Chimera
#01
“L’oscurità inghiotte la luce, e
piega l’animo impuro dell’uomo.
Brilla nell’era, così come ordina la
canzone del destino, e splende al chiaro di luna la luce di un cavaliere
solitario. Una luce nell’oscurità.”
E’ trascorso più di un
anno, dalla mia disavventura.
Ma dentro di me, quei ricordi sono freschi
come la pittura di un quadro che non si è ancora asciugato.
Ne ho passate tante,
ne ho vissute tante sulla mia pelle, di esperienze da
brivido. Avevo perso ogni speranza. Avevo perso la mia luce. E
la paura di non poterla più riavere indietro, mi paralizzava. Buttava giù tutti
i miei sogni, tutte le mie aspettative.
Ma poi, come un lampo imprevedibile, quella
luce si è riaccesa nella mia vita. Ed io finalmente ho
ripreso a sognare, ed a sperare in n futuro migliore.
Come passa veloce il
tempo.
E pensare che fino a
qualche settimana fa, non vedevo l’ora che passasse il
più in fretta possibile.
L’idea di ritornare
nella mia piccola patria, la voglia di preparare i bagagli, di prendere il
primo volo disponibile e partire… Tutto ciò mi rendeva impaziente.
Ed ora… Ora che
finalmente sono qui, vorrei tanto che questo tempo
rallentasse un pochino per potermi godere appieno questi attimi pieni di
felicità che hanno inaspettatamente riempito la mia esistenza.
Ora che tutto si è
incanalato nella giusta direzione, ora che tutto è ripreso a scorrere con più vigore e più forza di questo stesso tempo che passa,
io mi sento piena d’energie, e pronta ad affrontare questa mia nuova vita, con
una luce interiore ancora più bella, per la felicità mia, e per quella del mio
portare di luce!
- Signorina, è sicura di ciò che sta facendo?- le domandò premuroso Gonza, accingendosi a riporre a terra, sul
pavimento di un piccolo monolocale situato in uno dei quartieri meno affollati
della città, e soprattutto meno costosi, uno scatolone mezzo traboccante di colori
e pennelli d’ogni misura.
Il buon Gonza Kurahashi,
un uomo mite, dalle maniere educate e l’abito sempre in ordine, restò fermo
sull’uscio della stanza ad attendere una risposta. Quel responso
giunse celere, un po’ sofferto, e, ahimé, del tutto scontato. La speranza che quel pulcino spennacchiato, proprio come lo aveva
definito Zarba tempo addietro, raccogliesse tutto e
ritornasse sui propri e piccoli passi, si affievolì in un secondo.
Kaoru Mistuki,
il pulcino spennacchiato, assentì con decisione alla domanda del buon uomo.
- Sicurissima! E poi, come ti ho
già spiegato, non è consono che due fidanzati dividano lo stesso tetto… Io per
prima mi sentirei a disagio. – confessò con una smorfia leggermente imbarazzata,
sbocciatale all’improvviso su quel volto giovane e fresco.
Gonza sospirò amareggiato, affranto da quella decisione.
Kaoru era stata cresciuta conforme
ai principi di ciò che era buono e giusto, e quel disagio che lei stessa si
sentiva nascere dentro, era del tutto giustificato.
La schiena del maggiordomo si curvò permettendo così alle
braccia di adagiare quella scatola verso terra.
- Come volete voi. – proferì infine, facendosi
però vedere insofferente – Non penso che ci sia bisogno di farvi sapere
che il signorino Kouga non ha accolto di buon grado
questa vostra decisione. – le ribadì, per l’ennesima
volta, giusto pochi istanti prima che, in quella stessa stanza, e da quello
stesso uscio, spuntasse la sagoma di qualcuno.
- Non serve che tu le dica altro,
Gonza. Con lei è fiato sprecato. – asserì proprio quel qualcuno, con parole fredde
ed un timbro tutt’altro insofferente.
Kouga Saejima,
il detentore del rinomato titolo di Garo, era lì,
pronto a portare a terra uno scatolone sigillato in mal modo con del nastro
adesivo tutto stropicciato. Il “signorino”, come soprannominato dal suo fido
maggiordomo, aveva prestato attenzione alla conversazione dei due, durante la
sua breve assenza.
- Sono grande, adulta e vaccinata! – replicò Kaoru, indispettita da quell’affermazione, mettendo il broncio
e le mani sui fianchi. Proprio come una giovane bambina.
Kouga la scrutò velocemente in
viso, con rassegnazione. Con lei, per l’appunto, era inutile sprecare fiato. Nonostante
tutto, però, quella giovane fanciulla dai grandi
occhi, era diventata la sua forte ed indelebile luce. Un sole che aveva preso a
splendere soltanto per lui, una fiamma purissima che gli dava la carica, lo
rafforzava sempre di più, lo faceva sentire vivo. Finalmente vivo.
Quella forza lo aveva
incredibilmente cambiato. Lo aveva spronato a farsi avanti, e a non avere paura
di esternare parte di quei sentimenti tanto taciuti e destinati ad appassire in
un soffio, perdendosi nel buio più tetro e sempre più solitario di quel suo freddo cuore.
Tutto ciò che serviva ad un umile Cavaliere del Makai per essere felice, era avere una vita felice!
E per avere una vita felice, a quel
giovane ometto coraggioso gli bastava semplicemente avere lei. La sua Kaoru Mitsuki.
In un pomeriggio come tanti, i tre si accinsero a scaricare
dall’autovettura di Gonza, tutti gli effetti personali
della pittrice, e, alla meglio, a sistemarli nella sua nuova e minuta dimora.
Tra una scatola e l’altra, qualcuno inaspettatamente fece sentire
forte e chiaro la sua voce.
- Kouga! A non molte miglia da qui
è comparso un Orrore!
Il ragazzo sollevò la mano sinistra, mosso dall’istinto. L’anello
magico aveva parlato, e… quando quella piccola testa di metallo captava qualcosa,
un Cavaliere Mistico non poteva avere scampo: doveva
correre via, ed intervenire al più presto.
Raccogliendo svelto il cappotto bianco dalla spalliera di
una sedia, il coraggioso Saejima lasciò la stanza
dirigendo i suoi lunghi passi verso l’esterno, nel bel mezzo della via.
La risposta di Kaoru alle
improvvise movenze di Kouga, arrivò in un lampo. La mora gli corse incontro, mollando lì per lì una scatola
verso terra. Il suono prodotto da quel chiassoso tonfo, fece sobbalzare Gonza
che, colto dallo spavento, si lasciò cadere dalle mani il suo inseparabile
pennacchio per la polvere.
Oltrepassando la soglia d’ingresso del suo piccolo
monolocale, la ragazza osservò il giovane Cavaliere immettersi in strada, e si
accigliò.
- Ricordati che stasera dobbiamo cenare insieme! Non fare
tardi! – gli urlò svelta, a squarciagola, nella speranza che lui non facesse semplicemente
“finta di non capire”. – Chissà se ha capito… – sbottò poco dopo, mettendo nuovamente
il broncio, mentre lo vedeva correre via, in prossimità dell’orizzonte, per
sparire infine dalla sua visuale.
Per la precisione, Kaoru era
tornata definitivamente in Giappone da appena una settimana.
Smettendo di svolgere lavoretti part-time,
la ragazza era stata assunta presso uno studio artistico per lavorare a giorni
alterni come illustratrice di libri fiabeschi.
La sera, per affinare le sue tecniche, frequentava un corso accademico
di pittura, come una qualsiasi ragazza della sua età. Come una ragazza normale.
Dal giorno in cui era entrata in contatto con il sangue di
quell’Orrore, il tempo non aveva mai smesso di correre.
In quel brutto periodo, Kaoru
aveva perso la voglia di lottare per vivere e continuare a sognare, ma… grazie
alla spada di un Cavaliere un po’ burbero e ostinato a volerle restituire tutti
i suoi sogni, il desiderio di sopravvivere unicamente per essere felice, ebbe la meglio.
Dopo la fine di quella brutta avventura, come ogni favola
che si rispetti, tra il Cavaliere e la sua dolce protetta
fiorì un forte sentimento che, tenuto nascosto dai loro timidi animi, spiccò
finalmente il volo solo molto tempo dopo, per rompere le grosse catene che lo
tenevano prigioniero, e liberarsi in aria a gran voce.
E, come ogni fiaba che si rispetti, da quel giorno Kouga e Kaoru non
furono più in grado di dirsi addio.
***
Un vicolo completamente deserto, lontano da gente ed
abitazioni, era il nascondiglio che l’Orrore, per sfuggire al suo irriducibile
antagonista, si era trovato da poco.
Kouga giunse in quella viuzza, con
una spada splendidamente sguainata e l’occhio attento sulla via.
- E’ qui. – gli confermò svelto Zarba,
la sua infallibile guida. – Preferisce nascondersi, anziché affrontarti. Che disonorevole creatura!
- Come tutti i suoi simili, d’altronde. – scherzò
fiacco il Cavaliere, avanzando coraggiosamente nella tana dell’essere. La
mano che teneva l’ansa rossa della spada, era sicura oltremodo. Sicuri,
inoltre, lo erano anche i suoi passi che, lenti ma inesorabili, si accostarono
sempre più al bersaglio.
Un bersaglio dalla pelle scura, verdastra, viscida e
maleodorante. Proprio grazie a quella pestilenziale esalazione, Kouga riuscì a stanare alla svelta quella spregevole
creatura delle tenebre, facendole così vedere la luce del sole.
Non tutti gli Orrori impazzivano per quei caldi e luminosi
raggi.
L’essere mostrò i denti con rabbia, spalancando le sue
incredibili fauci ma regredendo come un vile codardo.
Il corpo piuttosto rinsecchito, e la voglia così evidente di
non fronteggiare l’avversario dal cappotto bianco, lo rese ancora più misero di
quanto non lo fosse in realtà.
Volteggiò e luccicò, la spada di Kouga,
sopra la sua testa. In un secondo tempo, fu anche il vicolo a sfavillare. Un
fascio mirabolante di luce, un barlume dorato, caldo e rasserenante. Tutto ciò, rivestiva l’armatura di un guerriero solitario dell’Est,
il cui nome faceva intirizzire anche il più ostile di tutti gli Orrori: Garo.
Avanzando a passo lento, in direzione del mostro, l’eroico
paladino del Makai si preparò ad attaccare.
Il mostro sguainò gli artigli, costretto alla controffensiva,
ma la spada forgiata con l’Animetallo del valoroso
lupo azzannato, fu più veloce. Un rapido fendente, e via! Il ventre della
bestia si squarciò senza intoppi. Un fascio di sangue violaceo macchiò parti
del rivestimento di quell’armatura dorata, con diversi ma brevi schizzi.
Quel flusso poi iniziò a farsi sempre più debole, ad
appassire così come il mostro che cominciò pian pianino a sgretolarsi. Qualcosa, però, su quella faccia da perfetto figlio delle tenebre,
scosse Garo. L’Orrore, nonostante la sua
disonorevole fine, gli stava sorridendo. Un sadico ghigno, fastidioso come un
sassolino nella scarpa, ma allarmante come la più
pericolosa delle frane.
Infine, a fortificare quel timore, il
ghigno si dischiuse all'improvviso, per dare l’opportunità a quella creatura di
pronunciare qualcosa poco prima di spirare.
- Goditi
pure questo piccolo attimo di gloria, Cavaliere d’Oro, perché per te, arriverà
presto il momento di cedere il posto a qualcun altro che ti strapperà via tutto
ciò che hai di più prezioso al mondo, e porrà fine al tuo inaffondabile mito!
Una frase, una forse rivelazione di un futuro chissà quanto
prossimo, fece sussultare incredibilmente Garo che,
non appena l’Orrore si dissolse del tutto, riacquistò le fattezze da semplice
Cavaliere.
Kouga quindi abbandonò all’istante
l’armatura con un’espressione sul viso che non presumeva nulla di buono.
Le parole di un Orrore, seppur a volte meschine ed bugiarde, non lo avevano mai turbato. Tuttavia, in quell’istante ci fu una rara eccezione.
- Dietro di te, Kouga! – esclamò d’un botto l’anello parlante, facendo sobbalzare il suo
proprietario.
Il giovane si girò di scatto, rapido ma inquieto. Davanti a
sé, davanti agli imperturbabili occhi di un Cavaliere dell’Est, l’inquietudine
sparì in un soffio per fare spazio alla confusione dei suoi pensieri.
Svelto, il figlio di Taiga sollevò la mano sinistra di
fronte al proprio viso, increspando furiosamente la fronte: - Mi prendi in giro?! – esclamò stizzito, ammonendo così la sua guida gotica. In
quella viuzzola, infatti, non c’era nessuno.
Zarba non fu particolarmente entusiasta
di quelle parole.
- Affatto. – replicò seccato, con un tono più che inacidito
– Ho davvero percepito qualcuno alle tue spalle. La
presenza è sparita poco prima che tu ti girassi.
- Un altro Orrore? – la domanda del proprietario taciturno,
giunse rapida, almeno quanto la risposta del Madougu:
-Vorrei tranquillizzarti e replicare con un sì, ma…
purtroppo la mia sentenza è tutt’altro che positiva.
Le palpebre di Kouga si sgranarono
di colpo.
- Non era un Orrore?! – rinviò per
l’ennesima volta, davvero sconcertato, e sempre più angustiato da quella
situazione.
- Non chiedermi chi o che cosa fosse! Non l’ho capito
neppure io. L’odore sembrava quello di un umano, ma l’aura… beh, quella non direi proprio che fosse conforme alla natura umana. – gli
anticipò netto Zarba –Tuttavia, la sua energia mi ha
fatto davvero paura. Brutta situazione, Kouga! – concluse alla fine, mostrandosi anch’egli turbato.
L’erede di Taiga, giunti a quel punto, desiderava
intensamente avere delle risposte.
Pochi metri ancora e, passo svelto dopo passo, Kouga parò una mano di fronte a sé.
Dal quel vuoto, iniziò a sbocciare un foro grande quanto un
puntino che, come un imboccatura automatica, si
spalancò all’istante.
Quel portale, senza perdere attimi preziosi, venne attraversato dall’eroico giovine che ne fu così inghiottito.
Giunto dal capo opposto, un lungo corridoio fiancheggiato da
bianche colonne aspettava solo di essere percorso. Con molta fretta, e tenendo
lo sguardo stabile sulla fine di quel lungo andito, Kouga
giunse presto a destinazione e si fermò d’innanzi ad
una figura vestita di bianco.
Il suo viso imperturbabile, la sua fronte annottata, ed i
tratti di un volto fermamente duro, incuriosirono ma
al tempo stesso allarmarono il Cane da Guardia del Nord, che non poté far a
meno di chiedere le dovute spiegazioni.
- Che cosa è successo? – domandò con
voce gentile la mistica figura, immobile al centro di un piedistallo rettangolare
illuminato di luce.
Kouga non sprecò un solo attimo.
Riportò a quel sacerdote del Nord le parole dell’Orrore affrontato poc’anzi e quella presenza avvertita dal suo fidato Madougu dalla bocca loquace. Poco dopo l’esposizione dei
fatti, il Guardiano vestito di bianco sospirò appena, per poi fornire una
risposta:
- Sono diversi giorni che un umano, senza la nostra
autorizzazione, s’introduce nel Makai.
- Che cosa?! – tuonò all’istante il
giovine, trasalendo perchè spiazzato dalle parole di
quella figura millenaria – E’ opera di un Cavaliere Mistico?
- Sai meglio di me, che un Cavaliere ha il diritto di aprire
e varcare il portale solo con il lasciapassare di noi Sentinelle. Ciò nonostante…
- il Cane da Guardia ricercò il viso dello spadaccino dell’Est per offrirgli
uno sguardo profondo – di Cavalieri Mistici che infrangono le regole e seguono
la via delle tenebre, ne nascono di continuo.
Le parole sottintese e sibilline del sommo sacerdote del
Nord, illustrarono una cruda quanto dura realtà, già affrontata in passato
dall’impavido Kouga. L’essere dalle fattezze umane,
con una tunica bianca portata decorosamente indosso, si stava riferendo a Barago, colui che aveva venduto la
sua anima a Kiba, Cavaliere Mistico delle tenebre, e
infranto più di una regola.
Che fosse nato, nell’ordine dei
Cavalieri del Makai, un emulatore di Barago?
Kouga, deciso a farsi avanti con
l’ardire di porre tale quesito, fu preceduto limpido dal guardiano del Nord: -
Non si tratta di un Cavaliere. L’energia che sento, è ben diversa da voi
guerrieri del Makai.
- E chi, allora? Chi è?- ribatté alla svelta quel flemmatico umano, ansioso di
conoscere una risposta che gli avrebbe certamente ammansito tutti i suoi dubbi.
- Ogni responso trova presto il suo tempo. – gli comunicò
il sacerdote, mantenendo una quiete ammirevole – E quel tempo, non è
ora.
- Mi state dicendo che neppure voi,
i responsabili dei quattro punti cardinali, sapete darmi una risposta? – Dopo quella
domanda che purtroppo non trovò taluna sentenza, Kouga
fu costretto a porre il proprio animo in pace.
Il Cane da Guardia, avvertendo inquietudine nell’animo di
quel giovane Cavaliere Mistico, lo confortò con uno dei
suoi saggi consigli: - Resta in guardia, come hai sempre fatto, ma non tormentarti
prima che arrivi quel tempo.
- Segui il consiglio del Guardiano, e non tormentarti! E’
molto semplice, no?- gli esclamò Zarba, una volta fuori dal palazzo antico, sperando in quel modo di
rassicurare il suo proprietario.
- Tu che cosa ne pensi? – gli domandò presto lui, camminando
a passo moderato lungo i bordi di una stradina tutt’altro
che affollata.
Il Madougu non si decise a replicare
subito. Aspettò ancora un po’ prima di fornire il suo parere personale.
- Penso che se non ti sbrighi, farai tardi alla cenetta
romantica con la tua bella! – scherzò da buon anello sparlante, facendo d’un botto azzittire Kouga. – Come
recita il galateo, un uomo non dovrebbe mai fare
aspettare la propria donna! Soprattutto se si tratta di un tipetto
suscettibile come Kaoru…
***
Erano le 20 e 35 esatte.
Kaoru osservò il tondo orologio
che sovrastava l’aula di pittura dove si era da poco conclusa la lezione, e si
preparò a rimettere gomme e colori nella sua capiente sacca marrone.
La fretta di arrivare a casa, in quel monolocale piccolo ma
accogliente, e preparare una dignitosa cena, fece sì che quel voluminoso
borsone le precipitasse a terra. L’impatto con il suolo balzò via il contenuto
che, senza tante pretese, si riversò lungo tutto il pavimento.
- Accidenti! – sbottò all’istante, precipitandosi in un
lampo a raccogliere i suoi preziosi strumenti.
Dopo aver recuperare un tubetto di vernice e delle matite
colorate, Kaoru si adoperò ad
afferrare un foglio di carta adagiato a terra proprio d’innanzi a lei, ma, in
un battibaleno, un’altra mano arrivò prima della sua, lì su quel pezzo
di carta. La giovane alzò gli occhi per fissare il volto di qualcuno che, con
maniere garbate gli tese poi l’oggetto.
- Tieni! – esclamò quell’individuo, facendo un amabile sorriso.
Un ragazzo con la voce gentile tanto quanto i modi, intimidì la mora al punto
tale da farle ghermire il foglio con mano tremante.
- Grazie! – riuscì a stento a dire, riproponendo
per educazione anch’ella un sorriso. – La fretta non porta mai a nulla di buono…!
– ammise in seguito, volgendo gli occhi a terra con una punta di insicurezza goffa.
- Ti aiuto io, dai! – si offrì celere
lo sconosciuto, allungandosi più in là per agguantare il materiale a terra. –
C’è qualche film in tv o al cinema che devi vedere?
- Niente di tutto ciò! – replicò lei, scuotendo energica il
capo- Devo preparare la cena! – dichiarò apertamente,
ancora china sul pavimento, mentre gli gettava curiosa
un’occhiata.
Spalle larghe, fisico slanciato, capelli
castani raccolti appena da un piccolo codino dietro la nuca.
In tutto, erano diciannove le persone che frequentavano quel
corso. Tre ore, divise per due lezioni a settimana, non erano sufficienti a
farle memorizzare, o perlomeno, a stabilire un’amicizia con tutti quei
partecipanti.
- Sono seduto nella fila dietro la tua. – le svelò quel
giovane, accorgendosi al volo della bella Mitsuki che
lo scrutava confusa. – Per chi la prepari la cena? – domandò poi, forse troppo indiscreto,
nel momento in cui le ginocchia gli si fletterono a terra per raccogliere un
foglio tinto da matite e colori. Il taglio di quegli occhi sottili ed aguzzi,
si assottigliò ancor di più non appena le pupille, scure ma
vivaci, squadrarono il ritratto impresso su quel pezzo di carta. – E’ forse per
lui che cucini? – si sentì presto chiedere, vedendosi poi arrivare un ritratto
di Kouga, fatto la sera prima, proprio sotto il naso.
– E’ il tuo ragazzo, giusto?
L’artista si stupì senza indugio: - Come fai a saperlo?
L’altro invece sorrise disinvolto.
- Tutte le pittrici, prima o poi,
ritraggono il loro consorte! Non è scientificamente provato, però io dico che è così! – scherzò alla fine, lasciando Kaoru libera di riprendere il disegno per rimetterlo a
posto, con cura, insieme agli altri. – Mi permetti di
accompagnarti a casa? – La proposta dell’altro artista, le fece ciondolare immediatamente
il capo.
Kaoru negò, in
risposta a quell’offerta, sempre più tesa ed imbarazzata: - Oh, no, no, davvero!
Non serve! E poi, la mia casa è a non molti metri da
qui. Mi bastano dieci minuti per arrivarci! – si affannò svelta a decantare,
inforcando la tracolla sulle spalle e sollevandosi dal suolo in tutta fretta.
Lo studente di pittura la seguì a ruota, smorzando sul
nascere un flebile sorriso di rassegnazione.
- Come l’invidio il tuo ragazzo! – esclamò poi, sfoggiando
una voce all’apparenza gioconda, e porgendole educato una mano- Io sono Ikuo Shiota!
- Kaoru Mitsuki!
– si presentò l’altra, ridente, stringendo lieta la mano del suo nuovo amico.
Ikuo le sorrise con cortesia, da
persona di belle maniere. In seguito, poco prima di vederla andar via, diede lo
sfoggio di un ennesimo atto d’educazione:
– Allora, ti auguro una buona cena, Kaoru!
L’artista assentì felice, regalandogli ancora un sorriso, ed
infine corse via, a più non posso, tenendosi la
tracolla della borsa ben ferma con una mano.
Il suo orologio da polso segnava appena le nove, e nessuna
pentola bolliva sul fornello di casa Mitsuki.
Kaoru accelerò
il passo, mentre in lontananza, la sagoma di qualcuno fermo nei pressi della
porta sbarrata del suo monolocale, attirò la sua attenzione.
Un cappotto bianco ed uno sguardo accigliato. Questo fu ciò
che servì alla pittrice per riconoscere Kouga senza nessun’esitazione.
Ancora con il fiatone, lei lo raggiunse andandogli incontro
con un semplice sorriso, compiaciuta nel vederlo lì, davanti all’uscio di casa
propria, e con la speranza di fargli dimenticare lo scortese ritardo. Quel
sorriso però non le servì a molto.
Il volto immutato ed impassibile, e la smorfia accigliata
del giovane, confermarono prontamente i suoi timori.
- Questa volta il ritardatario non sono
io. – sbottò presto, con un accento seccato, forse stufo di aspettare immobile
come una statua di marmo bianco, l’arrivo della sua ragazzina.
Kaoru calò il capo, con movenze
mortificate.
- Scusami. – pigolò mogia,
intonando una voce davvero dolente.
Tuttavia, il sospiro di un Kouga rassegnato, le fece tornare il suo solito sorriso.
Come se quello stesso sospiro le avesse detto
“ok, pazienza! Sei perdonata”. Parole che Kouga,
per l’appunto, non le avrebbe mai spontaneamente detto.
Tutto ciò, però, non aveva molto valore per lei. A Kaoru bastava veramente poco per capire ed elaborare un
gesto emesso senza importanza da quel taciturno e giovane uomo.
A Kaoru, quello che le bastava
veramente, era restare al suo fianco.
La chiave dell’appartamento intanto era già nella serratura.
Qualche scatto, e l’uscio finalmente si spalancò.
La mano della mora si sposò sull’interruttore della luce e,
dal soffitto bianco, una flebile lampadina non molto grande, diffuse e diede splendore
alla sala del monolocale.
Kouga si osservò in giro, mettendo
in mostra un’espressione poco raggiante e spaesata.
C’erano scatole a destra e a manca, da svuotare ed ordinare
a dovere. La confusione regnava un po’ ovunque, in quella minuta casupola che
lui non sembrava per nulla gradire.
- Non capisco perché dobbiamo cenare qui, con tutta questa
confusione in mezzo. – si lamentò in fretta, annottando la faccia con una
smorfia scocciata.
- Perché è di buon auspicio
mangiare il primo giorno di trasloco in una casa nuova! – gli replicò istintiva
Kaoru, apprestandosi poi a raggiungere uno degli
scatoloni più ingombranti, accantonato nei paraggi di un angolo dell’ambiente.
– E poi, c’è tutto quello che ci serve, qui! Questo,
per esempio, è il tavolo! – espose con fantasia, cercando di spostare quella
scatola di cartone verso il centro della stanza, per farle assumere il ruolo
appena citato.
Tirò diversi sospiri, l’introverso Cavaliere del Makai, nel scrutarla con atteggiamento accidioso e del
tutto rassegnato, poco prima di andarle incontro senza proferire parola, piegarsi
anch’egli sulla pesante scatola, ed agguantare il lato opposto, con l’intento
di darle una mano.
Lei alzò meravigliata il viso, sorpresa da quel gesto così premuroso
che le fece ricambiare la gentilezza con un dolce sorriso.
Kouga tirò verso di sé il pacco
quadrato, marciando all’indietro con passi piccoli. Dal capo opposto, contrario
al suo, la dolce ritrattista si muoveva in avanti, puntellando con i piedi il
pavimento, e facendovi leva per far scivolare di
fronte a sé l’oggetto di cartone.
Poco alla volta, quel fasullo tavolinetto
si portò finalmente al centro della stanza, soddisfando
così le aspettative della mora.
- Ecco fatto! – esclamò quest’ultima,
strusciandosi l’ampia fronte con il dorso della mano, e rivolgendo infine uno
sguardo al signorino Saejima, silenzioso come sempre,
fermo proprio di fronte a lei.
Quegli occhi da Cavaliere, incredibilmente scuri e profondi,
s’incontrarono d’impatto con quelli grandi e pieni di splendore della bella
pittrice.
La fioca luce dell’ambiente, la quiete fra quelle quattro
mura, ed un’atmosfera dolce e soffusa, fece sì che ambedue i ragazzi, con le
mani ancora appoggiate sul bordo della scatola e i dorsi curvi, finissero per attrarsi. Quei due volti, con le movenze timide
ma desiderose di congiungersi con un bacio appena sussurrato, si avvicinarono
lenti. Come due timorosi magneti.
Kouga e Kaoru
sembrarono quasi arrossire. Le loro guance s’intinsero amabilmente di rosso. I
loro sguardi poi si abbassarono con vergogna, ma subito dopo, come d’incanto e senza
pensarci, ripreso a fissarsi.
Le palpebre si socchiusero con movenze calme.
I nasi si sfiorarono appena.
Le labbra si aprirono teneramente, si avvicinarono lente, si
accostarono fino a fronteggiarsi l’un con l’altra, con i
respiri che, abbracciandosi, si unirono divenendo un armonico tutt’uno.
Kouga stava quasi per toccare
dolcemente la guancia di Kaoru, stava quasi per
carezzarle con gentilezza quella pelle liscia e bianca e, più di ogni altra cosa, stava quasi per sfiorarle quella
deliziosa boccuccia rosa fragola ma, d’improvviso, egli diventò una statua.
La causa? Un gracchiante rumore.
E fu proprio quello, che costrinse
entrambi i ragazzi a sussultare prima ancora che arrivasse il fatidico e tanto
desiderato bacio.
- Cos’è stato? – esclamò Kaoru, sobbalzando e volgendo lo sguardo alla sua destra,
con fare tremolante.
Kouga la seguì a ruota, con un
rapido guizzo. I loro occhi poi s’incontrarono per l’ennesima volta. Quelli
della giovane sapevano di ansia. Per fugare ogni
dubbio, senza indossare nemmeno il soprabito, lo spadaccino si recò di corsa
all’esterno.
Con gli occhi attenti, rivolse in fretta lo sguardo nei
paraggi. Lì fuori, però, tutto era immerso nella quieta più surreale.
Le strade erano deserte, i lampioni le illuminavano, e non
c’era neppure uno spiffero di vento a far ondulare le fronde di un alberello lì
vicino.
Il Cavaliere dell’Est si avviò verso il retro della casupola
per controllare, ma tutto continuava a tacere anche lì dietro.
Che fosse stato un gatto?
Oppure…
Kouga sollevò la
mano sinistra per interpellare il suo anello guida, però le grida di
qualcuno, ahimé, non gli diedero il tempo necessario.
La voce di quel qualcuno, oltretutto, era
di Kaoru.
La giovane se ne stava tutta tremante con le spalle
accostate alla facciata anteriore del piccolo stabile. Nei suoi occhi, c’era un
mare oscuro di paura.
Una mano le agguantò con violenza la gola, spingendola senza
nessun riguardo verso quel freddo muro di pietra. Poteva, tutto
sommato, un Orrore, avere riguardi verso un essere umano incapace di
difendersi?
Kouga si precipitò di corsa sul
frontale dell’abitazione, con una mano già sull’ansa della spada.
- KAORU!!! – urlò a squarciagola,
aprendo di botto le palpebre. In quel preciso istante, nulla gli avrebbe impedito
di andare incontro alla sua bella.
Neppure un minimo d’esitazione, si manifestò in quelle
gambe. La corsa fu rapida, turbolenta. Riuscì per un soffio a raggiungerla, ma
qualcosa però andò storto. Una barriera invalicabile di energia,
lo respinse tassativamente all’indietro, facendolo sbattere con violenza sulla
strada dura e lastricata alle sue spalle.
Kouga tossicchiò per il colpo e si
scosse a malapena. Aveva un taglio sulla guancia che si colorò presto di rosso,
sporcandogli così quel lato del viso. Con una rabbia impressionante, respirando
affannosamente, si tirò su, affaticato ma ostinato a soccorrere quella ragazza.
La sua ragazza.
Accadde qualcosa, però, in quel preciso attimo.
La scena si svolse in un flebile soffio.
Ancor prima che il giovane Cavaliere potesse tornare
all’attacco, l’Orrore azzannò al collo Kaoru proprio
sotto lo sguardo sconcertato di un Kouga che,
istintivamente sentì il bisogno di urlare a tutta voce il nome della giovane
donna.
Fu per lui, come se qualcuno gli avesse strappato con forza
l’anima.
Si sentì psicologicamente crollare, Kouga.
Si sentì sfinire, cadere in un profondo abisso lontano dalla luce e dal calore
del sole. Si sentì morire.
Le gambe, per rabbia, una rabbia
incontrollabile, iniziarono a muoversi con impulso, per dirigersi scattanti
verso la barriera, con l’intenzione di attraversarla ad ogni costo. A qualsiasi
costo.
- Fermati, Kouga! O ti farai male sul serio! – tuonò immediatamente Zarba, sconvolto in pieno dalle intenzioni del suo
proprietario.
Un Cavaliere dell’Est infuriato, non avrebbe mai sentito ragioni.
Come nulla fosse, Kouga oltrepassò
la barriera e, in quel preciso attimo, sia essa che il
vile Orrore, svanirono misteriosamente, sciogliendosi come neve di primavera.
Confuso ma preoccupato, il ragazzo si apprestò a soccorrere
quel delicato pulcino spennacchiato ormai esanime al suolo. Con evidenti
tremori negli occhi, nelle braccia, e nella voce, lui la tirò su, raccogliendola
prudente tra le braccia, con il cuore invischiato in un folle battito.
- Kaoru! – Kouga
chiamò il suo nome con un tono teso, ansioso, sempre più oscillante.
Con la mano, poi, gli scostò delicatamente un ciuffo di
capelli dal collo. Il cuore di quel giovane ormai correva all’impazzata. Ebbe
paura, Kouga. Tanta paura.
Quelle ciocche sfilarono via, scoprendo di botto una pelle completamente
intatta, senza lacerazioni, priva di morsi.
Il figlio di Taiga si rianimò di corsa corrugando la fronte
con una smorfia arruffata.
Dal medio della mano sinistra, Zarba
sospirò sapendo già cosa dire:
- Un’eccellente Chimera Mistica, non c’è che dire!
Una Chimera Mistica, nel mondo del Makai,
appariva come una sorta di illusione che, per esito e consistenza,
diveniva così reale da ingannare la propria vittima facendole vedere, a seconda
dei casi, il lato oscuro della più tetra delle sue paura.
Le Chimere Mistiche, inoltre, erano un tipo di incantesimo usufruibile solo da abili preti del Makai.
Il proprietario del gotico anello, non ebbe neanche il tempo
di concedersi una replica.
Un fruscio misterioso punse il suo sottile udito.
La testa gli si sollevò di getto, attirata da un aguzzo e
lancinante bagliore che gli giunse contro a tutta forza. Parando una mano
all’altezza del volto, essa afferrò pronta qualcosa.
Una, due, tre gocce di sangue
precipitarono sul terreno avvizzito, e lo macchiarono inevitabilmente.
Kouga socchiuse gli occhi e si
accigliò accusando un dolore pungente alla mano. Aprì lento
le dita, mentre quel pizzico, nell’attuare il semplice movimento, si tramutò
in bruciore.
Ben 8 punte sottili ed acuminate, due delle quali conficcate
nella carne del suo palmo, davano la forma ad uno shuriken.
Viste le fattezze, era ovvio che si trattasse di un’arma
appartenente al Makai. La lamina scura ed opaca che
lo rivestiva, e dei caratteri incisi su tutti e otto gli aculei, lo dimostrarono
all’istante.
Occorreva una mano preparata e decisa, per poter maneggiare
tale arma. Una mano di un Cavaliere Mistico, per
esempio.
L’oggetto di ferro si rianimò all’improvviso, senza dare
l’aggio al Cavaliere di squadrarlo con cautela. Era come se qualcuno lo stesse
richiamando magicamente a sé. Inutile, per Kouga, impedire che quell’arma prendesse il volo.
L’oggetto sfrecciò via, infilandosi tra le fronde di un albero, e sparì nell’orizzonte
di una notte buia.
Nello stesso momento, Kaoru riaprì
gli occhi. Confusa, e con un pesante senso di spossatezza, si guardò intorno
accusando un lieve capogiro.
- Cos’è successo? – domandò poi, concentrando
uno sguardo sul viso teso di un Kouga che la fissava
spaurito. Il taglio che aveva sulla guancia, attirò l’attenzione dell’artista,
e quest’ultima, sentì l’istinto di sfiorargli
premurosamente quel lato.
Da un ciuffetto di capelli sbarazzino, che gli celava di
poco lo sguardo, il guerriero solitario dell’Est si rasserenò appena. Sembrò
quasi tirare un lungo sospiro di sollievo.
- Come ti senti?
- Ho un po’ mal di testa...
– gli rispose lei, sempre più confusa, e subito
dopo rinviò- Che ci faccio qui a terra? Che cosa mi è
successo?
Kouga aiutò quella
ragazza a sollevarsi dal suolo, dopodichè, guardandosi attorno con movenze
circoscritte, il suo sguardo divenne nuovamente teso.
- Telefona Gonza, e digli di venire qua al più presto. C’è
un trasloco da fare. – disse soltanto, senza spiegazioni accurate.
- Quale trasloco? – gli domandò repentina lei, aggrottando
le sopracciglia, desiderosa di avere una risposta.
Il signorino le rivolse le spalle, e si avviò in casa. Quella
risposta giunse a metà tra la soglia di casa e l’esterno circostante: – Il tuo.
– sentenziò secco, con sentenza certa ed inamovibile.
Descrivere la reazione di Kaoru,
che però arrivò celere, era pressoché insignificante.
- Come sarebbe a dire?!- rinviò subito,
totalmente agitata - Kouga! – lo richiamò altisonante,
per poi corrergli dietro sbottando.
La luce debole del monolocale si accese.
La luna brillava in cielo, semi coperta
da un folto strato di nuvole.
In quel quartiere tutto taceva. Tutto,
eccetto il chiacchiericcio di un’artista che si affannava a far cambiare idea
ad un inamovibile Cavaliere del Makai.
Qualcuno, in lontananza, nascosto dal
folto fogliame che ricopriva le aiuole di un incolto giardino, tese l’udito ed
osservò in silenzio quel monolocale striminzito per, infine, dileguarsi nel
nulla.
Misteriose presenze stavano per minare la stabilità del
genere umano.
Misteriosi quesiti bramavano nell’ombra, ansiosi di essere
risolti.
E questo, era solo l’inizio di una nuova
avventura che avrebbe aspettato imminente dietro l’angolo, il ruggito di un
impavido paladino dell’Est come Garo.
Fine episodio