I'll
Save You
-Dottr Gilbert! Mattiniero come sempre,
vedo.-
-Sa, il lavoro chiama.-
-Ah, cosa non si fa per portare la
pagnotta a casa?-
Gilbert si grattò preoccupato la
testa mentre controllava attentamente la sua agenda. Quella, lo sapeva,
si prospettava come una giornata decisamente impegnativa. Tra meno di
quindici minuti il suo studio si sarebbe trasformato in una gabbia di
scimmie come, d'altronde, capitava quasi tutti i giorni. Ma dopotutto
non poteva neanche lamentarsi: aveva deciso lui di diventare uno
psicopatologo, non l'aveva costretto proprio nessuno. Oltre al fatto
che dopo aver concluso gli studi aveva deciso di diventare indipendente
dalla sua famiglia, che i soldi per sostenerlo in caso di ripensamenti
li aveva.
Qualche volta la sua amica Sharon lo
prendeva in giro ridacchiando che era davvero strano vederlo nei panni
di dottore, soprattutto specializzato nella psiche umana: Gilbert
Nightray era una delle persone più apprensive e impacciate che
conoscesse. Con quel suo inspiegabile istinto materno nei confronti di
tutti, il complesso di inferiorità e la terribile ailurofobia era quasi
impossibile figurarselo come un esperto nella cura di patologie
mentali. Forse non aveva neanche tutti i torti, eppure c'era anche da
dire che era piuttosto conosciuto nella cittadina di Sabriè, forse
anche perchè era l'unico psicopatologo nei dintorni.
Alla fine però doveva ammettere che il
suo mestiere gli piaceva. Gli permetteva di conoscere molte persone e
le loro particolari situazioni: gli erano capitati casi di licantropia
clinica, vampirismo, sindrome di Alice nel Paese delle Meraviglie e
anche quella del Morto Vivente. Poi c'erano i pazienti fissi, come
Xerxes Break, un eccentrico signore con un particolare disturbo
alimentare o Reim Lunettes, un uomo molto saggio più o meno della sua
età che soffriva di una mania ossessiva compulsiva, e aveva anche
finito con il fare amicizia con i due. C'era poi chi veniva da lui
semplicemente per sfogarsi un po' e chiedere consiglio come capitava a
suo fratello Elliot e il suo fidanzato, Leo (che, se proprio doveva
essere franco con se stesso, Gilbert aveva pensato più volte che avesse
bisogno delle sue cure, ma a quanto pare suo fratello era una terapia
più che efficace per i suoi scatti di rabbia e gli sbalzi d'umore).
Continuò a guardare l'agenda. Oggi
avrebbe incominciato proprio con Xerxes, poi ci sarebbero state delle
visite di controllo e, infine, nel primo pomeriggio avrebbe avuto una
seduta di due abbondanti ore con Oz. Sempre se fosse stato Oz, ovviamente.
La persona in questione era un ragazzo
un po' più piccolo di lui, abbastanza basso ed esile, capelli biondi
spettinati e affascinanti occhi verdi. Era davvero meraviglioso secondo
Gilbert: gentile, disponibile, forte, anche. Qualche volta nei suoi
occhi l'uomo poteva vederci delle scintille di vitalità e allegria,
sprazzi di quel carattere che una volta doveva possedere e che tentava
di mantenere anche in quel periodo, orami cosciente del suo disturbo e
in cura da un tempo più che discreto. Sarebbe stato bello poter dire
che sarebbe sicuramente guarito presto, che la sua terapia non sarebbe
durata troppo tempo, ma la cosa era quasi impossibile: di tutti i casi
di cui si occupava il suo era decisamente il più delicato, come i
petali di un fiore, un prezioso oggetto di cristallo, eppure era quello
in cui Gilbert sperava di più, quello in cui riponeva più fiducia. E,
passando molto tempo con lui, era arrivato a provare un profondo
affetto per il ragazzo. Lui voleva
che guarisse, lui doveva
guarire. E a lui spettava il compito di aiutarlo nella difficoltosa
impresa. Dopotutto i progressi c'erano dalla prima seduta, risalente a
ormai due anni prima.
~◊~
-Vorrei
sottoporre mio nipote ad una visita.-
-Certamente. Mi potrebbe descrivere il suo comportamento e gli
eventuali sintomi?-
-Il problema è proprio questo: non riusciamo a capire cosa ci sia di
sbagliato in lui.-
Era iniziata così la chiacchierata
con Oscar Vessalius quando si era presentato, in una soleggiata
mattinata di Aprile, nel suo studio con il nipote poco più che
ventenne. Sembrava preoccupato. Continuava a ripetere che Oz, era
questo il nome del ragazzo, semplicemente qualche volta non sembrava
Oz, che usciva di casa per poi rientrare completamente scombussolato e
aveva grandi buchi temporali nell'arco della giornata: era possibile
che si dimenticasse azioni compiute poco prima o addirittura intere
ore. Gilbert ammetteva che la situazione turbava anche lui. Non gli era
mai capitato un caso simile, ma c'era anche da dire che aveva da poco
aperto lo studio ed iniziato a lavorare e pensava che la sua
mancanza di una spiegazione per quei sintomi fosse abbastanza normale,
l'inesperienza. Aveva accettato di parlare con Oz perchè era dell'idea
che magari l'avrebbe aiutato a comprendere la situazione. Aveva fatto
accomodare il biondo su una poltrona davanti alla sua scrivania e,
penna e blocchetto in mano, aveva iniziato a fargli delle domande.
-Allora, Oz, come ti senti?- aveva
iniziato con quella domanda pensando che fosse una delle più semplici,
oltre che la migliore con cui cominciare.
Aveva ricevuto un'occhiata disorientata, frustrata e anche un po'
stanca, come se quel quesito gli fosse stato posto più volte e lui, un
po' per inerzia e un po' per non far preoccupare le persone a lui
vicine, avesse sempre risposto nella stessa maniera.
Si era poi sciolto in un risolino a metà tra il nervoso e il divertito.
-Devo essere sincero?- aveva semplicemente ribattuto. Alla risposta
affermativa di Gilbert, un semplice cenno con il capo che stava anche
ad incitarlo, il ragazzo era tornato serio.
-Non
lo so.-
Ed è stato così che aveva iniziato
il suo racconto sotto sua richiesta. Aveva affermato ciò che gli era
stato riferito da suo zio, con l'aggiunta che solitamente non si
ricordava quando usciva né perchè uscisse, ma semplicemente si
ritrovava per strada, su un marciapiede o in qualche vicolo. Aveva
iniziato a soffrire d'ansia, aveva confessato, perchè aveva sempre la
terribile paura di dimenticarsi cose importanti o ritrovarsi chissà
dove. Qualche volta sentiva una voce nella sua testa che sicuramente
non gli apparteneva, aveva detto, e gli dava suggerimenti assurdi.
Il ragazzo oltre a quello sembrava
assolutamente normale: non aveva tic, non era ossessionato dall'ordine,
la pulizia o cose simili e nemmeno aveva sintomi che potessero portare
a schizofrenia o patologie minori, e da lato medico non poteva neanche
soffrire di Alzheimer. Poteva venirgli in mente solo un disturbo da
ansia generale, qualcosa di poco grave, insomma, ma era confuso e, dopo
un'intera ora passata a interrogare, per così dire, il ragazzo senza
venire a capo di niente, decise di chiedere se potevano rivedersi per
una seconda seduta, speranzoso di riuscire ad aiutarlo.
~◊~
-Ti prego, Jack, lascia quel fermacarte da
dove l'hai preso.-
-Oh, che bravo! Mi hai riconosciuto!
E a pensare che fino a qualche secondo ero sicuro che sarei riuscito ad
ingannarti.-
Il disturbo di Oz era venuto fuori
con una lentezza esasperante, quasi logorante. Non era così irrilevante
come avevano pensato all'inizio, né così semplice e facile da trattare.
Il problema del giovane Vessalius era grave, straziante e terribilmente
difficile da sopportare. Era un Disturbo della
Personalità Multipla. Il
lato positivo era che, per fortuna, di personalità ne aveva
semplicemente due: la sua e quella di Jack. I lati un po' più
preoccupanti erano che non si sapeva a cosa fosse dovuta e che la
personalità secondaria del ragazzo non era per niente facile da
gestire.
Jack Vessalius aveva circa una decina
di anni in più di Oz. Era convinto di essere lui la personalità ospite, quella
principale, e cercava in tutto per tutto di far male alle persone a cui
l'altro teneva. Si era presentato per la prima volta durante la loro
terza seduta quando, ad un certo punto, mentre stava parlando, Oz si
era interrotto, aveva sbattuto ripetutamente le palpebre e si era
guardato intorno. Gilbert gli aveva chiesto se c'era qualcosa che non
andava e quando non aveva risposto l'aveva chiamato più volte. Il
ragazzo si era girato verso di lui e, scrutandolo attentamente come se
fosse stata la prima volta che lo vedesse, aveva semplicemente emesso
un risolino e detto:- Mi chiamo Jack, non Oz. Si può sapere chi sta
chiamando?-.
Gilbert si era così messo a parlare
con Jack. Si era accorto che lui era pienamente consapevole di Oz ma
non viceversa e che l'uomo non perdeva mai l'occasione per
scimmiottarlo o prenderlo in giro. Dai suoi discorsi aveva intuito un
eventuale pensiero ossessivo nei confronti di una certa Lacie, di cui
però ripeteva solamente il nome ma non dava indicazioni pienamente
chiare. Aveva citato anche un tale di nome Glen, ma in modo decisamente
più sporadico, e neanche di lui aveva ricevuto descrizioni o dettagli,
tanto da preoccuparsi che potessero essere altre due personalità.
L'aveva domandato al diretto interessato, ma gli aveva spiegato che no,
loro non erano là con lui. Aveva chiesto ancora. Chi erano Glen e
Lacie? La risposta era stata del tutto inaspettata.
-Erano
dei miei cari amici.- aveva detto con aria nostalgica. -Adesso però non ci sono più. Sa, sono
passati più di cento anni da quando ho ucciso Glen.-.
Ed era stato a quel punto che Gilbert era arrivato alla conclusione che
Jack fosse completamente pazzo.
Con Jack aveva passato una discreta
quantità tempo, ma rimaneva nulla in confronto alle ore che aveva
passato con Oz, anche perchè aveva iniziato a provare un terribile
senso di fastidio quando c'era lui. Sempre a parlare in quel modo
vacuo, superficiale, senza mai focalizzarsi su qualcosa di minimamente
importante che potesse aiutare lo psicopatologo a capire qualcosa della
situazione, con quel suo tono scaltro e manipolatore e la calma
costante che manteneva anche quando Gilbert, nei momenti peggiori in
cui non riusciva più a trattenersi, gli urlava contro.
Erano state vane le sue tecniche di
persuasione per cercare di convincerlo a rivelare qualcosa, così aveva
deciso di passare al sodo: avrebbe cercato di aiutare Oz, si sarebbe
preso cura di lui e l'avrebbe guarito con o senza l'aiuto di Jack,
anche se rimaneva un'impresa titanica senza avere delle basi certe e,
lo sapeva benissimo, per curare un disturbo serio come quello la
ricostruzione degli eventi passati era fondamentale.
~◊~
-Tu lo ami?-
-Non lo so, Sharon. La considererei
una specie di ossessione.-
-Ma l'amore non è anche ossessione,
Gilbert?-
Sospirò mentre sistemava la propria
scrivania. Era tutto totalmente a soqquadro. Certo, avrebbe dovuto
mettere in ordine prima della pausa pranzo, ma era andato a mangiare
nella caffetteria accanto allo studio con suo fratello Vincent, che
l'aveva praticamente trascinato fuori dalla stanza mentre stava ancora
compilando alcuni moduli su uno dei suoi ultimi pazienti. Guardò
l'orologio appeso alla parete e controllò l'orario. Mancava poco più di
un quarto d'ora all'arrivo di Oz. Sorrise. Quelli erano diventati i momenti
migliori della settimana. Stare vicino a quel ragazzo piuttosto
travagliato gli piaceva. Chiacchierare, consolarlo, semplicemente
ascoltarlo mentre gli raccontava la settimana, i fatti accaduti. Sapeva
che non doveva affezionarsi più di tanto ai suoi pazienti, eppure
Gilbert non era stato in grado di non attaccarsi sentimentalmente al
Vessalius.
Sharon, che era una grande
appassionata di romanzi d'amore, qualche volta diceva che al solo
pronunciare il nome del biondo, gli occhi del corvino iniziavano ad
accendersi e sulle sue labbra si increspava, forse involontariamente,
un sorriso. Amore, Gilbert, è amore!
blaterava tutta allegra. Gilbert le rispondeva sempre che stava
fraintendendo tutto, che aveva confuso un profondo affetto materno per
qualcos'altro, che erano due maschi e probabilmente non sarebbero stati
visti di buon occhio dalla società e, in primis ancora, dalle loro due
famiglie, che avevano un rapporto di odio-amore da anni. Ma poi si
mordeva sempre la lingua accorgendosi che, oltre a stare mentendo alla
propria amica, stava mentendo anche a se stesso. Si ritrovava quindi a
fare lunghe sedute di riflessione, da solo, spesso nel suo studio,
qualche volta in camera sua, disteso sul letto a guardare il soffitto
facendosi domande che spesso rivolgeva ad alcuni dei suoi pazienti o
che gli facevano ricordare tanto i pensieri di una ragazzina in piena
crisi adolescenziale.
Alla fine però aveva fatto il punto
della situazione e, arrendendosi all'evidenza, si era diagnosticato il
problema: era chiaramente innamorato
di Oz Vessalius.
Il suono di un campanello lo fece destare dai suoi pensieri. Era
arrivato. Sistemò ancora un po' la scrivania per poi andare verso la
porta. Non importa quanto fosse stato difficile, si disse mentre girava
la maniglia. Lui sarebbe sicuramente riuscito a salvare Oz. Magari
sarebbe stato un percorso lungo, quello da intraprendere, ma l'avrebbe
percorso tutto senza esitazioni. Glielo doveva a lui, a suo zio Oscar,
alla sua sorellina Ada e a tutte le altre persone che stavano introno
al ragazzo.
Sarebbe riuscito a fare chiarezza su tutto, non si sarebbe arreso, non
si sarebbe tirato indietro.
Per lui.
Sorrise mentre apriva la porta e faceva accomodare il suo paziente
nello studio.
Era il momento di cominciare.
~L'angolo di Macca
Salve♪
Eccomi di nuovo qua!
Devo ammettere che questa storia
era nata per essere piuttosto corta, ma si è trasformata in un testo di
circa duemila parole.
Diciamo che la Gil*Oz non è proprio
una mia OTP, ma per questa storia era sicuramente la più adatta.
L'idea mi è venuta in mente mentre
stavo rileggendo l'ultimo volume di Pandora Hearts uscito in Italia:
Jack sembrava così tanto una seconda personalità di Oz (cosa che più o
meno è) che non ho resistito (questo grazie anche al libro che sto
leggendo che parla prprio di questo particolare disturbo). Per lo più
questa storia è stata una specie di esperimento grafico, basti guardare
i paragrafi con l'introduzione dialogata in corsivo (?).
Bene! Vorrei ringraziare la mia adorabile cuginetta che mi ha tenuto compagnia
mentre scrivevo, la mia consulente, aka P s i c h e, chi avrà la bontà di lasciare un
commentino alla storia and you! che hai letto questo papiro e sei
arrivato fino a questo punto!
Informatemi anche di eventuali
errori.
Grazie per aver letto,
Ditemi un po' che ne pensate,
Macca~♪
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