Amanda parte I
Titolo: Amanda
Paring: Johnlock.
Generi: Drammatico,
angst, romantico.
Avvertenze: slash
Rating: giallo
Beta: il mio
cervello
Trama: Ultimo
episodio della terza stagione totalmente stravolto.
John
non riesce a perdonare Mary per avergli mentito su chi è veramente e legge i file
sulla chiavetta USB scoprendo cose che mai avrebbe voluto sapere.
E
mentre Sherlock lo spinge a perdonarla lui non riesce nemmeno a guardarla in
faccia. Ma il bambino c’è , esiste ed è l’unica cosa che lo tiene legato alla
moglie, una moglie che rischia di morire di parto.
Capitoli: 2 + epilogo
Note iniziali: Per chi amasse il personaggio di Mary avviso
“lasciate ogni speranza oh voi c’he entrate”! o fuggite sciocchi, come
preferite! XD Insomma se Mary vi piace e non volete vederla soffrire cambiare
storia!
Ovviamente
il titolo è stato scelto è per rendere onore all’attrice che interpreta Mary
nella serie e che io trovo sia semplicemente perfetta nonostante abbia rovinato
le mie fantasie johnlockiane -.-
L’ho
divisa in tre capitoli perché word mi segnava più di 60 pagine e non ho
il dono della sintesi -.-
Spero
con tutto il cuore di aver reso i personaggi IC anche se ammetto è stato difficile soprattutto con Sherlock.
La
storia inizia a partire dalla 3x03 quando Sherlock ritorna in ospedale per
l’emorragia dovuta alla ferita.
Auguro
buona lettura a tutti i lettori(?)/
lettrici.
Desclimer : Nulla di
tutto ciò è mio ma appartiene a Sir Conan Doyle, alla BBC a ai rispettivi
autori cui rendiamo grazie per averci donato cotanta bellezza. Amen.
La
storia è di mia invenzione scritta senza scopo di lucro.
Amanda
PRIMA PARTE
Maggio
<<
Come faccio? Come diamine faccio ad andare avanti, eh? Come faccio ad alzarmi
ogni mattina e guardarla negli occhi senza vedere te steso a terra esanime?
>>
<<
L'hai scelta, John >> fu la lapidaria risposta di Sherlock.
John
lo guardò intensamente per diversi secondi prima di crollare seduto su una
sfortunata sedia verde in plastica abbandonata accanto al letto.
Sherlock
faceva fatica a respirare in quel momento ed era uno strazio per lui restare
seduto a guardarlo annegando nei sensi di colpa, senza sapere cosa fare per
farlo stare meglio.
<<
Si. Ho scelto lei >> sussurrò emettendo un fremito nel sospirare <<
L'ho scelta e adesso non so nemmeno perchè >> ammise.
<<
No, lo sai >> ribatté chiudendo gli occhi << la ami John e hai
scelto perchè è più simile a te di quanto avessi immaginato >>
Sherlock
emise un sospiro stanco: la morfina stava facendo effetto e il suo corpo
debilitato stava cedendo al sonno. John capì che avrebbe avuto poco tempo:
doveva parlargli subito, prima che le flebo lo stordissero.
<<
Ho letto i file sulla chiavetta usb >>
Sherlock
sgranò gli occhi e indirizzò lo guardo verso di lui, sorpreso << Perché?
>>
<<
Dovevo farlo >>
Sherlock
rimase in attesa sforzandosi di restare lucido e vigile ancora per qualche
minuto
<< ho aperto quei dannati file e aveva ragione. Ho smesso di amarla prima
di arrivare alla fine >>
<<
John... >> sussurrò con un filo di voce << ho accettato il suo caso >>
<<
Tu vuoi arrivare a Magnussen >>
<<
Sì ... anche >> respirò
profondamente ignorando la dolorosa fitta al torace << Mary ha bisogno
del nostro aiuto. I documenti in mano a Magnussen potrebbero- >>
<<
Ti ha sparato, Sherlock! >> gridò soffocato.
<<
Mi ha salvato la vita. Avrebbe potuto uccidermi e non l’ha fatto. Risolverò il
suo caso >>
John
osservò il viso dell'amico distendersi e con un gesto premuroso gli sistemò il
cuscino sotto la testa dandosi tempo per controllare attentamente la nuova
cicatrice che svettava sul suo torace.
<<
Come faccio a perdonarla? >> domandò tornando a sedersi composto sulla
sedia, ignaro di essere ascoltato.
<<
Hai perdonato me >> mormorò
Sherlock prima di addormentarsi.
La
trovò seduta davanti al tavolo della cucina, immobile e silenziosa, avvolta in
una sottile vestaglia rosa.
Teneva
la testa china su una tazza di tè oramai fredda respirando a scatti.
Piangeva.
John
pensò a come sarebbe stato facile, prima che la verità li schiacciasse,
abbandonare le chiavi nell'ingresso e percorre i pochi metri fino alla cucina e
avvolgere le braccia attorno alle sue spalle stringendola a sé dolcemente. Con
lei era sempre stato semplice interpretarne i gesti, gli sguardi e rivolgerle gesti
amorevoli, banali e nello stesso tempo essenziali.
La
osservò ancora, chiedendosi perché si fosse dato la pena di tornare a casa.
Il
bambino. Certo, il bambino, perché per quanto potesse odiare sua moglie in quel
momento, non poteva ignorare l'essere che le cresceva dentro.
Altro
non aveva desiderato che una famiglia dopo la morte di Sherlock e non aveva
desistito nemmeno dopo la sua ricomparsa, nemmeno dopo averlo perdonato. Era
stato tanto egoista da voler vedere il proprio sogno realizzarsi? Perché doveva
essere punito in quel modo così crudele?
Un’intera
vita per meritarsi lei.
Sherlock
aveva spiegato che l’aveva scelta sapendo inconsciamente il pericolo che
rappresentava, assuefatto da uno stile di vita adrenalinico, assuefatto dal
rischio.
Forse
aveva ragione, ma lei non sarebbe dovuta essere così. Sarebbe dovuta essere una
persona normale, felice, sorridente, bella, spensierata e intelligente tale da
contrastare l’aura spericolata di Sherlock. Non aveva chiesto un’assassina
spietata. Non aveva chiesto una donna capace di ferire mortalmente il suo
migliore amico.
Mary
non si mosse di un centimetro aspettando che fosse lui a parlare per primo.
<<
Immagino ti debba ringraziare- esordì tagliando il silenzio glaciale che
regnava in casa- in fin dei conti Sherlock è vivo. Di nuovo in ospedale, ma
vivo >>
<<
John >> lo chiamò con una nota di pura disperazione nel tono di voce.
<<
Non riesco a perdonarti. Non riesco neppure a sopportare la tua presenza al
momento >>
Mary
si riscosse e, voltandosi, incontrò gli occhi del marito, glaciali, scuri di
rabbia. << Ma ti ho scelta. Dio solo sa perché ho scelto di meritare te
come compagna e non ho intenzione di tirarmi indietro >> parlò rude
ignorando le lacrime della donna.
<<
E’ questa la mia punizione? Un marito
che mi odia e una casa gelida? >>
<<
Puoi sempre scegliere di andartene, ma non te lo permetterei. In grembo porti
mio figlio e farei qualsiasi cosa per lui, per tenerlo al sicuro. Lui non
merita il mio rancore >>
<<
John … >>
<<
Hai sparato a Sherlock! >> urlò con il viso infiammato di rabbia al solo
sentire il suo nome pronunciato dalla donna << Sherlock è in ospedale
attaccato ad una flebo perché tu gli hai sparato! >>
<<
Non avevo scelta! >>
<<
Potevi scegliere di non rovinarmi la vita >> Mary tremò di un pianto a stento trattenuto
<< E sai qual è la cosa assurda? Che lui ti difende. Vuole aiutarti,
risolvere il tuo caso >>
Mary
restò in silenzio per qualche secondo esaminando l’espressione furente di John
pronto ad urlare ancora se ne avesse sentito il bisogno. Restò in silenzio
perché sapeva di meritarsi tutta la sua ira, la sua frustrazione e la delusione
di scoprire di non conoscere la propria compagna come si credeva.
<< Hai... Hai letto i file? >> John
rispose con un silenzio greve. Si voltò muovendo due passi verso la camera da
letto degli ospiti.
<<
Grazie a te Sherlock avrà bisogno di aiuto e ho intenzione di assumermi questo
compito prima che ci pensi Mycroft >>
concluse chiudendosi la porta alle spalle.
Secondo
i medici era vivo per miracolo ed erano stati abbastanza benevoli nel dare una
prognosi di trenta giorni. Sherlock non era un paziente facile da trattare con
i suoi continui lamenti a proposito della noia e delle morfina che gli
infermieri avevano improvvisamente fatto sparire dalle flebo sostituendola con
blandi antidolorifici.
John
aveva passato la mattinata a parlare con i dottori e a subire gli attacchi
testuali di Mycroft e Lestrade ed ora non gli restava altro da fare che
ascoltare gli sproloqui del suo migliore amico, sveglio e vigile nonostante il
dolore costante al petto.
Una
macchina, giurò di avere di fronte.
<<
Perché sei qui, John? Non dovresti essere a casa a lavorare sul tuo matrimonio?
>> lo aggredì il detective mentre tentava disperatamente di togliersi gli
elettrodi dal torace.
John
sospirò spazientito e lo fermò prima che potesse azzardare ad alzarsi dal
letto.
Era
sveglio da soli due giorni e già voleva
riaddormentarlo a suon di pugni.
Non
bastava il gelo della sua dimora in periferia e il suo rancore verso Mary che
andava acuendosi sempre più, ora c'era anche Sherlock con il suo infantile modo
di fare il malato e le continue aggressioni verbali .
<<
Sherlock. Non mi rendere la vita più difficile di quello che già è. Hai avuto
un'emorragia interna e benché parli non sei ancora fuori pericolo >>
<<
Hai parlato con Mary? >> esordì il detective incerto sul porre o meno
quella domanda.
John
si rabbuiò tornando a sedersi sulla sedia verde e Sherlock interpretò il suo
silenzio << Devi perdonarla John >>
<<
Mi hai chiesto di fidarmi. Non ti perdonarla
>>
<<
E’ tua moglie. Stai per diventare padre. Hai sempre desiderato una famiglia.
>>
<<
Che non comprendeva una donna traditrice e assassina >>
<<
Smettila di comportati così. Sapevi esattamente che tipo di donna fosse ancora
prima di sposarla >>
<<
Sì e mi odio per questo >> parlò trattenendo a stento un gemito
d’angoscia << odio l’ essere attratto solo da sociopatici e assassini
>>
Sherlock
lo ignorò volgendo il capo verso la sacca della flebo il cui liquido
trasparente scendeva lentamente, goccia dopo goccia in modo ipnotico.
<<
Cosa c'era in quella chiavetta? >>
<< La lista delle sue competenze e degli
ordini ricevuti. E’ nata in Ucraina. Il suo vero nome è Aida >> parlò con un nodo in gola << Aida …
>>
Sherlock
si infossò nel letto ospedaliero, meditando .
<<
Ucraina. Avrei detto Moldavia, ma- >>
<<
Sherlock! >> Il detective si zittì per qualche secondo scrutandolo
profondamente nel modo in cui spesso
metteva in soggezione le persone è che John apprezzava perché sapeva che
quel tipo di sguardo precedeva una domanda o un'affermazione brillante.
<<
Che cosa hai intenzione di fare? >> ed eccola, la domanda chiave, a cui
non poteva dare una risposta.
<<
Non lo so >> disse << aspetta mio figlio Sherlock... mia moglie
aspetta un bambino e io non riesco nemmeno a guardarla in faccia >> John
si passò le mani sul volto, distrutto.
<<
E ti ha sparato. Dopo tutto quello che ho passato quando ti credevo morto, lei
ti ha sparato >>
Sherlock
trattenne il respiro colpito da quelle parole.
<<
Non - non aveva altra scelta >> rispose incerto.
<<
Poteva non mentirmi >>
<<
E l'avresti amata lo stesso se avessi scoperto la verità? >>
<<
No >>
<<
Sbagliato John – ammiccò lievemente cogliendo in fallo l’amico -non sono
pratico di sentimenti, ma so che prima o poi andrai avanti. La perdonerai
>>
<<
Non dopo quello che ho letto >>sussurrò tristemente.
<<
Non avresti dovuto farlo >> lo ammonì duramente << Mary ti ha dato
la possibilità di scegliere e tu hai fatto l’ultima cosa che avresti dovuto
fare. Avresti dovuto lasciare quei file esattamente dov’erano. Nel suo passato
>>
<<
Tu sai sempre tutto, vero? >>
Sherlock
sospirò pesantemente << Solo il suo nome in codice e alcuni dei suoi obbiettivi >>
<<
Amanda >> lo interruppe piegando le labbra in una smorfia di disgusto
<< aveva quattro anni. C'è un intero fascicolo su di lei, un rapporto dei
servizi segreti Russi. Catalogato come incidente. Ora dimmi Sherlock, come
posso perdonare mia moglie dell’omicidio di una bambina di quattro anni figlia
dell'ambasciatore portoghese? >>
Sherlock
cercò di mettersi seduto pensando velocemente ad una risposta. Non la trovò e
per una volta decise di tacere. Qualsiasi cosa sarebbe risultata ridicola da
dire in quel momento.
<<
Non ce la faccio >> John si passò ancora le mani sul viso, stanco e
spossato dalla situazione.
<<
Non c'è niente che io possa fare John. Non rinchiuso qui. Fermerò Magnussen...-
<<
In questo momento, quello stronzo è l'ultimo dei miei problemi >>
Sherlock
aggrottò la fonte, incerto: << Dubito che i file in mano a quell’uomo non
siano rilevanti per te >>
<<
Magnussen potrebbe anche dare quei documenti a Lestrade e starei a guardare
>>
<<
Non essere assurdo >>
<<
Ho bisogno che tu mi dica cosa devo fare perché non ce la faccio >>
ammise e Sherlock contemplò per qualche attimo il viso dell’amico. Non erano
molte le opzioni valide o accettabili e, seppur era vero che aveva fatto
rimettere a posto la poltrona del dottore a Baker Street, non poteva
permettergli di scappare. Aveva giurato di proteggerli e lo avrebbe fatto a
qualsiasi costo nonostante questo gli causasse un dolore acuto al petto che non
aveva ancora trovato il tempo di definire.
John
lo guardò totalmente annientato.
<<
Torna da tua moglie, John >> l'uomo esitò << fallo per tuo figlio
>>
Dicembre
Mary
per la prima volta dopo tanti anni ebbe di nuovo paura; una paura cieca che la
paralizzò contro lo schienale del divano di casa Holmes.
Si
toccò il ventre gonfio e prese un respiro per calmarsi.
John
stava rigirandosi tra le mani la chiavetta Usb davanti ai suoi occhi
guardandola con aria turpe. Mesi e mesi di silenzio e ora il momento era
arrivato. Aveva passato ogni singola notte a pensare ed immaginare una risposta
da parte di John – mi perdonerà, non lo farà, vorrà il divorzio, vorrà vedermi
sparire- il quale preferiva evitarla anziché degnarla di una parola. Ed ora era
lì davanti a lei con il caminetto scoppiettante alle spalle e il suono di una
composizione classica nell’aria.
<<
Dimmi se hai letto i file >>
John
non disse nulla sbattendo la piccola scatolina argentata sul tavolino accanto
al divano.
<<
John. Hai letto i file? >> ripeté con gli occhi carichi di lacrime.
<<
Mesi fa >>
Mary
singhiozzò abbassando lo sguardo << Oh Dio, no … >>
<<
Sei stata tu a consegnarmela >>
<<
Non avrei mai sperato che la aprissi >> si alzò in piedi a fatica
sorreggendo il peso del pancione con una mano asciugandosi le lacrime con il
palmo dell’altra. << Perché ora? >>,
<<
E’ Natale >> rispose John amaramente << era Natale anche quel
giorno, vero? Quando uccidesti Amanda >>
Mary
sgranò gli occhi colpita << Era stato un … errore. Dio, John non passa
giorno che non mi penta di quello che ho fatto. Per questo motivo ho cambiato
vita diventando Mary >>
<<
Aveva quattro anni per l’amor del cielo! Come fai a dormire la notte? >>
Bill
Wiggins si affacciò alla porta, controllando la situazione con circospezione.
Se il suo nuovo amico Sherlock aveva architettato quel pranzo natalizio in
famiglia per far riconciliare i due sposi aveva fallito miseramente. Tornò in
soggiorno continuando a mescolare il punch con un cucchiaio d’argento.
<<
Ma è questo che sei, vero? Un’assassina >>
<<
Non potrai mai perdonarmi, vero? >>
John
sospirò << Forse un giorno potrei perdonare il tuo passato, forse potrei
perdonarti l’avermi mentito, ma non potrò mai perdonarti di aver ferito
Sherlock. No … non posso, non ci riesco e non dirmi che non avevi scelta perché
potevi benissimo scegliere di non prendermi in giro fin dall’inizio >>
Non
replicò leggendo in lui tutta la rabbia e la delusione che perpetrava dai suoi
occhi << Che cosa hai intenzione di fare? >>
<<
Recupererò i documenti che Magnussen ha su di te. L’ultima cosa che voglio è
mandarti in prigione proprio adesso che hai mio figlio in grembo. Non ha
bisogno di una madre dietro alle sbarre colpevole di pluriomicidi o sequestro
di persona. Ma sappi che lo faccio solo per mio figlio. Sono stato chiaro?
>> Mary si morse le labbra a sangue versando calde lacrime di
disperazione << Io e te abbiamo chiuso >>
L’attimo
dopo svenne accasciata contro di lui.
John
la sistemò in modo che non cadesse ed aspettò Sherlock.
Quando
uscirono dalla porta principale l’elicottero era già atterrato sopra la
brughiera.
John
non nascose la sua ansia sfregandosi le mani e tentando di ignorare il laptop
che Sherlock sorreggeva a mezz’aria.
Mesi
e mesi di preparazione per attuare un piano che aveva il sessanta percento di
possibilità di fallire e solo in quel frangente John si chiese perché lo stesse
facendo.
<<
Spero che il tuo piano funzioni >>
<<
Lo spero anche io >>
John
esitò prima di aprire il cancello del cortile << Vuoi che tua moglie sia
al sicuro? >> lo incentivò il detective regalandogli un’occhiata aspra.
<<
Voglio che mio figlio sia al sicuro >> precisò << e davvero credevi
che la perfetta vita matrimoniale dei tuo genitori fosse d’esempio per me? Per
farmi cedere e perdonare Mary? >>
Sherlock
sospirò e camminò verso l’elicottero a passo svelto << Ci ho provato. Ma
avevo anche bisogno di una scusa per attirare Mycroft fuori da Londra e un
pranzo in famiglia dopo la mia recente degenza in ospedale era la scusa
perfetta >>
John
prese un respiro e salì sul velivolo indossando le cuffie di protezione
<< Dopo che avrò riavuto i documenti di Mary dovrai scegliere, John. Lei
non sarà più in pericolo e dovrai scegliere >>
<<
L’ho già fatto >> ammise tristemente immaginando le future difficoltà a
cui sarebbe andato in contro.
Avrebbe
dovuto chiedere il divorzio? E il bambino? Lo avrebbe lasciato nelle mani della
donna che sapeva essere stata un’assassina? Sarebbe dovuto tornare a Baker
Street?
L’unica
sua certezza era che non avrebbe mai più voluto dividere la vita con Mary.
Aveva
cercato di trovare in sé tutte le motivazioni possibili per restare, morte
quando aveva preso consapevolezza che non voleva realmente trovarne una
altrimenti non avrebbe mai letto i file sulla chiavetta. Aveva semplicemente
deciso di smettere di amarla.
<<
John >> lo chiamò Sherlock << una mossa falsa e violeremmo la
sicurezza del Regno Unito e verremmo incarcerati per altro tradimento.
Magnussen è l’uomo più pericoloso che abbiamo mai incontrato e le probabilità
di successo sono contro di noi >>
<<
Perché facciamo tutto questo il giorno di Natale? >>
<<
Il piano era questo John. Ne abbiamo discusso a lungo! >>
<<
Ma è Natale! >>
<<
Mi sento così anche io >> John gli lanciò un’occhiataccia << oh, tu
intenti che è davvero Natale. Hai portato la pistola? >>
<<
Sì … è nel giubbotto >>
<<
Bene >>
Mai
avrebbe immaginato che il sorriso che gli rivolse in quel momento sarebbe
potuto essere l’ultimo. Mai avrebbe immaginato che potesse accadere una cosa
del genere.
***
<<
Mi dispiace. Non avrà l’occasione di fare l’eroe questa volta, Signor Holmes
>>
<<
Oh, si informi. Non sono un eroe! Sono un sociopatico iperattivo! Buon Natale!
>> e la pallottola esplose nel cervello di Charles Augustus Magnussen.
Il
rumore degli elicotteri e della voce di Mycroft Holmes fecero tornare John
Watson alla realtà, una realtà in cui il suo migliore amico gli aveva rubato la
pistola dalla tasca del giubbotto per uccidere il loro nemico.
Il
cuore gli scoppiò nel petto mentre il panico si faceva strada nel suo corpo con
una violenza tale da lasciarlo confuso e tremante.
<<
Gesù Cristo, Sherlock! Cosa hai fatto!! >> gli urlò contro disperato
senza ascoltare gli ordini di stargli lontano.
Sherlock
Holmes era appena diventato un assassino. Per lui, per Mary e per il bambino. Tenne
le mani dietro la testa, respirando pesantemente con il vento violento
provocato dagli elicotteri che tagliava la sua pelle e feriva i suoi occhi.
<<
Sherlock … no! Maledizione no!! >>
<<
Porta i miei saluti a Mary, John! Dille che è al sicuro ora >>
<< Non
sparate, non sparate! Ripeto non sparate!! >>
<<
Perdonala John. Meriti di essere felice >>
<<
Oddio Sherlock! >>
<<
Promettimi che sarai felice!! >> urlò con tutto il fiato che aveva in
gola voltando il capo verso di lui per guardarlo intensamente con fiera
determinazione e una punta di disperazione negli occhi lucidi.
Sulle
guancie di John caddero due lacrime << Te lo prometto >>
Gennaio
Mary
era presente in quella pista di decollo, muta e dispiaciuta, tesa ad osservare
suo marito salutare Sherlock Holmes l’uomo che nonostante tutto, nonostante le
sue bugie e l’aggressione subita le aveva salvato la vita distruggendo la propria.
Era
un uomo straordinario, un uomo che capì di non meritare nella sua vita. Un uomo
che in un modo machiavellico e a dir poco assurdo meritava solo John.
Lo
salutò con un cenno del capo e un sorriso di pura gratitudine consapevole che
quando e se fosse tornato a Londra lei non sarebbe più stata Mary Watson.
John
ignorò il cenno del capo di Sherlock e aspettò che Mycroft si allontanasse per
dire con imbarazzo evidente << Eccoci qua >> pentendosi poi di aver osato borbottare una cosa così stupida.
Sherlock
accennò un sorriso amaro.
Sapevano
entrambi come sarebbe finita, che le parole scambiate in quella pista
d’atterraggio sarebbero potute essere le ultime e quella consapevolezza stava
scavando ad entrambi un cratere al centro del petto.
<< William Sherlock
Scott Holmes >>
<< Come? >>
<<
E’ il mio nome. Nel caso tu e Mary->>
<<
Non c’è più nessun io e Mary. E comunque non darei mai a mio figlio il tuo nome
>>
<<
Peccato. Ne sarei stato onorato >>
John
rise e Sherlock lo imitò.
Si
guardarono attorno per qualche secondo in silenzio.
<<
Non so davvero cosa dire >>
<<
Nemmeno io >>
Sherlock
guardò ancora Mary troppo lontana da loro perché potesse sentire.
<<
Me l’hai promesso John >>
<<
Promesso cosa? >>
<<
Che saresti stato felice >>
<<
Lo sarò. Quando nascerà mio figlio sarò davvero molto felice >>
<<
Era implicito con Mary >>
John
scosse la testa << Non posso >>
<<
Hai perdonato me John e ti ho fatto molto più male >>
<<
Come lo sai? >>
<< Lo so >>
Gli
occhi cristallini di Sherlock si posarono sui suoi scuri di rabbia e disperazione
appena trattenuta.
<<
Non cercare scuse per lasciarla. Cerca un motivo per restare invece >>
gli suggerì.
<<
Perché? >>
<<
Perché io non ci sarò più John >>
John
sgranò gli occhi e finalmente capì. Capì che Sherlock aveva già intuito molto
prima di lui ciò che gli aveva nascosto per il bene del suo matrimonio e della
sua sanità mentale. Capì e ne rimase sconvolto.
L’attimo
dopo cercò di ignorare quel peso al centro del petto.
Sherlock
accennò un altro sorriso.
<<
Trova un modo per perdonarla. Fallo per me >>
<<
E’ proprio per te che non posso farlo >>
Sherlock
alzò gli occhi al cielo.
<<
Sentimenti >>
<<
Dove andrai adesso? >>
<<
Est Europa. Una missione sotto copertura >>
<<
Per quanto tempo? >>
<<
Sei mesi, secondo mio fratello. Non sbaglia mai >>
John
trasalì << E poi? >>
<<
Chi lo sa >>
John
prese un respiro profondo verso il cielo cercando di calmarsi.
Gli
stava dicendo addio. Sherlock Holmes questa volta gli stava dicendo addio per
davvero.
<<
John, c’è una cosa che devo dirti >> aggiunse dopo qualche secondo
lasciando che trasalisse di nuovo per l’aspettativa che s’inseriva fra quelle
parole << e te la voglio dire da sempre e non l’ho mai fatto. Dato che è
improbabile che ci rivedremo di nuovo, tanto vale che te la dica >>
John
si immobilizzò in attesa sperando e non sperando che dicesse quelle parole che
si aspettava dicesse. E poi, cos’ altro avrebbe dovuto dire in quel momento?
<<
Sherlock è in realtà un nome femminile >> e rise.
John
ridacchiò esasperato e divertito al tempo stesso.
<<
Non è vero >>
<<
Valeva la pena provarci, fosse femmina >>
<<
Non lo so. Mary non è mai andata a fare un controllo >>
<<
Dovreste andarci >>
<<
Tanto non chiamerò mio figlio come te femmina o maschio che sia >>
Sherlock
sorrise e gli tese le mano inguantata.
<<
Ai migliori momenti insieme, John >> sussurrò.
John
la strinse con forza e l’attimo dopo se lo tirò addosso. Lo abbracciò sotto lo
sguardo stupito di Mycroft e dispiaciuto di Mary.
Sherlock
lo lasciò fare e per la prima volta nella sua vita ricambiò un abbraccio.
<<
Non voglio dirti addio >> sussurrò John con un filo di voce.
<<
Mantieni la promessa John >> e lo allontanò da sé. Gli voltò le spalle e
salì sull’aereo.
***
L’Inghilterra
era già nel panico quando Sherlock Holmes tornò a Baker Street dopo due giorni
di intenso lavoro a fianco di Mycroft e del primo ministro che non sapeva di
avere la gonorrea presa da una escort di dubbia provenienza qualche settimana
prima.
John
non aveva avuto il tempo di provare felicità per il ritorno di Sherlock o di
far luce sui suoi sentimenti, perché aveva passato gli ultimi due giorni con
lui a camminargli accanto, a rintracciare l’origine del video ed analizzarlo
per capire se fosse vero.
<< E’
morto davanti a me! >>
<< Ne è
sicuro signor Holmes? >>
<< Certo
che ne sono sicuro! >>
<<
Poteva essere un trucco? >> domandò John.
<< Quale
trucco? No, no! C’è qualcun altro dietro tutto questo e scoprirò chi è!
>>
Avevano
rimesso piede a Baker Street dopo settantacinque ore, spossati, affamati e
pensierosi.
John
non aveva vestiti lì e il disperato bisogno di farsi una doccia lo costrinse ad
alzarsi dalla sua poltrona e rimettersi in marcia verso la periferia.
<<
Puoi restare >> gli disse Sherlock con il violino già in mano.
<<
Ho bisogno di vestiti. Torno domani mattina. Aspettami e guai a te se osi
andare a Scotland Yard da solo >>
John
evitò la signora Hudson mentre scendeva le scale e non vide il sorriso di Sherlock nascere e
morire sulle sue labbra.
Varcò
la soglia di casa alle undici e quaranta sperando con tutto il suo cuore di
trovare Mary addormentata in camera da letto così da non doverla guardare e
discuterci.
Non
aveva ancora avuto tempo in quei tre – quasi quattro – giorni frenetici di
pensare ad una soluzione concreta che facesse uscire il loro rapporto da
quell’empasse.
Nei
mesi precedenti avevano vissuto come separati in casa, parlandosi solo per
necessità urgenti come spesa e oggetti per il bambino mentre lui e Sherlock
organizzavano il ricatto a Magnussen.
Aveva
promesso a Sherlock di essere felice, ma non di dover esserlo con lei.
Mentre
girava per casa alla ricerca dei vestiti puliti, John, si ritrovò a riflettere
su quando fosse cambiato Sherlock negli ultimi mesi e quanto la freddezza e
l’egocentrismo avessero lasciato spazio a emozioni e sorrisi.
Aveva
sacrificato la sua libertà per aiutare sua moglie andando oltre o ignorando i
suoi sentimenti. Tutto pur di proteggerlo, nonostante tutto.
Mary
non si era meritata un simile trattamento.
Scorse
la sua figura in soggiorno. Non era addormentata, solo accucciata sul divano
con le mani sul ventre e il viso contorto dalla tristezza. Una manciata di
fascicoli giacevano sul tavolino davanti a lei.
John
infilò le mani nelle tasche preparandosi a discutere.
<<
Sherlock mi ha telefonato >> gli disse con un filo di voce << Mi ha
spiegato tutto e mi ha detto che eri al sicuro alla sede dell’IM6 >>
Di
nuovo Sherlock che metteva loro prima di sé stesso.
Cosa
gli stava accadendo?
<<
Bene >> fece per voltarsi e dirigersi in bagno quando Mary lo chiamò.
<<
John. Dobbiamo parlare >>
<<
No >>
<<
Non puoi evitarmi per sempre >>
<<
Non voglio parlarne, non ora che Moriarty pare essere vivo e in vena di mandare
in rete la sua faccia da schiaffi per spaventarci a morte! >>
<<
John >> il tono delle donna fu perentorio e l’uomo cedette voltandosi e
sprofondando nel divano davanti al suo con freddezza e rigidità posturale.
Mary
lo guardò dritto negli occhi e gli passò i fascicoli che giacevano sul tavolo.
Il
medico osservò la sua espressione preoccupata e prese i fogli leggendone il
contenuto.
Una
piccola fotografia nera era stata appuntata in un angolo della prima pagina.
Gli
occhi di John, inaspettatamente, si inumidirono di lacrime ma nella penombra
della stanza Mary non lo notò.
Accarezzò
l’immagine con il pollice e ne definì i tratti. Si vedeva il naso, la bocca e
il profilo di una mano e finalmente la sua futura paternità cominciò ad
assumere un significato reale. Si sentì padre di quel piccolo e sbiadito
profilo che si intravedeva nella foto.
Spostò
gli occhi e lesse il resto.
<<
E’ una bambina >> mormorò accennando un sorriso di pura estasi << E
sana ed è femmina … è meraviglioso >>
Mary
non si mosse né accennò a scomposi davanti a quelle parole << John. Leggi
il resto, per favore >> e lo fece. I suoi occhi da velati di lacrime
divennero secchi e vitrei, sgranati ed agitati.
Rilesse
il responso del medico più di dieci volte prima di osare respirare e guardare
sua moglie.
<<
Non c’è … non c’è possibilità di errore? >> domandò con un filo di voce.
Si accorse di tremare.
Mary
scosse la testa << Ne sono sicuri. Dovrò stare a riposo per i prossimi
due mesi e tenere sotto controllo pressione e - >>
<<
So come funziona >> proruppe mordendosi poi le labbra. Non voleva essere
così brusco, non adesso che aveva scoperto la possibilità di non vedere nascere
la loro bambina. Non ora che Mary poteva morire.
Serrò
gli occhi e una parte di lui si chiese cosa avesse mai fatto nella sua vita di
così orribile da meritarsi una simile tragedia.
<<
Un bravo medico sarà in grado di evitare emorragie improvvise. Chiamerò
Mycroft. Conosce molti dottori validi >> concluse risoluto perché in quel
momento pianificare ed aggrapparsi a vane speranze era l’unica cosa che poteva
fare per non impazzire.
<<
Immagino che dopo tutto io mi sia meritata una simile condanna >> gli
disse lei, con il viso contratto da una smorfia di dolore.
Trasalì
<< Mi dispiace … Mary, mi dispiace. Nonostante tutto non devi dubitare
che mi dispiaccia per te. Sei mia moglie e non voglio che ti accada niente
>> la rassicurò << Te lo giuro … te lo giuro. Farò il possibile
>>
John
rabbrividì con il cellulare già in mano ignorando le repliche di Mary. Non
sentì cosa aveva da dire, né se ne curò. I sensi di colpa lo tormentarono per
tutto il tempo che intercorse a fare una telefonata.
Mycroft
rispose dopo due squilli.
***
È femmina.
Congratulazioni.
SH
Willelmina
potrebbe piacerti. SH
John
ignorò l’ultimo messaggio che gli era stato inviato e ne digitò un altro
lapidario, conciso e terribile.
Placenta
Previa. [1]
Mycroft me
l’ha detto. Troverà un bravo chirurgo. Non è così grave. La placenta previa ha
un’incidenza del 0,5 e l’1,7% e una mortalità del 4-8%. Mary starà bene. SH
Hai già fatto
ricerche? JW
Ne dubitavi?
SH.
No,
John non ne dubitava affatto.
***
Lestrade
li subissò di domande appena misero piede a Scotland Yard.
Nessuno
dei due aveva una valida risposta soprattutto alla prima : com’era possibile
che Moriarty fosse vivo.
Sherlock
ne dubitava fortemente e cercava in tutti i modi di ragionare e pensare a
valide alternative.
John
si sentì sommerso di problemi: prima Mary e i suoi segreti, Sherlock e i
sentimenti che sembrava aver imparato a manifestare, la possibilità di un parto
difficile e di una finale drammatico e per ultimo Moriarty.
<<
Mycroft mi ha fatto gentilmente sapere che mi occuperò a tempo pieno di questo
caso e una volta risolto non mi esilierà in est Europa >> lo informò il
detective una volta tornati alla sede centrale dell’IM6 dove il ministro in
persona aveva riservato loro un ufficio in cui lavorare lontano dai corridoi
principali per non causar disturbo a Sherlock.
<<
Potrebbero volerci mesi a rintracciare la provenienza del video >>
<<
Probabile >>
<<
E se non riuscissi a risolverlo? >>
<<
Io ho sempre risolto tutti i casi >> sbottò apparentemente offeso da
quella domanda.
<<
Prima di tutto non è vero; secondo: questo caso è diverso >>
<<
Ti prometto che non morirò, John >> scherzò e il dottore si incupì di
colpo a sentir parlare di morte. In quel momento avrebbe tanto voluto dargli un
cazzotto: sua moglie era a casa a riposo e lui non faceva altro che pensare a
cosa sarebbe potuto succedere, all’uomo che gli aveva portato via Sherlock che forse
era vivo e lui scherzava.
Sbuffò
e tirò giù i pugni<< Dovrei stare accanto a Mary >>
<<
E allora vai >>
<<
E tu? >>
<<
Me la caverò. Cercherò di essere il più gentile possibile e di non prendermi la
gonorrea >>
<< Sherlock! >>
Il
detective tornò serio << Si chiama Kevin Ferguson. E’ uno dei migliori
chirurghi ostetrici dell’Inghilterra. Vi aspetta venerdì alle diciotto al
Portland Hospital[2] >>
<<
Una clinica privata? Stai scherzando? >> tuonò John sconvolto <<
Come diavolo faccio a permettermela? >>
<<
Non ti preoccupare. Ho già risolto tutto >>
John
si passò una mano fra i capelli sorpreso.
<<
Grazie. Io non so come … >>
<<
Chiamala Willelmina e siamo pari >>
John
dopo tanti giorni rise << Ah, maledetto il giorno in cui hai imparato a
scherzare, Sherlock! >>
***
John
strinse involontariamente la mano a Mary quando il dottor Ferguson iniziò a
parlare mettendoli al corrente della situazione.
Spiegò
loro quali possibilità avevano, quali problemi potevano insorgere e quali
metodi usare per non rischiare un parto prematuro.
I
rischi che la bambina nascesse morta a causa di un’emorragia erano altissime,
non lo negò, così come non negò la gravità di quella patologia per una donna
dell’età di Mary e dello stato avanzato della gravidanza, tale da far
preoccupare anche lui.
Ferguson
era un dottore in gamba, ne aveva sentito parlare quando alcune sue vecchie
college di lavoro avevano avuto figli: potevano fidarsi di lui e del suo
giudizio. Per questo motivo quando egli suggerì di fare un cesareo
entro
la fine della trentaduesima settimana né lui né Mary ebbero niente da ridire.
Aspettare
oltre sarebbe stato troppo pericoloso, lo sapevano entrambi.
<<
Sono fiducioso >> aveva aggiunto, mentendo palesemente per rassicurarli.
Mary
rimase stoica per tutto il tempo.
John
fremette per tutto il tempo.
Uscirono
dalla clinica svuotati di qualsiasi emozione e John dopo mesi di totale
freddezza nei suoi confronti la abbracciò sussurrandole parole rassicuranti
all’orecchio.
Mary
pianse fra le sue braccia chiedendogli ancora scusa.
John
finse di perdonarla e finse di non essere disgustato da sé stesso.
***
Chiuso
nel suo palazzo mentale Sherlock non udì la porta del 221B aprirsi e chiudersi
né i passi che anticipavano l’entrata della persona che stava salendo le scale.
Aveva
tre cerotti di nicotina addosso perché quello stava diventando un problema intricato
da risolvere e aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile.
Moriarty.
Aveva
passato due anni a scovare i seguaci di quel demone lontano dalla sua città e
dalla sua vita, lontano da John mentendo,
nascondendosi e soffrendo insieme a lui ed ora sembrava che l’incubo fosse
ricominciato.
Appariva
freddo e imperturbabile davanti agli agenti dell’MI6 e davanti a John sommerso
dai problemi e dalle prospettive di un futuro infelice, ma Mycroft aveva
capito, gli aveva letto dentro, scrutando la sua ansia. E ciò gli dava
immensamente fastidio soprattutto perché manifestava la sua preoccupazione con
telefonate e improvvise apparizioni a Baker Street.
Non
poteva credere che Moriarty fosse vivo, ma aveva indagato a lungo sull’infinita
lista di suoi stretti collaboratori e sapeva bene che qualcuno gli era sfuggito
qualcuno a cui non aveva dato importanza, qualcuno che in quel momento si stava
divertendo a impaurire Londra, qualcuno che aveva le stesse capacità di Jim e
meno mezzi a disposizione.
Aveva
voluto lanciare un messaggio, perché?
Mary
Watson bussò allo stipite della porta e Sherlock si riscosse aprendo gli occhi
di colpo.
Si
mise seduto osservando incuriosito la donna che gli stava di fronte con il viso
stanco e le occhiaie marcate a dimostrazione delle ore di sonno spese ad
immaginare la sua morte.
Sherlock
non emise verbo.
Si
alzò dal divano e andò in cucina porgendole una sedia comoda su cui far gravare
il suo peso per riposarsi.
Al
settimo mese e mezzo di gravidanza la pancia era evidente, ma l’uomo non si
soffermò ad osservarla per più di due secondi preferendo guardarla negli occhi.
Erano tristi, dedusse, stanchi. Non era arrabbiata per ciò che le stava
accadendo, solo rassegnata.
<<
Gradisci del tè? >>
<<
Non posso, grazie lo stesso >>
Sherlock
annuì e si sedette sulla poltrona nera pronto ad ascoltare qualsiasi cosa
avesse da dire perché, in fin dei conti, era quello il motivo per cui si
trovava lì. Doveva comunicargli qualcosa di importante, qualcosa che
probabilmente riguardava John, così importante da ignorare i consigli del
medico di stare a riposo.
Sapeva
che sarebbe stato un discosto difficile quello di Mary e la prova di ciò era
l’assenza di John che in quelle settimane non l’aveva mai lasciata, assumendosi
di colpo il compito di marito che aveva rifiutato per ripicca nei confronti
della moglie che gli aveva mentito.
Aveva
capito il suo segreto? Per questo era lì?
<<
Ho bisogno di parlarti, Sherlock e ho bisogno che tu non ne faccia parola con
John >>
Altre
menzogne.
Il
detective annuì incrociando le dita fra di loro, in attesa.
<<
John non mi ha perdonata e non lo farà mai. E non posso biasimarlo per questo.
Mi resta accanto per il bene della bambina e perché si sente in colpa. È un
uomo eccezionale, un uomo che ha sofferto così tanto da non riuscire a
sopportare altro dolore >>
Sherlock
si morse la lingua pur di non parlare ed interromperla anche se avrebbe avuto
un’infinità di cose da dire in quel momento.
Mary
lo guardò dritto negli occhi.
<<
Sono qui per ringraziarti Sherlock. Per quello che hai fatto, per avermi
salvato la vita per essere stato il testimone di nozze di John e per averci
protetti >>
<<
Mary … >>
<<
No. Lasciami finire. Ci sono delle cose che ti devo chiedere e ho bisogno di
chiedertele ora, prima che sia troppo tardi >>
Il
detective sospirò e annuì trattenendo una smorfia di tristezza.
<<
Ami John? >>
A
quelle parole Sherlock trasalì sgranando gli occhi, mostrandosi a disagio.
Perché
ora? Si chiese, se lo hai sempre saputo?
Passarono
diversi secondi prima che trovasse la forza di annuire e ammettere la verità
davanti a lei.
<<
Lo proteggerai, sempre? >>
<<
Sì >>
<<
Lascerai che torni a vivere qui se lo desidererà? >>
<<
Sì >>
Mary
deglutì e sorrise agonizzando di felicità e dolore. Sherlock notò quegli
ossimori farsi largo nel suo volto e con un gesto istintivo le prese le mani
incoraggiandola a proseguire.
<<
Proteggerai nostra figlia come fosse anche tua? >>
Non
esitò << Sì >>
<<
Mi prometti che saranno felici? >> le lacrime di Mary bagnarono le sue
mani.
<<
Farò tutto ciò che posso per fare in modo che lo siano >>
Mary
annuì e si lasciò andare in un sorriso liberatorio.
<<
Grazie. Avevo bisogno di saperlo >>
Sherlock
le porse un fazzoletto e lei si asciugò gli occhi.
<<
John sa che sei qui? >>
La
donna scosse la testa.
<<
Morirò Sherlock >>
<<
Non credo. Il dottor Ferguson è- >>
<<
Non c’è niente che il dottor Ferguson possa fare per salvarci entrambe. John ha
fatto finta che non sia vero per tutti questi giorni, ma sappiamo entrambi che
sarà costretto a fare una scelta.
>> parlò duramente senza lasciar spazio a repliche di alcun genere
<< non posso far soffrire John ancora. Non posso fargli prendere una
decisione simile. Ho lasciato scritto al dottor Ferguson che in caso di
complicazioni durante l’operazione salvi mia figlia >> Sherlock strinse i
pugni << per questo ho bisogno che tu mi prometta che ti prenderai cura
di loro perché io non ci sarò, nemmeno se John mi perdonasse davvero. Ho
bisogno di essere sicura che sarai sempre presente per loro >>
<<
Io- Io te lo prometto >> rispose senza fiato per dire altro.
<<
E ovviamente non devi dire niente a John di tutto questo >>
<<
Devo mentirgli? >>
<<
No, solamente tenerlo all’oscuro >>
Mary
si accarezzò la pancia nel punto esatto in cui la bambina aveva scalciato.
Sherlock
ne divenne curioso e allungò una mano sfiorando con le dita il ventre
percependo la vita sbocciare dentro quel corpo umano.
Promise
ancora e ancora che l’avrebbe protetta per il resto della sua esistenza.
***
Oggi è il
giorno stabilito. JW
Sherlock
si distrasse dalle ciance del tecnico informatico dell’IM6 osservando il testo
con attenzione.
Erano
già passate due settimane?
Tempo
un minuto e gli arrivò un altro messaggio.
Come stanno
procedendo le indagini? JW
Si sono
arenate per colpa di un informatico incapace. SH
Il
suddetto tecnico si sforzò di recuperare dei dati da un computer - trovato in
un bagno della metropolitana di Londra -inutilmente. L’hard disk era stato
cancellato appena acceso il computer.
Qualcuno
lo aveva lasciato lì per sbaglio, ma chi avrebbe fatto un simile errore?
A
meno che … il computer non fosse altro che un’esca per far sviare le indagini.
Il
segnale del videomessaggio con la faccia di Moriarty era partito proprio da lì
rimbalzando su server internazionali per settimane prima di riuscirne a
identificarne la fonte.
Astuto,
ma non abbastanza commentò Sherlock osservando il tecnico scuotere la testa
dispiaciuto.
<<
Lasci perdere il computer. Non è altro che un modo per sviarci e speravo lo capisse prima di forzare la
scheda madre con un sistema così idiota! >> asserì con tono perentorio e
Mycroft annuì totalmente d’accordo.
Il
tecnico stava già per ribattere oltraggiato ma lui lo fermò subito << e
se non avesse pensato a tutto il tempo alla ballerina russa incontrata ieri sera
forse sarebbe anche riuscito a sbloccarlo. Badi bene, ho detto forse! >>
e si allontanò dalla stanza raggiungendo il fratello.
Mycroft
gli rivolse un sorriso serafico << Ti vedo particolarmente in forma,
fratello caro >>
<<
Devo andare all’ospedale >>
<<
Naturalmente. Una macchina ti sta aspettando al terzo piano interrato >>
Sherlock
sospirò << Farò avere a John le tue condoglianze >>
<<
Verrò a fargliele di persona appena mi sarà possibile >>
Sherlock
prese l’ascensore scortato da un agente in borghese.
Sto arrivando,
rispose.
Grazie. JW
All’interno
del reparto di maternità si moriva dal caldo, ma Sherlock non si levò il
cappotto di dosso lasciando che svolazzasse sotto il suo incedere veloce e
sicuro verso la sala d’aspetto.
John
era lì, con le mani affondate nei capelli e i gomiti sulle ginocchia, seduto su
una delle sedie bianche.
Erano
le quattro del pomeriggio – l’ora delle visite - e l’intera stanza era stata
presa di mira dai parenti e amici delle partorienti. Erano tutti così
sfacciatamente felici, così sorridenti e allegri che Sherlock dovette resistere
da prenderne a pugni un paio solo per scaricare i nervi.
John
udì i suoi passi e alzò la testa lasciandosi andare in un sospiro di puro
sollievo.
Sherlock
gli si sedette accanto in rigoroso silenzio aspettando che fosse John a parlare
per primo.
<<
Non mi hanno lasciato entrare. Le ho detto che la perdonavo e che saremmo stati
una famiglia una volta nata la bambina >>
Sherlock
annuì fra sé << Belle parole >>
<<
Dovevo rassicurarla >> disse risoluto << andrà tutto bene >>
<<
Ferguson è un b- >>
<<
Smettila di ripetere che è un bravo dottore. Andrà bene. Punto >>
<<
Volevo solo … >>
<<
Sì, lo so. Scusami. È colpa mia, sono nervoso >>
<<
Ne hai tutte le ragioni, John >>
John
prese un respiro profondo per cercare di calmarsi.
<<
Hai chiamato Harry? >>
<<
Per quale motivo avrei dovuto? >>
<<
E’ tua sorella >> gli ricordò il detective.
<<
Alcolista che non è nemmeno venuta al matrimonio. No … meglio di no >>
sputò fra i denti acido prima di respirare di nuovo e calmarsi.
<<
Parlami delle indagini. Avete scoperto … >>
<<
Non ora John >> lo interruppe prendendogli una mano e stringendola. Era
calda, così calda rispetto alla sua gelida e tremante.
Il
medico sussultò a quel gesto e decise di assecondarlo prendendosi ciò di cui
aveva bisogno in quel momento. Conforto.
In
quel momento Sherlock crollò sotto il peso del segreto che era costretto a
mantenere.
Il
dottor Ferguson apparve oltre le porte di chirurgia ostetrica esibendo
un’espressione dispiaciuta. John non lo notò subito. Aveva gli occhi chiusi e
la mente concentrata nell’osservare la premura che Sherlock stava dimostrando
avere nei suoi confronti: la mano ancora stretta alla sua, gli aveva persino
dato la possibilità di appoggiare la fronte alla spalla pur di rassicurarlo.
E
stava amando ogni secondo di più quella parte nascosta di lui, quella parte che
nessuno aveva mai avuto il privilegio di conoscere.
Sherlock
lo riscosse e John si tirò su di scatto notando il chirurgo venir loro incontro.
Erano
le sei di sera.
John
capì e finse di non capire. Aspettò che il medico aprisse bocca prima di
disperarsi.
<<
Dottor Watson >> lo chiamò << La bambina è nata. Ora si trova in
terapia intensiva. Sta bene e ha solo bisogno di ricevere ossigeno per qualche
ora >>
<<
Ma è sana? >>
<<
Sana. Due chili di peso. Dieci nella scala Apgar >>
John
sospirò. Sherlock rimase immobile accanto a lui.
<<
E mia moglie? >>
Il
dottor Ferguson scosse la testa.
<<
Si trova in terapia intensiva ora e non voglio nasconderle che è molto grave.
Ha avuto un’estesa emorragia interna e un danno ai reni non indifferente.
Stiamo facendo il possibile, ma temiamo danni multi organo - >> John
smise di ascoltarlo.
Crollò
sulla sedia e pianse.
Mary
Watson morì all’una e ventisette del 23 gennaio.
***
Sherlock
Holmes era visibilmente a disagio in quel momento.
Monopolizzato
dalla signora Hudson, che lo sommergeva di domande a proposito della bambina,
non sapeva cosa fare. Era totalmente estraneo a simili faccende umane.
Cosa
avrebbe dovuto dire? Quale aggettivo avrebbe dovuto usare per descriverla?
Mycroft
gliene suggerì un paio via messaggio, ma li ignorò perché bellissima e stupenda
erano epiteti che poco si addicevano alla figlia di John.
Avrebbe
avuto bisogno di coniare un nuovo termine per descriverla.
Lei
era molto più che bella e stupenda, più che intelligente e – per l’amor del
cielo- dolce.
Lei
era tutto. Ed era perfetta.
La
signora Hudson trillò allegra guardandola agitarsi nella culla per neonati
accanto ad altri ignoti bambini che non risplendevano della sua stessa luce.
<<
E John, come sta caro? >>
Sherlock
sospirò stancamente.
La
notte prima Mary era morta riuscendo a rivolgere a John un ultimo sorriso
stanco prima di lasciarsi andare.
John
non era uscito dalla sua stanza fino all’alba persuaso infine dagli addetti
all’obitorio già pronti a portare il cadavere della donna nella cella
mortuaria.
Mycroft
si era offerto di organizzare il funerale, ma aveva rifiutato con un no secco
perché quello era compito suo e suo soltanto.
Non
aveva ancora trovato il coraggio di scendere al piano di sotto per vedere sua
figlia, entrare nella nursery e prenderla in braccio.
<<
Male. Ma ce la farà >> rispose bilanciando bene il tono di voce.
La
donna annuì asciugandosi una lacrima di puro dispiacere osservando con occhi
tristi la bambina nella culla 004.
Un
bip distrasse il detective dalla contemplazione della piccola Watson.
Sono sicuro
che sarai all’altezza del compito, fratello. MH
Sherlock
infilò il cellulare in tasca e sospirò.
Dentro
la sua testa il Mind Palace stava per essere riorganizzato per fare spazio
anche alla bambina: avrebbe buttato via qualche ricordo, magari quelli
riguardanti Mycroft da bambino. Sorrise.
Sì,
la bambina di John era decisamente più bella di un fratello panciuto.
Lestrade
arrivò alle undici di mattina, trafelato, seguito da e una Molly Hooper con il
viso rigato di lacrime e un sorriso mesto in viso .
<<
Sherlock >> disse il primo stringendogli la mano.
<<
E’ stato Mycroft, vero? >>
L’ispettore
annuì rassegnato << Mi dispiace tanto. John come l’ha presa? >>
<<
Talmente bene che non è ancora sceso a vederla >> ribatté sarcastico.
<<
Ci vorrà del tempo. Non avrei mai pensato che Mary potesse - >>
<<
Mary è stata coraggiosa. Ha scelto di salvare lei piuttosto che la sua vita
>> spiegò diligentemente.
<<
Possiamo vederla? >> domandò Molly e Sherlock le indicò la culla.
<<
E’ meravigliosa >> esalò lei << assomiglia a John, ma la bocca è …
>>
<<
Di Mary. Cerca di non farglielo presente >>
Molly
lo guardò con aria curiosa << L’hai presa in braccio? >>
<<
Avrei dovuto? >>
<<
Beh, sarebbe carino se lo facessi >>
Lestrade
trattenne un sorriso.
<<
Non vorrei perdermi la scena >>
<<
Non la prenderò in braccio. Molly rassegnati, Lestrade piantala di sorridere come
un perfetto idiota >>
La
signora Hudson cinguettò contenta quando la bambina sbadigliò assopendosi e
Molly la seguì a ruota.
Sherlock
Holmes sospirò scocciato e capì che quella sarebbe stata una lunga giornata.
Due
mani si posarono sul vetro in plexiglass che divideva la nursery dal corridoio
principale del reparto di maternità.
Osservò
la coperta rosa avvolgere una bambina che non riusciva a vedere e si sforzò di
restare lì anziché entrare. Non era pronto. Non era pronto a tutto quello.
Un
bicchiere ricolmo di caffè nero e caldo apparve sotto il suo naso e John
sussultò dalla sorpresa.
Guardò
a lungo la figura alta del detective prima di riuscire a coordinare i pensieri
e prendere il caffè con un grazie appena sussurrato.
<<
Sei sempre stato qui? >>
Sherlock
annuì.
<<
Sono le dieci di sera >>
<<
Non sono stanco >> mentì << lei è nella culla 004 >>
<<
La riconoscerei fra mille >> disse trattenendo un gemito di puro amore
<< è bellissima >>
<<
Lo è, non posso darti torto >> ammise << Oggi sono passati Lestrade
e Molly >>
<<
Capisco. Hanno visto la bambina? >>
<<
Sì e sono del medesimo parere >>
John
accennò un sorriso stanco. Aveva i capelli sfatti segnati dalla torture delle
dita e due ombre violacee sotto gli occhi.
<<
Mi sento come se un tir mi fosse passato sopra tre volte. Mi sento in colpa per
essere felice che lei esiste e per non essere riuscito a perdonare Mary prima
che … >>
<<
Ti ama John. Ti amava così tanto da scegliere di salvare la vita della bambina
piuttosto che la sua >>
A
John sfuggì un singhiozzo. Appoggiò la fronte al vetro e prese un respiro
profondo per calmarsi.
<<
Non so se ce la posso fare >>
<<
Non sei solo >>
Lo
guardò stupito e occhi gli si riempirono di un’emozione che Sherlock non riuscì
a capire: gratitudine, gioia? Speranza? Troppo difficile.
<<
Avanti John. Devi conoscerla >> gli ordinò oltrepassando la porta della
nursery.
L’infermiera
fece capolino dalla stanza attigua e sorrise al padre in lutto facendosi strada
fra le culle.
Non
aveva bisogno che parlasse per essere capito e così la donna scoprì la bambina
e la prese in braccio porgendogliela con una mossa esperta.
Non
emise suono mentre veniva sballottata in aria e lasciata andare fra le braccia
di una persona che ancora non conosceva. Emise un unico gemito di frustrazione
e tornò a dormire.
John
la guardò per un tempo che parve infinito.
La
osservò, l’ammirò e ne scoprì i tratti innamorandosene ogni secondo di più.
Era
diventato padre di una bellissima bambina nel giorno più triste della sua vita.
Sentimentalmente
spaccato a metà la cullò annusando la sua pelle profumata, baciandole la mano
stretta a pugno.
<<
E’ perfetta >>
<<
Concordo >> sussurrò << ma non puoi continuare a chiamarla
“bambina” >> lo ammonì il detective indignato << devi trovarle un
nome >>
<<
Io e … io e Mary non abbiamo mai … sai parlato perché io … ero … oddio >>
L’infermiera
gli indicò, in rispettoso silenzio, una sedia a dondolo poco distante e lui vi
si sedette, troppo stanco per poter restare in piedi.
<<
Hai bisogno di riposo >>
<<
Amanda >>
<<
Cosa? >>
<<
Il suo nome è Amanda >>
John
ripeté quel nome due volte per rendersi conto di quanto fosse perfetto.
Lo
doveva alla piccola bambina a cui era stata strappata la vita dalla donna che
aveva sposato. Glielo doveva.
Una
vita per una vita.
<<
Amanda >> sillabò Sherlock soddisfatto << deriva dal latino.
Significa colei che deve essere amata. Sdolcinato, ma le si addice >>
John
sgranò gli occhi << Anche il latino? C’è qualcosa che non sai? >> e
si concesse di sorridere. Le guance si tesero dolorosamente.
Sherlock
lo imitò.
L’infermiera
tese le mani verso John per poter rimettere la piccola a posto nella sua culla.
<<
Domani il dottore ha intenzione di dimetterla, dottor Watson. Non si preoccupi.
Sta bene. Ha già preso tre grammi di peso nelle ultime ore >>
John
annuì e osservò ancora la sua bambina e le piccole palpebre color lavanda
chiuse attorno ai suoi occhi di cui ancora non conosceva il colore. Infine
guardò Sherlock che se ne stava immobile vicino alla porta, visibilmente a
disagio.
<<
Aspetti un secondo >> sussurrò << Sherlock. Tu l’hai presa in
braccio, vero? >>
L’uomo
fece una smorfia apparentemente contrariata << No … >>
John
distese le labbra formando una specie di strano sorriso << Prendila
>>
<<
Perché?! >>
<<
Ho detto prendila. Non fare l’isterico >>
<< Non sono isterico, ma io e i neonati proprio non … >> John
gliela passò attentamente facendolo smettere di protestare di colpo.
Quel
peso caldo lo zittì subito.
Sherlock
divenne una statua, gli occhi fissi sulla neonata addormentata, con il fiato
quasi assente. Osò sfiorarle una mano con il pollice e ciò, unito
all’espressione incredula dell’uomo, riempì il cuore di John di un’emozione
finalmente bella e positiva.
<<
Se sapevo che bastava questo per farti tacere … >>
<<
Guai a te se lo dici a Mycroft o a Lestrade >>
John
sorrise, scosse la testa e tornò a rivolgersi all’infermiera << Scriva
Amanda sopra il suo certificato di nascita >> le disse con gentilezza
guardando Sherlock destreggiarsi nel sorreggere con evidente impaccio sua figlia
<< Amanda Willelmina Watson >>
Sherlock
sgranò gli occhi e per poco non svenne per la sorpresa.
John
lo guardò seriamente, scoprendosi incantato da quella scena.
<<
L’ho promesso a Mary >>
***
Il
funerale fu triste e colorato.
John
aveva capito di aver bisogno di aiuto il giorno in cui portò a casa Amanda e si
accorse di non avere niente di pronto per accoglierla. Colto da un raptus di
rabbia aveva scagliato le poche cianfrusaglie comprate contro la parete della
sala da pranzo. Ma non aveva più lacrime da piangere.
Tornare
lì, senza Mary, era stato uno strazio. Ogni cosa parlava di lei, dagli abiti
lasciati con cura sul letto, alle fotografie, alle chiavi di casa abbandonate
nel piattino vicino all’ingresso. Era stato sposato con lei sette mesi ed aveva
trascorso gli ultimi quattro odiandola ed evitandola.
John
aveva capito troppo tardi che lei sapeva di star morendo. Glielo aveva letto
negli occhi l’attimo in cui, entrando nella stanza, gli aveva sorriso facendosi
promettere tante cose, l’ultima di mettere Willelmina come secondo nome per
onorare l’uomo che le aveva salvate. Poi aveva chiuso gli occhi e un bip
straziante aveva riempito il silenzio. Avevano tentato di salvarla in tutti i
modi possibili e John si era sentito così impotente e sconfitto da voler
urlare, come quel lontano giorno nel deserto afghano quando aveva dovuto
abbandonare un commilitone ferito a morte per curarne uno ancora in vita. La
sensazione , ora, era diecimila volte più straziante, ma non era più
arrabbiato. Non come lo era stato con Sherlock.
Mary
non aveva meritato di morire in quel modo, ma chissà perché il destino aveva
scelto per lei diversamente, punendola dei crimini di cui si era macchiata in
passato.
John
si sentì impotente davanti al pianto disperato di sua figlia, si sentì solo
troppo esausto e triste per fare qualsiasi cosa perciò chiamò l’unica persona di cui si poteva
fidare.
Sherlock
arrivò alle due del pomeriggio osservando con occhio critico lo stato in cui
versava la casa e l’espressione distrutta di John, il quale ammise di non
riuscire a farcela, esattamente come quel lontano giorno in ospedale davanti al
letto di Sherlock. E così il detective aveva preso in mano la situazione
chiamando il fratello.
Per
questo motivo il funerale fu colorato. Era stato proprio Sherlock a scegliere
fiori azzurri, rosa e gialli che inneggiavano alla vita piuttosto che alla
morte e le persone presenti ne furono sollevate.
John
osservò la bara in silenzio, assorto nei suoi pensieri.
Erano
intervenute tutte le persone che avevano conosciuto Mary: da Molly Hooper e
Lestrade, a Violet e Siger Holmes che quel mattino si erano offerti di badare
alla bambina durante la celebrazione del funerale. C’era Mycroft, vestito con
un completo nero ed elegante e persino Janine che in disparte assisteva
all’evento. E Bill Wiggins ovviamente che aveva posato tre rose bianche al
centro della bara per poi tornare vicino al suo nuovo amico Sherlock.
Nessuno
di loro a parte Mycroft, Sherlock e John conoscevano la verità su Mary Morstan
il cui nome era stato rubato da un’altra lapide. E così sarebbe dovuto restare
per non infangarne la memoria agli occhi di chi le aveva voluto bene.
John
non aveva più voluto parlarne e si era chiuso in un mutismo post-traumatico da
manuale lasciando Sherlock completamente frustrato. Non aveva voluto
commemorarla lasciando agli altri la possibilità di parlare di lei. E subito
dopo la cerimonia aveva stretto Amanda fra le braccia dicendole di amarla.
<<
Strana la vita, Sherlock. Meno di un anno fa suonasti al loro matrimonio ed ora
organizzi il funerale della signora Watson >> commentò Mycroft passando
al fratello una sigaretta fumata a metà.
Sherlock
sbuffò fumo dal naso ignorando l’indelicato commento del maggiore << Hai
intenzione di parlargli? >>
<<
Ora o mai più. Deve lasciare Londra il più presto possibile >>
Mycroft
annuì << Mummy sarà contenta >>
<<
Hai già predisposto il trasferimento? >>
<<
Cosa credi che abbia fatto tutta la mattinata? >>
Sherlock
rispose con un gesto di stizza e andò a cercare John.
Lo
trovò seduto su una panchina a pochi passi dalla tomba di Mary intento a
parlare ad Amanda di qualcosa di assolutamente insignificante per lui.
Tanto
non ti capisce, avrebbe voluto dire, ma si trattenne prendendo posto accanto a
lui.
<<
Grazie. Per tutto >> disse John commosso << è stato tutto davvero
molto … colorato >>
<<
Dobbiamo parlare >> lo interruppe appoggiandosi con la schiena alla
ringhiera guardando un punto fisso oltre gli alberi del cimitero.
<<
Di cosa? >>
<<
Del tuo trasferimento >>
John
si stupì << Quale trasferimento? >>
<<
Il tuo John, non puoi restare a Londra. Con Moriarty probabilmente vivo, -come
sostiene quell’inetto del ministro degli esteri- è troppo pericoloso restare
per te e per Amanda. Devi andartene oggi stesso. Ti prometto che non sarà per
molto >>
John
alzò gli occhi su di lui << Alt Fermati un secondo! E dove diavolo dovrei
andare? Amanda è troppo piccola per viaggiare >>
<<
Mycroft ha già organizzato tutto >>
<<
E tu? >>
<<
Te l’ho detto. Devo continuare ad indagare >>
<<
No >> sbottò furente.
<<
John >>
<<
No, niente John! Stiamo parlando di nuovo di te e dei tuo atti suicidi! Cosa
inventerai questa volta eh? Un attacco di cuore, un avvelenamento, un
annegamento? >> urlò destando Amanda dal sonno che pianse spaventata.
<<
John calmati. Non sarà niente del genere. È solo per precauzione. Tu e Amanda
andrete a vivere per qualche settimana nella tenuta dei miei genitori. Ti
stanno già aspettando. Potrai avere la mia vecchia stanza. Sarete al sicuro da
qualsiasi minaccia possa rappresentare quel messaggio di Moriarty o chi per
lui. Alcuni uomini di Mycroft – quelli che io ho ritenuto meno incapaci- si
assicureranno che siate al sicuro >>
John
reagì a quel fiume di parole con uno sguardo incredulo << Hai – hai preso
seriamente la storia del proteggerci >> mormorò quasi imbarazzato
<< e tu, sarai al sicuro? >>
<<
Mycroft è stato piuttosto insistente su questo punto >>
<<
Dovrei venire con te >>
<<
Hai Amanda di cui occuparti >>
<<
Lo so. Ma c’è il tuo nome sul suo certificato di nascita >> disse con un
filo di voce calmando finalmente la bambina dal suo pianto isterico.
<<
Questo non significa che tu possa venire con me >> concluse lui serafico
<< è una battaglia che devo finire
da solo così com’è iniziata >>
John
annuì scontento, indeciso, e si alzò seguendo Sherlock verso l’auto scura che
li avrebbe portati in campagna.
Violet
e Siger erano già dentro ad aspettare.
<<
Sei sicuro che non sia un problema per loro? >>
<<
Cosa, che tu abbia messo il mio nome al femminile sul certificato oppure il tuo
soggiorno a casa loro? >>
John
parve pensarci << Entrambe >>
Sherlock
sbuffò un sorriso << Sali in auto John >>
<<
Tu promettimi che non ti farai ammazzare >>
<<
Lo prometto >> sbottò ruotando gli occhi al cielo.
<<
E che tornerai >>
Sherlock
a quel punto tornò serio e lo guardò a lungo soffermandosi qualche secondo su
Amanda che finalmente mostrava i suoi occhi color blu cielo.
John
aspettò quella promessa finché non fu pronunciata.
<< Tornerò >>
[1] La placenta previa è una
condizione medica che causa forti emorragie durante il secondo trimestre di
gravidanza dovuta al posizionamento della placenta nella parte bassa
dell’utero. Ho trovato qui tutte le informazioni.
[2] Il
Portland Hospital,
secondo wikipedia, è uno degli ospedali privati di Londra,
specializzato in ginecologia e ostetricia. E se lo dice lui io mi fido
U_U Ovviamente il dottor Ferguson è un personaggio totalmente
inventato.
Note:
alcuni
dialoghi iniziali li ho presi direttamente dalla 3x03, ma ho per esigenze di
trama, cambiato qualcosa.
Se siete arrivati
vivi fin qui vi meritate un biscotto.
Aggiornerò con la
seconda parte domenica prossima =)
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