“Luce del mattino…”
Kaoru aprì gli occhi infastiditi
dalla penetrante luce mattutina.
Niente di peggio che dimenticarsi di sbarrare le serrande la
domenica mattina, pensò.
Sbuffò: di certo non si sarebbe alzato. Chiuse nuovamente
gli occhi e nel silenzio pacato della grande villa ancora assopita sentì un
unico sommesso e rassicurante rumore. Kaoru si voltò
sospirando per avere davanti ai suoi occhi la serena copia di se stesso. La
fissò a lungo ed attentamente, com’era solito fare ogni qualvolta lo sorprendeva
addormentato: così diversi, così identici. Pur essendo il suo gemello Kaoru, guardando Hikaru, non
sentiva mai la buffa sensazione di starsi guardando allo specchio. Erano due
identità separate, lo percepiva chiaramente, e quell’uguaglianza fisica era per
lui nient’altro che l’ennesima prova che ognuno fosse destinato
irrevocabilmente all’altro.
Da quando Kaoru aveva aperto gli
occhi per la prima volta, c’era stato lui a guardarlo: nel suo mondo Hikaru c’era da sempre e non riusciva ad immaginare che
potesse essere diversamente.
“Non sarebbe strano,
se capitasse a noi?”
Improvvisamente si spinse dolorosamente a riflettere su ciò
che più lo atterriva: il futuro. Giorno dopo giorno, sarebbe arrivato il
momento in cui avrebbero dovuto entrambi diventare persone adulte, gestire il
patrimonio degli Hitachiin, sposarsi, avere dei
figli…
Quel letto matrimoniale dove adesso dormivano sembrava farsi
ogni istante più evanescente.
Kaoru si raggomitolò su se stesso:
ogni volta che pensava ad una famiglia pensava a lui, nient’altro che lui e non
poteva far a meno di darsi dell’egoista al punto tale da pretendere che Hikaru fosse una sua esclusiva. Nient’altro che presunzione
la sua: chi gli assicurava che la sua metà non sarebbe stata più felice quando,
come tutti, avesse trovato la sua anima gemella?
Ma Kaoru non era egoista, sebbene
si accusasse violentemente: aveva cercato di spronare Hikaru
verso nuove possibilità, tentato di fargli intravedere un mondo dove ci sarebbe
stato più che semplice divertimento… Ma in quel mondo non c’era soltanto Kaoru. Sarebbe stato il mondo di lei e di Hikaru, prima che di ogni altra cosa.
Scosse la testa: forse lo stava spingendo altrove per un
semplice motivo d’orgoglio, ancora più meschino. Voleva essere scelto dal
gemello, preferito ad un’alternativa valida com’era lei: consapevolmente
voluto, non semplicemente assegnato dal destino, volente o nolente. Voleva
essere la sua felicità, essere ufficialmente riconosciuto come l’unico capace
di donargliela appieno, come nessun altro era in grado di fare.
Il flusso caotico dei pensieri aveva avvinto Kaoru da non fargli notare che il gemello si era ormai
voltato e gli stava dando le spalle. Fissò la sua schiena candida, a contrasto
con i capelli di fiamma: desiderò stringerlo a sé, con tutta la sua forza,
farlo rimanere per sempre in quel grande, soffice, caldo letto. Si vergognò di
se stesso, del suo amore egoista e possessivo. Si fece piccolo fra le coperte,
e lasciò silenziosamente che le lacrime uscissero, senza che nessuno lo vedesse…
come ogni volta.
“Non sarebbe bello non
farci più del male?”
Hikaru rimase immobile: lo sentiva
piangere, quasi impercettibile. Si era appena svegliato, intenzionato a restare
ad oziare sotto le coperte finché Kaoru non si fosse
alzato, ma aprire gli occhi e percepire che la sua metà piangeva lo riempì di
angoscia. Sapeva che era particolarmente sensibile e facile al pianto,
specialmente di notte: nell’ombra le paure diventano grandi a tal punto da
annichilire chiunque, e tante volte l’aveva rassicurato e stretto a sé durante
il sonno.
Quella luce mattutina non era in grado di scaldare il cuore
di Kaoru, di scacciare il terrore di essere
abbandonato. La fredda e strisciante prospettiva di un domani incerto non
veniva intiepidita nemmeno dal calore familiare delle lenzuola di quel letto
che nella mente del gemello in lacrime era già il passato, null’altro che un
ricordo doloroso.
“Luce di un giorno
strano…”
Hikaru continuò a fingere di
dormire: sapeva che se Kaoru l’avesse sorpreso
sveglio, avrebbe negato l’evidenza o peggio, avrebbe spacciato per lacrime
finte una sofferenza fin troppo reale.
Era il fratello maggiore, era suo compito proteggerlo, ma
non riusciva a pensare a che cosa avrebbe potuto dirgli per risollevarlo:
temeva che una frase sbagliata avrebbe solo peggiorate
le cose e turbato ancor di più l’anima tormentata del fratello.
Si intristì: a volte sentiva di non capirlo. Erano tanti i
momenti in cui si sentiva lui il fratello piccolo, guidato da Kaoru, la mano stretta nella sua. Lo sapeva che in fondo al
cuore del gemello c’erano dei tormenti che lui non conosceva e la sofferenza
per questi suoi silenzi era alle volte insopportabile.
Ma in quel momento Hikaru pensò che il gemello non
avesse tutti i torti dal momento che l’unica cosa che era in grado di fare,
mentre le lacrime di Kaoru cadevano sul cuscino, era
fingere di non capire, continuando a pensare disperatamente ad una soluzione.
Strinse i pugni: non poteva farci nulla. La cosa che sapeva
far meglio non era riflettere, era agire. Agire senza pensare alle conseguenze.
“Non sarebbe eroico
non essere degli eroi?”
Kaoru si sentì avvolto da una
stretta talmente intensa da togliergli il respiro. Smise di piangere, ma la
vergogna lo sopraffò nuovamente: era stato colto in flagrante mentre i suoi
sentimenti lottavano ferocemente, talmente agguerriti che non era in grado di
proferir parola. Solo le lacrime continuavano a scorrere, ancora più copiose.
“Pensavi di esser
perso e cambia il tuo destino…”
“Sono qui, Kaoru”
Due semplici parole, nient’altro, nulla più che la mera
evidenza. Kaoru alzò gli occhi ed incontrò quelli
preoccupati del gemello. Ed in quel momento capì che piangere non aveva alcun
senso.
“Hikaru…”
Si strinse a lui, talmente forte da sentir male. Era lì,
accanto a lui.
Ciò che avrebbe riservato per loro il futuro, nessuno poteva
dirlo, ma oggi, oggi era un dono.
Oggi Hikaru era lì, fra le sue
braccia, ed era suo.
Nient’altro importava se non assaporare quel dolcissimo
momento, con le guance ed il cuore bollenti, in quella calda domenica mattina.
“Se capitasse a noi…”