La nascita della leggenda
Nankatsu – Agosto 1979
– Vado a fare un giro! – Salutò sua madre in fretta per
raggiungere il cancello della villa, prima che lei se ne accorgesse, ma tanto lo
aveva beccato lo stesso, e senza nemmeno alzare lo sguardo dal bulbo che stava interrando.
– Mettiti il cappellino, mi raccomando… – lo esortò in risposta,
e Genzō sbuffò, perché quel ridicolo berretto bianco, proveniente dall’asilo
di Tōkyō, era da mocciosi, e ormai lui tra poco avrebbe compiuto ben
sei anni! E, di certo, adesso, con quell’assurdo coso in testa, sembrava un
deficiente ~ Anche un po' ritardato, direi… ~
Ma mamma e papà gli ripetevano di tenerlo sempre indosso tutte
le volte che usciva, anche soltanto per andare in giardino, e soprattutto
d’estate, perché faceva parecchio caldo a Nankatsu, e a volte capitava che gli
uscisse sangue dal naso.
Rassegnato, lo tirò fuori dalla tasca e lo calcò di nuovo;
nel frattempo il cane lo aveva raggiunto, e ora lo stava guardando con aria un
po' beffarda.
– Anche tu lo trovi orrendo, vero John? – che gli rispose
con un leggero guaito, poi si mise ad agitare la coda, come a chiedere di
essere portato con lui fuori dalla villa, ma, ci avrebbe scommesso, era stato suo
padre ad averlo mandato.
Mentre passeggiava lungo il fiume, con il suo fedele amico
sferico incollato al piede, e quello peloso che trotterellava, a volte dietro,
altre davanti, gli balenò un’idea geniale: il cappellino poteva anche perdersi,
oppure, anche meglio, cadere disgraziatamente in acqua ed essere poi
irrimediabilmente trascinato via dalla corrente…
Così, raggiunse la riva e fece un bel lancio lungo ma John,
perfettamente addestrato, si buttò e lo recuperò diligente, immaginando, caninamente,
che quello fosse proprio lo scopo del gesto del suo padroncino, o forse non
aveva approvato la sua decisione.
– Papà ti ha insegnato fin troppo bene… – sospirò, frustrato,
mentre l’Akita Inu, per aggiungere la beffa al danno, si scrollava il lungo manto
bianco bagnato proprio vicino al ragazzo, spruzzandolo ovunque, e sembrava
quasi si divertisse a farlo apposta.
– Che simpatia che sei! – lo apostrofò, asciugandosi alla
meglio con la maglietta, – Va beh, tanto, almeno adesso ho la scusa di non
poterlo mettere: è bagnato fradicio…! –
Il cane guaì di nuovo, come per protestare, ma non poteva di
certo obbligarlo.
Girellarono ancora un po' per Nankatsu e raggiunsero il
campo di calcio della Shutetsu, trovandolo chiuso e deserto, dato che erano nel
periodo di vacanza, sia da scuola che dagli allenamenti. Ma il portiere, oggi,
aveva ben altro da risolvere: doveva trovare un modo per liberarsi in maniera
indolore di quello scomodo “avversario” di stoffa.
Un’altra idea luminosa brillò. Genzō passò la palla a
John, poi tentò di riprendersela, mentre l’animale lo dribblava senza troppo
sforzo. – Saresti un ottimo difensore-cane, sai? – ansò, – Però, in porta, non
potrai mai competere con l’S.G.G.K.! –
E, come previsto, dopo un po' il terzino peloso era già
stufo di giocare a pallone, e si allontanò per perlustrare i dintorni, fiutando
ogni angolo e marcando il territorio. Così approfittò della sua distrazione per
lanciare, con tutta la forza che aveva nel braccio, lo stupido, ridicolo,
cappellino bianco per mocciosi, che finì su un ramo di ginkgo.
~ E adesso, chi lo tira giù da lì? ~ valutò con un
ghigno di sbieca soddisfazione.
– Capitano! – La nota voce di Izawa lo riscosse dalla
contemplazione del suo misfatto.
– Come ha fatto a finire lassù? – domandò Taki indicandolo
stupito.
– Kamisama! – passò una mano tra i corti capelli neri,
fingendo irritazione, – Un colpo di vento a tradimento me lo ha portato via… –
e si strinse nelle spalle, sperando che il Trio non avesse notato che
quel giorno non soffiava nemmeno un alito.
Kisugi lo fissò per un attimo, poi accennò un piccolo
sogghigno di comprensione, così Genzō gli fece cenno col dito sulle labbra
di tacere, e l’amico annuì.
Il portiere propose ai ragazzi di tornare insieme alla villa,
e si avviarono senza John. Il bastardo di razza era già corso via da solo,
sapeva perfettamente la strada, e se fosse stato in grado di parlare, molto
probabilmente sarebbe andato dritto filato dal padrone grande a fare la spia. ~
Peccato, sei soltanto un cane… ~
* * *
Naturalmente, Mitsuki, che conosceva molto bene i suoi piccoli
polli furbetti, si accorse subito della scomparsa del berretto, e ascoltò, con
un sorrisetto ironico, l’improbabile spiegazione del figlio, commentando poi
alla fine – Vorrà dire che domani chiederemo al custode di recuperarlo – con
aria tranquilla e senza smettere di interrare.
Genzō fece una smorfia disgustata ~ Fregato anche
stavolta… ~
– Ma la scuola è chiusa, Wakabayashi-san – suggerì
“capellone”.
– Già, sono tutti in vacanza – confermò “dentone”.
– E poi, è finito così in alto, che non ci si arriva nemmeno
con la scala… – intervenne “ricciolino” a sorpresa, perché, di solito, era
quello del Trio che parlava di meno.
Mentre l’S.G.G.K. tratteneva a stento un sorrisetto di
vittoria.
La donna sospirò: “Tre più Uno” erano già diventati una mini
squadra di furbacchioni. ~ Ma non soltanto Yūta e John sanno essere
bastardi… ~ sogghignò.
– Vorrà dire che per oggi rimediamo così… –
Si tolse il cappello di paglia a tesa larga che usava quando
faceva giardinaggio e lo sistemò sulla testa di Genzō, che inorridì, ma lo
sguardo di fuoco nero di sua madre lo fece rinunciare ad ogni tentativo di
protesta.
I suoi amici presero a ridacchiare.
– Sai, che ti dona Capitano?! – sorrise Izawa, poi, volendo
un po' infierire, scosse la sua criniera corvina e fluente, e non imprigionata
in una gabbia di paglia.
– Eh, già… – rincarò Taki, – Sembri quasi un pescatore! – sghignazzò.
Kisugi si stava tenendo la mano davanti alla bocca, ma non
resistette – D’ora in poi, – commentò, – invece che senpai, ti
chiameremo “Sanpei”! –
Tutti quanti, compresa mamma, scoppiarono a ridere a
crepapelle, e anche il Numero Uno non riuscì a restare offeso per più di qualche
secondo, e si unì all’ilarità generale.
– D’accordo, – conciliò alla fine Mitsuki, – vorrà dire che cercheremo
un altro berretto, magari un po' meno da… mocciosi! – E si riprese il suo
cappello dalla testolina del suo “bambino”, perché ormai aveva scontato a
sufficienza la ‘punizione’.
Invitò i ragazzi ad andare a giocare nel campo da calcetto,
e tornò al suo giardinaggio.
* * *
L’indomani mattina, sua madre lo raggiunse in camera mentre
si stava vestendo. – Ho un regalo per te, Genzō – nascondendo chiaramente
qualcosa dietro la schiena.
Lui inarcò sospettoso un sopracciglio, timoroso che davvero
avesse mandato il custode della Shutetsu a recuperare il coso, che fosse
chiusa o no, con o senza scala.
Mitsuki invitò, con un sorriso rassicurante, il suo cucciolo
diffidente a chiudere gli occhi e tendere le mani, e lui obbedì, docile; Genzō
però sentì che mamma, invece, lo aveva fregato, mettendogli qualcosa sul capo.
Così si parò immediatamente davanti allo specchio per
guardarsi, e un’espressione di felicità allo stato puro si dipinse sul suo bel faccino,
che ormai stava già diventando in tutto e per tutto identico a quello del
marito. Così come nel carattere.
Sul suo nuovissimo e fiammante cappellino rosso era stato
ricamato “W. Genzō”, così l’ego già piuttosto notevole e vanitoso di S.G.G.K.
fu lusingato, e si gonfiò a dismisura, parecchio compiaciuto; oggi pomeriggio
lo avrebbe mostrato, fiero, al suo Trio.
Saltò, letteralmente, ad abbracciarla.
– Sta' tranquilla: questo, lo terrò sempre in testa!
–