Lost In The Echo
Frammenti - Lost
In The Echo
Nives
era addossata al tronco di un pino, seduta su un ramo a tre o quattro metri
d’altezza.
Sentiva
freddo alle dita e al naso e respirava lentamente. Accanto a lei c’era Glaceon
e Froslass fluttuava poco sopra. Non sapeva assolutamente da quanto fosse lì,
ma di sicuro non da poco tempo.
Si
sporse ancora un po’ a destra del tronco.
Il
ragazzino era scomparso, Weavile anche.
I
cadaveri sventrati dei due uomini giacevano ancora nella neve, il bianco manto
cristallino di quest’ultima, nei pressi dei due corpi era completamente
ricoperto da una mistura di sangue e acqua.
Nives
sbatté gli occhi tre volte. Aveva sonno.
Scese
lentamente dall’albero e si incamminò voltando le spalle alla baita.
Doveva
andarsene.
Camminò
per un tempo indefinito, attorno a lei si innalzavano milioni di sempreverdi
ricoperti di neve e sopra la sua testa si estendeva l’immensa pianura del cielo
turchino che lentamente si accingeva a scurirsi sempre più. La ragazza dai
capelli indaco camminava affondando gli stivali nel nevischio che si faceva via
via sempre più sottile e rado.
Si
ritrovò in mezzo al nulla a rimuginare sulla sua vita che nel cielo si era
levata la luna piena, ma sia le stelle sia parte del satellite erano criptate
dalle nuvole.
Ad
un certo punto la piccola volpe celeste che la accompagnava emise il suo verso
sottile e delicato mentre il Pokémon Suolneve trasse un sospiro tagliente.
Nives, che da alcuni minuti camminava alla cieca sondando il terreno a spalle
ricurve, alzò lo sguardo.
Davanti
a lei, due file opposte di pini andavano sempre più a restringersi fino a
formare una specie di galleria stretta, come un meandro nascosto nella
boscaglia. Alla fine di quella particolare galleria brillava una debole luce
rossa.
-
Che cos’è quella... cosa? - si chiese Nives a voce alta.
Si
sentì incredibilmente attratta verso quel bagliore, le sue gambe si mossero da
sole e si inoltrò per quell’angusto passaggio insinuato tra i folti rami degli
alberi. I suoi Pokémon la seguivano fedeli.
La
ragazza si sporse verso la luce, il rosso, man mano che si avvicinava, si
rivelava sempre più fievole ed effimero.
-
Uhm, ahh... - emise mentre cercava di liberarsi dai rami che le bloccavano il
passaggio.
Finalmente,
dopo essersi districata in un labirinto di foglie e aghi, giunse nell’anfratto
celato tra gli alberi. La luce era scomparsa, dietro di lei, i suoi Pokémon non
c’erano più. Nives si accorse in quel momento che uscire da quel piccolo buco
tra la vegetazione sarebbe stato difficile quanto lo era stato entrarvi. La
fessura in cui si era imprudentemente voluta infilare si era rivelata molto più
soffocante. Gli alberi sembravano sporgersi verso di lei sempre più come a
volerla soffocare e la fioca luce della luna non riusciva a raggiungerla.
Si
sentiva chiusa in una gabbia, stritolata da quegli alberi i cui rami le
sembravano tendersi verso di lei come degli arti.
Ad
un certo punto, presa da quell’irrazionale paura, dalla stanchezza e dal suo
senso di disorientamento, cadde a terra svenuta. L’ultima cosa che vide furono
proprio i folti rami degli alberi che, protesi verso di lei, la raccoglievano
da terra delicatamente.
Il
fruscio delle foglie si diradò. Nives aprì gli occhi a fatica, e cercò di
mettere a fuoco ciò che la circondava.
Nebbia,
solamente nebbia. Una fitta cappa di bruma soffocante e spessa la circondava e
aleggiava tetra in quello che sembrava un prato dall’erba rada e ingrigita.
Si
ritrovò in ginocchio, quasi sostenuta senza volerlo dalle sue gambe. Cercando
di riprendere coscienza e controllo di se stessa, finì a carponi sul terreno
ruvido.
Nell’esatto
momento in cui le sue mani toccarono l’erba rinsecchita e rovinata,
terrorizzata dalla sensazione, Nives si ritrasse involontariamente emettendo un
gridolino spontaneo.
La
terra aveva una consistenza quasi fangosa ma asciutta e l’erba sembrava intrisa
di acqua ma manteneva una fragilità secca e grottesca. La ragazza, ignorando
l’annichilimento in cui si trovavano i suoi muscoli, scattò in piedi.
-
Uff, uff, che diavolo...
Nives
impiegò attimi infiniti per riprendere fiato. Vincendo la agghiacciante paura
di pentirsene, si accinse a guardare cosa componesse quel terreno tanto
particolare. Si piego avvicinando il volto all’erba. Lasciandosi sfuggire un
gemito, scattò all’indietro. Il terreno era costellato da buchi nel quale
proliferavano e brulicavano un numero incredibile di vermi. Erano ovunque,
Nives si accorse di star camminando su una distesa di vermi e terra. Spaventata
e quasi rivoltata, corse via.
Attraverso
la nebbia senza pensare tanto a cosa avrebbe trovato, ma preoccupandosi
soltanto di scappare da quell’abominevole spettacolo. Fece cinque o sei passi e
poi si ritrovò davanti una parete di rovi; una siepe alta quasi tre metri le
stava bloccando il passaggio, era fittissima e spogliata dal suo manto di
foglie.
-
No!
Voltò
a destra. Null’altro.
Si
rese conto di star correndo rasente ad un cerchio di rovi che circondava il
prato in cui si trovava.
In
quel momento si rese conto di essersi persa. Che posto era, quello? Come ne
sarebbe uscita?
-
Dove sono?! - esclamò esasperata Nives quasi aspettandosi davvero una risposta.
Non
arrivò nessun chiarimento. Solo un rumore di rami spezzati che proveniva da un
punto preciso della siepe. Nives attese un ulteriore suono o quantomeno una
voce terrorizzata e in apnea totale, persino il suo cuore smise di battere.
Un
altro rumore.
Un
altro ancora.
Un
altro ancora.
Il
terrore della ragazza si tramutò gradualmente in isteria.
-
Chi c’è?! Che cosa volete?! - prese a strillare. - Che cosa volete da me?! Dove
mi trovo?! - esclamò trattenendo lacrime frenetiche e disperate.
Lentamente,
una sagoma prese forma nella nebbia. Sembrava un uomo, aveva una forma
quantomeno umana. Nives la attese di nuovo impietrita al suo posto. La sagoma
camminava insicura e molto traballante.
Quando
fu abbastanza vicino da distinguerne le reali fattezze, a Nives non fu concesso
scappare.
La
ragazza soffocò un grido, non riuscì a tirarlo fuori.
Uno
spaventapasseri di rami, fieno e con la testa che era una zucca, le saltò
addosso senza tanti problemi. Nives cadde all’indietro sul terreno verminoso,
ma in quel momento non pensò a che cosa avesse sotto, bensì a che cosa aveva
sopra. La creatura si dimenava e Nives faceva lo stesso, nessuno dei due stava
avendo la meglio, ma quell’ammasso di ramoscelli e fieno pareva penetrare
sempre più le difese della ragazza che senza metodo, in preda alla foga e alla
paura, cercava di allontanarlo.
La
zucca che quello spaventapasseri aveva al posto della testa era intagliata e
una fessura zigzagata che doveva essere una bocca la percorreva per quasi tutta
la sua circonferenza. Tutt’ad un tratto, la fessura si spalancò. Al suo
interno, scoprì Nives, brillava la stessa luce che prima l’aveva attirata verso
quell’antro tra gli alberi, ma ciò non le chiarì nulla. Lo spaventapasseri,
senza farsi troppi problemi, inghiottì la testa della ragazza.
Nives
per qualche istante si sentì come chiusa all’interno di un vuoto spettrale che
non le permetteva nemmeno di respirare, poi, piano piano, la sua ragione
scomparve e cadde svenuta ancora una volta.
Un
ronzio si infiltrava nella testa di Nives con la violenza di un trapano. La ragazza
si ritrovò appoggiata ad un albero, era a testa in giù e delle piante
rampicanti molto elastiche e flessibili le legavano le caviglie.
Sentiva
la testa pesante, aveva un’emicrania molto intensa e le gambe indolenzite. Provò
a tirarsi su con le braccia, ma non le riuscì. Ogni sua fibra muscolare era
sotto sforzo e il sangue, che confluiva pericolosamente verso la parte
superiore del suo corpo, le rendeva difficile ogni movimento.
Iniziò
a sentirsi gonfia e ad avere paura.
Ancora
quella sensazione di dispersione nell’ambiente, un terribile non sapere dove ci
si trova.
Nives,
avvertendo di nuovo un ronzio particolare, guardò a terra. Inorridita, rimase
inorridita.
Insetti
su insetti su insetti che si ammassavano su se stessi formavano quel terreno
movimentato e agghiacciante a vedersi.
La povera
Nives cacciò un grido che fu interrotto da un’orrenda sensazione che le pervase
il corpo. La causa, un rumore come di arbusti spezzati, una sensazione di
discesa graduale.
Convincendosi
del contrario, la ragazza realizzò che le piante che la tenevano appesa si
stavano strappando.
Un ultimo
“stac”.
Il corpo
di Nives cadde nell’oscurità.
Non ci
fu alcun impatto, alcun contatto con quelle maledette creature, nulla. Solo una
caduta nel nero delle sue palpebre che si chiusero istintivamente.
Il sonno,
il buio, l’assenza di materia e la leggerezza della sua mente nel vuoto etereo.
-
Nives, tesoro!
Uno dei
suoi perlati occhi indaco si aprì placido e stralunato.
- Siamo
qui. - avvertì una voce conosciuta. - vieni dalla mamma!
Entrambi
i suoi occhi si riaprirono, ma subito una lacrima li appannò entrambi. Nives si
trovò seduta per terra a poca distanza da sua madre che, calma e posata come
sempre, operava ai fornelli come una buona casalinga. Il padre sfogliava
lentamente il giornale, sprofondato nella sua poltrona scarlatta e attorno a
lei si ergeva calda, terribile e cara la sua vecchia casa.
-
Vai dalla mamma, piccola... - la incitò anche il padre.
Nives
non si mosse, si accorse di star piangendo. Le mani con cui stava stritolando i
suoi polpacci tremavano dalla frenesia e le sue palpebre sbattevano
convulsamente. Un singhiozzo le spezzò la gola e avvertì i suoi genitori del
fatto che lei non si sarebbe alzata facilmente da quel suo nido di solitudine
separato da tutto e da tutti. Si accorse che aveva etichettato come tale il
tappeto rosso sul quale ogni volta giocava con il padre.
-
Nives, non mi ascolti? - fece infine la madre voltandosi verso la figlia e
muovendo alcuni lenti passi verso di lei.
Nives,
sconfortata ma allo stesso tempo vogliosa di farlo, alzo lo sguardo.
Sua madre.
Non era sua madre.
Davanti
a lei sostava una bambola di pezza con dei bottoni al posto degli occhi e la
bocca trapuntata e la pelle fatta all’uncinetto. La creatura giochicchiava con
i guanti da cucina che aveva in mano e la guardava con un’espressione così
benevola da sembrare quasi reale.
Nives
cadde di schiena facendosi anche male. Non emise suono, ancora una volta.
-
Ragazza, che cos’hai oggi? - chiese il genitore abbassando il giornale.
Stesso
spavento per Nives. Anche lui era una bambola.
-
Dai, perché, non vieni a darmi una mano?
-
Mh, penso sia il caso di lasciarla in pace, cara... - consigliò il padre.
-
Già, forse hai ragione, tanto non accetta di vivere con le persone diverse da
lei. - affermò Lucy con una voce tremendamente cavernosa.
Le trapunte
sul suo corpo iniziarono ad aprirsi e le cuciture a strapparsi, lo stesso per
il padre. Piano piano, in preda a terribili gemiti mortiferi, le bambole si
aprirono rovesciando a terra sul parquet il loro contenuto. Organi e sangue in
quantità.
Un odore
acre si diffuse nella stanza, Nives trattenne un conato di vomito e scattò in
piedi. Sbatte la nuca contro una mensola e cadde a terra. Svenuta ancora una
volta.
-
Ah?!
Nives
si ritrovò sulla cima di un albero. Era freddo, c’era la neve. Un vociare
spensierato proveniva da un posto vicino. Un ragazzino e un uomo stavano
giocando a palle di neve. Una donna si avvicinava a loro affondando gli
scarponi nella neve.
Froslass
poco vicino fissava Nives curiosa e Glaceon stava appisolato sulle sue cosce.
I
due adulti, giunti accanto al ragazzino, lo abbracciarono stringendolo da ogni
parte. Erano così felici.
Nives
si voltò spaesata. Dietro di lei, Weavile sostava sul ramo in attesa di ordini.
Aveva le unghie ben affilate e uno sguardo gelido negli occhi.
L’animo
della ragazza prese ad attaccare battaglia con il suo sterno per uscire fuori
come meglio poteva. Quel dolore che si sente nella gabbia toracica quando il
cuore manca un battito.
L’abbraccio
dei tre si sciolse.
Nives
crollò definitivamente. Si gettò sul tronco dell’albero e lasciò uscire le
lacrime. Per alcuni minuti interminabili rimase ferma a sfogarsi. Quindi tornò
in sé.
-
Vai, Weavile, sei libero... - sussurrò. - Qua non c’è nulla da fare.
Frammenti, piccoli pezzi del nostro
animo invincibile quanto effimero.
L’uomo è un essere di terra, può
cambiare, solo quando la vita, che è acqua, lo leviga con il suo scorrere.
La vita ci cambia passando da fuori,
mentre qualcosa modifica il nostro essere all’interno, il nostro animo,
prendendo e sistemando i suoi frammenti come più gli piace.
La paura.
Minuscolo Icosaedro
di Universo
Allora, eccomi qua anche io!
Frammento di Levyan con protagonista Nives appartenente
alla squadra del Soulwriter Team...
Blablablabla, sempre le solite cose.
Ho deciso che d’ora in poi, tutti i miei
Frammenti/Capitoli inerenti al Team avranno come titolo il titolo di una
canzone che reputo importante o bellissima.
Perché sì.
Nel capitolo precedente avevamo Cold As Ice dei M.O.P.,
capolavoro.
Questo invece ha il titolo di Lost In The Echo dei Linkin
Park. Mi piace la canzone, ma non ha mai simboleggiato nulla per me.
Perché vi chiederete.
Allora, niente discorsi morali o metafore con l’eco.
Οίκος, in greco, significa casa, ambiente, patria.
Ambiente, natura, dal quale in italiano la particella “eco”
di ecologia, ecologo, ecologico.
Ho pensato di fare un esperimento linguistico (di merda)
intendendo Lost In The Echo come “perso (in questo caso, persa) nell’ambiente,
nella natura”, come si ritrova Nives, e non come “persa nell’eco”.
Se pensate che sia una cosa simpatica, grazie.
Se pensate che sia un a genialata, ricoveratevi.
Se pensate che sia una stronzata, probabilmente avete
ragione.
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