Il giorno in cui uccisi il Minotauro

di IrethTulcakelume
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IL GIORNO IN CUI UCCISI IL MINOTAURO


 
Io ero lì, fermo. Avevo corso durante tutto il tragitto, con il filo rosso avvolto intorno al polso sinistro – ormai la lana mi aveva scavato un solco profondo, che cominciava a dolermi. Non riuscivo quasi a respirare – non ero nemmeno in grado di capire se per la paura o per la fatica.

Anche lui era lì, fermo. Il tanto temuto Minotauro mi guardava impassibile. Non era intento a divorare nessuno, non scalciava, non muggiva. Niente di tutto questo.

Non era nemmeno in piedi.

Aveva la schiena appoggiata contro una parete del labirinto, le gambe distese e le braccia incrociate sul petto enorme, e mi fissava. Il suo sguardo non era feroce, non cercava di incutere terrore, e fu proprio questo a paralizzarmi.

Mossi qualche passo incerto verso il mostro – perché così mi avevano insegnato a chiamarlo – brandendo la mia lunga spada di bronzo, e lui si alzò sospirando, quasi con indolenza, e si mise esattamente di fronte a me.

In quegli occhi neri vidi la tranquillità di chi ha già accettato il suo destino – perché lui aveva già capito chi ero, e cosa ero venuto a fare – e la supplica di chi lo reclama.

Mi avvicinai ancora. Lui: fermo.

Ma un eroe non tentenna, un eroe non esita: un eroe agisce.

E io agii. Presi la spada a due mani, e corsi verso il Minotauro. Un attimo prima che la lama raggiungesse il suo cuore, vidi le sue labbra incresparsi in un debole, triste sorriso.

Estrassi la spada grondante di sangue dal suo petto. Era morto. Per qualche secondo i miei occhi si velarono di lacrime, che ricacciai subito indietro.

Un eroe non piange.

Tornai all’entrata del labirinto, dove Arianna mi stava aspettando. Le rivolsi un sorriso appena accennato. – Lo crederesti, Arianna? Il Minotauro non s’è quasi difeso. – E in quel momento, mi resi conto che non era morto solo il Minotauro.
 

 




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