ambivalenze epilogo
Vorrei mettere il
commento all'inizio, così potrete terminare la pagina con
l'ultimo, brevissimo capitolo. Ora che lo rileggo mi accorgo di quanto
sia stato inconsistente eppure in un certo senso essenziale per tutta
la storia... E' un capitolo che non dice niente, perché è
tutto concluso, ma è forse il più introspettivo... non lo
so. La poesia è di Keats, ed è una specie di
Verità per me, nonché per Lelio. La parte in corsivo sono
i miei veri appunti di inglese, ormai vecchi di tre anni quasi. Che
dire... doveva finire così e basta. Il disegno di Cea. Il
momento in cui Lelio lo vede come la cosa più bella del mondo.
End.
Sono molko
dispiaciuta di averci messo così tanto ad aggiornare. Ma questa
volta non accamperò scuse tipo il computer, il tempo, la scuola
e bla bla bla. La verità è che non avevo intenzione di
finire Ambivalenze solo dopo aver terminato di scrivere la mia nuova fan fiction e
così è stato. Presto la vedrete. E poi mi dispiaceva...
l'ultimo capitolo è sempre un piccolo dispiacere, ecco.
Per il resto ringrazio tutte le persone che hanno letto, e tutte le persone che hanno commentato. Ringrazio in particolare Manny-chan [voilà,
l'ultimo, il decisivo capitolo. Grazie del supporto per tutti questi
mesi, ti sono tantissimissimo riconoscente!]e Chloe 90
[qualsiasi cosa sia successa nella tua testa sono sicura che questo
capitolo non causerà scompaginamenti... vale lo stesso
ringraziamento di Manny-chan, grazie millissime per il tempo che hai
sprecato con la fic] che mi hanno ricensito per ultime. Un grazie anche
alle persone che volontariamente o no hanno ispirato questa fic, anche
quelle che oggi, dopo tanti anni, non fanno più parte della mia
vita.
Una poesia malinconia; una chiosa di spiegazione; una contemplazione
emozionante. Un’icona da incastonare
I.
“Beauty is truth,
truth beauty, - that is all
ye know on earth, and
all ye need to know.”
[Keats, Ode On A Grecian Urn]
Lelio aveva dormito per tutto il
pomeriggio, e allora non riusciva a prendere sonno. Non si era nemmeno
coricato. Era uscito sul balcone, aveva guardato il cielo coperto inclinando un
po’ la testa, come faceva quando si compiaceva delle sue visioni, ed era
tornato in camera pieno di freddo e di pensieri intangibili, soffusi, delicati.
A volte si stupiva delle corrispondenze perfette che poteva scorgere tra le
architetture della sua mente ed i caotici disegni delle stelle – e poi, il
cielo rappresentava il più ampio teorema della sua dottrina estetica.
Lelio aveva avuto una sorta di
illuminazione, quella mattina. Aveva letto delle righe che lo avevano fatto
sussultare e l’avevano riempito di una certa contentezza. Aveva cercato Mircea
e gli aveva detto con lo stesso tono di un bambino: “Ehi, guarda che cosa ho
trovato!”, ma nella sua testa pensava: tutta questa poesia, senza nemmeno
saperlo, e senza le rime o le assonanze, o la metrica, o le figure retoriche, era
già incisa nella mia testa. Di questo si era stupito non poco. Era giunto alla
conclusione che è molto difficile pensare originalmente, e che le idee, le
fedi, i concetti e le meditazioni, funzionano un po’ come l’energia: sono
regolate da una legge simile all’entropia –
viaggiano nel vento, raggiungono ogni persona che sia predisposta a farnsene
ricettacolo, si mantengono costanti nella loro quantità nei secoli, e, per
qualche inspiegabile decadimento, degradano progressivamente e con lentezza perdendosi
nel nulla irrisolto della materia morta.
In fondo la bellezza non
l’aveva inventata lui, e non solo lui l’aveva vissuta. Quel poeta aveva
ventidue anni, quando l’ispirazione, Adonai,
sospinse la sua mano sulle sudate carte componendo la sua Ode più bella, il
capolavoro dell’immortalità nell’Arte. Ma, forse, poteva capirla, poteva intuirla in
una maniera più profonda di
chiunque altro si approcciasse al suo scritto, perché
l’aveva rivissuta e
rielaborata nella sua stessa Immaginazione. Questo gli mostrava nuovi
gradi di perfezione, nuove sfumature, nuovi splendidi risvolti in una
teoria ambivalente,
piena di luci e di ombre, di esaltazione e di dolore soffuso, steso
delicatamente
come lo sfondo nero delle urne greche.
Scrisse un appunto veloce sul
libro –
Nuova
dimensione dello
spirito. Le figure incise sull’urna appartengono al mondo
immortale. Nella loro
immobilità cristallizzata contemplano un idillio. Il giovane
suona un flauto/pipa
(?). la sua musica è il suono dell’immaginazione, che
è SEMPRE, ed è anche ogni
volta nuovo e bellissimo, perché diviene ciò che noi
vogliamo sentire. La
Bellezza è ESTASI. “La Bellezza è verità, la
verità è Bellezza – è tutto ciò
che si sa del mondo, ed ogni cosa uno debba conoscere”
Chiuse il libro e lo ritirò.
Guardava Mircea e sorrideva. Gli sembrava che quella bellezza delicata
contenesse in sé una certa potenza di perfezione, e quindi un certo merito di
eternità. Era la seconda volta che pensava a fare di lui un’opera d’arte, e
consacrarlo per sempre all’immortalità, alla permanenza, alla memoria. Le curve
lievi del suo corpo, appena accennate sotto le lenzuola, lo riempivano di
tenerezza. – Probabilmente, - Si disse, - Questa è l’idea che ho sempre avuto
di lui, ed è il movimento che mi ha fatto segretamente innamorare. –
Perché Lelio era sensibile alla
Bellezza. E la Bellezza semplice ed appassionata generava nel suo animo
soltanto una strana sorta di morbida felicità.
Sei felice quando osservi qualcosa di meraviglioso? Gli domandava
la sua voce interiore. Sì.
Avrebbe dipinto quell’icona e
l’avrebbe conservata lucida e scintillante nel suo cuore. Per tutta la vita.
|