Clessidra
-Il
dado-
Sentì il ticchettare sommesso del dado che si
infrangeva contro l'asfalto irregolare e da quel preciso istante, come
in una tetra immersione lisergica, il tempo parve rallentare.
Gli sembrò che ogni oggetto intorno a loro stesse sparendo -
i contorni sfumavano e perdevano colore - inghiottiti da un nero
dissimile dalla comune oscurità. Niente, escluso
quell'oggetto di forma cubica, meritava d'essere preso in
considerazione. Nulla aveva più senso.
Per un momento dimenticò perfino di respirare, a causa della
tensione che gli contraeva dolorosamente le viscere interrompendo sul
nascere ogni impulso nervoso e ogni pensiero razionale. Solo quando
sentì che l'aria rarefatta, masticata già troppe
volte dai suoi polmoni avidi, premeva per uscire, si ricordò
di insiprare.
Nell'atmosfera atipica che si era creato intorno a sé - un
mosaico temporale distorto - percepiva la presenza immota di Sasuke
mentre osservava l'oggetto roteare in terra, ticchettando, ticchettando, ticchettando ad
ogni rimbalzo.
Poi tutto tacque.
Ciò che a lui parve un'eternità altro non fu che
il trascorso di pochi secondi, dilatatisi fino a creare una sequenza di
immagini contorta e puntigliosamente particolareggiata. Non fu altro
che la fantasia di un fugace attimo troppo vissuto nel vivo, dal finale
troppo - spaventosamente - imprevedibile.
Il tempo tornò a scorrere improvvisamente, coplendoli con
tale violenza da far vacillare le loro precarie certezze, da renderli
succubi di quell'inevitabile gioco d'azzardo di cui quel dado altro non
era che un complice inconsapevole.
Fu con tale consapevolezza che i loro sguardi, distoltisi dal dado
esanime, s'abbracciarono silenziosamente in una muta, accondiscentente,
richiesta rivolta al tempo stesso di dilatarsi solo un po' di
più - un secondo, un minuto, un'ora - perchè non
ne ebbero mai un così urgente bisogno; perchè
tutto ciò che fino a quel momento era rimasto adagiato sul
fondo vacuo dei loro cuori riusciva a trovare sfogo in frasi che non
sarebbero mai uscite dalle loro bocche.
Naruto sorrise. I suoi grandi occhi azzurri si sciolsero fra le
lacrime, che fuggirono lungo gli zigomi e giù, giù,
sempre più giù.
Fino a sparire.
La sua mano si chiuse intorno al dado, tremante, decretando la fine di
quell'idilliaco quanto eloquente silenzio, esponendo ciò che
effettivamente era palese, ma aveva bisogno d'una voce che lo
pronunziasse per dargli una concretezza: "E' uscito sei".
Le parole si persero nell'atmosfera satura di elettricità
come esalazioni effimere e nessun eco le rese al mittente.
Le loro labbra si sfiorarono lente, godendo di quegli ultimi attimi a
loro concessi con la calma che avevano consumato in quell'atto tanto
sconsiderato quanto, come seguitavano a ritenere - e nessun
ripensamento li avrebbe deviati -, indispensabile.
E lì, dalla vetta del mondo, le luci soffuse che coloravano
il nero della notte sembravano gli ingranaggi guasti di un orologio
stridente, le cui lancette, troppo lunghe per stabilirne l'origine e la
fine, segnavano un punto morto.
Con le mani strette fecero il passo - dopo tanti fatti in direzioni
giuste e sbagliate - che li avrebbe condotti alla fine dell'itinerario
che loro stessi avevano tracciato su un foglio impalpabile di gas
tessuti insieme e quel poco di fantasia che ancora permetteva loro di
sognare.
E poi precipitarono giù,
giù,
sempre più giù.
Fino a sparire.
***
Questo testo nasce come racconto
originale (è palese XD) , ma l'ho riadattato su modello
Narutesco per far felice la mia bocciUola.
Spero di aver fatto un buon
lavoro (almeno decente, suvvia) e di aver reso bene l'idea
dell'angoscia provata dai personaggi.
Fatemi sapere.
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