Note: prima di
tutto, la colpa è di Claudia. È colpa sua se ora
scrivo anche di Percy Jackson. Quello che vi propongo qui è
uno dei miei headcanon, non riesco a togliermi dalla testa l'idea di
Phobos e Deimos che dopo gli avvenimenti a Sparta decisono che Piper
è una ganza per essere una semidea e vogliono conoscerla di
persona a tutti i costi. Vi dico subito che non ho letto i Demigods
files, quindi chiedo scusa se i due non sono esattamente come
dovrebbero essere; per chi come me non li ha letti specifico che i due
dei sono descritti come dei rockettari problematici, Deimos ha il viso
pieno di ci catrici, Phobos ha il potere di rendere reali le peggiori
paure della gente solo guardandola negli occhi; nonostante siano figli
di Ares sono atroci nel corpo a corpo e non sono in grado di maneggiare
una spada.
Grazie a SunlitDays per averla betata :3
Insolite
giornate trascorse in
famiglia
Piper
si chiese come avesse fatto a cacciarsi in quella situazione.
«I
tuoi fratelli vorrebbero conoscerti, Tesoro» le aveva detto
sua madre una
mattina, comparendole davanti nel bel mezzo di uno Starbucks affollato.
La
ragazza per poco non si era rovesciata tutta la cioccolata sulla
maglietta, ma
in qualche modo era riuscita a darsi un contegno quando Afrodite,
splendida
come sempre, si era seduta di fronte a lei con una fetta di cheesecake
in mano.
«Dovresti
essere contenta, sai? Non hanno mai chiesto di incontrare nessuno dei
miei
figli mezzosangue, dicono che sono troppo frivoli per i loro gusti, ma
tu sei
riuscita a conquistarli! Sono davvero fiera di te, pensare che sono
sempre così
intrattabili!»
Piper
si era lasciata seppellire da quel fiume in piena senza sapere cosa
dire, senza
sapere nemmeno esattamente di cosa stesse parlando sua madre; era
sbiancata quando,
alla fine di
un’estenuante conversazione durante la quale la dea si era
lanciata in una
serie di consigli volti a rendere migliore la sua relazione con Jason,
era
riuscita a capire chi fossero i figli di cui si parlava prima di
perdersi in
chiacchiere inutili.
D’altra
parte non avrebbe certo potuto negare un favore simile, né a
loro, né a sua
madre, così ora si ritrovava nel centro dei giardini
botanici a New York, dove
Afrodite l’aveva gentilmente scaricata semplicemente agitando
una mano con fare
annoiato, ad aspettare due divinità che probabilmente
avrebbero fatto scappare
il più coraggioso dei figli di Ares.
Ed
effettivamente l’avevano fatto, perché Phobos e
Deimos erano riusciti a
intimorire persino Clarissa la Rue, senza contare quello che pensava di
loro
Percy, e sebbene Piper non conoscesse bene la figlia di Ares,
l’opinione del
suo amico era abbastanza per farle capire che forse non era saggio
negare loro
un favore.
Quando
arrivarono li riconobbe subito, erano vestiti in abiti simili: una
giacca di
pelle nera con le borchie sulle spalle, una maglietta nera e jeans.
Capì, dai
racconti che le erano stati fatti da Percy quando ancora si trovavano
sull’Argo
II, che quello con i pantaloni strappati e gli occhiali da sole fosse
Phobos,
mentre il ragazzo con le cicatrici sul viso doveva essere Deimos.
Quando si
avvicinarono represse l’impeto di fuggire e sorrise, dopo
tutto erano pur
sempre i suoi fratelli, l’avevano aiutata già
più volte in Grecia e non c’era
ragione per la quale dovessero improvvisamente farle del male, almeno
lo
sperava.
«Hai
decisamente preso tutto dalla mamma» borbottò
Deimos senza incrociare il suo
sguardo, e Piper pensò che, anche per un dio, vivere con
il volto
attraversato da cicatrici non doveva essere facile.
«Meno
male, direi. Pensa se fosse venuta fuori brutta come te!»
esclamò l’altro
ragazzo abbracciandola «Scusa se non mi tolgo gli occhiali,
non vorrei mai
spaventarti a morte».
La
ragazza annuì osservando i due fratelli da vicino, in
realtà sembravano più
goffi di quanto apparissero da lontano e più affascinanti di
quanto sua madre
le avesse detto, certo se confrontati con Afrodite erano due ragazzi
normali,
ma lei l’aveva visto Ares e grazie al cielo nessuno di loro
era brutto come lui
– cosa ci trovasse poi sua madre in quel dio doveva ancora
capirlo: entrambi
avevano corti capelli nocciola e il naso storto, probabilmente rotto,
Phobos
sembrava il chitarrista di una band rock mentre suo fratello, beh,
Deimos
sembrava uno spacciatore, ma probabilmente senza le cicatrici sul viso
avrebbe
anche potuto essere piacente.
I
due la presero sottobraccio, uno per parte, e la iniziarono a
trascinarla per
tutto il centro di New York, tempestandola di domande e riempiendola di
richieste
assurde, tipo “Ti andrebbe di far finire Clarissa dentro una
pozza di
petrolio?” o “Ci aiuti ad entrare al Moma e a
terrorizzare tutti i turisti?”.
Quando
finalmente riuscì a convincerli a sedersi su una panchina
erano passate quattro
ore e avevano già attraversato praticamente
l’intera città, avevano fatto
scappare un gruppo di studenti riuniti attorno a una fontana e causato
due
incidenti stradali e Piper iniziava a desiderare che qualcuno le
amputasse le
gambe e le regalasse un materasso.
«E
quindi abbiamo saputo che hai imparato a usare la spada!
Forte!» le stava
dicendo Phobos «Noi non siamo mai stati molto bravi in questo
genere di
attività».
«Già,
sai terrorizzare a morte qualcuno è una cosa»
continuò Deimos guardandosi
attorno divertito.
«Ma
infilzarlo è tutt’altra» finì
per lui il fratello.
«Mi
ricordo quella volta, fuori da Troia, in cui per poco non hai tranciato
la testa
ad Achille, a papà stava per venire una sincope».
«Stai
zitto, Imbecille, tu per poco combattendo contro Turno non hai ucciso
Enea. E
chi l’avrebbe sentita mamma a quel punto?»
Piper
soppresse una risatina, in parte sentiva di capirli, essere figli di
Afrodite
non era facile, non era dea da cui ereditare forza fisica o
abilità guerresche
e per un dio, per di più figlio di Ares, doveva essere una
vera e propria
umiliazione.
«Immagino
che l’incapacità nel maneggiare una spada sia una
peculiarità che abbiamo tutti
ereditato dalla mamma» mormorò gentilmente la
ragazza, da quando erano arrivati
non aveva mai smesso di utilizzare, con la giusta leggerezza, la lingua
ammaliatrice, nel timore di poter in qualche modo indispettire i due
dei. E lei
sapeva bene quanto le divinità potessero essere volubili.
Sarebbe
andata avanti a parlare se Deimos deformando la faccia in una smorfia
spaventosa non si fosse parato davanti a lei, mettendosi a urlare.
«Ehi,
tu! Sì, tu, con la cravatta e i capelli color carota. Si
può sapere cosa c’è da
guardare? Vai a fare gli occhi dolci alla sorella di qualcun altro o te
la
spacco, quella faccia da schiaffi!»
Non
aveva nemmeno finito di parlare che Phobos si era già tolto
gli occhiali da
sole e si era avvicinato a grandi falcate verso il povero sventurato di
turno
che aveva osato ammirare, per altro non troppo velatamente, quello che
era per
metà sangue del suo sangue.
«La
parola fobia deriva da me, bello. Ora vedremo se avrai il coraggio di
provarci
con le sorelle già impegnate degli altri!»
La
giovane McLean si portò le mani alla faccia e
desiderò ardentemente che un enorme crepaccio si aprisse
sotto i suoi piedi e
la inghiottisse, o magari, chissà, forse qualche mostro
caritatevole sarebbe
passato di lì e l’avrebbe aggredita.
«Ehm,
Phobos» azzardò titubante prendendo Deimos
per un braccio e chiedendogli aiuto con lo sguardo «Fratello,
credo che tu stia
esagerando, è solo un misero mortale, non è degno
nemmeno della tua
attenzione».
«Beh,
non è che abbia tutti i torti, eh, guardalo
come striscia!» rise il gemello.
«Esattamente!»
esclamò la ragazza con voce
leggermente stridula, ci mancava solo che si mettessero ad ammazzare
gente a
caso «E poi io avrei bisogno di un passaggio al Campo, non
vorrete mica farmici
tornare da sola, vero?»
Fortunatamente
per lei, quel giorno i figli di Ares
erano seriamente intenzionati a recitare appieno il loro ruolo di
fratelli
maggiori e, ignorando il povero mortale terrorizzato, la presero
sottobraccio e
in meno di mezzo secondo Piper si ritrovò davanti
all’albero di Talia.
«Oh,
fantastico! E io che pensavo che vi muoveste
su delle bighe!»
«Nah»
rispose Phobos «Abbiamo avuto un piccolo
diverbio con papà qualche anno fa, riguardo al suo carro,
quindi abbiamo deciso
di lasciar perdere i mezzi con le ruote».
«Già,
alla fine, come puoi vedere, non cambia
molto, sei già a casa».
Era a
casa, finalmente. Non che non fosse stato
piacevole passare un pomeriggio con i suoi fratelli, ma, ecco, Piper
preferiva
attività meno impegnative, come per esempio sconfiggere un
branco di giganti
incazzati, piuttosto che avere a che fare con qualunque esponente della
sua famiglia.
Certo Deimos e Phobos erano meglio di alcuni dei suoi fratelli semidei,
migliori di Drew sicuramente, e probabilmente erano anche molto
più affabili di
Eros, che la ragazza sperava di non dover mai incontrare, ma erano
impetuosi e
violenti come tutti i figli di Ares.
Quando
l’abbraccio la raggiunse Piper rimase senza
fiato, era già rimasta abbastanza sconvolta dal fatto che i
suoi fratelli si
fossero ricordati di lei, ma che manifestassero una qualsiasi forma di
affetto
le sembrava quasi eccessivo.
«Grazie
per esserti ricordata di noi a Sparta» le
disse Deimos.
«Non
lo fa quasi mai nessuno, ma è bello sapere che
ci sono parenti meritevoli, anche tra i semidei»
continuò per lui Phobos.
«La
prossima volta che verremo a trovarti ti
porteremo a fare un giro insieme a papà, così ci
mostrerai di cosa sei capace,
che dici?»
Piper
si sentì mancare un secondo, non è che
smaniasse esattamente dalla voglia di andarsene in giro con un dio
della guerra
psicopatico in mezzo a un deserto in Afghanistan.
«Che
ne dite, invece, se la prossima volta che
venite ci allenassimo tutti insieme con la spada? Dopotutto se non ci
si aiuta
tra fratelli…» mormorò cercando di
utilizzare tutto lo charme di cui era
capace.
«Mamma
aveva ragione» disse Deimos.
«Già»
ripose Phobos «Capisco perché tra tutti i
semidei tu sia la sua figlia preferita».
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