò. Il Califfo la esasperava; sapeva che ad alcune
ragazze piaceva il suo fare distaccato, la sua pelle scura, i suoi modi
esotici e persino il fatto che fosse sempre perennemente circondato
dall’alone di qualcosa che stava fumando, ma per quanto la
riguardava trovava tutto questo snervante. D’altra parte, a
lui disturbava la sua, a suo dire, eccessiva curiosità;
Alice lo sapeva perché una volta si era degnato di farglielo
sapere, spiegandoglielo con estrema calma e il minor numero di parole
possibili.
-Cuccia, voi
due-. La Strega li guardò con finta severità.
–Non so perché voglia andarsene da qui, ma so che
è la cosa che desidera di più al mondo.
È questa la moneta di scambio più potente: sapere
cosa l’altra persona desidera di più al mondo, e
fargliela avere. O almeno, portarla più vicino.
-O farglielo
solo credere-, aggiunse Tweedledee. Che la cosa che desiderava di
più al mondo non l’avrebbe mai più
riavuta, e si rifiutava di accettarlo.
-Sì,
ma come facevi a sapere del biglietto?
La Strega
sembrò adombrarsi un attimo. Poi tornò sorridente
ed enigmatica come al solito.
-Diciamo che
una volta la conoscevo. Non che fossimo amiche, lei non ha amici, ha
solo sudditi; mi ha detto che la solitudine è un ventaglio
complicato, che devi aprire e chiudere con maestria.- Dopo averlo
detto, fece schioccare la frusta. Lo faceva ogni volta che qualcuno
diceva una frase particolarmente significativa, come per
sottolinearla. -Si è stancata di quel ventaglio,
credo.
-Oh. Pensa di
trovare amici, oltre lo Specchio?
La Strega
alzò le mani. –Non ne ho idea, Alice. Ma aveva un
ventaglio in mano, mentre lo diceva, ed era un ventaglio ingombrante.
Tutto di piume di pavone, sai. Non mi meraviglio che voglia liberarsene.
-Sì,
ma il Paese oltre lo Specchio? Se su quel treno scoprono che non
è in regola, poi non è che si limitano a
rimandarla indietro.
-Ognuno fa le
sue scelte. Anche tu le hai fatte.
-Io spero solo
che aspetti almeno che prendiamo la taglia di Bill, perché
adesso che l’abbiamo vista…
Il ghigno di
Tweedledee rese il finale della sua frase fin troppo esplicito. Il
Califfo li guardò un attimo, poi tornò a
concentrarsi sulla sigaretta che si stava rollando.
-Non importa
quanto tu vada lontano, non potrai mai allontanarti da te stesso-, fece
sapere.
La Strega fece
schioccare la frusta.
Alice
l’ha trovato, e lui le ha puntato la pistola contro. Ma Alice
è molto più brava di lui a sparare, lo sanno
entrambi. Anche lei gli punta la pistola contro, e si fissano negli
occhi.
Alice
lo sa che lui ha paura. Non sa se lei ha accettato o no il gioco del
reverendo. Persino lei in questo momento vacilla, non sa più
se davvero lui non le sparerebbe mai. Ma no, non deve pensarci. Non
deve lasciare che le parole del reverendo le avvelenino i pensieri.
-Non
ti voglio uccidere. Mi fido di te, noi non ci uccideremo.
Lui
la fissa. Aggrotta le sopracciglia. Si sente in trappola, Alice lo sa.
-Stavolta
decido io cosa faremo. Andremo noi stessi dalle Guardie, ci
costituiremo, e racconteremo quello che ci ha detto il reverendo.
Sconteremo la nostra pena, ma poi saremo liberi, scapperemo da qualche
parte e ricominceremo la nostra vita. Nessuno ucciderà
nessuno. Ti amo.
Lui
abbassa appena la pistola, il braccio gli trema leggermente.
-Dici
sul serio? Non vuoi uccidermi?
-No!
Guarda, abbasso la pistola. Vedi? Noi non ci uccideremo.
Lui
la guarda con sguardo incredulo. Alice lascia il braccio lungo il
fianco, e allora il suo sguardo si fa di nuovo caldo, quasi ribaldo.
Sorride.
-Temevo
che mi avresti tradito. Scusa se ho dubitato di te.
Lei
gli si avvicina, gli prende la pistola e le butta a terra entrambe,
vicine. Lo abbraccia.
-Le
lasciamo qui le pistole-, dice. -Saremo entrambi disarmati.
Humpty Dumpty
aveva una testa davvero strana: tanto per cominciare era enorme, in
proporzione al resto del corpo; inoltre aveva una forma ovale, ed era
totalmente priva di capelli. Nel complesso, sembrava un uovo. Alice,
che gli stava puntando il fucile alla nuca, ne era quasi affascinata.
-Voi non
sapete chi sono io… Non potete… Se mi farete
qualcosa, il Re lo verrà a sapere!
La Strega fece
un mezzo sorriso. –Il Re?
-Proprio
così! Il Re! Lui mi ha promesso… con la sua
stessa bocca… che manderà tutti i suoi uomini
se…
Tweedledee
ghignò.
-Allora
è proprio un peccato…-, disse, scrocchiandosi le
dita.
-Cosa?
È un peccato cosa?
Il Califfo
aspirò un anello di fumo. –Che il Re non sia qui,
suppongo. Dice le frasi a metà. Sa, è matto.
-Questa…
questa qui… Ferma!
Humpty Dumpty
stava agitando la sua cravatta. Alice spinse più forte il
fucile contro la sua nuca, e lui alzò di nuovo le mani.
-Me
l’hanno regalata il Re e la Regina. Vedete? Se mi torcerete
un capello…
-Non ce li
hai, i capelli. Vedi capelli, tu?-, chiese Tweedledee a nessuno di
preciso. Ghignò. –Infatti. Nemmeno il Re e la
Regina. Sono oltre lo Specchio, loro. Dici che verranno ad aiutarlo?
-Loro…
Il Re in persona me l’ha detto! Non sapete chi sono io!
-Nemmeno
secondo me. Dì, Tweedledum, dici che se tiro abbastanza
forte il braccio si stacca?
Humpty Dumpty
si guardò attorno, terrorizzato.
-Ma fermatelo,
non potete…
-Allora io di
qua, tu di là, al mio tre!-, esclamò Tweedledee,
afferrandogli il braccio.
-Il
Re… Il Re…
-Humpty
Dumpty sat on a wall-, cominciò
a canticchiare La Strega.
-Uno…
-Voi siete
pazzi! Smettetela immediatamente!
Il Califfo si
unì alla canzoncina. Tweedledee fece un sorrisetto.
-Humpty
Dumpty had a great fall.
-Credo che il
“due” sia appena stato sottointeso. Se fossi in lei
parlerei adesso, avvocato-, si sentì in dovere di chiarire
Alice. Dopotutto, era sempre stata una ragazza coscienziosa.
-All
the king's horses and all the king's men…
Tweedledee
aumentò la stretta. L’avvocato strillò.
-E
tr…
-Fermo! Va
bene, va bene, parlo! Bill avete detto, vero? Sì,
è passato da qui!
La Strega
sorrise, compiaciuta.
-E cosa vuole?
Perché è tornato?
L’avvocato
non rispose. Tweedledee si scambiò un’occhiata
dispiaciuta con nessuno.
-Per il
testamento! È tornato per il testamento!
Il sorriso
della Strega rimase fisso per un attimo. Batté gli occhi.
–Quale testamento?
A quel punto
Humpty Dumpty, nonostante la situazione, assunse
un’espressione sussiegosa e un tono professionale,
leggermente seccato.
-Il testamento
della Duchessa Brutta, no? La quale è deceduta una settimana
fa. Secondo le sue ultime disposizioni, il suo testamento
verrà portato al Tribunale Centrale e ivi aperto e reso
pubblico, in modo che l’erede possa farsi avanti.
-Ma la
Duchessa Brutta non ha un figlio?
-Suo figlio
non è l’erede. Potrebbe diventarlo, se soddisfasse
le condizioni richieste dal testamento, ma non lo è.
-Non lo
è? E come mai?-, chiese Alice, stupita.
-Perché
è un maiale.
-Intende dire
che…
-Quando io
dico una cosa-, ribatté seccamente l’avvocato,
-Intendo dire esattamente quello che ho detto. Suo figlio non eredita
perché è un maiale.
Il Califfo la
guardò e alzò gli occhi al cielo. Ad Alice venne
voglia di sparare a lui.
-E quindi Bill
cerca il testamento? Ma perché? Che c’è
scritto nel testamento?
-Naturalmente
non so cosa ci sia scritto nel testamento, non avendolo ancora letto,
non trovate?
-E allora
perché Bill lo cerca?
Humpty Dumpty
sbuffò. –Perché-, disse con tono
saputo, -se diventerà l’erede della Duchessa, non
sarà più un ricercato. Diventerà Duca
e si sa, i nobili non commettono crimini. Commettono solo piccoli,
divertenti
peccatucci.
-Quindi Bill
vuole il testamento, che ha lei?
-Ma certo che
no! Vi sembro un corriere, io? Uno che porta cose qua e là?
Sono un serio professionista! Persino il Re e la Regina…
Tweedledee
fece una specie di ringhio. L’avvocato si interruppe e
deglutì. La Strega gli fece segno di proseguire.
-Bill vuole
rubare il testamento, aprirlo, soddisfare le condizioni per primo e poi
presentarsi al Tribunale. E avrà bisogno di un avvocato per
fare sì che possa essere ritenuto l’erede
nonostante abbia aperto il testamento prima degli altri, ma ho
già studiato il caso e secondo il comma 24
dell’articolo 354 del Codice, Bill sarebbe comunque Duca. Ne
consegue che il furto e la violazione delle disposizioni testamentarie
sarebbero da considerarsi “peccatuccio”.
Naturalmente ha bisogno di un avvocato in gamba. E io, lasciando da
parte le false modestie, sono il migliore di tutti.
La Strega si
prese un attimo per assimilare le informazioni. Poi
rinfoderò la frusta.
-Bene-,
dichiarò. Possiamo ritenerci soddisfatti. Alice.
Lei
spostò il fucile dalla nuca di Humpty Dumpty, che
sospirò di sollievo.
-Quindi ora
cosa farete? Cercherete il testamento? Avrete bisogno di un avvocato, e
di uno bravo, perché…
Alice
guardò i compagni, perplessa. Si scambiarono tutti
l’identica occhiata.
La Strega
rise. –Come vedi, avvocato, non ce ne frega niente di
diventare duchi. È Bill che vogliamo.
Lui scosse la
testa, passandosi un fazzoletto sulla fronte sudata. –Voi
siete matti.
-Ma certo che
lo siamo, avvocato. Siamo tutti matti, qui. Ah, e tanto per essere
chiari: se dirà qualcosa a qualcuno riguardo a questa
piccola chiacchierata, se Bill lo verrà a sapere,
ecco… all
the king's horses and all the king's men/ couldn't put Humpty together
again.
Sono stata chiara?
L’avvocato
annuì, terrorizzato.
Rotola
via da sopra di lei, le da le spalle. Un raggio di luna entra dalla
finestra e lo illumina, come un ritaglio di luce bianca. Alice gli
accarezza la schiena sudata, le ali membranose del mostro tatuato, le
zanne acuminate, le unghie che sembrano penetrargli nella carne.
-Si
risolverà tutto, vedrai.
Lui
si volta verso di lei. Sorride.
-Certo
che sì.
La
guarda. Le accarezza il volto, le sfiora le spalle, il seno. Il cuore.
-Cosa
c’è?
-Sei
così bella. Voglio guardarti come se fosse
l’ultima volta.
Alice
arrossisce lievemente. –Non dire sciocchezze,
andrà tutto bene.
-Ne
sono sicuro.
Si
mette a sedere, le gambe fuori dal letto.
-Vado
a lavarmi. Dormi, domattina dobbiamo andare dalle guardie.
Alice
annuisce. Lo guarda chiudere la porta, sente il rumore
dell’acqua che scorre. Chiude gli occhi.
Come
se fosse l’ultima volta.
Li
riapre di colpo.
Magari
è solo un sospetto idiota di cui si vergognerà
terribilmente. Anzi, di certo lo è. Si sente stupida mentre
si veste in fretta, mentre sistema le coperte in modo da dar loro la
forma di un corpo, Jabberwock ci rimarrà malissimo, forse
non deve farlo, lei si fida di lui… L’acqua smette
di scorrere.
Alice
decide di colpo. Si nasconde. Deve sapere. Deve essere sicura.
Lui
esce, ha un braccio nascosto da un asciugamano.
Le
batte il cuore talmente forte che pensa che lui possa sentirla. Invece
no. Non la sente anche se fa pianissimo, si avvicina al letto senza
fare rumore. E alza il braccio, quello coperto
dall’asciugamano. La luna illumina la lama di un coltello.
Alice
scappa via velocissima, mentre lui pugnala il cuscino.
Sapevano chi
aveva il testamento.
O meglio,
c’era una sola persona a cui poteva essere stato affidato il
compito di portarlo fino al Tribunale Centrale, e questa persona era
mr. White.
Mr. White
viveva in una graziosa villetta ai margini della foresta, che teneva
sempre immacolata con l’aiuto di una domestica, e di mestiere
faceva il corriere in tutto il territorio. Se c’era qualcosa
da trasportare, si chiamava lui. Persino la Regina si serviva di lui.
Conosceva il territorio come le proprie tasche, ed era un maestro
nell’arte della fuga rocambolesca. Inoltre, nonostante le
difficoltà, le sue consegne erano sempre puntuali.
Quando gli
erano piombati in casa, si era agitato all’inverosimile.
Aveva chiamato Marianna, la domestica, poi si era ricordato che era
tornata al suo paese per assistere una zia malata e si era agitato
ancora di più. Quando poi gli avevano detto il motivo della
loro visita gli era quasi venuto un infarto, e avevano dovuto farlo
sedere, sventolarlo e dargli un sorso di brandy per farlo riprendere.
Alla fine aveva acconsentito a farli stare in casa sua a guardia del
testamento; se Bill voleva rubarlo avrebbe potuto farlo solo quella
notte, prima che lui partisse per portarlo al Tribunale Centrale. Aveva
tentato di chiedere in che modo di preciso pensavano di prenderlo, e la
Strega aveva risposto ghignando “segreto
professionale”. Il che, Alice lo sapeva, voleva dire che non
ne aveva la più pallida idea.
Alla fine, si
era deciso che “meglio due cose che una sola”.
Alice era in posizione, col fucile di precisione incastrato tra una
serie di soprammobili, praticamente invisibile al buio. Nella stanza,
anche La Strega e Tweedledee si erano nascosti, lei in una
graziosa cassapanca e lui sotto al tavolo, coperto fino al pavimento da
una lunga tovaglia di damasco. Sopra di lei, esattamente nel punto in
cui Bill si sarebbe dovuto mettere per scassinare la cassaforte di mr.
White, il Califfo stava sicuramente fumando qualcosa nonostante le
bombe che aveva posizionato. Alice si chiese cosa ne avrebbe pensato
mr. White quando si fosse accorto che il piano prevedeva che una parte
di soffitto cadesse in testa a Bill; magari lo avrebbero risarcito con
i soldi della taglia.
Si poteva dire
che mr. White fosse stato il suo primo datore di lavoro. Anzi, in un
certo senso, se adesso Alice era lì era perché
aveva seguito mr. White. O meglio, era saltata a bordo della sua
diligenza e gli aveva proposto di lavorare per lui e difendere la merce
in caso di attacco di predoni; al suo ovvio rifiuto Alice non si era
arresa, tanto più che mr. White era in ritardo per la
consegna e la cosa lo agitava come non mai. Poi effettivamente i
predoni erano comparsi e, anche se mr. White avrebbe potuto cavarsela
semplicemente accelerando l’andatura della diligenza, Alice
li aveva sul serio fatti arrestare; e così mr. White si era
sentito in dovere di pagarla. Poco, ma era stato pur sempre un lavoro
pagato.
Un lieve
rumore la distolse dal ricordo. Alice si mise all’erta, per
cercare di capire da dove provenisse; il camino, sembrava arrivare dal
camino. Si disse che era davvero un’idea scema calarsi
giù per un camino, poi si rese conto che era il camino di
Mr. White, l’uomo più precisino e ansioso che lei
avesse mai visto, e che probabilmente lo faceva pulire un giorno
sì e uno no. Anche adesso che era quasi estate.
Appena
finì il pensiero, un paio di stivali pitonati spuntarono
giù dalla cappa. Erano di quelli col tacchetto e la suola di
cuoio, ma incredibilmente non fecero nessun rumore quando Bill li
appoggiò a terra. Era lungo, magro, e con un gusto
terrificante per i capi di abbigliamento a scaglie. Ricordava parecchio
una lucertola, in effetti.
Sempre senza
far rumore, Bill si guardò intorno, con i suoi occhi tondi,
da rettile. Alice trattenne il fiato. Apparentemente soddisfatto, Bill
individuò un muro che sembrava piacergli più
degli altri e cominciò a picchiettarci sopra in diversi
punti con le nocche, molto attentamente. Riusciva a fare in silenzio
persino questa operazione. Arrivato vicino a un tavolino elegante con
un bel vaso di fiori, la sua espressione si fece più
concentrata. Poi sorrise. Ruotò lentamente lo specchio
fissato al muro sul tavolino, senza staccarlo, ma bloccandolo col vaso.
Fece scorrere le dita sul muro, come se accarezzasse il corpo di una
donna, poi a un certo punto, come se quel corpo cedesse, tolse un
quadrato di parete bianca e lo appoggiò ai suoi piedi,
contro la gamba del tavolino. Aveva trovato la cassaforte.
Era quasi il
momento.
Bill aveva
già le lunghe dita appoggiate alla cassaforte; era
concentratissimo, il momento migliore. Alice appoggiò
l’occhio sul mirino e inspirò.
In quel
momento l’orlo della luna spuntò dalle nuvole. Un
raggio entrò dai vetri della finestra, facendo baluginare le
canne del fucile di Alice, che si rifletterono sullo specchio. Alice
sparò, ma un attimo troppo tardi; Bill si era già
buttato di lato.
In quel
momento il soffitto detonò.
Quando Alice
smise di tossire e riuscì ad aprire gli occhi, Bill era
attaccato al lampadario e stava cercando di dondolarsi verso il buco
nel soffitto. Lei alzò il fucile, ma La Strega fu
più veloce e riuscì ad avvolgergli la frusta a
una caviglia. –Tienimelo lì!-, esclamò
lei. Solo che Tweedledee si era già aggrappato alla frusta :
con uno strattone tirò giù Bill e lampadario,
mandando ancora una volta a vuoto il colpo di Alice.
Ricaricò
velocemente il fucile. Non poteva sparare mentre Tweedledee cercava di
tenerlo bloccato a terra, avrebbe rischiato di colpire lui; comunque,
Tweedledee gli aveva assestato un paio di cazzotti niente male, quindi
forse non ci sarebbe stato bisogno di altri interventi. Come a volerla
smentire, Bill riuscì a girarsi su se stesso quel tanto che
gli permise di afferrare i resti del vaso e spaccarlo in testa a
Tweedledee, che per un attimo allentò la presa. Fu
sufficiente. Bill scivolò fuori dalla stretta e si
lanciò verso la finestra. Per la terza volta Alice
alzò il fucile, e per la terza volta venne interrotta.
Stavolta era stato il Califfo che, vedendo il buco sul pavimento e Bill
saltellare sotto di lui, aveva ben pensato di fermarlo gettandoglisi
sopra. Non servì a molto, era troppo strafatto per
rappresentare una seria minaccia. Bill se lo scrollò di
dosso in un attimo, evitò con una specie di piroetta la
frusta della Strega, saltò su una sedia che
lanciò addosso a Tweedledee che cercava di seguirlo, si
lanciò giù dalla finestra e dondolandosi tra
davanzale e grondaia riuscì ad arrivare a terra illeso,
ammortizzando l’impatto girando un paio di volte su se
stesso. Poi prese la via della foresta.
Tutti si
precipitarono alla finestra, Alice urlò di farle spazio, ma
il Califfo la fermò con un braccio.
-Gli ho messo
una bombetta nella giacca-, annunciò accendendosi una
sigaretta. –Tra un po’ lo andremo a raccogliere a
pezzi.
A quel punto
successe una cosa strana.
Bill, come se
avesse sentito, si fermò un attimo e mosse le spalle. Poi si
tolse la giacca pitonata con un unico movimento fluido, da
contorsionista, la lasciò nel cortile e si mise a
correre verso il bosco.
- Lasciami!
Posso ancora prenderlo. - Alice gridò in faccia al Califfo e
tentò un colpo.
Ma la bombetta
sulla giacca esplose, e la nuvola di detriti nascose Bill, che
scomparve tra gli alberi.
-Qualcuno mi
spieghi come cazzo ha fatto.
La Strega si
strinse nelle spalle e si tolse un po’di intonaco dalla
giacca nera. –Eludere la cattura è la sua
specialità. Lo sapevamo che non sarebbe stato facile.
-Sì,
ma quello l’ha sentito, cazzo! Era nel cortile e
l’ha sentito!
Il Califfo si
era seduto sul divano a gambe incrociate, spostando i calcinacci, e
fumava placidamente. –Cosa volete, è la vita. Un
giorno si vince, un giorno si perde.
La Strega
lasciò perdere l’intonaco e fece schioccare la
frusta.
Alice
pestò un piede per terra. –Finiscila con queste
stupidaggini. Sarebbe morto, se tu mi avessi lasciato sparare invece di
buttarti sopra di lui. Tanto sei strafatto, cosa credevi di fare? E la
tua bombetta sulla giacca. Utile. Potevo avergli sparato due volte, ma
no, le tue stupidaggini da drogato rovinano sempre tutto!
La Strega si
voltò verso di loro, incuriosita. Tweedledee
ghignò assieme a qualcuno che non c’era ma
sembrava trovare divertente la situazione.
-Oh, ci siamo
arrabbiati tanto…- Il Califfo soffiò il fumo
verso Alice. Aveva un odore dolciastro. –Non ce
n’è bisogno. Quel che è stato
è stato, il Tempo non si riavvolge.
La Strega fece
schioccare la frusta di nuovo, e questo non fece che esasperare Alice.
-È
per colpa sua che adesso non stiamo andando a incassate la taglia,
almeno vi è chiaro questo, o abbiamo tutti il cervello
ottenebrato come il suo?
Il Califfo non
si scompose. Guardò la brace della sigaretta con aria
indifferente.
-Alice, non
agitarti. Non ha senso litigare tra noi. Siamo una squadra. Avremmo
perso la taglia, ma ha vinto l’amicizia.
Alice
diventò paonazza. –Sei… sei
un… un… non riesco nemmeno a trovare una parola
adeguata, e
tu non provarti a far schioccare quella maledetta frusta!
La Strega, che
era già in posizione, mise giù la frusta ridendo
come una matta. Anche Tweedledee scoppiò a ridere, e poi il
Califfo, e Alice suo malgrado non riuscì a trattenersi da
ridacchiare anche lei.
Poi La Strega
ridivenne seria. –Che casino. E adesso chi lo sente, mr.
White?
Si
è rifugiata da lui. Che le propone una tazza di
tè, come se fosse la medicina a tutti i mali del mondo.
Non
riesce a parlare, ha un nodo alla gola che fa talmente male, da
piangere. La Lepre le imburra una fetta di pane tostato, e il Ghiro le
dice di prendere fiato.
-Comincia
dall’inizio-, le suggerisce, -E arriva alla fine.
Dopodiché, fermati.
È
un consiglio sensato. Alice lo segue. La Lepre mormora qualcosa che ha
a che vedere col fatto che tutti gli uomini sono teste di cazzo,
esclusi i presenti, si capisce.
Ma
il Cappellaio la zittisce.
-Puoi
ucciderlo, o morire. Sembra facile. Se lo uccidi saremmo rivali,
piccola Alice. Sarebbe divertente! Ma di chi è in
realtà la scelta? Del reverendo Dodgson? O di Jabberwock,
che ha scelto di tradirti? Tu hai scelto di non farlo. Quindi, se
decidessi di ucciderlo, non sarebbe una tua scelta. Sarebbe la scelta
di Jabberwock.
-Piantala
con queste cazzate-, lo interrompe la Lepre. -È una cosa
seria.
Il
Ghiro si è addormentato. Capita, ogni tanto. Cade
addormentato e non può farci niente.
-Certo
che lo è. Nessuna scelta è indolore. Scegliendo,
uccidi una possibilità. Ma puoi dare vita ad
un’altra. Nessuna nascita è indolore. Cosa farai,
Alice? Lascerai la scelta agli altri, o sceglierai tu? Prendi un altro
po’di tè.
Alice
tira su col naso.
-Non
ne ho ancora avuto. Perciò non posso prenderne un altro po'.
-Vorrai
dire che non puoi prenderne di meno-, disse il Cappellaio. -Ma
prenderne più di niente è molto facile.
-Sembra
un discorso sconcio-, sbuffa la Lepre, versandole il tè
nella tazza.
Il primo
infarto, mr. White lo rischiò quando vide le condizioni
della sua villetta. Il secondo dopo aver detto la frase
–Quando Marianna tornerà e si renderà
conto di dover pulire tutto chiederà di sicuro il
licenziamento!
Alla promessa
di risarcirlo una volta intascata la taglia di Bill sembrò
riprendersi, anche se continuava a ripetere “la mia
casa… le mie rose…” ininterrottamente.
-Può
sempre approfittare di quella buca per piantarne altre, mr. White-,
provò a suggerire la Strega.
-Rose rosse-,
precisò il Califfo.
-Rosse, come
piacciono alla Regina. Lo sapete di quella volta che le hanno piantato
rose bianche nel suo roseto, e lei…
-Basta!
-Giusto,
torniamo alle cose serie. Mi mostri il percorso che ha intenzione di
fare.
-Ma
che…
-Il percorso!
Non posso credere che non abbia una mappa su cui ha pianificato
attentamente il percorso, no?
-Sì,
ma perché dovrei farvi proseguire oltre? Mi avete
già distrutto mezza casa!
-Perché
in alternativa le conviene dare il testamento direttamente a Bill,
senza nemmeno scomodarsi a partire. La mappa, per favore.
Mr. White
sembrò rassegnarsi. La Strega studiò la strada;
passava attraverso la foresta, sulla strada che correva più
o meno parallela al fiume. Picchiettò su un punto.
-Se Bill
attaccherà, probabilmente attaccherà qui.
Perché ci passano le rotaie che portano sul ponte e oltre al
fiume e dobbiamo necessariamente rallentare, se abbiamo sfortuna
potrebbe anche passare il treno. Quindi è qui che dobbiamo
stare attenti e aumentare la sorveglianza. Chiaro? Ora andrei a fare un
bagno, sono distrutta.
-E questo
sarebbe il piano?
La Strega
fissò Mr. White come se fosse un bambino. –Bill
cercherà di prendere il testamento, noi cercheremo di
prendere Bill. Non è che ci siano molte
possibilità. E credo che dovremmo farlo tutti, un bagno.
Mr. White
sbuffò, ma non ebbe scelta. Alice ne fu molto contenta
perché, a differenza di Tweedledee che aveva accennato una
protesta mozza, aveva proprio voglia di rilassare i muscoli. Fu solo
quando entrò nella piccola stanza da bagno che
capì l’insistenza della Strega: il piano vero era
scritto sullo specchio, e spariva e compariva col vapore. Se anche Bill
fosse tornato per spiarli, non l’avrebbe mai scoperto.
“T.
e C. sulla diligenza. A. appostata al ponte.”
La diligenza
percorse l’ultima curva, poi cominciò la salita
che portava alla radura prima dei binari. Mr. White era teso come una
corda di violino, il Califfo fumava pigramente, con aria distratta.
La salita
finì. C’era un ultimo tratto di strada e poi i
binari, che già si vedevano scintillare sotto il sole. La
Strega doveva essere in posizione, più avanti, con un finto
testamento. Il Califfo fece finta di cercarla con lo sguardo.
Invece vide
un’altra cosa.
Un punto di
terra appena più scuro, sulla strada. Più fresca.
Proprio dove stavano passando loro.
-Ferma!-,
gridò. Mr. White si girò verso di lui con gli
occhi sbarrati. Vedendo che no, non si sarebbe fermato, gli avrebbe
dovuto prima spiegare con calma il perché, il Califfo si
buttò sulle redini e fece sterzare violentemente la
diligenza.
Che, invece di
prendere in pieno l’esplosione, la prese da un lato,
capovolgendosi ai lati della strada.
“Alle
rotaie, io fingo di avvicinarmi. Facciamo credere a B. che mi affidiate
il vero testamento. IMPORTANTE: fingere di essere prudenti, deve
credere di aver scoperto un inganno e inseguirmi.”
Invece di
prendere l’esplosione da davanti e ruzzolare giù
per il pendio, la diligenza si era ribaltata su un fianco. Questo prese
completamente alla sprovvista Bill, che aspettava pacifico di
raccogliere il testamento tra pezzi di legno e cadaveri, in fondo alla
discesa.
Corse su per
il pendio, ma così facendo perse attimi preziosi; fece in
tempo a vedere in mezzo al fumo e alla polvere la Strega che, dai
cespugli, sembrava cercasse qualcosa. Ignorando i compagni. La vide
svicolare di nuovo tra i cespugli, non si spiegava il suo comportamento
strano, poi si bloccò un attimo a metà salita.
Uno scambio! Gli stronzi volevano fare allontanare la Strega col
testamento vero, in modo che lui si concentrasse sulla diligenza, ed
evidentemente la sua bomba aveva mandato all’aria almeno il
loro piano; lei non era riuscita a fare le cose di nascosto come
avrebbe voluto. Bill ghignò e poi si lanciò
all’inseguimento della donna, tra gli alberi. Era un uomo
fortunato, lo sapeva. Lo era sempre stato.
Non
può tornare a prendere la pistola, Jabberwock se lo
aspetterà, se non è già tornato a
prenderle lui. Deve trovarne un’altra, è a questo
che sta pensando, mentre si rigira il braccialetto attorno al polso.
È allora che capisce cosa deve fare.
Acquamarina,
topazio, quarzo, ametista. I suoi colori.
Ormai
è un bel braccialetto. Vale dei soldi. Non abbastanza per
fuggire, ma abbastanza per un fucile, non un gran fucile, certo, ma a
lei basta.
Esce
dal negozio dell’armaiolo molto più scura.
È
fredda, professionale nel cercarlo, nel trovarlo, nel non farsi vedere.
Sarà un’ottima cacciatrice di taglie.
Non
è vero che non ha scelta. Se adesso arrivasse il reverendo
Dodgson a dirle che no, era solo un gioco, non c’è
nessun bisogno che qualcuno si faccia male, Alice premerebbe il
grilletto lo stesso. Non vuole l’inganno. Non vuole i colori.
Vuole un fucile, una licenza, una vita in cui si uccide e si rischia di
venire uccisi, ma a carte scoperte. La vuole a pagamento.
Non
vuole avere bisogno di nessuno che le regali sogni e colori. Non
è felice, non sa quando lo sarà di nuovo. Forse
mai, ma è inutile pensarci adesso. Adesso sa quello che deve
fare.
Quello
che vuole fare.
Alice
guarda nel mirino del fucile.
La
testa di Jabberwock è proprio lì, circondata dal
tondo nero del mirino. Sta perfino fermo.
Alice
prende un respiro, e poi preme il grilletto.
Il
cappello vola via mentre la testa esplode.
“A.,
lo porto al ponte. Aspettaci lì e SPARA!”
Sua sorella,
quando Alice era piccola e lei ancora non era sposata e si preoccupava
della sua educazione, diceva sempre che si distraeva troppo. La
realtà era che Alice si distraeva perché sua
sorella insisteva nel leggerle libri cosiddetti educativi, noiosissimi
e senza neanche una figura. Invece aveva scoperto che appostarsi in un
posto le piaceva. Era una specie di sensazione mista tra batticuore e
adrenalina, che la faceva stare tesa e all’erta, e
contemporaneamente di calma e immobilità, fino al momento in
cui tutto questo grumo di sensazioni contrastanti esplodeva assieme
allo sparo. Dopo un appostamento, Alice si sentiva euforica, appagata e
indolenzita. Come dopo che aveva fatto l’amore.
Però
ci stavano mettendo un sacco di tempo. Troppo. Forse qualcosa era
andato storto.
Alice si
impose di resistere alla tentazione di andare a controllare. Gli
appostamenti erano anche quello, sembrava durassero sempre troppo, e
non si poteva sapere se sarebbe andata bene, bisognava solo avere molta
pazienza e molta fiducia.
Sanno
fare il loro mestiere. Devo solo avere fiducia.
Alice non era
molto brava a dare fiducia alla gente. Non più almeno. Ma
non aveva scelta. Se se ne fosse andata un minuto prima che arrivasse
Bill, sarebbero stati guai seri. I minuti colavano uno dopo
l’altro. Sarebbe stato bello essere padroni del Tempo,
pensò Alice. Accelerarlo, rallentarlo. Bloccarlo, a volte.
Riavvolgerlo, saltarne dei pezzi… doveva dirlo a qualcuno, era una riflessione interessante. Improvvisamente
sentì un fruscio. Tornò lucida, concentratissima.
La Strega era schizzata fuori dagli alberi, aveva imboccato il ponte, e
dietro di lei…
Alice lo vide
all’ultimo, sembrava mimetizzato tra gli alberi della
foresta, nonostante stesse correndo. Bill la Lucertola si
fermò un attimo per estrarre una pistola; ora che La Strega
era scoperta riteneva più sensato spararle. Non
c’era un attimo da perdere.
Alice
mirò, fece un respiro e…
Non
ho premuto il grilletto.
Eppure il
cappello da cow-boy di Bill volò via, mentre la testa
esplose.
-Ti avevo
convocata qui più di due ore fa.
-Davvero? Sono
desolata, Maestà. Il Tempo fugge. Sarebbe bello poter
imbrigliare il Tempo e costringerlo a fare quello che vuoi, no?
Perderlo, ammazzarlo, trovarlo…
-Queste
sciocchezze mi fanno perdere le staffe e potrei farti tagliare la
testa, con quel bel cappello che ci hai messo su. Proprio bello, a
proposito.
-Non si
può far tagliare la testa a qualcuno che non ce
l’ha, Maestà. Non si otterrebbe un bel niente-. La
Strega sorrise e si toccò la tesa del cappello color
lavanda. -È un regalo. Un regalo a metà tra un
gesto di scuse e una presa in giro… non sanno farli tutti,
regali così ambigui. Per questo è un bel regalo.
-Te lo sei
fatto scappare. Io ti ho aiutato a prendere Bill, e tu te lo sei fatto
soffiare sotto il naso. Da uno che non ha nemmeno l’abitudine
di venire qui a spendere il suo denaro.
-Il tuo aiuto
è stato pagato, Maestà. Non ci sono debiti tra
noi.
-È
di questo che devo parlarti. La Falsa Tartaruga. Devo rintracciarla, e
tu mi aiuterai.
La Strega
sorrise di nuovo. Si avvicinò alla regina e si
alzò sulle punte dei piedi, per guardarla meglio negli occhi.
-Come ai
vecchi tempi?
La Regina
sorrise di rimando e le accarezzò una guancia, portandole
una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio.
-Come ai
vecchi tempi.
Questa volta
l’aveva cercata lui.
Aveva i
capelli spettinati, come al solito, nonostante l’elegante
cappello a cilindro, e qualche filo grigio sulle tempie rispetto
all’ultima volta. Ma aveva sempre il solito sorriso un
po’da matto, e le rughette attorno agli occhi luminosi.
Nonostante la rabbia, Alice si ritrovò a pensare che, la
prima volta in cui si erano visti, lui doveva avere più o
meno l’età che aveva lei adesso.
-Spero che tu
ti stia godendo la taglia che ci hai rubato.
Lui si tolse
un granello invisibile di polvere dall’elegante panciotto
sartoriale, prima di risponderle.
-Scherzi,
vero? Te l’avevo detto che saremmo stati rivali. Ed
è divertente. E il nostro lavoro consiste in questo: rubarci
le taglie.
-Da quanto ci
seguivi?
Lui ci
pensò un attimo.
-Da dopo che
ci eravamo incagliati.
-E
cioè?
-Su cosa
volesse Bill. Se avesse complici. Poi la Gatta è tornata
dalla sua padrona, e ho capito che gatta ci covava.
-È
la battuta peggiore che abbia mai sentito. E i gatti non hanno padroni.
-No, ma ad
alcuni fanno più fusa che ad altri. A quel punto
perché fare fatica, se potevamo limitarci a farla fare a voi
e raccogliere i frutti?
-E se il
nostro piano non avesse funzionato?
-Pazienza. Ma
avevo fiducia in voi.
-E io pensavo
di poterne avere in te!
Lui si
mostrò offesissimo. –Ma puoi! Non desidererei mai
di vederti morta! Ma non confondere lavoro e fiducia. Non porta da
nessuna parte e fa perdere la testa. O forse una volta che non confondi
più lavoro e fiducia è segno che ormai
l’hai persa del tutto. Non saprei.
-Dovrei
pensarci su, a tutto questo. Sono arrabbiata.
-Oppure
potresti smettere di pensarci su, Alice. Pensi a troppe cose e sono
tutte passate. Quando è stata l’ultima volta che
hai guardato un gatto?
-Cosa?
-Un gatto. La
prima volta che ti ho vista guardavi i gatti. Ci parlavi anche.
-Parlavo con
Dinah. Era la mia gatta. E comunque è morta.
-Capita a
tutti. Non hai risposto alla mia domanda.
Alice
sbuffò.
-Parlo sempre
con la Gatta, come la chiami tu. Guardo lei. Va bene?
-Non mi piace
vederti con le occhiaie. La prossima volta che ti vedo, niente occhiaie
e un bel cappello. E dovresti farti tagliare i capelli-, le disse,
prendendole una ciocca tra le mani.
-Tu non
dovresti fare osservazioni personali-, disse Alice un
po’ severa; -è sconveniente.
-Ti do io
qualcosa a cui pensare. Un indovinello. Cos’hanno in comune
un corvo e uno scrittoio?
Alice
sospirò. –Entrambi hanno le penne.
Lui assunse
per un momento un’espressione costernata. –Hai
ragione! Non ci avevo mai pensato! In tre a scervellarci, e poi arrivi
tu e in un attimo trovi la risposta!
-Possiamo
concludere questa conversazione? È stato un vero piacere.
-Prima devo
darti un regalo. Ne ho spedito uno a ognuno di voi, ma il tuo volevo
dartelo personalmente.
-Sono davvero
lusingata, ma non credo di voler accettare un…
Il Cappellaio
le mise in testa un cappello di paglia, leggero, con un bel nastro
azzurro di raso e qualche piccolo nontiscordardimè di
stoffa, così precisi che sembravano veri. Le diede un bacio
sulla guancia.
-Niente
occhiaie. E un bel cappello.
Poi si
allontanò, fischiettando.
Note:
Storia
scritta per il compleanno di Jo
Lupo; sono
in ritardo, in ritardissimo, la Regina mi taglierà la testa
e ormai è un non-compleanno da un pezzo. Ma spero che mi
perdonerà!
La traduzione della
citazione iniziale è “Alice non guarda
più i gatti/ ma guarda nel mirino del fucile./ Alice ha
speso i colori che aveva/ e adesso è più scura
dei suoi occhi./ Ha noleggiato anche lei il suo pezzo
d’inferno/ insieme ai suoi colleghi col fucile/ “se
vedi per caso il Cappellaio Matto/ digli che la scelta è
stata mia/ in questo paese non vedo meraviglie/ ma solo la strana
poesia/ del calderone della Strega”, dalla canzone
“El calderon de la stria” di Davide van de Sfroos.
La festeggiata l’aveva definita la strofa preferita della sua
canzone preferita dell’album, e così ho pensato di
usarla come prompt; da lì la situazione mi è
completamente sfuggita di mano e la storia si è popolata di
pirla personaggi. A proposito, sondaggione (che avrà
partecipanti in numero di 3, suppongo): chi è il vostro
personaggio preferito tra quelli che appaiono? Sono curiosa! Ah, so che
è superfluo dirlo, ma è tutto liberamente tratto
dai vari “Alice nel paese delle meraviglie” che
esistono, ovviamente il libro ma anche il cartone Disney e in misura
moooolto minore il film. Tutta la storia è disseminata di
citazioni, non ve le sto a elencare tutte; se trovare una frase
particolarmente bella o uno scambio di battute molto riuscito, sappiate
che al 99% è di Carroll. Tuttavia non ho voluto scrivere un
racconto filologico: i personaggi, le rielaborazioni eccetera sono
andate esclusivamente a ispirazione e sentimento. Citazioni extra: il
biglietto d’oro ovviamente non è mio, ma neanche
di Carroll, anche se in questo caso non c’entra la
cioccolata. “La solitudine è un ventaglio
complicato che devi aprire e chiuder con maestria”
è una strofa della stessa canzone che fa da prompt alla
storia. A proposito di canzoni: ho lasciato in inglese quella di Humpty
Dumpty perché nessuna traduzione mi soddisfaceva abbastanza.
Ne metto una a caso qui: “Humpty Dumpty sedeva su un
muro./Humpty Dumpty fece una bella caduta./ Tutti i cavalli e tutti gli
uomini del Re/ non poterono mettere Humpty di nuovo insieme”.
EDIT: Se
qualcuno volesse ritrovare il povero Bill vivo e vegeto, la mia beta e
amica Vannagio ha scritto uno spin off su di lui: si chiama "La
grande partita" e vi consiglio di leggerlo, amarlo e poi
maledirmi per averlo ucciso.
Ora i ringraziamenti:
essendo questa una storia fatta ampiamente col metodo Ferretti,
ringrazio le mie meravigliose sexy assistenti alla regia: OttoNoveTre (smarmella!), con la quale
è germogliata l’idea e alla quale ho rotto le
palle abbestia, e Vannagio, alla quale anche ho rotto le
palle abbestia ma ha già una ship del cuore e la cosa mi
rende molto felice. Ragazze, credo che senza di voi sarei perduta,
siete preziose e insostituibili. Un ringraziamento speciale va a IlMalee, che tra una madonna e
l’altra mi ha aiutato moltissimo a definire alcuni
punti della trama (anche se voleva far stuprare Alice, ma non
gliel’ho permesso).
E naturalmente grazie
a tutti quelli tra voi che arriveranno in fondo, leggeranno e
apprezzeranno la mia versione del mondo di Alice… a voi
tutti grazie mille!
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