Ed ecco che posto uno
dei miei racconti sui vampiri. Questo è un lavoro che ho
scritto all’inizio di questa estate, di cui vado molto
orgogliosa.
Credo che sia il racconto che finora mi è venuto meglio.
Vi presento Isabella.
Ogni mio vampiro ha
un nome.
Questo è il
suo.
Buona lettura.
Sull’Orlo Della
Morte
Quanto è
bella la neve… Cade silenziosa dal cielo, ricoprendo tutto
con il
suo manto soffice e bianco, ma altrettanto gelido.
E quanto è
bello il gioco di luci che viene a crearsi, quando il sole si
rifrange su questo fragile tappeto. Colori sgargianti si liberano in
ogni direzione, trasformando un umile prato innevato in una distesa
di diamanti.
Ma tutto
questo è solo il lontano e vago ricordo di quando ero ancora
umana. Adesso mi devo accontentare di uno scenario lunare, che
restituisce solo un’infinitesima parte dello spettacolo di
cui
godevo un tempo.
La luna…
solamente un debole riflesso della luce del sole, una pallida ombra
di qualcosa di più grande, splendente e divino.
La sua luce
non scalda.
So che la luce
del sole, invece, è calda, anche se oramai non rimembro
più
la sensazione dei suoi raggi sulla mia pelle. Anche questa, una
lontana reminescenza del passato.
Forse il sole
e il suo calore sono le uniche cose che davvero mi mancano in questa
mia non-vita.
Il resto, non
ha più importanza. Gli affetti, le persone importanti e a me
care, le ricchezze, i luoghi, gli oggetti, la vita… tutto
è
destinato a logorarsi, a morire, a decomporsi… tutto
è privo
di valore e di significato, di fronte all’infinita
immortalità.
Tutto tranne
il sole.
Il sole è
destinato a splendere in eterno, come io sono condannata a vivere per
sempre.
Spesso ho la
tentazione di sottrarmi a questo mio destino, di morire una seconda
volta e porre fine ai miei tormenti. Allora salgo in superficie,
quando s’appresta l’alba, guardando
l’orizzonte schiarirsi,
anelando a contemplare il sole un’ultima volta, prima di
venire
divorata dalle fiamme purificatrici.
L’oggetto
della mia venerazione è lo stesso della mia rovina.
Ma ogni volta
mi manca il coraggio.
Per quanto io
desideri porre fine alla mia non-esistenza, l’istinto di
conservazione mi costringe a tornare nel mio rifugio sotterraneo, ora
come settecento anni fa.
Qui, nella mia
dimora scavata nel ventre della terra, dormo. Un sonno costellato di
incubi, un sonno che non mi dà pace.
Qui,
innumerevoli scaffali di libri occupano saloni immensi, altrettante
opere d’arte popolano le pareti e gli angoli vuoti. Cd di
musica
sparpagliati per tutto il rifugio.
Essa è
il mio unico sollievo, l’Arte, che anche se solo per qualche
istante riesce a distrarmi dalla noia e dal tedio.
Grazie alla
tecnologia di questi tempi moderni, possiedo anche la televisione e
Internet, che mi permettono di tenermi anonimamente in contatto con
il mondo esterno, di seguire rappresentazioni teatrali e di guardare
film.
Non esco
spesso dalla mia dimora, se non per nutrirmi.
Raramente esco
per diletto.
Questa notte
la mia ombra si staglia contro i muri dei vicoli, senza che nessuno
se ne accorga. Solo i gatti avvertono la mia presenza, e fuggono
terrorizzati soffiandomi contro e rizzando il pelo.
Scorgo la mia
preda.
È una
donna, una prostituta, quella che oggi è considerato un
rifiuto della società, portatrice di malattie, veicolo di
contagio.
Ma che sia
ammalata o meno, per me non fa differenza. Le malattie non possono
uccidere un corpo morto.
Le seguo per
un po’. È tardi, probabilmente sta tornando a casa.
Aspetto che
raggiunga la sua dimora.
La donna
chiude la porta a chiave, e si infila sotto la doccia, per lavarsi
via il sudiciume che mille uomini hanno riversato su di lei e dentro
di lei.
Muto in
nebbia, per entrare dentro la stanza. Uso i miei poteri per oscurare
la finestra, in modo che i mortali che vi posano lo sguardo sopra non
possano scorgere quello che fra poco accadrà in
questa
stanza.
La donna esce
dal bagno, e vedendomi inizia ad urlare. Non mi affanno a chiuderle
la bocca, l’oscurità tangibile che ho creato
neutralizza
qualsiasi suono.
Mi dirigo
calma verso di lei, non sento emozioni pulsare nel mio cuore
atrofizzato.
Rendendosi
conto che nessuno la verrà ad aiutare, la donna si
rannicchia
in un angolo, piangendo. Mi chino per alzarle il viso, e con una mano
le asciugo le lacrime.
Nonostante
questo, la paura nei suoi occhi non si è dileguata.
Le reclino
dolcemente il collo all’indietro, la bacio per qualche
attimo, per
poi affondare i miei canini nella sua giugulare. La sento sussultare
al mio morso, per poi rilassarsi e abbandonarsi al piacere che esso
procura.
Il suo sangue
è caldo… mi ricorda la luce del sole…
Ma sono
consapevole che non sarà mai la stessa cosa.
Mi stacco dal
suo collo. Lei è ancora viva, anche se svenuta. Lecco
velocemente i fori nella sua candida pelle, in modo che si
richiudano.
Sollevo il suo
corpo inerte, e lo appoggio delicatamente sul letto. Domani, quando
si sveglierà, crederà di aver sognato. La osservo
per
parecchi istanti, guardo il suo respiro regolare, ascolto il battito
del suo cuore, scruto il suo corpo vivo.
Mi volto per
andarmene.
Uno specchio.
Mi avvicino ad
esso, fino a toccarlo con la mia mano.
Ma la mia mano
non viene riflessa. Come nemmeno il resto del mio corpo.
Guardando
dentro lo specchio, vedo solo l’immagine riflessa della donna
che
dorme alle mie spalle…
Da quanto
tempo è che non vedo la mia immagine?
Riesco anche
ad eludere telecamere, macchine fotografiche, raggi
infrarossi…
tutto.
Di che colore
sono i miei occhi? Io non lo rammento più…
Posso solo
vagamente capire i lineamenti del mio viso, attraverso il tocco delle
mani… ma io non ricordo più le fattezze del mio
volto.
Torno alla mia
dimora.
Non c’è
più ragione che io stia qui.
Annullo gli
incantesimi.
Ma resto in
forma di nebbia.
Estinguere
il mio fisico mi fa
sentire meglio, sapere di non avere una forma precisa mi convince che
non è importate ricordarsi il proprio aspetto.
La
luna piena è alta nel
cielo, stanotte.
La
neve è caduta ieri, ed
ora balugina pallida sotto di me.
Riprendo
la mia forma umanoide,
posandomi con garbo a terra. I miei piedi affondano lievemente nella
neve. Mi allungo per raccogliere un po’ di quella polvere di
diamante. Sulle mie mani, i fiocchi di neve rimangono intatti, dove
una volta si fondevano. Resto in silenzio.
Un’altra
cosa di me stessa non
serbo più memoria: il suono della mia voce. È da
almeno
un secolo che non parlo con qualcuno, vivo o non-morto che sia.
Un
ululato in lontananza.
Non
è prudente restare
ancora in aperta campagna in una notte di luna piena.
L’istinto mi
allerta e amplifica i sensi, inducendomi a guadagnare in fretta il
mio rifugio.
Un
Licantropo potrebbe uccidermi
qui fuori, e se devo morire una seconda volta, preferirei morire
bruciata dal sole.
Riprendo
la forma di nebbia, ma
prima di lasciare il luogo, cancello le mie tracce. Quei Licantropi
non sono così stupidi come cani rognosi, e hanno imparato
bene
a seguire le tracce e seguirci nei nostri nascondigli per darci la
caccia.
Peccato
per loro, noi Vampiri
siamo una razza superiore.
Una
razza che conosce il
profondo tormento della solitudine, una razza temprata
nell’oscurità,
una razza a cui non è concessa la vita e nemmeno la morte,
una
razza il cui unico nutrimento concesso è il Sangue.
Invece
a loro è concesso
continuare a vivere alla luce del sole, procreare senza trasmettere
ai figli il loro morbo, mangiare quello che più gli aggrada,
condurre una vita quasi normale.
Loro
non conoscono le difficoltà
di sopravvivere.
È
per questo che siamo e
saremo sempre più potenti di loro.
Sono
di nuovo a casa.
Mi
avvicino alla parete
sinistra, e la percorro in tutta la sua lunghezza. Arrivata quasi in
fondo, incido un segno nella roccia con le mie dita.
Un’altra
notte passata.
Una
delle tante.
Osservo
meglio la parete,
contando velocemente i segni.
Oggi
è il giorno del mio
compleanno.
Il
giorno della mia seconda
nascita, avvenuta 710 anni fa.
Non
mi sento in alcun modo.
Del
resto come mi dovrei
sentire, sono ben 728 anni che cammino su questa terra.
All’inizio
era divertente:
scoprire e imparare a controllare i miei nuovi poteri, esplorare le
capacità della mia nuova mente, viaggiare alla ricerca della
conoscenza…
Tutte
illusioni.
Tutte
mere illusioni.
Già
la vita è
priva di significato, perché per la non-vita sarebbe dovuto
essere differente? Solo ora mi rendo conto di quanto sia stata
sciocca ed ingenua. Di quanta superficialità sono riuscita a
dimostrare, a dare la mia vita, la mia anima e il mio sangue per
diventare la Regina delle Tenebre del mio Sire.
Ma
qual è il motivo di
così tanti ricordi, questa notte?
Solo
ora mi rendo conto che sto
ancora indugiando sulla parete di ingresso.
Scrollo
le spalle, devo
scrollarmi di dosso questi pensieri, tanto è inutile
rimuginare sul passato. Quello che è stato, è
stato, e
quello che è fatto, è fatto. Non si
può tornare
indietro.
Anche
se non ho più
un’anima, pensare al passato mi fa ancora provare fitte di
dolore
al petto, e il mio cuore si stringe come se fossi ancora una comune
mortale.
Mi
sento stanca.
Non
ho più la forza di
lottare.
Eppure…
eppure…
Non
ho nemmeno la forza di
morire.
Ho
già toccato il fondo
della mia oscurità, ma ora sto scavando.
Alla
disperazione non c’è
mai fine.
Come
non c’è fine alla
sofferenza.
Devo
trovare uno scopo… uno
scopo alla mia esistenza.
Sento
che l’alba è
vicina. Lo sento, come i gatti sentono che si appresta un temporale.
Lo avverte anche il mio corpo, il passaggio
dall’oscurità
alla luce, appesantendosi, intorpidendosi, tornando ad essere il
corpo rigido di un cadavere.
In
fondo io sono solo questo. Un
cadavere.
Il
portone di pietra alle mie
spalle è sigillato. Anche se lo volessi, non avrei la forza
necessaria per tornare fuori a rimirare l’alba.
Mi
dileguo nell’antro più
scuro della mia tomba, lì dove c’è la
mia bara.
La
mia bara di onice, rivestita
di velluto rosso all’interno. Sotto il velluto, la terra del
posto
in cui divenni vampira.
Mi
ci adagio dentro senza
nemmeno cambiarmi, ormai ho perso anche questa usanza mortale.
Appena
chiuso il coperchio, le
palpebre si abbassano.
Il
corpo si irrigidisce, nella
stretta della morte.
E
cado, ancora una volta, dal
buio della notte all’oscurità dei miei incubi.
Fantasmi
del passato.
Luci
evanescenti.
Voci
sussurranti che confondono…
Spalanco
gli occhi.
Incubi,
incubi e altri incubi,
incubi che tormentano il mio sonno… incubi che ogni giorno
mi
tengono compagnia…
Lentamente
sento il sangue che
prende a scorrere nelle mie vene. Lo riesco a percepire molto
chiaramente, il mio corpo risponde alla chiamata, esce dal suo
torpore.
Scosto
il coperchio della mia
bara.
Una
nuova notte è
cominciata.
____________________________________________________________________
Ringrazio
tutti quelli che hanno
avuto la pazienza di leggere.
Un
grazie di cuore anche a chi
lascerà un commento.
Bloodlily
|