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a cura di Sara
Forbes / volpina92 ,
votato come miglior foto nella sezione manip
del contest “Klaroline on Holidays” e copertina del
gruppo “Klaroline and Klaus
FanFiction Addicted”
Jamaica rhum
“La
più bella isola che occhio
umano abbia mai veduto”
- Cristoforo Colombo, 1494
Lo
sfavillio dei raggi solari, infranti contro lo specchietto retrovisore
del taxi
decappottabile, accecava ritmicamente i miei occhi, mentre il caldo
umido
tergeva la mia pelle ancora bianchissima, facendomi aderire addosso gli
abiti
leggeri. Il tassista, simpaticissimo e un po’ sui
generis, ci stava dando le sue poco ortodosse istruzioni su
come muoverci sull’isola, su quali locali frequentare e quali
posti visitare.
Marcel, così si era presentato, continuava a parlare e a
sorridere, facendo
bella mostra della sua perfetta dentatura bianca che contrastava ed
esaltava il
colore della pelle, resa scura dal sole dell’Africa di mille
anni fa*. Lui,
Marcel, era un fiume in piena di entusiasmo, cordialità, savoire faire e perché no,
anche bellezza esotica.
“Non
potete non visitare le Blue Mountains, voi dovete andarci ragazze.
Dovete
vederle. Nessuno viene in Jamaica e non fa un’escursione
lì. Ah, e poi avete
detto che alloggerete al Club Negril, giusto? Grandioso ragazze,
grandioso!
Sapete un mio caro amico gestisce il bar della Bloody
Bay poco distante. Dovete assolutamente venire alla serata
di stasera. Bella musica, bella gente e..beh, sapete.. No? Siamo nella
patria
del vero divertimento..”
A
quelle parole, arrestai il suo sproloquio.
“Grazie
Marcel, sei davvero una guida preziosa. Per ora però ti
saremmo grate se
potessi solo portarci in albergo. Apprezziamo il tuo invito e lo.. considereremo” –
Dissi con noncuranza,
assorta dal meraviglioso paesaggio variopinto che si stagliava alla mia
sinistra. Ma quella risposta, assestata con una venatura marcatamente
snob, mi
fece guadagnare una gomitata nel fianco dalla mia amica, Elena.
“Ahi!”
– Protestai stizzita, ma le mi ignorò, continuando
a parlare con Marcel.
“Non
badare a quello che dice Caroline. La mia amica è una
moralista, anzi, una
moralizzatrice! Sappiamo bene che questa è la patria del divertimento. E quello che intendiamo
fare è proprio divertirci –
Si voltò verso di me, guardandomi in tralice e mimando con
lo sguardo una
minaccia non verbale, ma inequivocabile - Abbiamo scelto insieme questa
meta
proprio per scaricare le tensioni del primo anno di college”.
Scossi
la testa, volgendo gli occhi al cielo. Sospirai. Dovevo arrendermi. Ero
lì
principalmente per Elena. La sua recente rottura con Damon
l’aveva scossa più
di quanto pensassi. Aveva bisogno di infrangere routine ed abitudini,
di fare
qualcosa al di fuori dell’ordinario per ritrovare se stessa e
la propria
indipendenza emotiva. Ma a dire il vero, non era la sola. Avevo rotto
anche io
con il mio fidanzato storico, Tyler, da pochi mesi, e tutto quello a
cui
riuscivo a pensare ogni sacrosanto giorno, appena aprivo gli occhi, era
lui e
la sua decisione di lasciare il college (e me!) per
occuparsi dell’attività di famiglia. Amareggiata,
sì era così che mi sentivo per la maggior parte
del tempo. Pensavo ai fiumi di
parole che avevo sprecato, cercando di fargli capire quanto quella
decisione
fosse sbagliata; ripensavo, in modo quasi ossessivo, alle nostre ultime
parole
prima di lasciarci.
Se
fai un solo passo fuori da
quella porta, abbiamo chiuso. Mi hai sentita? Sarà finita!
E
le sue gambe tese, in una decisione tanto atroce quanto irrevocabile,
lo spinsero
a compiere un passo, quel solo passo.
Fanculo!
- Avevo
pensato.
Non
sai cosa ti perderai, piccolo
ometto irascibile e disturbato! - Cercavo
di convincermi.
E’
acqua passata. - Ripetevo
a me stessa, fingendo di crederci.
“Bene,
studentesse universitarie.. – Disse Marcel in tono suadente
– La cosa si fa
interessante”.
Lanciò
un’occhiata sghemba dallo specchietto, soffermandosi sulla
scollatura generosa
di Elena, per poi scontrarsi con i miei occhi di ghiaccio che lo
rimproverarono
per quegli sguardi troppo audaci. Batté in una simbolica
ritirata, tornando a
guardare la strada davanti a sé.
“Elena
ha ragione. Abbiamo deciso di fare del divertimento la nostra
missione.. Quindi
se hai altri suggerimenti da darci, saranno bene accetti”
– Brofonchiai con
poca convinzione, cercando di compiacere Elena e riuscendoci, a
giudicare
dall’espressione soddisfatta che le si disegnò sul
volto.
“Come
vi dicevo, c’è questo bar alla Bloody Bay, si
chiama Free Bitch ed è
il posto più..”
Scoppiai
a ridere, interrompendolo e lasciandolo perplesso, mentre i suoi occhi
di
cioccolato si inchiodarono ai miei, sempre dallo specchietto.
“Free Bitch? Sul serio, Marcel? Chi
chiamerebbe mai il proprio locale Troia
Gratis? Lo trovo davvero poco divertente come gioco di
parole, oltre che
volgare” – Il mio tono era sì divertito,
ma anche sconcertato, mi sembrava
davvero un nome ridicolo per un bar su una spiaggia.
Elena
scoppiò a ridere a sua volta, alleggerendo
l’atmosfera con la sua risata che, a
differenza della mia, non sapeva di giudizio e pregiudizio.
“Ebbene
– Rispose Marcel, in tono lievemente risentito- Il
proprietario del Free Bitch è
uno degli imprenditori più
ricchi dell’isola ed il suo locale è il
più frequentato di tutta la baia. Potrà
sembrarti un nome banale, ma la maggior parte dei turisti lo trova
simpatico e
lo considera un must della movida
estiva”.
“Suona
interessante! – Commentò Elena entusiasta
– Com’è che si chiama questo tuo
amico che gestisce questo posto?” –
Agguantò il poggiatesta del sedile di
Marcel, sfiorandogli la nuca con le dita.
Un’altra
occhiata maliziosa del moro, un’altra smorfia di rimprovero
da parte mia.
Perché Elena non si dava una calmata?
“Mikaelson,
Kol Mikaelson. Se sarete dei nostri stasera ve lo
presenterò”.
Arrestò
l’auto, parcheggiando in tripla fila davanti al cancello del
nostro resort. Con
gentilezza ci aiutò a scaricare i bagagli e, continuando a
flirtare con una
Elena non troppo pudica, ribadì il suo invito per quella
sera.
“Ci
saremo sicuramente” – Aveva promesso lei.
“Dipende..”
– Avevo aggiunto io, totalmente ignorata dai due, troppo
impegnati a spogliarsi
con gli occhi a vicenda.
Qualche
ora dopo.
“Dai,
non essere sempre così musona! Caroline.. Credevo fossi io
quella da aiutare. Credevo,
ma evidentemente mi sbagliavo, che avremmo fatto pazzie in questa
vacanza. E
invece sei così.. spenta”
Le
parole di Elena risuonarono per la nostra suite, rimbombando contro le
pareti
bianche e dorate, rimbalzando dalle mie orecchie al mio cuore.
Spenta.
“Non
è così! Ti
sbagli. Ho solo delle titubanze circa un tipo ambiguo che voleva
rimorchiarti
su un taxi e che ci ha invitate ad una festa su una spiaggia, in un
posto che
si chiama.. Oh, lasciamo stare il nome di quel posto! E’ che
non vorrei che
qualcuno provasse ad approfittarsi di noi, siamo sempre due ventenni,
oscenamente belle, sole e libere in un luogo di perdizione”
– Ammiccai un
sorriso complice, sperando di sviare il discorso, ma fallii.
“Non
è questo il punto, Caroline. E’ che vorrei
tornassi ad essere la spensierata e
scalmanata ragazza che eri al liceo, quando ti bastava sentire la
parola festa per andare su di giri
ed entusiasmarti”.
Sistemai
le fibbiette dei sandali argento dal tacco altissimo, mi guardai allo
specchio,
fasciata in un tubino aderente e poco convenzionale in color corallo.
Riflettei
su quanto fossi ancora bella e giovane e mi ricordai di chi fosse la
ragazza di
cui stava parlando Elena.
La
Caroline di sempre. Quella viva, allegra, accesa come il sole dei
caraibi.
“Hai
ragione” – Biascicai, mentre continuavo a fissarmi
allo specchio.
Dal
fondo del corridoio vidi l’immagine di Elena avvicinarsi alle
mie spalle. Mi
guardava anche lei attraverso il riflesso di noi stesse. Mi sorrise e
mi
abbracciò.
“Promettimi
che ti lascerai andare stasera. Promettimi che ci divertiremo al Free Bitch”.
Una
risata sfuggì dalle mie labbra e si propagò alle
sue.
Quel
nome non si poteva sentire!
**********************
Arrivammo
alla Bloody Bay poco prima che il sole tramontasse, annegando il rosso
fuoco
del suo disco in quel mare cristallino e diafano. I colori del
crepuscolo
sembravano far l’amore con il paesaggio selvaggio e
meraviglioso, incorniciato
dalla vegetazione florida e lussureggiante. Amavo
quell’isola, malgrado la
stessi vivendo solo da poco più di qualche ora. La musica
reggae accompagnava i
nostri passi verso il bar all’aperto, che seppur solo
all’ora dell’aperitivo,
pullulava già di gente. L’età media era
difficile da stimare, sembrava un
centro gravitazionale in grado di attrarre a sé adolescenti,
adulti e anche
qualche viso più avanti negli anni. C’era una
piccola band che suonava dal vivo,
sotto un gazebo bianco e turchese, tutto il repertorio di Bob Marley.
Che
scontato cliché - Pensai.
Non
potevo però negare a me stessa che quel posto, quello
scenario, l’atmosfera che
si respirava, erano impeccabili, rilassanti e per certi versi
inebrianti.
“Mi
piace qui! Dovremmo cercare di trovare Marcel, sicuramente ci
offrirà da bere
per tutta la sera!”
“Elena
Gilbert! Non vorrai ubriacarti la prima sera
sull’isola?” – Le chiesi con aria
scherzosa, conoscendo di già la risposta a quella domanda.
Ma
si premurò di darmi un segno di assenso, cominciando a
dondolare prima la testa
a ritmo di musica e poi anche il resto del suo corpo slanciato e snello.
Scossi
la testa, stavolta divertita.
Quelle
note, quella brezza calda, quell’odore di sale e sabbia mi
stavano facendo
bene, senza che me ne accorgessi, la tristezza stava lasciando spazio a
qualcos’altro. Qualcosa di leggero e spensierato.
“Eccolo!
E’ lui – Elena sbroccò non appena lo
vide da lontano – Marcel! Ehi! Siamo qui!”
- Riuscì a richiamare l’attenzione del nostro
strambo tassista e ad elicitare
uno dei suoi sorrisi perfetti.
Stranamente
sentii anch’io lo slancio a sventolare la mia mano per
salutarlo.
“Elena,
ehi – Si avvicinò con passo felpato, allungando
una mano per raggiungere quella
della mia amica – Caroline, vedo con piacere che ti sei unita
a noi” – Tastava
il terreno per capire quale fosse il mio umore.
Avevo
sotterrato l’ascia di guerra, decisamente.
“Già..
E ho promesso alla mia amica che questa serata sarà epica.
Quindi, se fossi
così gentile da mostrarci dov’è il
bancone del bar, potremmo iniziare a dare
una spinta alcolica al nostro divertimento”.
Marcel
mimò una smorfia di finto sdegno, guadagnandosi una genuina
risata di Elena. Mi
piaceva la sintonia che c’era fra loro due, mi piaceva vedere
la mia amica così
allegra e rilassata. La mia richiesta fu presto esaudita. Marcel ci
condusse al
bancone offrendoci il primo giro di quello che era il rhum bianco
più buono che
avessi mai bevuto, un Depaz Blanc.
Cominciammo
a ridere e scherzare, mentre la musica, complice perfetta, accompagnava
ogni
sorso di alcol in una dolce sintonia. Arrivammo al quarto giro e
davanti a me stavolta
c’era un rhum giallo ocra invecchiato, del 1987.
Questo
liquore è più vecchio di me -
Pensai fra me e me, ed una risata sfuggì dalle mie labbra
senza che nessuno
avesse detto nulla. Alzai lo sguardo dal mio bicchiere per dire ai miei
amici
quello che avevo appena pensato e riderne con loro, ma mi ritrovai di
fronte un
ragazzo alto e dallo sguardo sornione.
“Buonasera
biondina” – Il tizio dalla pelle olivastra ed i
capelli ricci mi osservava
famelico.
“Elena,
Marcel? Dove sono Elena e Marcel? ”- Chiesi, non troppo
lucidamente.
“Non
preoccuparti, loro adesso non stanno pensando a te”
– Mi fece l’occhiolino.
Spostai
immediatamente l’attenzione verso la folla cercando, da
qualche parte, il
profilo di Elena o i suoi capelli o il suo vestito. Niente. Svanita.
Dileguata.
Free
Bitch!! - Pensai
di nuovo fra me
e me, e nuovamente scoppiai a ridere, vittima dei fumi
dell’alcol, in faccia a
quello sconosciuto, il quale scambiò quel mio modo di fare
come un consenso
alla sua tattica di abbordaggio.
Si
avvicinò a me, cercando di fare non so cosa di preciso, ma
io mi scansai,
scattando in piedi dallo sgabello e allungando un braccio per tenerlo
distante.
“Andiamo
piccola, solo un drink e un ballo”.
“No
grazie!” – Risposi secca, mentre mi sistemavo il
tubino che era risalito un po’
troppo sulle cosce.
L’uomo
provò a insistere, ma una voce alle mie spalle lo dissuase
una volta per tutte.
“La
signorina sta con me, Diego. Puoi andare, grazie”.
Il
mio spasimante abbassò la testa mormorando delle
incomprensibili scuse e si
dileguò tra la folla.
Mi
girai frastornata, quei quattro rhum si facevano sentire tutti insieme
adesso.
“Grazie..
Non so chi tu sia..” – Dissi rivolgendomi a lui.
Due
occhi blu, contornati da folte ciglia color miele, si tesero in
un’espressione
maliziosa e sfrontata.
“Sono
la persona che ti ha salvato da una serata terribilmente tediosa. Diego
non è
un tipo sveglio. E tu sei chiaramente troppo ubriaca per poter
discernere quale
sia la compagnia più adeguata a te”.
Le
labbra piene e scure si muovevano lente, scandendo ogni parola con un
sensuale
accento inglese. Aveva ventisei anni o poco più, capelli
biondo cenere ed un
sottile filo di barba dello stesso colore. Aveva un’aria
sofisticata e giovane
al tempo stesso e quel modo di umettarsi il labbro inferiore dopo aver
finito
una frase, così terribilmente seducente. Aveva quella piega
degli occhi così
dritta e particolare. Aveva qualcosa di diverso dai bei ragazzi che
incontri
per caso in un qualunque bar. Aveva fascino, ne aveva da vendere.
“Prego,
scusa? Stai forse dicendo che non so badare a me stessa?”
– Chiesi, ferita
nell’orgoglio.
“Sto
dicendo che non dovresti essere qui da sola, mentre le tue
facoltà non ti
consentono di avere il controllo di te stessa” – Si
guardò intorno, dopo avermi
guardata dalla testa ai piedi nel modo più intenso in cui un
uomo mi avesse mai
guardata.
“Io
ho il pieno controllo di me stessa” - Affermai con forzata
convinzione.
“In
tal caso..” – Fece spallucce ed accennò
a voltarsi.
Sentii
il bisogno primordiale ed inspiegabile di fermarlo, di non lasciarlo
andare
via.
“Però..
Potrei sempre offrirti un drink, per ringraziarti per poco fa.. Mi hai
liberato
da quel seccatore” – Mi voltai
all’istante per accertarmi che quel Diego non
fosse nei paraggi e mi stesse ascoltando.
Quando
poi mi rigirai verso di lui, lo scoprii un po’ più
vicino di prima e potei
sentire il suo odore. Sapeva di mare, di sabbia, di sale, di sole.
Sapeva dei
sapori e dei colori di quella terra. Un’estatica sinestesia.
Socchiusi gli
occhi. Era bello averlo vicino.
“Non
puoi offrirmi un drink” – Affermò con
convinzione.
Sentii
immediatamente le schegge appuntite del mio orgoglio andato in pezzi,
bruciarmi
in gola.
“Non
posso?” – Chiesi con incredulo risentimento.
Accennò
un irresistibile sorriso enigmatico.
“Non
puoi offrirmi da bere nel mio bar” – Si
limitò a rispondere con aria serena.
Mi
morsi un labbro, guardando altrove.
“Wau. Quindi tu saresti Kol Mikaelson, il
proprietario del Free Bitch”
–
Affermai guardandomi intorno e sollevando di un poco le braccia.
“Non
esattamente. Sono Klaus, fratello e socio in affari di Kol”.
Sorrisi.
Il mio orgoglio era andato in pezzi per nulla, ed era un sollievo.
“Bene,
dunque suppongo che sarai tu ad offrirmi da bere” –
Ammiccai sorridente.
“Potrei,
certo. Se proprio vuoi insistere con il rhum” –
Diede un’occhiata al mio
bicchiere vuoto.
“Potrei
insistere con il rhum e potrei accettare da bere da te.. A patto che tu
mi giuri
di non aver scelto il nome di questo posto”.
Si
sciolse in una risata spontanea. Era bellissimo. Mi illuminai di
quell’allegria.
“A
dire il vero, odio il nome di questo posto” -
Confessò, avvicinandosi e
sussurrando al mio orecchio.
“Lo
odio anch’io!” – Esclamai con forse
troppo slancio.
“Lo
avrei chiamato come te” – Aggiunse, fissandomi
negli occhi.
“Come?”
– Chiesi, senza aver davvero compreso.
“Gli
avrei dato il tuo nome” – Ripeté
serafico.
“Non
conosci ancora il mio nome” – Obiettai, voltandoli
occhi al cielo.
“Non
importa. Qualunque esso sia mi avrebbe ricordato te, e sarebbe stato
perfetto”.
Restai
ammutolita, a fissare i suoi occhi impertinenti e seduttori che
però sembravano
sinceri. Chinai la testa dopo qualche secondo, non riuscivo a sostenere
quello
sguardo così intenso.
“Di
certo sai cosa una donna ama sentirsi dire”- Sollevai il
bicchiere, con la
richiesta implicita di un altro drink.
“Ma
non mi hai ugualmente detto il tuo nome” –
Insisté lui.
“Caroline.
Caroline Forbes”.
“Caroline”
– Come dicevo, sarebbe stato perfetto.
Sorrisi
imbarazzata, mentre mi balenò improvvisamente il pensiero di
Elena. Dove era
finita la mia amica? Era sicuramente più ubriaca di me ed
era in balìa di quel
Marcel. Dovevo trovarla. Non riuscivo a non essere preoccupata per lei.
“Cosa
c’è? Ho detto qualcosa che ti ha
turbata?” – Mi chiese, intercettando la mia
angoscia per Elena.
“E’
che.. Ero con un’amica che è sparita con un tizio.
Vorrei ritrovarla prima di
continuare a bere”.
“Sai
come si chiama questo tizio?” – Mi chiese con
padronanza.
“Sì.
Marcel, è un tassista”.
Sorrise
divertito.
“Lo
conosci?”
“Direi
di sì. E’ un bravo ragazzo, non hai di che
preoccuparti”.
Lo
guardai corrucciata.
“Okay,
Caroline. Lo chiameremo al cellulare così potrai riunirti
alla tua amica”.
Prese
dalla tasca il suo smart phone e chiamò l’uomo che
si era dileguato con Elena.
“Fra
poco torneranno. La tua amica sta bene” – Disse
dopo una breve conversazione,
di cui la musica alta mi privò l’ascolto.
“Ti
ringrazio” – Lo guardai con sincera gratitudine.
“Ora..
Possiamo ordinare questo drink?”
“Direi
di sì. Un rhum bianco, grazie”
“Ottima
scelta” – Sorrise soddisfatto.
E
dopo una manciata di minuti, anche il mio quinto drink era stato
prosciugato.
“Elena!
Marcel! Che bello rivedervi!” – Saltai dallo
sgabello per andare in contro alla
mia amica e alla sua nuova fiamma.
Ero
drasticamente ubriaca.
Farfugliai
qualche altra cosa ed Elena di tutta risposta mi comunicò
che avrebbe passato
la notte in spiaggia con Marcel, che potevo stare tranquilla e che il
tizio che
avevo rimorchiato era dannatamente sexy.
Sorrisi
consapevole che aveva ragione.
Klaus
Mikaelson era illegalmente attraente e seducente.
Rimasi
di nuovo sola con lui, eravamo in mezzo a tanta gente, ma eravamo come
soli,
occhi negli occhi.
“Ora
che sei più tranquilla sulla tua amica, come desideri
trascorrere questa
serata?” – Sfiorò la mia mano con la sua
ed un brivido mi percorse la schiena.
“Non
saprei..” – Scoppiai a ridere.
“Ho
forse detto qualcosa di divertente senza accorgermene?”
– Mi chiese lievemente
stranito.
“No,
no.. E’ che vedi, io sono una maniaca del controllo e non
faccio altro che
pianificare e programmare e decidere per gli altri, oltre che per me..
E poi,
straparlo, vedi, io straparlo. Ma ora – Continuai a ridere
– Ora non so davvero
cosa proporre, perché sono ubriaca. Totalmente. E sono qui
con te, che mi
piaci. Oddio non avrei dovuto dirlo ad alta voce! Si, mi piaci.
L’ho detto di
nuovo. Ma non so se è il caso di..”
Non
ebbi il tempo di realizzare quanto si stesse avvicinando. Sentii le sue
meravigliose labbra calde, morbidi ed esperte, scontrarsi con le mie,
dischiudendosi in un bacio intimo, voluttuoso ed esigente. Ero una
maniaca del
controllo, ma mai come in quella occasione amai la sensazione esaltante
di
quando il controllo lo perdi e ti ritrovi faccia a faccia con i tuoi
istinti
più forti e viscerali.
Risposi
a quel bacio con la stessa veemenza, portandogli le mani dietro la nuca
ed
attirandolo a me. Non sapevo chi fosse, non sapevamo nulla
l’uno dell’altra, ma
avevamo bisogno di quel bacio, più dell’aria
stessa.
Quando
riemersi da quell’estasi, dopo che ci eravamo staccati, ma
ancora vicinissimi,
biascicò al mio orecchio: “Vieni con me,
c’è un posto che devi assolutamente
vedere”.
Mi
porse la mano ed io l’accettai, lasciandomi condurre al di
fuori della
struttura in legno e acciaio e seguendolo lungo la discesa che portava
alle
spiagge della baia.
Arrivammo
ad una piccola caletta, dopo aver camminato per qualche decina di metri
con i
piedi nella calda acqua della riva. La luna splendeva ormai padrona in
quel
firmamento d’argento.
“E’
meraviglioso qui” – Dissi sottovoce, osservando la
struttura al centro della
spiaggetta. Un letto da esterni, tappezzato di bianco, sul quale erano
abbandonati grandi cuscini morbidi dello stesso colore.
“Visto
che la tua amica passerà la notte con Marcel, potresti
fermarti qui. L’alba dei
caraibi è favolosa in questo periodo. Potremmo vederla
insieme” – Nella sua
voce riecheggiava la solida certezza che avrei accettato quella
risposta.
“Potrebbero
mandarci via, sembra una spiaggia privata questa” –
Risposi con qualche sincera
riserva.
“Lo
è, Caroline. E la villa che vedi lì è
proprio la mia. Posseggo questa caletta.
Nessuno verrà a disturbarci”.
Non
ebbi alcuna esitazione.
Mi
gettai al suo collo, ancora in preda agli effetti del rhum, ancora
bisognosa di
averlo fra le mie mani.
Amoreggiammo
per ore su quel letto candido. Parlammo, tanto. Parlammo come due
sconosciuti
che si conoscono da sempre e, prima che l’alba ci
sorprendesse, ci
addormentammo abbracciati, scaldandoci a vicenda.
Il
sorgere del sole dalla Bloody Bay fu lo spettacolo più
emozionate della mia
vita. Ammirare quel capolavoro della natura fra le braccia di
quell’uomo, fu la
sensazione più appagante che avessi mai sperimentato.
“E’
stupendo, Klaus. E’ un panorama..perfetto”
– Dissi mentre la mia schiena era
appoggiata al suo petto e le sue braccia intorno alle mie.
“E’
quasi stupendo e perfetto quanto te” –
Precisò lui, stringendomi a sé.
Una
settimana dopo.
“Non
sto piangendo!” – Commentai stizzita.
“Così
come non stai mentendo” – Aggiunse lui, guardandomi
con dolcezza.
“Sapevamo
che sarebbe durata il tempo di questa vacanza” –
Dissi più a me stessa che a
lui.
“Già.
Ma non sapevamo che saremmo stati così bene”
– Precisò, indagando il mio volto
coi suoi occhi attenti.
“Devo
andare. Marcel è già fuori ed Elena ha
già caricato i bagagli sul taxi” – Dissi
scuotendo la testa e raccogliendo con il dorso della mano una sottile
lacrima
sfuggita al mio controllo.
“Non
devi partire per forza. Sai la mia stanza, è grande
abbastanza per entrambi”.
La
sua stanza.
Sfilarono
davanti ai miei occhi i flashback di quei giorni passati insieme. Le
mattine
alla baia, i pomeriggi alle Blue Mountains, le serate al Free
Bitch – Avevo imparato a pronunciare quel nome
senza ridere –
le notti nella sua villa. Il sesso nella sua stanza. Il miglior sesso
di tutta
la mia vita. Quel tipo di sesso senza il quale l’esistenza di
una persona non
può dirsi completa.
Le
lacrime risalirono ai miei occhi.
“Sai
che non posso restare” – Ribattei, lottando contro
la voglia di piangere.
“Già..il
college, la tua famiglia, i tuoi amici”
- Rispose con amarezza.
“Sto
costruendo il mio futuro in Virginia” – Insistei,
ricacciando indietro le
lacrime.
“Allora
cosa aspetti, Caroline? Marcel è pronto per portarvi in
aeroporto” – Girò la
faccia altrove, ferito nell’orgoglio per il mio rifiuto.
“E’
stato bello conoscerti, Klaus” – Lo costrinsi a
guardarmi, poggiandogli una
mano sul volto, accarezzando la barba ispida.
Mi
concesse uno dei suoi sorrisi enigmatici, complici, bellissimi.
“Addio,
Caroline” – Si allontanò verso la hall,
senza mai voltarsi.
“Addio,
Klaus” – Sussurrai alle sue spalle.
Finalmente
potevo piangere.
Due
ore dopo.
“Addio
Jamaica!” – Sospirò Elena, mentre
salivamo la scaletta del boing 747.
“Addio
terra del sole, del divertimento e del rhum” –
Aggiunsi io con un pizzico di
nostalgia.
Ci
sedemmo ai nostri posti, dopo aver sistemato i bagagli a mano nelle
cappelliere.
“Sai,
per un attimo ho avuto la tentazione di restare. Sono stata bene con
Marcel in
questi giorni” – Mi disse Elena, mentre sistemava
la cintura di sicurezza.
“E
cosa ti ha trattenuta dal restare?” – Chiesi
distrattamente mentre trafficavo
con la mia.
“Damon”
– Disse lei candidamente.
“Come?”
Sorrise.
“Già,
è così. Ogni giorno, ogni minuto, ogni istante.
Era con me. Mi sono divertita e
non mi pento di nulla. Ma Damon è la persona che continua ad
affollare i miei
pensieri. Amo Damon, Caroline. Marcel non ha cambiato nulla dentro di
me. E’
stato solo una piacevole distrazione” – Prese il
suo ipod ed indossò gli
auricolari, cominciando ad ascoltare musica per rilassarsi prima del
decollo.
Le
parole di Elena furono illuminanti.
Damon
era ancora una costante per lei. Potevo dire io lo stesso di Tyler?
Frugai
dentro di me, alla svelta, come quando si cerca qualcosa di importante
in un
cassetto ricolmo di cianfrusaglie. Ma l’unico nome che venne
fuori da quella
confusione fu Klaus.
Tyler
era sparito.
Era
rimasto lì per tutto quel tempo perché non avevo
avuto la forza lasciarlo fuori
da me.
Ma
ora era successo.
Lui
non c’era più.
C’era
solo Klaus. E la nostra vacanza. E il mare della Jamaica. E le nostre
notti
insieme. E le risate a perdifiato. E i nostri corpi che facevano
l’amore.
L’amore.
Il
mio cuore cominciò a battere all’impazzata. Mi
mancava l’aria. Non potevo
essere su quell’aereo. Non potevo partire. Slacciai la
cintura, facendo
sobbalzare Elena che subito si tolse gli auricolari.
“Caroline!
Stai bene?” - Mi chiese allarmata.
“Devo
andare! Elena, non posso, non posso partire. Klaus. Io voglio restare
con
Klaus. Non ci avevo pensato, non mi ero soffermata a pensare cosa
volessi
davvero. Io voglio restare qui. Per un po’”
– La voce mi tremava dall’emozione.
“Allora
vai! Cosa aspetti? Che chiudano i portelloni?”
Sorrisi
di felicità. Elena mi aveva sempre capita.
Scattai
in piedi e ridiscesi la scaletta di corsa. Mi fiondai lungo la pista,
non
curante del rischio e rientrai al terminal. Presi il primo taxi appena
fuori
dall’aeroporto e lo scongiurai di riportarmi alla Bloody Bay
il prima
possibile.
Quando
arrivai al Free Bitch, senza
valigie
e senza certezze, lo riconobbi dietro al bancone, di spalle, mentre si
versava
da bere, era un Rhum bianco.
Mi
avvicinai di soppiatto: “Un po’ presto per quello
direi”
Poggiò
il bicchiere lentamente sul piano davanti a sé, senza
voltarsi, restando
immobile.
“Scommetto
che se ne versassi uno anche a te, non saresti così
inflessibile” – Rispose,
stando al mio gioco.
“Vero”
– Dissi, senza aggiungere altro.
Senza
ancora girarsi, prese un altro bicchiere e lo riempì, poi
finalmente si voltò.
Le
labbra arricciate in un sorriso compiaciuto sembravano sussurrare alle
mie
orecchie Sapevo che saresti tornata da
me.
Mi
porse un bicchiere che accettai prontamente. Facemmo tintinnare i
nostri drink
e buttammo giù d’un fiato quel liquido trasparente
e caldo, sentendo il bruciore
arrivare dalla gola al ventre.
“Non
sarà per sempre” – Gli dissi, quando
ormai ero di nuovo fra le sue braccia.
“Non
mi importa – Rispose lui – Sei qui adesso”
Consumammo
così il nostro ennesimo bacio di passione, ma di certo non
l’ultimo.
Fine
*Citazione
di Alessandro Baricco.
Note
autrice.
Spero
che questa OS sia stata di vostro gradimento. Grazie per aver letto e
grazie a
tutte le ragazze del gruppo FB Klaroline
and Klaus FanFiction Addicted che hanno reso
possibile la realizzazione del
contest con le loro storie! Valgono tutte la pena di essere lette! Se
non siete
ancora iscritte al gruppo non esitate ad unirvi a noi! Vi aspetto!
Un
abbraccio
Vic