Sorry for lies.

di Tomorrowlandgirl
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Apro gli occhi, senza voglia. La sveglia suona, e mi alzo solo per buttare a terra quel dannato aggeggio che non mi fa dormire.

Odio le sveglie.

Sento la porta che si apre. Tiro ancora più su le coperte, e mi nascondo. Non ho voglia di affrontare il mondo reale, oggi.

Cioè, come tutti gli altri giorni in realtà.

Mia madre entra in camera, e mi ordina di alzarmi e di sbrigarmi a prendere l'autobus per andare a scuola.

Infastidita, butto le coperte di lato e poggio i piedi sul pavimento freddo.

Le mie pantofole saranno andate da qualche parte a farsi fottere, come al solito.

In casa mia, se non lo sapete ancora, sembrano esserci fantasmi e forze mistiche che spostano le mie cose e le nascondono nei posti più improbabili.

Magari fosse davvero così; in realtà è mia nonna, che si comporta più da badante che da nonna e fa sparire tutto in casa nel tentativo di mettere ordine.

Se fosse davvero un fantasma, credo che a quest'ora ci avrei già fatto amicizia, e il problema non si porrebbe.

Mentre la mia mente svaga su questi pensieri, mi sono lavata e vestita. Afferro il mio zaino, borbotto un ciao e mi chiudo dietro la porta di casa, scendendo le scale di fretta.

Sono in ritardo, ma ormai è normale. Lo sono sempre.

Salgo in autobus insieme ad un paio di amiche, e infilo le cuffiette.

I testi delle canzoni nemmeno li ascolto; mi concentro sulla musica stessa, su quello che mi trasmette il ritmo, il suono: rabbia, forza, tristezza, passione.

Credo sia più rabbia, che altro.

Non so perchè, ma è da un periodo a questa parte che mi sento sempre così. Sempre nervosa, non ho voglia di parlare ne di vedere nessuno.

La gente mi fa schifo. Ma allo stesso tempo la invidio: vedo tutti i giorni ragazzi e ragazze pieni di vita intorno a me, mentre io non riesco a essere come loro.

Certo, qualcuno fingerà pure. Ma almeno riescono a nasconderlo.

Io no. Mi autodistruggo, allontano tutti.

Gli altri intorno a me possono pure ingannarsi a vicenda. Ma almeno riescono ancora a sorridere e a lasciarsi andare, dopotutto.

Io no, io sono diversa.

Non chiedetemi il perchè, non lo so ancora.

Entro in classe, e mi siedo vicino alla mia migliore amica. Siamo sempre state insieme, praticamente dall'asilo e per il resto di quei lunghi diciassette anni.

Il suo nome è Letizia, ma non fatevi ingannare. Anche lei, come tutti gli altri, è solo una maschera.

La mia è una vita tranquilla, priva di avventura, emozioni forti, cazzate fatte, passioni.

La mia è una vita da schifo. Certo, forse qualcun altro al posto mio riuscirebbe ad apprezzarla, ma io no.

Certe cose non riesco ad accettarle.

Ed ero arrabbiata, ve l'ho detto. Tanto arrabbiata con il mondo.

I professori spiegavano, le amiche ridevano, i compagni di classe facevano confusione, e io mi chiudevo nella mia bolla. Anche se quello, in realtà, sembrava essere un periodo di cambiamento.

I miei equilibri sbagliati stavano per spezzarsi.

Suona l'ultima campanella, raccolgo lo zaino e insieme al solito gruppo vado a prendere l'autobus.

A metà pomeriggio, dopo intere ore passate sui libri per mantenere alta quella fottutissima media, vado in palestra. Taekwondo, per la precisione arti marziali, per la mia “irrequietezza.”

Già.

“Fanculo.” sospiro, seduta alla mia scrivania, verso la mezzanotte.

Quanto resisterò ancora?

 





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