Lo
scudo di legno
Sono solo. Sono la paura stessa. Le caviglie mi
tremano; le piante dei piedi non mi sostengono più. Ho tanto dolore in corpo
che potrei piangere come un bambino, perché l’istinto, che è fatto di pelle e
tessuti sanguigni, mi dice di andarmene via; e invece io resto qui, a
raccogliere anatemi come un insulso scudo di legno.
Perché sono qui? È davvero un motivo più prezioso
della fiamma vitale?
Ne vale la pena? Io amo la vita, i suoi odori, per
Merlino anche i sapori, e i colori, la sensazione del mangiare, del dormire, di
un bacio, e ora bramo ogni respiro e ogni battito.
Non voglio sparire adesso. Sarebbe uno scempio. Chi si ricorderà di me?
Vacillo al buio, qualche istante, nel contraccolpo del primo
incantesimo che mi rimbalza addosso.
Uno Stupeficium di
traverso, che mi stordisce un po’.
Arrivano i
nostri.
Riprendo a respirare, riapro gli occhi, e non aspetto oltre:
i corpi degli altri danzano in una furiosa lotta scintillante, ed io devo
prenderne parte.
Lascerò che il piccolo Colin si prenda un Anatema che
uccide? O Ginny?
E Madama Chips?, il professor Vitious?
Li lascerei combattere da soli?
Lascerei sparire qualcun altro al posto mio?
Piacere, sono Lee Jordan, e sono sopravvissuto usando gli
altri come scudo.
No.
Scosto le mani, mi scopro gli occhi.
Vedo la battaglia, ma dal basso; la vergogna mi frusta, io
quasi guaisco.
Voglio essere scudo, voglio essere legno, anche giovane
fuscello, capace di deviare il male e renderlo innocuo.
Non permetterò che altri soccombano stanotte.
Arriva un momento, dopo aver messo i piedi sul campo
di battaglia, in cui la paura scompare. Un attimo prima, la pelle è la cosa più
cara, l’egoista che c’è in te ha paura della solitudine, del vuoto. Se resto qui, nessuno mi vedrà. Al primo
scoppio posso scappare facilmente…
È nel tuo momento più nero che senti di poter perdere te
stesso; basta superare il limite.
Stacchi con impeto le mani dalle spalle tremule, smetti di temere per la tua vita, perché non c’è nulla che
ti renda più solo di questo.
Così il coraggio ti fa vibrare il torace.
E pensi, questo sono io. Sono di nuovo io.
Meno fendenti a destra e a manca, alla cieca, ma quel
suddetto coraggio o la mia buona stella mi fanno trinciare le file nemiche.
Ansimo senza paura di essere sentito, incitandomi come una bestia, facendomi strada fra i miei coi cazzotti, pur di spingerli
indietro, di colmare i punti sensibili.
Ora sono nel cerchio più esterno.
A destra Lupin, a sinistra Tonks, poi i gemelli, i miei migliori amici.
Uno alla volta abbiamo sfidato la
vita e sconfitto la morte, sopprimendo la paura ad ogni passo, ad ogni
incantesimo.
E se anche io sparissi
stanotte, con la stanchezza che ho nelle ossa, non sarebbe poi tanto grave;
saprò di aver combattuto per il giusto;
sono spalla a
spalla con gli amici, e non c’è niente più che mi spaventa.