Combinazione Rara

di Colli58
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Kate guardò sconsolata il piatto davanti a sé. Un momento prima era rilassata e distesa nel letto accanto al suo uomo e un momento dopo era in bagno a vomitare. Il solo aprire gli occhi e vedere il soffitto roteare le aveva generato una serie di conati di vomito irrefrenabili.
Ironico considerato che lei non rimetteva nemmeno dopo colossali bevute.
La porta aperta era stata davvero una bella trovata da parte di Castle, così che niente l’aveva rallentata dopo essere scivolata via dalle lenzuola. Castle era ancora sprofondato in un sonno pesante, probabilmente si era addormentato molto tardi così era rimasta sollevata dal vederlo continuare a dormire. Lui sarebbe stato piuttosto apprensivo nei suoi confronti, preferiva che si riposasse ancora per un po’ in modo che il suo malumore della sera precedente si potesse dissolvere del tutto.
Dopo aver rimesso l’anima, trovò curioso avere fame. Era una contraddizione in sé avere la nausea e avere appetito. Ma non sapeva che mangiare. Così aveva preso un semplice pezzo di pane.
Si appoggiò al bancone con il gomito e mise una mano sulla fronte cercando di allontanare la sensazione di vacuità mentale che gli stava procurando la nausea. Non sarebbe stato molto d’aiuto a risolvere il loro caso se non aveva la capacità di concentrarsi.
Espirò pensando che, come prima vera giornata di nausee mattutine da gravidanze, la cosa era abbastanza debilitante, ma poteva trovare il modo di gestire quelle sensazioni.
“Buongiorno Katherine!” Esclamò Martha proveniente dalla sua stanza. La donna era già vestita e pronta ad uscire.
“Altrettanto Martha. Come mai così mattiniera oggi?” Esclamò Kate sorridendo alla suocera.
La donna si avvicinò allargando le mani e portandole poi davanti al proprio viso muovendo le dita come a voler afferrare l’aria. “Beh… c’è un’importante provino stamattina. Si tratta di un ingaggio per un personaggio intenso, una donna che vive alla giornata e che si muove per la città carpendone luci e ombre… Una donna molto eterea e… così… esco per prendere un po’ di aria e trovare quella magia necessaria per poter entrare in questa parte come si deve. Ma tu cara? Come stai?” Chiese con un sorriso dolce. Si avvicinò a lei e le diede un bacio materno in testa.
“Insomma…” replicò Kate. La sua dolcezza era sempre un po’ disorientante.
“Nausea vero?” Kate annuì.
“Sarebbe più facile se fosse un dopo sbronza!” Disse con la sua verve civettuola. “Basterebbe buttare giù qualche analgesico e rifugiarsi in litri di caffeina…”
Kate alzò il dito. “Sorvoliamo sulla caffeina che sono in crisi di astinenza!” La donne rise.
“Allora è bene che vada prima che tu possa mordermi cara, so che per il caffè faresti carte false.” Ma in realtà Martha non si allontanò.  Accarezzò la spalla di Kate con gentilezza.
“E’ strano vero?” Aggiunse quindi perdendo il tono frivolo. “Come si sta i questi casi…” Si sedette al bancone.
“Beh, sono solo all’inizio…” replicò Kate. “Tutto sommato le nausee sono arrivate tardi. Quindi…” tentennò con il capo. “E’ ancora presto per lamentarmi.” Sorrise scuotendo il capo.
Martha allungò la mano nel portafrutta e si prese qualche acino d’uva.
“Quando avevo le nausee mangiavo sempre dei pane tostato con della senape. Mi toglieva quel sapore odioso dalla bocca.” Spiegò guardando gli acini prima ingerirli.
“Beh, ci potrei provare anche io.” Disse indicando la fetta di pane bianco semplice. “Funzionava?”
Martha scosse il capo. “Alcune volte sì, altre… Ma ogni donna è diversa. Magari a te potrebbe giovare qualcosa d’altro. Lo scoprirai un giorno alla volta.”
“Come ce l’hai fatta da sola?” Kate all’improvviso si accorse di aver rivolto alla donna una domanda forse troppo personale, la sua curiosità però era dettata dal fatto che lei avrebbe potuto appoggiarsi a Rick in tutto e senza riserve, cosa che la rincuorava molto, però, in quel momento pensare di essere sola ad affrontare tutta quella situazione gli sembrava un enorme fardello da gestire.
Martha sorrise con un velo di commozione negli occhi. “Stavo male, facevo fatica a lavorare e poi erano altri tempi tesoro… le critiche sai non sono certo mancate…” Spiegò a bassa voce.
“Ma se non avessi scelto Richard, ora non so dove sarei. E’ stato difficile, però è stato determinante per il mio futuro. So di aver fatto la cosa giusta.” Mangiò dell’altra uva lasciando decantare le parole.
“Già. Se non fosse stato così io non sarei qui ora…” Kate sorrise grata alla donna che le fece un occhiolino divertito.
“Cara, anche per te è una scelta vero?” Kate tornò ad annuire sorridendo.
“Questo rende le cose più facili?”
“No, solo più sopportabili.” Entrambe le donne risero rilassate.
“Richard dorme ancora?” Aggiunse Martha sbirciando verso la loro stanza. “Ieri sera avete tardato molto.”
Kate annuì. “E’ stata una brutta serata. Abbiamo avuto un contrattempo. E poi… un collega è rimasto vittima di uno scontro a fuoco.” Kate guardò la donna ammutolendosi. Forse non doveva raccontare quel dettaglio alla donna, Martha avrebbe avuto solo modo di preoccuparsi di più per entrambi, ma lei sembrò capire che potessero essere turbati.
“Un vostro amico?” Chiese con serietà.
“Sì. Un brav’uomo. Rick ha preso male l’accaduto soprattutto perché la sua morte è stata causata da una imprudenza di un altro collega… Qualcuno che Rick detesta in modo viscerale.” Spiegò.
Martha guardò la nuora con intensità. “Non sarà il tizio del gioco di mano…”
Kate annuì. “Oh!” Esclamò la donna portandosi una mano al petto.
“Spero che Richard non faccia altre pazzie.” Commentò mettendo poi una mano sopra quella di Kate. “Conoscendolo sarà stato piuttosto preso.”
“Infatti. L’ho lasciato dormire sperando che si svegli di un umore migliore.” Alzò le spalle e guardò anche lei verso la stanza da letto. “Oggi sarà una giornata difficile. Abbiamo anche un caso un po’ delicato. C’è di mezzo un politico…” Si passò le mani sul viso. Caso scomodo, soggetto scomodo.
“E questo infastidisce te immagino.” Replicò Martha, perspicace come sempre. Il suo sguardo amorevole la fece sentire meglio. “Infatti. Ma niente di ingestibile.”
“Cos’è ingestibile?” Mormorò Rick spuntando dalla stanza da letto quasi trascinando i piedi. Lo sguardo assonnato, la sua vestaglia buttata sulle spalle ma non chiusa e i capelli arruffati.
“Sei sicura di volerne un altro? Mi sembra che il primo bambinone da accudire sia il padre!”
Kate fece una smorfia divertita e Martha salutò il figlio. “Buongiorno kiddo.”
Castle si avvicinò alle donne e prima diede un fugace bacio in fronte a sua madre. “Mamma…” Disse con un sorriso spento. Poi si dedicò a Kate prendendola gentilmente per la vita e dandole un bacio in testa. Si soffermò qualche attimo in più premendo le labbra tra i suoi capelli.
“Già in piedi. Non ti ho sentita alzare.” Mormorò piano.
“Avevi bisogno di dormire.” Si giustificò Kate trattenendo le braccia del marito sui suoi fianchi. “E dall’aspetto che hai avresti bisogno di altre ore di sonno.”
Marta sorrise e si alzò dal suo sgabello. “Vi lascio soli, miei cari. State attenti entrambi eh?” Li ammonì prima di indietreggiare verso la porta.
“Dove va a quest’ora?” Chiese Castle stupito nel vederla uscire così presto.
“Deve entrare in una parte.” Spiego Kate divertita.
Castle sciolse l’abbraccio e la guardò in viso. Aveva gli occhi incorniciati da occhiaie scure.
“Hai avuto nausee? Come stai?” Chiese passando poi lo sguardo sul pane bianco nel piatto di Kate.
“Sto come una donna incinta. Niente di strano. Non ti preoccupare…”
“Mmmh” Mugugnò Rick. “E’ bello sapere che la prendi con filosofia. Meredith non faceva altro che lamentarsi.” Spiegò per poi andare a cercare del caffè. Si sorprese che Kate non ne avesse preparato.
“Non volevo cadere in tentazione e berne un intera caraffa… Ma un goccio lo prendo volentieri se lo fai per te.” Castle sorrise annuendo. “Siamo diligenti Beckett, sono molto orgoglioso di te.”
“Aspetta a dirlo quando sarò in crisi di astinenza.” Replicò ridendo.
Preparando la macchina del caffè, Castle studiò Kate con curiosità. “Dovrò portare con me delle armi pesanti.”
Nel vederlo spiritoso, Kate considerò che forse Castle era passato oltre le assurde parole di Denver. Non voleva nemmeno prendesse in considerazione le stronzate di quel pazzo.
“Oggi dobbiamo parlare con i Keeler ed il tuttofare Orvak?” Chiese quindi Castle cercando qualcosa da mangiare. Kate annuì.
“Ho intenzione di convocarli in ufficio.” Spiegò prendendo dell’altro pane bianco.
“Vuoi del pane con la marmellata?” Chiese a Rick e lui disse di sì. “C’è ancora quella alle fragole?”
“Finita!” Esclamò Kate.
“Albicocche?”
“Pronta!” Disse perdendola dal frigorifero. Ripensò alle parole della sera prima guardando Rick armeggiare con tazze da caffè e zucchero. Era così piacevole fare cose semplici insieme. Si era sempre definita poco casalinga nel passato, ma la sua vita con Rick era sempre stata scandita da momenti molto casalinghi. Loro erano due adorabili pantofolai certi week-end e trovò dolcissimo lo sguardo di Rick mentre lei si soffermava su quei pensieri. Quello erano loro, l’armonia dei loro movimenti, la semplicità nel condividere spazi e pensieri con quelli. Discussioni, confronti, momenti di passione e di gioco. Momenti divertenti tra loro, con la famiglia e gli amici.
“Ehi…” le disse distraendola.
“Pensavo al fatto che è bello stare così…” Indicò la cucina ed il loro menage insieme ad essa.
Rick si guardò in giro e poi sorrise. “E’ casa.” Mormorò.
Lei si avvicinò e gli diede un sonoro, schioccante bacio sulla guancia. Poi un altro ed infine lo abbracciò aprendo la bocca e fingendo di mordere la sua gota. Risero entrambi divertiti.
Castle la strinse e la baciò con dolcezza. “E’ perfetto!” Sorrise.
Kate gli rimise a posto il ciuffo di capelli ribelli, ma questi tornarono nella posizione originaria.
“Quando intendi partire per Montreal?” Chiese stando abbracciata a lui.
“Probabilmente mercoledì prossimo. Gina non ha chiamato. Ma lo farà di sicuro entro l’una.”
Lei mugugnò tenendosi stretta.
“Vuoi davvero che ci vada?” Kate annuì muovendo solo la testa.
“Ci devi andare eccome.” Castle le accarezzò la schiena.
“Solo se stai bene.” Lei lo allontanò.
“Sto bene ok? Voglio che tu ci vada, che tu sia oltraggiosamente bello e affascinante!”
“Sicura?” Lei annuì.
“Saranno tutte gelose di me perché sei solo mio...” Si pavoneggiò con il rischio che l’ego di Castle finisse per straripare. Ma non accadde.
Castle la baciò. Poi le solleticò le labbra con la lingua e lei rise ricambiando.
“Sono tutto tuo e non starò via molto…”
“Mi telefonerai cento volte al giorno per sapere come stiamo!”
“Esatto! E cercherò il nome perfetto per il nostro fagiolino.” Kate rise ed insieme a lui esorcizzò quella paura ancora radicata nei cuori di entrambi. Si accarezzarono dolcemente.
Castle espirò pensando a quanto fosse stato sciocco a turbarsi la sera prima. La stanchezza faceva vedere le cose sempre più nere, ma in realtà da due anni condivideva la vita con la sua splendida moglie, dopo anni di vicinanza. La loro armonia di coppia era peculiare, lo aveva sempre pensato. Erano riusciti ad aprirsi tra loro, a confidarsi e a essere sempre diretti ed onesti. E le cose andavano a gonfie vele. Forse la loro felicità infastidiva qualcuno, ma lui non intendeva in nessun modo fare dei passi indietro e dare possibilità a chicchessia di mettersi tra lui e l’amore della sua vita.
La risata allegra di Kate lo fece sorridere mentre tornava a spalmare di marmellata la sua fetta di pane.
“Tua madre dice che per combattere le nausee dovrei mangiare pane tostato con senape. A lei dava sollievo.” Castle strinse gli occhi. “Ora ho capito perché mi piace parecchio! Ne avrà mangiato a bizzeffe.” Strabuzzò gli occhi.
“In effetti esageri quando la metti sugli hot dogs! Letteralmente li affoghi nella senape!”
Kate sospirò. Un capogiro l’avvertì che un altro momento poco felice stava per presentarsi.
“Scusa…” Disse correndo verso il bagno. Castle l’osservò scappare via con la mano sulla bocca.
“Oh…” Esclamò posando la fetta di pane. Si pulì le mani e seguì Kate in bagno.
“Ehi, piccola…” Disse abbassandosi verso di lei e trattenendo la sua fronte sollevata con una mano.
Castle afferrò un asciugamani e glielo porse per pulirsi la bocca.
La fece alzare con cautela e poi agì sul pulsante dello sciacquone.
“Disgustoso eh…” Mormorò Kate cercando di riprendersi.
“Insomma...” Rispose e si beccò una sberla su un braccio da parte di Kate che però sorrise. Era quello il suo intento: rendere la cosa meno seria possibile.
Si lavò quindi denti e bocca mentre Rick vigilava su di lei con occhi attenti.
“Non sverrò, Castle.” Mormorò tenendo in bocca lo spazzolino.
“Mi sincero che non avvenga.” Kate si rifugiò nelle braccia del suo uomo. Non c’era nessuna vera ragione per non approfittare di quelle coccole che lui così generosamente elargiva. Era una donna incinta che desiderava tutte le attenzioni di suo marito. Stette appoggiata a lui mentre si riprendeva velocemente.
“Va meglio?” Chiese lui. Kate annuì con un sorriso spossato. Sarebbe stato difficile mantenere le energie in quel modo.
“Finiamo la colazione. Spero di poterla trattenere nello stomaco almeno fino al distretto.” Disse e Castle sorrise sornione. “Mi porto i sacchetti di carta, sai come quelli degli aerei… e dell’antiemetico.” Mentre lei si allontanava lui cominciò a mimare i gesti delle hostess.
“Ci conto!” Gli urlò lei dalla cucina. Nonostante le defiance momentanee Kate era una donna forte e decisa, ed il suo fisico aveva un’ottima capacità di ripresa. Castle la seguì a passo lento, soffermando il pensiero ancora su di lei. L’inizio di quella loro avventura di futuri genitori sembrava molto promettente. Le intemperanze dovute agli ormoni fino a quel momento non avevano influito molto sull’umore di Kate.
E poi lei lo voleva quanto lui quel bambino, se non di più, quindi sorrise pensando che qualsiasi cosa fosse accaduto, almeno fino al parto ma in quel momento le avrebbe perdonato ogni cosa, lei non lo avrebbe aggredito incolpandolo del suo stato. Osservò quindi l’orologio a muro e fece un sospiro stanco.
Era ora di ripartire.

Al distretto la mattinata era iniziata con un ritmo più blando.
Ryan ed Esposito avevano informato i due appena avevano varcato la soglia dell’ufficio che la disciplinare era già arrivata per Denver e che la situazione per lui era un po’ nera. Gongolare per quello era una magra consolazione di fronte alla morte di Lopez. Qualsiasi punizione avesse subito, Lopez non sarebbe potuto tornare indietro comunque.
La Gates era arrivata presto, per seguire tutta la trafila. Kate aveva osservato la donna muoversi nervosamente su e giù per l’ufficio. Era sicuramente sulle spine.
I ragazzi avevano già mandato a chiamare la famiglia Keeler e si erano dati da fare per rintracciare Whittaca e chiedere informazioni sui clienti che Freddy aveva frequentato la sera dell’omicidio.
Castle dal canto suo studiava la porta della sala interrogatori, dove la disciplinare stava mettendo alla graticola Denver. Sperò ardentemente che gli facessero molto male.
Kate richiese la sua attenzione. “Sii concentrato almeno tu, stamattina non sono al top e mi serve il tuo aiuto, ok?” Lui annuì.
“Sono tutto tuo.” Replicò sorridendole.
Le indagini proseguirono così in un flusso continuo di informazioni: le analisi sull’acqua dell’acquario dell’Atlantis avevano confermato che quello era il luogo del delitto. Con questa novità altri scenari possibili si facevano avanti, non certo semplificando le cose.
Kate aveva così fatto predisporre la chiusura e i sigilli al locale. Purtroppo il luogo del delitto era stato contaminato, ma ci dovevano essere tracce, videocamere erano poste sugli ingressi, se erano in funzione qualcosa si poteva vedere.
Insieme a Castle aveva fatto una ricostruzione molto vivace dell’accaduto e le ipotesi erano calzanti. Ora mancava un movente. Passionale o politico che fosse, era stato ucciso con una brutalità non comune.
Era stato tolto dalla vasca in cui lo avevano scaraventato e spostato di qualche isolato, infine abbandonato agonizzante o morto in un canale.
“Perché hanno spostato il corpo?” Chiese Ryan guardando la lavagna.
Kate si morse le labbra leggermente screpolate. “Ci possono essere più motivi.” Valutò.
“L’assassino potrebbe averlo lasciato lì e chi l’ha trovato l’ha spostato per non avere problemi.” Rispose Castle.
“Il gestore dell’Atlantis, Viera.” Aggiunse Kate.
“O uno dei suoi.” Incalzò Castle.
“Se è così addio prove dai video.” Rispose Ryan.
“Qualcuno degli operai per evitare indagini, oppure che il cantiere chiudesse…” Aggiunse Esposito raggiungendoli con un bel po’ di carte in mano. “La squadra che ci sta lavorando è parte di un’impresa che non è proprio linda. Viera non è solo il gestore di un locale, ha molti altri affari tra cui imprese di costruzioni e affini legati alla piccola malavita messicana.”
“Un ulteriore ritardo avrebbe portato ad altre perdite finanziarie per il gestore, ma non ci dà un movente, solo una plausibile motivazione per lo spostamento del corpo. Non per l’omicidio.” Valutò Kate alzandosi dalla sua postazione. Castle osservò attento i suoi movimenti, leggermente rallentati per la mattinata burrascosa.
“Il movente… Non abbiamo un vero movente.” Si voltò con le mani sui fianchi. “La chiave è la telefonata che l'ha fatto uscire dal locale.” Kate si mise una mano sul collo indolenzito. L’antiemetico stava funzionando, almeno per un po’ ma aveva sete.
Ryan annuì. “Mi sfugge anche un’altra cosa. Perché mettere qualcuno alle costole di Frederick quando potevano controllarlo in altro modo, insomma cimici e così via.” L’osservazione era curiosa ed in tema. Che il ragazzo facesse una doppia vita era evidente, ma sembrava non essere poi così preoccupato della privacy. Quindi a cosa servivano due occhi umani quando uno come Keeler poteva accedere ad un grande fratello digitale?
“Una cimice non ti trascina fuori dai guai.” Replicò Castle.
“Costa di meno che pagare uno stronzetto.” Esposito fece una smorfia.
“Potrebbe non essere importante ai fini dell'omicidio.” Replicò Kate. "Sentiremo cos'ha da dire il padre."
“Cosa abbiamo su Zed Orvak?” Chiese quindi stropicciandosi il viso e Castle aprì il fascicolo.
“Da quando è negli States si è distinto per aver servito come guardia del corpo per alcuni politici minori, per poi approdare nello staff di Keeler. Ci lavora ormai da anni. Alle sue dipendenze non ci siano eventi particolari, a parte qualche atto di crudeltà gratuito contro qualche misero individuo incappato in una situazione difficile… Ci ha messo del suo contro alcuni dimostranti…” Castle emise un fischio mostrando il viso malconcio di un ragazzo di colore.
Kate lo guardò. “I soldi di Keeler possono aver comprato silenzi per le situazioni più imbarazzanti. Ma davvero non c’è nulla? Questo ha un passato da aguzzino!” Castle scosse il capo. “Decisamente quest’uomo mi dà i brividi.” Aggiunse quindi stringendosi nelle spalle e rabbrividendo.
Kate sorrise. “Siamo sicuri abbia un padrone solo?"
“Deve essere uno molto servile…” Ryan sorrise ed Esposito gli diede un colpo sulla spalla con il fascicolo che aveva in mano.
“Ehi, bro, guarda là, non mi sembra la faccia di uno servile…”
Jefferson Keeler entrò al dodicesimo distretto con uno sguardo di velato disgusto. Dietro a lui il suo autista tuttofare Orvak, lo seguiva come se dovesse minacciare chiunque. Il viso freddo, impassibile di chi ha visto molta morte, o che forse l’aveva procurata lui stesso.
“Avete risultati? Spero ci sia una vera ragione per essere stato convocato qui!” Sbottò Keeler davanti alla Gates che usciva per accoglierlo.
Kate si incamminò verso di lui.
“Spero abbiate novità sulla scomparsa di mio figlio.” Sottolineò in un poco convincente tono di supplica. Non si addiceva a quell’uomo pieno di sé, ma Kate immaginò che dovesse quantomeno fingere di essere contrito per la perdita del figlio.
“Abbiamo qualcosa da sottoporle. Ma abbiamo anche bisogno di alcune risposte da parte vostra.” Spiegò la Gates indicando Kate.
“Il detective Beckett che è incaricata delle indagini la ragguaglierà.” Disse infine indicando una saletta privata. “Accomodatevi, sarà subito da voi.” Aggiunse quindi facendo segno a Beckett di seguirla.
Kate entrò nell’ufficio del capitano.
“Detective quell’uomo di là non mi piace affatto e gradirei non rivederlo presto. Sarà pure il padre della vittima ma sa essere molto scomodo.” La informò il capitano.
Beckett si mosse sulle gambe.
“Lo so, ma ci deve delle spiegazioni. Ha mentito sul fatto che nessuno di loro sapeva dove si trovasse il ragazzo, può nascondersi dietro al suo cane da guardia, signore, ma qualcuno in quella famiglia ne era stato informato. Inoltre i modi… bruschi con cui cercava di circuire a proprio vantaggio gli amici di Frederick non si possono certo dire legali.” Rispose Kate decisa.
“So che non si farà intimidire.” Il capitano tornò a sedersi. “Ma abbiamo già dei guai in corso…” La invitò quindi a sistemare le cose senza alzate i toni.
“Riguardo alla disciplinare non ha ancora finito l’interrogatorio di Denver, ma mi sono presa la briga di fare un po’ di ricerche al ventiseiesimo.” Disse ammorbidendo il tono.
“Ha scoperto che è un impostore?” Domandò Kate curiosa.
La Gates tentennò. “In parte sì. I riconoscimenti che compaiono nel suo stato di servizio non sono… suoi.”
La novità non stupì Kate che annuì. “Chissà perché lo immaginavo…”
La Gates giocherellò con la penna. “Per Lopez… sono stata dalla moglie. E’ stato davvero penoso.” Raccontò infine. “Avrà bisogno di parecchio aiuto. Ho mandato una nota sul suo caso alla commissione interna per il rilascio delle indennità alle vedove. Non cambierà le cose, ma non so che altro fare.” Kate ascoltò annuendo. 
“Inoltre la disciplinare vorrebbe… parlarle di ciò che è avvenuto tra voi. Insomma…” La Gates sembrava leggermente sulle spine.
“Come lo hanno saputo?”
“Quell’idiota ha detto che Castle l’aveva aggredito così è venuto fuori il discorso.” Kate si passò le mani sul volto. Quella storia davvero non ci voleva.
“Ieri sera, quando Castle lo ha liberato, Denver ha di nuovo cercato di provocarlo. Castle non ha reagito, o se ha provato a farlo Norman gli stava già dando il fatto suo. Non lo so, la sua sembra un’ossessione morbosa nei miei confronti. Castle… vuole solo proteggermi.” L’idea di dover affrontare un discorso del genere con la disciplinare gli sembrava un brutto incubo.
“Che cosa ha detto al signor Castle?” La Gates la guardò con aria pungente. Era interessata ad ogni dettaglio potesse mettere in croce quel bastardo senza cuore.
“Ha fatto dello spirito sulla mia… reazione… e poi ha asserito che sarebbe riuscito a portarmi via da lui. Ieri sera Rick era piuttosto teso, non ha voluto dirmelo subito. Il modo in cui l’ha detto lo deve aver fatto infuriare...” Kate si alzò. “L’argomento comunque che non dovrebbe nemmeno interessare la disciplinare.”
La Gates sospirò. “Mi auguro che vedano l’accaduto in modo altrettanto limpido. Potrebbe però far sorgere un altro spinoso argomento. Quello della fraternizzazione…” Kate chiuse gli occhi e tornò a sedere.
Morse le nocche nervosamente per qualche secondo. “Certo se quello comincia a vomitare stupidaggini a ruota…”
“La disciplinare sa fare il proprio lavoro. Chiarisca l’aspetto delle molestie, senza esagerare. Cerchi di non concentrare il discorso sulla reazione di Castle. Faccia in modo che capiscano che sono state attenzioni pressanti e sgradite.”
Kate annuì preoccupata. Non ci voleva quel guaio a complicare le cose. “E’ tutto?” Chiese quindi aspettando il permesso di tornare al caso.
“Vada pure. Mi dispiace detective… Ho comunque intenzione di arrivare alla verità su quel tizio. Qualcuno deve pagare per aver mandato alla omicidi uno stupido inetto con credenziali fasulle.”
“Se deve far rotolare teste, procuri che non sia la sua… e nemmeno la nostra.” La Gates sorrise.

La chiacchierata informale con Keeler si era dimostrata subito ostica. L’uomo era partito sulla difensiva davanti alle domande di Beckett riguardo alle attività di controllo del ragazzo da parte di Orvak. Keeler negava insistentemente di sapere di cosa si trattasse e Orvak si era trincerato in un silenzio di tomba. Keeler non permise nemmeno che l’uomo rispondesse alle domande fatte.
Beckett era entrata sola nella saletta, mentre Rick cercava di vedere da oltre un vetro. Considerato che i due si conoscevano, e di certo sembrava che non fossero sulla stessa lunghezza d’onda, Kate aveva deciso di evitare un intervento diretto con lui accanto, nell’intento di mitigare una eventuale ostilità. Keeler era partito in quarta sfoderando minacce di rappresaglie a base di avvocati di grido.
Prima di entrare Beckett aveva comunque chiesto di poter approfondire le informazioni riguardo alle attività finanziarie di Orvak. Castle si era dovuto adeguare e buttarsi con i ragazzi in telefonate nella ricerca di dati nonostante morisse dalla voglia di stare lì davanti a quel borioso di Keeler e metterlo sotto torchio per… beh qualsiasi cosa. Gli sarebbe comunque bastato per prendersi qualche piccola rivincita sul passato e sugli epiteti con cui l’aveva apostrofato.
Beckett si era irrigidita davanti alla scarsa collaborazione.
“Non sto formulando alcuna accusa. Vogliamo conoscere la ragione per cui avete omesso di farci sapere che il vostro autista era a conoscenza della posizione di vostro figlio la sera dell’omicidio.” Insistette Kate indicando Orvak. “E non sto ancora mettendo i puntini sulle i andando a indagare sui modi… da vecchio west con cui minacciavate i ragazzi di Frederick.” Con la battuta andò a puntare i suoi occhi verdi sull’uomo che non si scompose.
La frustrazione di Keeler ribolliva dietro il suo sorrisetto borioso da intoccabile. Il guizzo della mascella denotava nervosismo e il suo storcere il naso non aiutava a renderlo più simpatico.
“Ah…” Sbottò ad un certo punto Keeler. “Ho capito ora chi è lei…” Disse indicandola con un sorriso beffardo.
“Lei ha sposato quello scrittore, come si chiama? Castle?”
Kate sbuffò scuotendo il capo.
“Castle sarà lusingato nel sapere che si ricorda di lui.” Il sarcasmo gli uscì beffardo. “Ma l’argomento non è pertinente al caso signor Keeler. Questo suo tergiversare non sta spostando l’ago della bilancia in suo favore.” Disse quindi camminando lentamente per la stanza.
“Collaborare potrebbe aiutarci ad arrivare alla verità.”
“Le sue accuse sono infondate.” Sbottò Keeler. “Non le darò certo corda e avrà notizie dai miei legali.”
Beckett annuì.
“Bene, faccia come creda. Ho un testimone e una serie di movimenti bancari che provano che una delle sue finanziarie ha pagato Robert Randall per inviare notizie al presente signor Orvak. Ho un intero archivio di messaggi. Ho anche un testimone che è stato minacciato, armi alla mano, perché facesse la stessa cosa.” Buttò sul tavolo i documenti. Sul secondo uomo giocò d’azzardo, Saul Porter non avrebbe fatto da testimone diretto contro Keeler, sapeva di non poterci contare.
“Non potrà sempre negare l’evidenza. Se non ci aiuta a chiarire… come mai il suo autista teneva così tanto a conoscere gli spostamenti di Frederick... Al procuratore distrettuale mostrerò tutto questo.”
Keeler strinse gli occhi raccogliendo i fascicoli. Guardò con attenzione i dati bancari e il suo viso si incupì. Mosse la bocca come a voler dire qualcosa.
Kate provò a insistere guardando Orvak. “Ha visto Frederick vivo la sera dell’omicidio? Lo ha seguito al Suprema?” Orvak non mosse un muscolo. Keeler gli fece un cenno di assenso e lui annuì.
“Robert mi ha mandato un messaggio. Me ne sono sincerato.” Rispose con una voce cavernosa e un ostentato accento dell’est.
“E poi che cosa è successo?” Incalzò Kate.
“Ho visto che stava allo show, me ne sono andato. Non era la prima volta.”
“Frederick… lui adorava quei posti…” Keeler sembrò calmarsi assumendo però un’espressione di disgusto. “Non poteva essere un ragazzo come gli altri? Andare alla partita di baseball o a ballare con le ragazze?" Nell’essere così pieno di sé giudicare per Keeler era l’ultimo dei problemi.
“Quindi non sì è fermato ad aspettare che uscisse.”
L’uomo negò muovendo la testa con lentezza. “Dopo gli spettacoli restava al locale di solito. Rientrava verso le tre o le quattro. Robert mi informava del suo rientro.”
“L’altra sera però non l’ha fatto. Non le è sembrato strano?”
“No. Poteva capitare.” Orvak guardò Kate con i suoi occhi cinerei e glaciali. L’uomo sembrava non provare ne disprezzo, ne pena. Niente traspariva dal suo volto, solo indifferenza.
Kate si rivolse a Keeler. “Sappiamo che ha ricevuto una telefonata. E’ uscito alle 12 e mezza circa dal locale. Qualcuno lo stava aspettando perché non aveva la propria auto, era uscito in taxi e non ha pagato altre corse quella notte.” L’uomo ascoltò senza pronunciarsi.
“Avete una vaga idea di chi lo posso aver chiamato a quell’ora?” Gli uomini negarono entrambi.
Kate sedette davanti a loro.
“Qual è il motivo di questo controllo? C’erano ragioni per dubitare della sua incolumità?” L’idea che si erano fatti di lui era abbastanza realistica, ma Beckett decise che qualcosa andava approfondito.
“Il ragazzo era molto ingenuo…” Keeler parlò con voce grave, quasi distante.
"Cosa intende dire?"
"Era uno sciocco manipolabile." Sbottò il padre. "Un credulone." Aggiunse.
"Si trovava in difficoltà? Era in pericolo?" Incalzò Kate. Non riusciva a capire perchè non riuscisse a farsi dire un semplice sì o no.
Keeler scosse il capo. "No, era un metodo preventivo. Sapevo che sarebbe finito nei guai frequentando quei posti."
La situazione era di per sè difficile, ma Keeler non si sbottonava. "Che rischi stava correndo?"
"Nessuno! Erano solo postacci. Gentaglia squallida che lo avrebbe portato alla rovina. Così è stato."
“Aveva un amico tra i gestori, il signor Whittaca. Era intenzionato ad aiutarlo a diventare qualcuno nell'avanspettacolo."
"Oh, quell'omuncolo viscido. Mi da il voltastomaco." Replicò Keeler. "Lo avrebbe portato lontano ma gliel'ho impedito."
Kate lo incalzò. "Come?" Keeler replicò con un'occhiata di sfida.
"Suo figlio era ormai adulto, aveva scelto la propria vita, non avrebbe potuto controllarlo per sempre.” Rispose Kate.
“Adulto? Lei ha figli detective?” Le parole uscirono pungenti dalla sua bocca, dopo aver fatto una smorfia.
Kate negò. Non ancora almeno.
“Minacciare i suoi amici per farsi rivelare informazioni su di lui, la violazione completa della sua privacy, non è proprio da tutti i padri, ne converrà…”
L’uomo sbottò guardandola con aria di sufficienza.
“Suo marito non le ha detto chi sono io?” Le parole uscirono con un certo disprezzo e Kate strinse le labbra e sorrise. “Mio marito mi ha parlato di lei, sì. Sappiamo che lei è un conservatore e che basa la sua campagna elettorale su certi principi. Mio marito, che vuole far entrare a forza in questo discorso, ha suggerito che lei avrebbe potuto anche essere implicato, magari indirettamente, nella scomparsa di suo figlio. Il tutto pur di non perdere la faccia in politica. Per non perdere la sua percentuale di elettori. Sbaglia?” La provocazione andò dritta al sodo.
Keeler si alzò deciso. “Queste sono insinuazioni per scribacchini da quattro soldi. Se la polizia di New York ha bisogno di un tizio del genere per andare avanti capisco che la gestione dell’amministrazione attuale è fallimentare…”
“Ha colto nel segno? Perché nessuno qui ha idea del perché un ragazzo come suo figlio sia stato ammazzato con tanta ferocia. Nessuno sembra conoscerlo veramente e se voi controllavate i suoi spostamenti siete gli unici, forse oltre all’assassino, a sapere cosa è successo quella sera. Potreste essere in pochi a sapere se aveva nemici e chi fossero.”
“Di cosa mi sta accusando detective?”
“Di fare ostruzione ad una indagine di polizia. Omissione volontaria di informazioni? Un po’ di piccole cose per un uomo che dice di amare davvero suo figlio e volere giustizia per lui.”  Ecco, i toni morbidi che aveva suggerito la Gates erano finiti nel cesso definitivamente. Kate sostenne lo sguardo di Keeler con aria di sfida.
“Mi farò vivo quanto prima attraverso i miei legali.” Replicò stizzito facendo un cenno al suo autista che non sembrava in nessun modo preoccupato, ma non aveva dato nessuna informazione aggiuntiva. Era tutto tempo perso.
“Lei può andare signor Keeler, ma il signor Orvak ci deve delle risposte.” Disse invitando l’autista a restare.
Keeler negò. “Vi ha risposto. Per lui valgono le stesse ragioni per cui me ne vado io.”
Kate espirò. Non poteva fare nulla per fermarlo, doveva aspettare il mandato almeno per Orvak. Ma detestava l’idea che si trincerasse dietro ad una mossa legale, anche se lo aveva previsto.
“E’ per suo figlio che stiamo cercando di fare giustizia. Non lo scordi.” Aggiunse Kate guardandolo uscire con la stessa boria dell’arrivo.
Attese un attimo prima di abbandonare la saletta. Castle si mosse per andare da lei e incrociò il politico volutamente. Lo osservò con attenzione dandogli solo un cenno del capo che l’altro non ricambiò sorpassandolo senza scomporsi.
“Ma guarda tu che cortesia…” Sbottò Castle muovendosi verso Kate.
“Si ricorda di te Castle. Tranquillo.” Kate sorrise al marito che sembrava aver messo su il suo broncio di delusione.
“Davvero?” Chiese ringalluzzito. “E che ti ha detto?”
“Che la polizia è messa male se ha bisogno di uno scribacchino come te per andare avanti.” Ripose diretta lei.
“Canaglia di un venditore di fumo…” Castle sbuffo accennando un gesto minaccioso. “Quando lo metteremo con il culo a terra allora sì che riderò.”
“Castle…” lo richiamò lei pensosa. “Sta nascondendo qualcosa.” Indicò con il mento la direzione in cui Keeler se ne stava andando. “Non ha detto come ha bloccato Frederick,  ma non è difficile da immaginare che avesse minacciato di congelare i suoi fondi. Non è stato molto collaborativo.” Kate imprecò sentendosi nervosa.
“Atteggiamento sospetto!” Castle gonfiò le guance sbuffando. “Credi che lo troviamo un procuratore o giudice ci darà un mandato per far controllare un tipo così…”
Non c’era bisogno di risposte. Sapevano che era impossibile nelle loro condizioni.
“Sta prendendo tempo! Credo che abbiamo del marcio qui. E puzza peggio di quel dannato corridoio di ieri.” Esposito li aveva raggiunti. “Il nostro amico Zed non deve essersi redento...”
Castle sorrise divertito. “Dimmi che hai trovato qualche schifezza politica, dimmi che hai scoperto una di quelle cosacce che ci piace tanto smontare!”
Esposito lo guardò quasi con compassione. “Il signorino guadagna più di quel che dice. In certo casi riesco ad amare anche gli esattori delle tasse…” Sventolò una richiesta di integrazione per controlli fiscali. “Ha comprato un 12 metri che lascia ormeggiato al Marina Yatch negli Hemptons. L’hai mai incontrato Castle?”
L’uomo scosse il capo. “Non amo molto la navigazione. Però quel posto non è alla portata di un autista…”
“Dobbiamo scoprire se è sulla busta paga di qualcun altro.” Mormorò Kate. "Tutte quelle farneticazioni sulla sua rovina, la gentaglia e così via sono solo una scusa." Esposito e Castle fissarono Kate e quest’ultimo sorride divertito spalancando gli occhi.
“Keeler potrebbe non essere implicato, ma la sua campagna elettorale sì…” Prese a dire lo scrittore comprendendo i pensieri di lei e seguendola con attenzione.
Kate si mosse andando verso il loro ufficio. “Chi sarebbe più danneggiato oltre a Keeler da un crollo dei consensi al suo partito? Qualcuno che ci sta mettendo molti fondi, molto impegno...”
“Howard Bass. Il suo secondo, chiamiamolo così.” Castle sembrava molto informato in merito. Alzò le spalle trattenendo le mani nelle tasche dei jeans. “Altro squalo in lizza contro l’attuale amministrazione.”
“Seguite la pista delle conoscenze personali, andate a interrogare gli amici del club. Voglio sapere perché è uscito da quel locale così all’improvviso. Voglio trovare un video che ci dica dove è finito, dove l'ha lasciato il taxi. Voglio che parliatee con il taxista il prima pèossibile, perché ho sempre più la netta sensazione che gli sia stata tesa una trappola.” Ordinò Kate a Esposito.
“Noi approfondiamo le ricerche su Orvak e sui suoi affari.” Kate si mosse verso la lavagna.
“Oh, oh! Sensazione! Tu che hai sensazioni, che segui l'istinto e non ti attieni rigorosamente alle prove?” Gongolò Castle divertito. "La maternità ti fa strani scherzi?" Kate roteò gli occhi esasperata.
“Oppure adori Keeler quanto lo adoro io?”
Kate sbuffò. “Dopo averlo conosciuto anche di più.” Disse stringendo poi i denti. “Non abbiamo alcuna prova concreta, Castle. Forse ce la porterà la scientifica dall’Atlantis.”
Guardò la lavagna su cui avevano solo spostato le fotografie ma mancava sempre il movente. Sospetti vaghi e nessun movente.
“Se Bass volesse fare le scarpe al suo capolista, quale miglior modo di farlo creando uno scandalo a doc.” Pensò ad alta voce Castle.
Kate si voltò. “Perché arrivare ad ucciderlo, bastava del gossip ben piazzato su una testata giornalistica di grido. Guarda cosa è successo a noi, siamo diventati Achab e la balena bianca in una notte e questo epiteto non se ne andrà mai!”
“Ma noi siamo adorabili, tesoro!” Esclamò Castle. “In quella foto poi tu eri da urlo, ricordalo!” Kate rise.
Castle strinse le labbra soddisfatto. “Keeler ha delle connivenze nella stampa, credo che abbia azioni di più testate newyorkesi, tra cui il Post.”
Kate si passò la mano sul viso dagli occhi cerchiati di scuro.
“Ehi, tutto ok?” Castle le sorrise dolcemente.
“Calo di zuccheri… Posso avere almeno un cappuccino? L’antiemetico sembra funzionare decentemente…” Lui sorrise annuendo. Si avviarono verso la saletta relax. L’odore del caffè rinvigorì Kate che inspirò quel profumo con piacere, ma restando sempre un po’ tesa. Non era il caso in sé a incupirla, lo era diventata dopo la sua chiacchierata con il capitano.
“Cosa ti ha detto prima la Gates?” Approfondì Castle e Kate espirò cercando le parole.
“La disciplinare vuole parlarmi. Denver ha spifferato tutto riguardo a quanto successo settimana l’altra.”
“Cosa?” Castle scosse il capo facendo roteare gli occhi. “Ma non si può mai stare tranquilli con quello intorno!” Gesticolò nervoso.
Kate gli di lanciò un’occhiata di fuoco.
“La Gates vorrebbe che si evitasse di affrontare un discorso sulla fraternizzazione.”
Castle finì di preparare il cappuccino e lo diede alla moglie.
“Non sono un poliziotto Kate, non possono applicare questa regola a me.”
“Ma sei un consulente da anni. Potrebbero dover prendere una decisione formale.”
Castle annuì. “Trovano un modo burocratico per farmi restare legalmente oppure per cacciarmi, sempre legalmente.”
“Già!” Kate soffiò sul liquido bollente.
“Ma io ho dato anni di preziosa collaborazione a questo distretto di mia spontanea volontà. Devono poter tenere conto dei risultati.” Disse agitato. L’idea di non poterle stare più accanto andava bene in virtù della nascita del loro piccolo, ma a priori non gradiva certo doverci rinunciare per sempre.
“So bene che quando nascerà nostro figlio dovrò occuparmi di lui quanto rientrerai al lavoro, però vorrei ancora partecipare alle indagini quando lo potrò fare.” Piagnucolò deluso.
Kate appoggiò la tazza sul ripiano della macchina del caffè e cinse il collo di suo marito con le braccia.
“Farò il possibile, Castle.” Posò la fronte alla sua. Lui la strinse. “Lo so, piccola.”
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Rieccomi con un capitolo un po' di transizione. Tanta carne al fuoco per i nostri. Non sono giornate semplici.
Grazie a tutti per la pazienza. Questo week end mi ha dato tempo per leggere, commentare e ringraziare. Ma devo ancora leggere molto!
Un abbraccio a tutti.
Anna
 





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