Che tu
sia spirito di salvezza o dannazione, che tu porti aliti di paradiso o
miasmi d'inferno, che le tue intenzioni siano malvage o pietose, tu
vieni con un aspetto così pronto alle risposte che io ti
parlerò.
Ciò che le rimase nel momento in cui lasciò
cadere la spada erano ricordi dolci e amari; aveva ancora i ricordi di
suo fratello, aveva ancora il dolore della caduta e vaghi flash passati
di persone e luoghi.
Nel momento in cui la lama raschiò a terra accanto al corpo
morto di Cypher Amaya fu soddisfatta di ciò che aveva appena
fatto.
Poi tutto nella sua mente svanì in una nebbia confusa e
indolore.
Il tempo all'ovest era ostile esattamente come ricordava, seppur
vagamente; la pioggia scrosciava con impetuosa violenza, senza dare mai
tregua alla città. Ai lati della strada si ammassavano
bancarelle colme di frutti e prodotti. Nei vicoli, in quelli
più stretti, tavano ammassati gruppi di bambini,
rannicchiati l'uno contro l'altro per combattere il gelo e la fame.
Amaya strinse il sacco di iuta che aveva preso a gocciolare, intriso
d'acqua, prima di dirigersi verso una di quelle stradine laterali,
strette e cupe.
Rannicchiata contro il muro stava una figura fasciata con un telo che
una volta doveva essere stato bianco. La testa nascosta tra le braccia,
incrociate sulle ginocchia, nel tentativo di mantere più
calore possibile, nonostante si vedesse chiaramente il tremito del
fagotto.
Allongò la mano e lasciò cadere ai piedi della
figura il sacco di iuta. Quando questo cadde a terra si aprì
e un paio di mele rosse e succulente rotolarono fuori. La figura
sollevò lo sguardo, mostrando un paio di occhi del colore
della pece e ciocche di capelli bianchi e neri.
"Qual'è il tuo nome?"
"Rebi." Rispose la ragazzina, tremante e vagamente impaurita dopo un
istante di muta sorpresa.
"Rebi... e basta?"
"Komorebi." Lo disse in un sussurro vergognoso, perché le
era sempre apparso come un nome del tutto inadatto lì, dove
pioveva quasi ogni giorno.
"Hai un nome bellissimo." Era un nome che sapeva di sole tiepido sulla
pelle, di passeggiate in mezzo agli alberi. Il suo nome parlava di
terre lontane e luoghi sconosciuti.
Komorebi sarebbe potuta essere ciò che Amaya non era mai
stata. Ma non sarebbero mai state neanche simili, se non per quelle
esperienze che accomunavano loro due e altre mille creature abbandonte
a se stesse, perché erano l'una l'opposto dell'altra.
Le porse la mano, come qualcuno aveva fatto una vita passata con lei,
offrendole ciò che più desiderava e di cui aveva
più bisogno.
Epilogo.
Pioggia e Sole
Resta a
sospirare di pena in questo nostro crudo mondo, per raccontare la
storia, vera, di me.
Si era preparata una strada, un lungo lastricato di sangue e morte,
vendetta e rancore.
Sono certa che l'abbia percorsa, quella strada, ma solo fino a un certo
punto. Nessuno può reggere un tale peso, nemmeno lei, o
semplicemente qualcosa è andato storto, non lo so di
preciso, ma posso immaginare che ormai quella strada sia
irrimediabilmente interrotta.
Non so se esserne felice, per lei o per me, non lo so, davvero. Mi
trovo in una di quelle situazioni di cui non ti capaciti, in cui ci
sono troppe cose che bisognerebbe conoscere per realmente capirci
qualcosa. E ormai neanche lei può spiegarmi come sono andate
realmente le cose, per filo e per segno.
Ha fatto qualcosa, qualcosa che forse non avrebbe mai voluto fare, o
che forse desiderava fare da troppo, e la sua mente ne è
uscita così.
Sono certa che prima non fosse così, sono certa che un animo
del genere viene a formarsi solo dopo gravi traumi, forse un po' come
quelli che avremmo potuto vivere noi, ai lati della strada, o a causa
di grandi poteri. Quelli a cui lei ogni tanto fa riferimento quando
cerca di spiegarmi come sono andate le cose, quelli troppo grandi da
anche solo sperare di controllare.
La verità è che non lo ricorda più
neanche lei, frammenti di vita sono andati completamente persi, la vedo
ogni tanto, mentre mi parla, corrugare la fronte e interrompersi,
cercando di ricollegare fatti slegati fra di loro, perché
qualche pezzo manca sempre, nei suoi racconti. C'è sempre
qualcosa che non riesce a dirmi, ferite e cicatrici che non riesce a
ricordare, nonostante passi intere notti insonni a fissare con sguardo
truce le sue armi, in cerca di qualcosa che non potrà mai
riavere indietro.
C'era una parola che le danzava spesso sulle labbra, la pronunciava con
orrore e rispetto. È una parola che non conosco, che non
avevo mai sentito, ma che sa d'inverno e di brividi gelidi sulla
schiena.
E poco importa se conoscessi o meno quel nome, perché la
volta in cui lei provò a materializzarla di nuovo, quella
spada, perché era quello che era, magari per avere delle
risposte, e vidi l'aspeto di quell'arma, decisi di non volerci avere
niente a che fare.
Poco dopo mi disse che era stata quella l'arma che l'aveva ridotta
così, perché ricordava fin troppo bene come
funzionava, aveva intuito di averla usata in modo stupido e disperato,
ma non ricordava contro chi, né per quale motivo.
Io tremai, quando mi disse quelle cose, che era da cose come quelle,
poteri come quelli a cui dovevo prestare più attenzione, in
modo da non finire come lei. Pensai che un'arma come quella era
mostruosa, che non sarebbe dovuto esistere uno strumento in grado di
cancellare frammenti di vita, in grado di rendere chi la utilizzava
come un sacchetto vuoto.
Tuttavia doveva esserci un motivo se aveva deciso di rinunciare ai suoi
ricordi, forse c'era qualcosa che non desiderva più, nella
sua mente, qualcosa di troppo grave da sopportare per continuare a
vivere normalmente. E quello quasi lo capivo.
Ricordavo, ogni tanto, quei miserabili giorni passati sotto la pioggia,
ad attendere che il mondo andasse avanti e che, magari, in qualche
modo, le cose cambiassero. Ricordavo che pensavo alla morte come una
possibilità, neanche tanto remota, e che non avevo paura.
C'erano giorni che quasi l'aspettavo con ansia.
Le cose sono cambiate moltissimo da quando ho incontrato Amaya.
Qualche giorno fa si è fatto vedere un ragazzino biondo
vestito di strani abiti, è stato strano rendersi conto che
cercasse proprio Amaya. Pensare che qualcuno la stesse cercando,
qualcuno della sua vita Prima
che le cose cambiassero così tanto, volesse forse
parlarle... quasi non ci credevo, l'avevo sempre vista come una
creatura indipendente e profondamente sola.
Tuttavia la nostra delusione, mia e del ragazzo, qundo ci siamo accorti
che lei non sarebbe stata di alcun aiuto non ci fece demordere. Il
ragazzo aveva insistito, menzionando una certa Brigata; a quanto pare
lui stava cercando qualcuno, qualcuno che Amaya aveva dovuto conoscere
bene, un tempo. Ignorando il fatto che lei lo osservava come se fosse
uno sconosciuto nonostante sapessero l'uno il nome dell'altro. Inutile
dire che quando lui se ne fu andato e le chiesi di chi si trattasse lei
riuscì a darmi solo delle vaghe risposte, niente di
realmente signficativo.
È passato molto tempo dopo quell'episodio, lei mi ha
addestrato, mi ha insegnato a difendermi, mi ha trasmesso conoscenze
che niente avrebbe potuto cancellare, perché intrinseche
nell'animo e non nella mente. Ora so maneggiare una katana nel modo
giusto, riesco a impugnare quell'arma e a donarle l'onore per cui
è stata forgiata, o almeno è quello che mi piace
pensare. E così con tante altre, ho anche trovato l'arma con
cui mi trovo meglio.
Mi ha insegnato che il rancore è la cosa peggiore in cui io
possa imbattermi, che la vendetta rovina la vita e l'anima, che
è giusto prendere le cose come arrivano. Perché
la vita è così; cupa e giusta, in quache modo.
Toglie e da, in uguale misura.
Peccato che tutto quello ebbe poca importanza per i fatti che avvennero
poco dopo.
Arrivarono da est, muovendosi nella città come avvolti da
una bolla da cui tutti si tenevano ben lontani. L'uomo alto, quello con
i capelli rossi e lo sguardo affilato, aveva accompagnato al donna fino
a noi; li riconobbi entrambi, nel senso che conoscevo i loro nomi e
poco più, stando a ciò che mi aveva raccontato
Amaya, se non che avevo visto diverse volte quello vestito in modo
biazzarro aggirarsi per la città, non avrei mai immaginato
che fosse lì per Amaya.
Il tizio con gli occhi che sembravano monete d'oro doveva aver
raccontato la situazione alla donna, a quanto pare era davvero rimasto
in città per studiare la situazione. La ragazza con i
capelli rosa aveva discusso a lungo con Amaya, dubitando lei stessa che
potesse aver dimenticato così tante cose e tentando quasi di
farle tornare in mente qualcosa.
Aveva detto che la vendetta era una cosa inutile e avevo visto
chiaramente la sorpresa sbigottita dei due individui. La ragazza
l'aveva afferrata per il colletto e sollevata di peso, mentre lo
sguardo dell'altro si faceva più cupo, gli occhi dorati che
correvano da una donna all'altra, non sembrava molto contento della
situazione.
Amaya era rimasta impassibile, come ormai accadeva per ogni cosa, anche
quando la donna le riversò addosso tutto il suo odio con
insulti e minacce, ricordandole che aveva fatto -che si era fatta- una
promessa. Quella di essere lei a uccidere l'assassina di Nobunaga e
degli altri suoi compagni. Amaya aveva inclinato appena la testa,
mostrando di non sapere assolutamente di cosa loro stessero parlando.
A quel punto la donna l'aveva lasciata andare, con negli occhi
un'espressione che non so descrivere, forse un misto tra rabbia e
pietà.
Anche allora avevo provato a chiederle chi fossero quegli individui.
Tuttavia non ricevetti risposte molte diverse da quelle vaghe che mi
aveva dato la volta precedente. Mi aveva detto di ricordare meglio
l'uomo, piuttosto che la donna a cui sapeva di aver rotto le mani con
incredibile determinazione, mi aveva detto che tra loro due doveva
esserci stato un legame particolare, e niente più. Dopo
quella volta quasi mi rassegnai, nonostante un mucchio di domande
continuassero a tormentarmi. Da quando mi ha raccolto ai lati della
strada mi sono sempre chiesta perché l'avesse fatto,
perché caricarsi di un tale fardello? Quella fu comunque una
cosa che non ebbi mai la forza di chiederle.
Capii molto dopo che quella per lei doveva essere un'espiazione. Un
tentativo di fare almeno una cosa buona nella sua vita
irrimediabilmente rovinata.
Amaya non parlava molto, questo lo ricordo, a dire il vero non sembrava
neanche più un essere umano, solo uno spettro del passato,
tormentato da fatti e fantasmi.
Forse fu prorpio perché non ero stata l'unica a pensarlo che
quell'uomo si era presentato di nuovo, con un intento che solo ora
riesco a comprendere, nonostante il dolore sordo al cuore non accenna
ad andarsene neanche ora, che sono passati anni.
In fondo Amaya è stata tutto quello che ho avuto e l'unica
su cui potevo fare affidamento.
Poco prima di andarsene Amaya mi aveva detto un'ultima volta che la
vendetta era inutile. Quella era una cosa che non si stancava mai di
ripetermi. Forse si aspettava che sarebbe andata a finire
così, per quello forse mi aveva fatto promettere di andare
avanti con la mia vita e di non cercarla più.
Non viva.
Perché la sua non era stata vita, perché sembrava
non aspettare altro che potersi riunire al fratello di cui parlava con
tanto amore e che le donava quel briciolo di umanità in
più ogni volta che faceva il suo nome.
Forse in fondo era giusto così, le tempeste, per quanto
forti, prima o poi sono destinate a terminare, e le pioggie notturne a
lasciare il posto ai raggi del sole.
Ed è strano, perché ricordo di avere sempre
odiato la pioggia notturna, era sempre stata così gelida,
crudele, nel suo insinuarsi nei miei abiti leggeri, quando ancora non
avevo un tetto sopra la testa.
Lei mi ha scaldato; mi ha donato quel poco calore che le era rimasto,
tutta l'umanità che non aveva perso.
E mi ha insegnato tanto; ha fatto di me una vera persona, non
più uno straccio abbandonato ai lati della strada.
Adesso osservo la pioggia notturna con occhi nuovi.
Fine
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Note: Komorebi
è una parola intraducibile in italiano (come Weltschmerz) ed
è usata per indicare i raggi del sole che filtrano
attraverso le fronde degli alberi. E ricordatevi che il significato del
nome Amaya
è pioggia notturna :)
Le citazioni a inizio e fine capitolo sono prese dall'Amleto di
Shakespeare.
Non ho voluto inserire quela prima parte nel capitolo precedente
perché Komorebi per me è sempre apparsa come una
comparsa (molto a sorpresa) da capitolo finale :)
Sono negata a scrivere in prima persona, tuttavia continuo a provarci,
ogni tanto ^^'
L'ho uccisa? Beh, sì. Alla fine sì. Amaya
è stato uno di quei personaggi estremamente poveri (non a
livello caratteriale), che si trova a vivere nella miseria e a portare
avanti un intento, un progetto che lo è altrettanto.
Destinato a portare solo rovina. Per questo le citazioni all'Amleto di
Shakespeare ci stanno tanto bene, secondo me. C'è un finale
tragico, anche se venato di una vaga speranza, ma comunque giusto,
perché ristabilisce l'ordine delle cose.
Shikacloud ci ha azzeccato in pieno nella recensione che mi ha lasciato
la volta scorsa: Amaya è come un incendio, distrugge e
divora tutto sul suo passaggio, tuttavia è una cosa che
accade di rado, e che comunque è destinata ad estinguersi
dopo aver dato spettacolo della sua forza.
Quindi siamo giunti alla fine. Ammetto che inizialmente mi è
piaciuto moltissimo scrivere questa storia, e allo stesso modo sono
stata contenta di ricevere l'approvazione e i consigli preziosi dei
lettori. Nonostante nella parte finale (l'asta e il finale, escluso
l'epilogo, che bene o male era sempre stato così nella mia
testa) ci sia stato un... calo(?) da parte mia. Ciò che mi
ha fregato sono stati gli episodi a cui dovevo andare dietro e che non
riuscivo a rendere abbastanza (per questo tornerò a scrivere
originali ^^'). Ma sono comunque contenta di essere arrivata alla fine
e che, in qualche modo, questa storia vi sia piaciuta :) E spero che,
ora che è finita, mi facciate sapere consa ne pensate.
Arrivederci!
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