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Contest:
Photograph (CoS-Mode:
[Image-Shoot Contest)
Titolo:
Snowing Dreams
Autore:
asteriamalfoy
Fandom:
Harry Potter
Genere:
Introspettivo,
Triste,
Sentimentale.
Pairing:
Draco/Astoria
Raiting:
Pg13
Tema:
No One
Warning: One
Shot
Desclaimers:
Harry Potter e tutti i personaggi della saga sono di proprietà
di J.K.Rowling e di chiunque ne possieda i diritti
La luna era alta nel cielo,
tutto taceva in quella notte di fine agosto. Nessuna luce proveniva dall'austera
e immensa villa che contrastava imponente, nella sua sobria eleganza, con un
piccolo paesino immerso nel verde delle campagne inglesi. Tutto era assopito,
nessuno girava per le tortuose strade del villaggio, tutti al riparo nelle loro
case, tra le braccia di Morfeo.
Solo una bambina non sembrava avere sonno: piccola
e fragile nella sua leggera camicia da notte estiva, candida come la sua pelle.
Seduta sull’altalena, nel giardino della villa dove era cresciuta assieme alla
sua famiglia, si dondolava leggermente, cullata dal leggero vento settembrino; i
suoi lunghi capelli color ebano scendevano delicati come la seta sul volto
innocente e gentile. Stringeva al petto la sua bambola preferita, quella che le
aveva regalato sua nonna quando era ancora nella culla. Appoggiò il visino
rigato dalle lacrime sulla capigliatura bionda del giocattolo stringendoselo
sempre più forte al petto. Non doveva essere lì, non doveva piangere, lei era
grande ormai, le aveva detto sua madre, e quindi doveva essere forte, doveva
superare le difficoltà senza versare una lacrima. Ma la bimba si sentiva
spaurita e sola, ora che sua sorella era a Hogwarts e i suoi genitori non erano
mai in casa, troppo presi da lavoro e feste che neanche si accorgevano di lei;
poi c’era sua nonna, morta da pochi giorni, e i suoi parenti per il funerale
della donna l’avevano rimproverata perché piangeva. Sua nonna era l’unica che si
accorgesse di lei e di sua sorella; era l’unica che nelle notti di temporale la
stringeva forte e la rassicurava che tutto andava bene: sua nonna era come una
seconda mamma, dolce e gentile, eppure forte e orgogliosa.
La bambina si diede una
spinta più forte e le catene dell’altalena cigolarono sinistramente. Dodici
rintocchi delle campane della chiesa riecheggiarono minacciosi in tutta la
valle, e la piccola si strinse nella camicia da notte, leggermente infreddolita.
Leggeri passi fecero rabbrividire la bimba, che nascose il volto nei capelli
della bambola in cerca di conforto.
Una mano affusolata le si
appoggiò sulla spalla, facendola sobbalzare; si voltò lentamente per incontrare
il volto affusolato e aristocratico della madre, deturpato dalla rabbia che
stava provando in quel momento, nel vedere la figlia minore piangere come una
sciocca nel mezzo della notte.
“Astoria” sibilò velenosa,
stringendo la mano sul suo fragile braccino, facendole di nuovo riempire gli
occhi cobalto di lacrime che adesso era riluttante a far scendere.
Astoria incatenò i suoi
occhi a quelli gelidi e distanti della madre che la guardava con ribrezzo, non
riuscendo a capire perché avesse una figlia tanto stupida ed emotiva,
sempre così solitaria e silenziosa. Detestava il suo rannicchiarsi sul divano a
leggere o a disegnare, perennemente assorta nei suoi pensieri.
La bambina, fin dalla più
tenera età, non era mai stata loquace, aveva sempre preferito osservare le
persone o le cose per poi isolarsi nel suo mondo, disegnando o appuntando su
carta le sue sensazioni da ragazzina romantica e sognatrice.
Era così diversa da sua
sorella, sempre così perfetta e algida nella sua inconsueta bellezza.
Daphne, la maggiore tra le due,
aveva lunghi capelli color miele e grandi e freddi occhi giada ed era sempre
stata fonte di soddisfazione e orgoglio per la sua famiglia, ma le.
Lei non era come la
figlia prediletta.
Non riuscendo a reggere lo
sguardo carico di disprezzo della madre, Astoria si voltò di nuovo, mentre il
cielo iniziava a offuscarsi e immense nuvole cariche di pioggia iniziavano a
raggrupparsi sopra le loro teste, nascondendo la pallida luna.
La madre, offesa da tale
comportamento, la prese per i capelli strattonandola e facendola cadere
dall’altalena.
La piccola non si ribellò e,
con un tonfo sordo, cadde a terra.
La donna, ancora più adirata
per tanta goffaggine e mancanza di carattere, le strappò dalle esili braccine la
bambola per poi scagliarla, con stizza, su una pietra.
A causa dell’impatto il volto del giocattolo si infranse
in mille frammenti che si disseminarono sull’erba come polvere di stelle.
La bambina chiuse gli occhi
nell’udire la porcellana che andava in frantumi, arrivando fino a lei, dei
piccoli pezzetti del volto della bambola arrivarono a graffiare la tenera carne
del braccio della ragazzina ; la bambina non disse niente, non pianse, rimase lì
stesa sulla terra umida a fissare il cielo con lo sguardo vacuo e lontano.
La madre la guardò con
ancor più disprezzo, prima di voltarsi per rientrare in casa; la bambina aspettò
di sentire la porta di casa chiudersi per mettersi seduta, sentiva il sangue
uscire lento e caldo dai graffi che la porcellana le aveva procurato
infrangendosi, ma non fece niente per asciugarlo; chiuse gli occhi, inspirando
lentamente, per poi alzarsi in piedi in cerca del suo gioco preferito; lo trovò.
Il viso distrutto, il vestito color crema sporco di terra e di erba. La piccola
sentì le lacrime riaffiorare agli occhi ma con stizza le fermò; raccolse la
bambola e i pezzi del volto che poteva vedere e si avvicinò al grande albero di
fianco all’altalena.
Un lampo attraversò il
cielo color ebano, e il suono del tuono riecheggiò per tutta la vallata mentre
piccole e calde gocce iniziavano a scendere dal cielo plumbeo. La pioggia fine e
fitta bagnò completamente la bambina che, sotto l’albero, guardava la sua
bambola con affetto mentre la posava delicatamente sulla terra bagnata, come se
fosse una persona, attenta a non farle male. La terra intorno a Astoria era
friabile e morbida grazie alla pioggia; ancora una volta la bambina guardò la
bambola, prima di cominciare a scavare con foga una piccola buca fra le radici
dell’albero. Rabbia, rancore, odio e ancora solitudine, amore, paura,
rispetto… Tante sensazioni vorticavano nella mente complicata della
ragazzina che con forza affondava le sue manine delicate e curate nella terra
vergine sotto di sé, le unghie le si spezzarono, ma non le importava, la pioggia
le scendeva sul volto mischiandosi ad amare lacrime, urlava.
Odiava quella vita, ma non riusciva a odiare sua
madre che sempre l’aveva derisa e messa in cattiva luce; amava sua nonna, ma le
portava rancore per essersene andata, adesso chi l’avrebbe difesa? Si sentiva
sola perché sua sorella era a scuola e l’aveva lasciata; aveva paura di perdere
tutto quel che le era più caro, esattamente come era successo con la sua
bambola, e provava rispetto per quel padre che non era mai in casa e in quasi
dieci anni non le aveva mai rivolto parola.
La ragazzina si accasciò
per terra, stanca di combattere, semplicemente stanca di vivere, adesso non
aveva nessuno vicino… A fatica si alzò e prese la sua bambola, appoggiandola
dolcemente nella buca scavata appositamente per lei, e con lentezza la ricoprì.
Barcollante si diresse
verso casa, salì le scale senza fare il minimo rumore, non andò nella sua
stanza, ma si diresse verso quella di sua nonna. La porta di mogano scuro era
imponente di fronte a lei e la maniglia d’ottone sembrava così pesante da
aprire, ma con mano tremante fece scattare la serratura e la porta si aprì con
lentezza, rivelando a poco a poco il suo interno alla luce soffusa del
corridoio. La bambina fece il primo passo insicuro verso l’interno della camera
e accese una candela. Sembrava la camera di una ragazzina invece che quella di
una donna anziana come era sua nonna. Le pareti di un rosa acceso come le tende
del baldacchino e del copriletto, il pavimento di parquet chiaro, l’armadio con
disegni di fiori e farfalle colorate lo specchio dove erano appuntate delle foto
sue e di sua sorella, e i giocattoli. Tante bambole di fine porcellana erano sul
letto fra i cuscini, peluche sulle mensole e poi una libreria. Enormi volumi di
fiabe Babbane e non, e in fondo protetti e custoditi gelosamente, degli album
fotografici.
Astoria chiuse gli occhi
inspirando il profumo di vaniglia che sua nonna usava; il suo profumo era ancora
fra quelle mura, fino a neanche cinque giorni prima aveva dormito fra quelle
lenzuola e adesso non c’era più; la ragazzina aprì gli occhi e si costrinse a
non piangere, si avvicinò alla libreria e ne prese un album di foto, lo strinse
al petto e si andandosi a sedere sul letto in mezzo a tutte le bambole della
nonna. Con calma aprì l’albo; era quello preferito della donna, dove teneva le
foto dei suoi giocattoli. Foto di bambole le passavano sotto gli occhi, ma una
attirò la sua attenzione. I lunghi boccoli biondi, il vestito color crema, un
cappellino dello stesso colore del vestito sulla testa: era la sua
bambola. Sotto la foto c’era scritto quando era stata scattata, il sedici maggio
millenovecentoottantadue: il giorno della sua nascita. La bambola era seduta su
una sedia di vimini e aveva in mano un fiore rosa, di cui ad Astoria sfuggiva il
nome, e intorno al giocattolo vi erano altri fiori bianchi e rosa. La ragazzina
sorrise dolcemente, mentre sfilava la foto dal raccoglitore. Bagnata e sporca si
distese sul letto, stringendo al petto la foto, era stanca, e in pochi minuti si
addormentò, cadendo in un sonno inquieto, senza sogni, buio e nero, profondo e
spaventoso.
*****
Una ragazzina di circa tredici
anni era seduta sul davanzale della finestra della sua stanza, con le gambe
rannicchiate al petto e la testa appoggiata al freddo vetro; studiava la neve
scendere candida e soffice dal cielo plumbeo. I lunghi capelli corvini lasciati
scendere in leggeri boccoli attorno al suo viso concentrato, gli occhi cobalto
persi nell’osservare attentamente il giardino innevato, tanto che non si accorse
che una ragazza appena più grande era entrata nella stanza e la osservava in
silenzio. La mora si voltò lentamente e incontrò gli occhi giada della sorella
maggiore, le sorrise e la giovane si avvicinò a lei.
“Ciao, Daphne”sussurrò la
ragazza.
“Ciao, Astoria” replicò la
maggiore sedendosi dinnanzi alla sorellina, stando attenta che il suo vestito
smeraldo non si sgualcisse.
Astoria osservò i movimenti
delicati della sorella mentre si sistemava una ciocca di capelli color miele che
era sfuggita alla sua complicata acconciatura. Sorrise, quanto erano diverse,
eppure erano così simili, tutte e due cercavano l’approvazione dei genitori, i
quali non le degnavano quasi mai di uno sguardo se non in presenza di amici, per
vantasi di quanto fossero belle le loro figlie.
“Astoria, dovresti scendere,
stanno per arrivare gli ospiti e sai che ai nostri genitori non piace che non
accogliamo gli invitati con loro” disse Daphne, appoggiando una mano affusolata
sul ginocchio della sorellina facendola voltare di nuovo verso di lei.
“Sì, Daphne, lo so” rispose
semplicemente lei alzandosi dal davanzale per andare verso il suo armadio e
tirarne fuori un vestito blu notte, in fretta lo indossò e si voltò verso la
maggiore.
“Così va bene?”chiese la mora
con voce atona, odiava le feste, odiava gli amici dei suoi genitori.
Daphne sorrise e si diresse
verso la sorellina, prendendo la spazzola e, facendole segno di sedersi sul
letto, iniziò a acconciarle i capelli, i boccoli corvini vennero raccolti in uno
chignon leggero lasciando scendere sulla pelle candida delle spalle di Astoria
alcune ciocche. La minore chiuse gli occhi mentre la bionda iniziava a truccarla
leggermente, pochi gesti veloci e Astoria fu pronta per scendere.
Con calma e eleganza le
due ragazze scesero le scale sotto gli sguardi distanti dei genitori che stavano
finendo di dare gli ultimi ordini agli elfi domestici per la cena.
“Era ora” sibilò la madre delle
due, sistemando il vestito a Astoria, non che ce ne fosse bisogno, ma la donna
non si fidava della figlia minore.
Pochi istanti e bussarono
al portone principale, i padroni di casa si sedettero sul divano e così imitati
dalle due ragazze, composte, con la schiena rigida e le mani giunte sul ventre,
perfette e algide come le più preziose bambole di porcellana, la pelle diafana,
entrambe con gli occhi chiari ed i leggeri boccoli setosi raccolti in precise e
complicate pettinature; sembravano tanto fragili e delicate nella loro fredda
bellezza.
Gli invitati iniziarono a arrivare, persone su
persone che né Astoria né Daphne conoscevano, adulti che le riempivano di
complimenti cercando di presentare loro i figli o nipoti, persone false che
sorridevano cercando in ognuno dei difetti per poterli usare per loro tornaconto
personale. Donne strette in abiti sfarzosi e truccate pesantemente cercando di
nascondere il tempo che inesorabile scorreva dando vita alle prime rughe, uomini
intenti a parlare di politica e economia, bevendo Whisky Incendiario e fumando
sigari.
Daphne sorrise
incoraggiante a Astoria, la quale osservava la scena con sguardo impassibile e
annoiato, come tutte le volte che era a una festa; la ragazzina notò un ragazzo
circa dell’età di sua sorella avvicinarsi a loro con passo lento e altezzoso,
quasi annoiato. La mora lo guardò con strano interesse, il volto pallido, i
lineamenti taglienti come il suo sguardo color tempesta, freddo e distante,
osservava tutte le persone con un aria di superiorità, come se nessuno fosse
alla sua altezza; aveva i capelli biondi, quasi bianchi, che scendevano morbidi
e leggeri, lasciando alcune ciocche più lunghe sopra gli occhi; era alto, molto
per la sua età, il fisico asciutto gli dava un aria delicata e strana da trovare
in un ragazzo
Il giovane,
notandole, le salutò con un semplice gesto della testa mentre si avvicinava
sempre di più. Quando si fermò davanti alle ragazze le osservò ancora più
annoiato, come se la sua presenza dinnanzi a loro fosse un favore e non un
piacere.
“Ciao” disse semplicemente
Daphne guardandolo con aria annoiata; il ragazzo la fulminò con lo sguardo e lei
abbassò gli occhi, come se si fosse appena scottata.
Il ragazzo osservò nella
direzione di Astoria e le porse la mano con un gesto fluido e aristocratico.
“Io sono Draco e tu sei…?”
chiese studiandola dall’alto in basso come se non fosse nessuno. La ragazza
ricambiò il suo sguardo, leggermente infastidita dal suo comportamento da
padrone del mondo.
“Io sono Astoria” affermò la
ragazzina, prendendo la mano del ragazzo e stringendola nella sua, un brivido
strano le attraversò la schiena, ma lei cercò di non farci caso mentre tentava
di mantenere lo sguardo fisso negli occhi del giovane.
“Piacere” rispose lui, per poi
invitarle a raggiungere gli altri ragazzi dall’altra parte della sala. Le
sorelle lo seguirono in silenzio. Sette ragazzi erano in piedi a parlare a bassa
voce in modo molto serio, come se fossero già adulti, benché nessuno avesse più
di quindici anni. Un ragazzo dalla pelle scura salutò Draco e Daphne, mentre gli
altri si limitarono o a sorridere, nel caso delle tre ragazze, o a un gesto
della testa, nel caso degli altri tre ragazzi. Daphne presentò la sorella ai
suoi amici, i quali, dopo un primo leggero interesse, ripresero a parlare delle
lezioni o di Quidditch. Astoria perse l’attenzione per la conversazione e si
sedette sulla poltrona vicino al gruppo e prese dalla tasca interna del vestito
la foto della bambola di porcellana, ne accarezzò i bordi con dolcezza e si
perse nei mesti ricordi legati a quella foto. Il ricordo della morte di
sua nonna era ancora nitido e impresso a fuoco nella sua mente, nel suo cuore;
sospirò tristemente, e non si accorse che Draco la osservava con un ghigno
maligno sul volto. Daphne cercò di avvertirla, ma Blaise, il ragazzo con la
pelle scura che le aveva salutate, la bloccò con un occhiataccia.
Draco si avvicinò
pericolosamente dove era seduta Astoria e, con un gesto veloce e calcolato, le
strappò dalle mani affusolate la foto e la osservò per qualche secondo.
“Una bambola?”domandò con voce
melliflua e strafottente.
Astoria lo guardò con rabbia,
ma non aprì bocca, sostenne il suo sguardo derisorio cercando di rimanere calma.
“Allora? Non rispondi? Sei
proprio una bambina a andare in giro con la foto di una bambola in tasca! Cosa
c’è? Hai paura? Ma povera piccolina, corri da mammina così lei ti protegge!” la
schernì lui facendo ridere i suoi amici a parte Daphne, la quale lo guardò con
odio, esattamente come Astoria.
“Ridammi la foto” sibilò questa
con freddezza, non molto consona al suo carattere dolce e mansueto, molto simile
a sua madre quando la deludeva.
“Sentiamo, perché dovrei?”
replicò il ragazzo, ghignando malevolmente.
La ragazza non rispose, porse
semplicemente la mano nella direzione del ragazzo; gli occhi le si riempirono di
lacrime, era l’unico ricordo che era riuscita a sottrarre a sua madre, prima che
facesse bruciare tutte le cose di sua nonna.
Draco incatenò i suoi
occhi a quelli della ragazzina, erano di un cobalto intrigante e freddo,
profondi e tristi; subito quella ragazza aveva attirato la sua attenzione, così
algida e annoiata, e i suoi occhi, così consapevoli, sembravano celare un
segreto pericoloso e scottante; in quel momento gli occhi oltremare della
giovane assunsero una sfumatura più scura, quasi nera, per via delle lacrime che
affiorarono ma che, saggiamente, Astoria non lasciò scendere.
Draco stimava quella ragazzina,
non la conosceva, non ci aveva mai parlato, malgrado fosse la sorella di una sua
compagna di Casa, ma nei suoi occhi lesse una forza e una determinazione che mai
aveva visto in nessun’altra persona; lei, benché fosse più piccola una
ragazza, gli stava tenendo testa come nessuno aveva mai osato fare, se non
alcuni Grifondoro di sua conoscenza.
Il giovane si perse per
alcuni attimi nei suoi pensieri, abbassando la guardia, Astoria, notandolo, gli
strappò dalle mani la foto della bambola e, senza degnare di uno sguardo nessuno
dei presenti corse verso l’immensa porta finestra, che dava sul giardino sul
retro; con il respiro corto per la corsa si appoggiò all’albero dove anni prima
aveva sotterrato la sua bambola, chiuse gli occhi lasciando scendere alcune
lacrime per poi asciugarle con rabbia. Chi era quel ragazzino per poterla
prendere in giro a quel modo? Chi credeva di essere? Lui non sapeva, lui non la
conosceva… Eppure quando aveva incontrato i suoi occhi, prima di correre via,
aveva sentito una sensazione di calore e conforto, come se lui in fondo la
conoscesse sul serio.
La ragazza prese un
profondo respiro, tenendo gli occhi chiusi, ripensando alla freddezza delle
iridi d’acciaio del ragazzo, fredde e distanti, che le sembravano gelide lame
indagatrici; profonde e sospettose, la guardavano come se la stessero studiando,
come se lui sapesse qualcosa, come se fosse riuscito a catturare ogni suo
pensiero in pochi attimi. La giovane si trovò a pensare che gli occhi fossero
l’unica cosa veramente bella nel ragazzo; era alto e gracile, troppo magro per
la sua altezza, il viso dai lineamenti arroganti e efebici gli davano un’aria
ancora più fragile, grazie anche al suo colorito pallido e i capelli biondi
quasi bianchi, ma gli occhi, quegli occhi, così distanti eppure così
vicini, freddi ma vivi, l’avevano intrigata: mai si era interessata alle
persone, se non a sua sorella e alle poche amiche che aveva, però lui l’aveva
affascinata e scossa nel profondo come mai era successo prima con altri.
La neve scricchiolò
sotto il peso dei passi di Draco, che in silenzio si avvicinava ad Astoria,
appoggiata a un albero secolare; aveva la testa reclinata all’indietro e gli
occhi chiusi, mentre teneva fra le mani la foto che, prima, le era stata
sottratta. Il ragazzo si avvicinò ancora e appoggiò la sua mano sulla spalla
della ragazza, facendola sobbalzare per la sorpresa e facendole cadere dalle
mani la foto.
Astoria spalancò gli
occhi sorpresa e lasciò cadere la foto, la quale finì nella neve fresca, fece
per raccoglierla ma si bloccò; il ragazzo la stava fissando in silenzio e lei si
sentì inchiodata al suo posto, come se delle catene invisibili la stessero
legando, si immerse di nuovo nelle gelide iridi del giovane, il quale sembrava
voler catturare per l’ennesima volta tutti i suoi pensieri. La ragazza non
abbassò lo sguardo, era intimorita ma non voleva dargli la soddisfazione di
vederla cedere come tutti quelli che gli facevano da servi, sempre e
comunque, lui li offendeva, li umiliava e loro abbassavano lo sguardo,
continuando a stare ai suoi ordini.
Draco osservò gli
occhi della ragazza adombrasi nel’incontrare i suoi, gli venne da sorridere, era
intimorita e lui lo sapeva ma non aveva intenzione di prenderla in giro di
nuovo, neppure lui si sapeva spiegare il perché, ma non voleva; il ragazzo
continuò a fissarla negli occhi mentre con lentezza si chinava a raccogliere la
foto. La prese fra le mani e la pulì dalla neve con gentilezza, senza mai
distogliere lo sguardo da quello della ragazzina, la quale lo studiava fra lo
scettico e l’incuriosito. Il ragazzo le sorrise apertamente, porgendole la foto
e lei, involontariamente, gli rispose con timidezza, sentendo le guance
arrossarsi leggermente.
“Grazie” sussurrò Astoria,
prendendo dalle mani del giovane la foto.
Le dita affusolate di lei
sfiorarono inavvertitamente quelle del giovane e di nuovo un brivido le percorse
la schiena, ma lei cercò ancora una volta di non farci caso. Si strinse al petto
la foto, come quando era bambina ed era spaventata, come quando aveva bisogno di
conforto. Draco sorrise di nuovo e le si avvicinò lentamente, per poi darle un
bacio leggero sulla fronte, neppure lui capiva il perché l’avesse fatto, ma lei,
così innocente, così bambina, gli faceva tenerezza. Malgrado Astoria fosse
arrossita ancora di più, si trovò a sorridere e a pregare perché lui non se ne
andasse, perché rimanesse con lei, a farle compagnia. Si diede della stupida,
fino a pochi minuti prima aveva sperato che se ne andasse via e la lasciasse ai
suoi pensieri, che la lasciasse soltanto in pace, lui che l’aveva presa in giro
davanti a tutti dandole della bambina… Eppure, in quel momento, non desiderava
altro che lui le stesse accanto, la stringesse con dolcezza e la rassicurasse
che tutto sarebbe finito bene.
“Non c’è di che” rispose lui,
continuando a fissarla negli occhi..
Astoria poteva sentire il suo
respiro caldo sul suo viso, era vicino, così maledettamente vicino; voleva
allontanarlo, ma qualcosa le diceva che non doveva farlo, che poi se ne sarebbe
pentita. Il cuore le batteva all’impazzata nel petto e non accennava a voler
rallentare la sua estenuante corsa, sentì le sue guance imporporarsi di nuovo di
pudico rossore mentre con una mano il ragazzo le sfiorava il volto e faceva
passare l’altra dietro la sua schiena facendo aderire il suo corpo a quello di
lei. Involontariamente, la ragazza gli circondò il collo con le sue esili
braccia attirandolo ancora più verso di sé, il ragazzo la strinse ancora più e
delicatamente posò le sue labbra su quelle della ragazza, le labbra del ragazzo
erano soffici e rese gelide dal freddo pungente di quella sera di fine dicembre.
Astoria sentì un
brivido percorrerle la schiena, mentre il suo respiro si univa dolcemente a
quello del ragazzo che la stringeva a sé egoisticamente e le loro labbra si
muovevano allo stesso ritmo sensuale e secolare, una delicata danza silenziosa,
uno scambio di anime profondo e dolce come quel piccolo e involontario
sentimento che faceva battere i loro cuori sempre più veloci e pieni di vita e
voglia di scoprire chi si ha realmente dinnanzi a sé. Il mondo intorno a loro
sparì, niente era reale, non c’era nessuno all’infuori di loro.
Astoria lasciò cadere
la foto della bambola nella neve, ancora una volta, quella sera.
*****
“Astoria, Astoria, svegliati!”
Una voce lontana. La ragazzina
si sentì scuotere forte da qualcuno; Astoria, di malavoglia, aprì gli occhi per
incontrare quelli giada della sorella, che stava tentando di svegliarla e dopo
molti tentativi, finalmente, ci era riuscita.
“Benedetta ragazzina,
alzati!”esclamò la maggiore, passandole gentilmente una mano fra i capelli
corvini.
“Mmh, Daphne, ho sonno!”
affermò la mora nascondendo il suo viso fra la stoffa crema del vestito della
sua bambola preferita.
La ragazzina si alzò di
scatto… La sua bambola, non era rotta? Si stropicciò gli occhi assonnati e fissò
stupita la sua bambola, i capelli biondi le ricadevano in ricci prefetti sulle
spalle, il vestito perfettamente candido, il cappello sulla testa e il volto di
fine porcellana intatto. Astoria si voltò verso la sorella e la guardò con aria
interrogativa.
“Daphne… Dov’è la nonna?”
sussurrò la giovane scendendo dal letto.
“In camera sua a prepararsi,
perché?” domandò Daphne guardando sua sorella come se fosse impazzita, forse
poteva sembrare, gli occhi pieni di lacrime di gioia, lo sguardo confuso e un
dolce sorriso sul volto le davano un aria strapazzata e strana da trovare sul
suo viso sempre serio.
Astoria si voltò di scatto e
iniziò a correre, in fretta aprì la porta della stanza, mentre Daphne la
richiamava, ma la ragazzina non la sentì neppure. Continuò a correre fino a che
non arrivò dinnanzi alla stanza di sua nonna. Prese un profondo respiro e bussò
delicatamente all’immensa porta di mogano scuro.
“Avanti” la voce gracchiante e
allegra si sua nonna echeggiò nel corridoio, la ragazzina sorrise fra le
lacrime, appoggiando una mano sulla fredda maniglia di ottone, aprendo la porta.
L’immensa finestra aveva
le tende aperte per rivelare l’interno della stanza; era tutto come lo
ricordava, le pareti di un rosa acceso, il pavimento di parquet chiaro,
l’armadio con disegni di fiori e farfalle colorate, lo specchio, le bambole di
porcellana, peluche e la libreria, tutto era al suo posto; il dolce profumo di
vaniglia le invase l’anima; Astoria sorrise e corse a abbracciare sua nonna, la
quale ricambiò l’abbraccio, non le domandò perché piangesse, se avesse voluto
dirglielo l’avrebbe fatto lei senza dover chiedere niente. Quando si fu calmata,
la ragazzina spiegò tutto alla donna, la quale rise sonoramente e strinse di
nuovo a sé la sua dolce nipotina.
“Oh, bambina mia, non ti
lascerò mai… Te lo prometto” le sussurrò all’orecchio prima di darle un bacio
sulla fronte e dirle di andare a prepararsi per la festa che si sarebbe svolta
di lì a poche ore.
Mentre Astoria si
dirigeva verso la sua stanza, si ricordò quel che era successo. La notte
precedente non aveva dormito. Insieme a sua nonna, aveva indetto una veglia
per la morte del suo gatto; la ragazzina iniziò a ridere, le sembrava una cosa
così stupida, eppure la sera prima le era sembrata tanto sensata. Si diede della
sciocca, ma non le importava, era felice, sua nonna era lì con lei e stava bene,
aveva iniziato Hogwarts con sua sorella e adesso erano a casa per le vacanze
natalizie, sembrava che tutto fosse perfetto, esattamente come se lo era sempre
immaginato…
Però sentiva che mancava ancora
qualcosa, ma non riusciva a capire cosa.
Circa un’ora dopo la
giovane era pronta per scendere con sua sorella, perfettamente truccata e
vestita, sembrava una di quelle bambole di porcellana che sua nonna tanto amava.
Daphne raggiunse
Astoria e assieme scesero le scale per dare il benvenuto agli invitati. Persone
che nessuna delle due conosceva, si presentavano, loro sorridevano e li
intrattenevano per qualche minuto, prima di passare ad altri invitati.
Astoria si voltò verso
la porta finestra che dava sul giardino sul retro; stava incominciando a
nevicare. Ma l’attenzione della ragazza fu catturata dalla figura longilinea di
un ragazzo appoggiato allo stipite della porta. I capelli biondi, quasi bianchi,
abbastanza lunghi da potergli ricadere sugli occhi, la pelle diafana e i
lineamenti del volto arroganti e quasi femminili, la postura altezzosa e
annoiata…
Lui, il ragazzo del
sogno.
Come in trance si avvicinò al
ragazzo e lo guardò in silenzio; lui alzò lo sguardo, incontrando gli occhi di
Astoria, la quale sobbalzo leggermente. Sì: era lui, quegli occhi così gelidi e
profondi, taglienti come lame d’acciaio. Lui la guardò con superiorità, sicuro
di intimidirla, ma lei non si scompose e continuò a fissarlo in silenzio.
“Io sono Draco e tu sei…?”
domandò, porgendole la mano.
“Io sono Astoria” affermò la
ragazzina, prendendo la mano del ragazzo e stringendola nella sua; di nuovo
quella sensazione di calore e conforto le pervase l’anima, mentre lo strano
brivido familiare le percorse la schiena.
Sì, ora sapeva cosa
le mancava… E non se lo sarebbe fatto scappare, non più, adesso sapeva cosa le
serviva per essere veramente felice: lui.
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