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Between Lies, truth, and
promises.
Non poteva credere che Bill l'avesse messa davanti ad un ultimatum.
Era una situazione orribile. Si trovava costretta a scegliere; doveva
fare i conti con la propria
coscienza, era al bivio: se fosse tornata a casa, seppure per il bene
dei ragazzi,
Bill l'avrebbe
considerato come un addio, ma se fosse rimasta si sarebbe sentita
sempre
in colpa per rubare del tempo prezioso alla band che lei amava
così tanto, si sarebbe sentita in colpa anche verso le fan,
il manager, verso i ragazzi.
Perchè Bill aveva così tanta paura che lei stesse
a casa
per un pò? Non avrebbe significato non vedersi
più. Lei
non voleva questo; voleva solo farsi da parte finchè il tour
non
sarebbe finito e fossero stati tutti più tranquilli. Ma
forse
aveva ragione lui. La sua vita sarebbe stata sempre fatta di
impegni, interviste, concerti, scandali, paparazzi, notti insonni e
tutto il resto. E se lei si fosse tirata indietro già da
quel
momento, avrebbe continuato a tirarsi indietro ancora, e allora sarebbe
stato davvero come dirsi addio. Sarebbe finita.
Il solo pensiero l'agghiacciò per un istante.
No.
Non poteva,
non ne aveva il coraggio. Doveva restare per forza, non avrebbe mai
avuto la forza di lasciare Bill. Ora avevano condiviso davvero troppo,
ora lo amava fino in fondo.
Ma David non si sarebbe placato di certo. Non avrebbe permesso che i
ragazzi si lasciassero trascinare dai sentimenti. C'era da finire il
tuor, rimettere a posto i cocci che si erano lasciati per la strada
durante quelle settimane, incidere il nuovo disco. Non c'era posto in
tutto questo anche per lei e per Fey. E Fey, era
così
ingenua! Non voleva lasciare Georg, anche se si fosse trattato solo di
poche settimane, e
Loreen provava un terribile rimorso per averla spinta tra le sue
braccia,
pur sapendo bene quanto fosse difficile essere la metà di
qualcuno che aveva milioni di altre metà. Ora l'amica ci era
dentro fino al collo, e non avrebbe saputo, nè avrebbe
voluto di
sicuro, tirarsene fuori. Eppure Loreen sapeva che se fosse rimasta con
loro
fino all'irreparabile avrebbe sofferto troppo, proprio come lei.
Ci pensava da ore ormai e non ancora trovava una soluzione.
Avrebbe voluto potersi evitare la scelta, ma non era possibile. Bill
aveva deciso che era ora di finirla con tutte quelle indecisioni, e
aveva ragione. Lo aveva fatto stare anche troppo male, continuando a
fuggire.
Forse sarebbe stato meglio per lui se se ne fosse andata del tutto.
"Fey, parlo sul serio; se preferisci seguire Loreen, sei libera, non
voglio costringerti."
"No, Georg. Te l'ho già detto: David non mi spaventa. Fino a
che
non saranno i Tokio Hotel a cacciarmi, io non me ne vado."
Il bassista sorrise debolmente, e le accarezzò una ciocca di
capelli biondi. Lei poggiò la testa sulla sua spalla. "Lo so
che
dovete pensare alla band." Continuò "Ma so anche che
Tom ha ragione: meritate pure una vita privata, e se ci rinunciate
adesso, ci rinuncerete sempre."
Georg rise brevemente. "Sei un sacco saggia tu, lo sai?"
Lei alzò gli occhi su di lui, e sorrise serafica. "Sono
anche bella e brava, se la vogliamo mettere su questo piano."
"E molto modesta, potrei aggiungere." Fece lui, baciandola.
"In realtà ho solo una fortuna sfacciata." Fey gli sorrise
ancora, accarezzandogli la nuca, prima di rendere quel bacio
più
approfondito.
La miseria, se era fortunata. Stava guardando negli occhi, baciando e
accarezzando Georg Listing, il ragazzo migliore che conosceva. Ne
respirava il profumo, poteva parlarci, passarci del tempo, riderci
insieme. Non avrebbe permesso a nessuno di impedirglielo. Nè
a
Loreen, nè tanto meno a David Jost.
Per Nana e Tom le cose erano diverse: lei lavorava per loro, e non li
avrebbe certo lasciati. Il chitarrista poteva stare tranquillo.
Ma in realtà non stava tranquillo affatto. Sapeva che David
sarebbe stato capace anche di lincenziare Nana perchè invece
di
fare il suo lavoro li distraeva, e in quel caso sarebbe stato
doppiamente stronzo.
Nana era stata parte dello scandalo coi paparazzi e con la stampa al
gran completo, si poteva dire la parte più scioccante dello
scandalo.
Rappresentava per molte fan l'elelemento da trucidare barbaramente,
anzi,
molto probabilmente se se la fossero trovata davanti lo avrebbero fatto
davvero. E dunque Tom non solo stava in ansia per la sua
incolumità fisica, ma non voleva che la ferissero nei
sentimenti. Nana non si interessava del licenziamento, ma solo del
fatto che forse avrebbe dovuto allontanarsi da lui.
Ora che stavano insieme a tutti gli effetti, non avrebbe mai potuto
lasciarlo andare in giro per l'Europa senza di lei. Sembrava una tosta,
ma in realtà aveva bisogno di lui. Dalle piccole
fino alle
grandi cose. Le sue
mani, il suo sorriso, e il profumo, la risata, le cazzate che andava
sparando in continuazione, il suono della sua chitarra. Se le avessero
tolto Tom sarebbe crollata di nuovo giù.
"Non ci voleva questa, Tomi." Bill stava vicino a suo fratello, sul
letto. Il concerto in Italia era stato così breve che
nemmeno si
era
reso conto di averlo fatto. Di sicuro non aveva dato il meglio di
sè, ma non gli importava adesso. Ora era finito, eppure lui
non
era stanco, gli
faceva solo male aver sorriso così fintamente per tutto il
tempo, era solo nauseato del suo continuo recitare.
Tom sembrava capire perfettamente il suo stato d'animo. Erano tutti e
due arrabbiati, ma il lavoro non gli permetteva di esternare la cosa
con calma, e si ritrovavano a farlo di notte, quando avrebbero dovuto
solo
dormire. Non solo facevano una vita sregolata e stressante, doveva
mettercisi anche il capo con le sue assurde pretese.
"No, infatti. Non ci voleva per niente."
"E se Loreen decide di andare via?"
Non avrebbe voluto nemmeno pensarci. Era tutta colpa di Ginevra. Se lei
non avesse fatto andare a monte il concerto tutto quel macello non
sarebbe mai successo, David non si sarebbe arrabbiato, e Loreen non
avrebbe mai voluto rinunciare al tour e a lui.
Tom non poteva rispondere a quella domanda. Forse conosceva la
risposta, ma gli faceva paura persino formularne il pensiero. Bill non
avrebbe lasciato di sicuro la band per seguirla, ma ci avrebbe pensato.
O peggio sarebbe stato male, fino a che la band non si sarebbe sciolta
da sola per mancanza di sorrisi, allegria,
spontaneità,
ispirazione, e tutti i fattori che rendevano i Tokio Hotel una band
grande e diversa dalle altre.
"Non lo so, Bill. Ma sono sicuro che non andrà via. Dobbiamo
solo aspettare che David si calmi." Rispose, sperando di essere stato
convincente. Quel maledetto lo capiva meglio di quanto facesse lui
stesso.
"David non si calmerà, Tomi. Siamo nell'occhio del ciclone,
non lo
capisci? Ormai ci conoscono in tutto il mondo. Ora dobbiamo continuare
a
venderci senza sosta, e nè lui, nè la casa
discografica
saranno contenti finchè non ci avranno spremuto come
limoni. Alla Universal non piacerà la cosa, e se David
continuerà a farsi vedere preoccupato ci metteremo contro
anche
Dave e Peter."
Tom si voltò verso il suo gemello. Era senza parole. Bill
non
aveva mai detto cose del genere prima, non era mai stato
realista fino in fondo, anzi, del gruppo era quello che non aveva mai
pensato in termini di guadagno, vendite, commercializzazione, o robe
del genere. Lui era quello che diceva sempre: "Saremo famosi
finchè ameremo quello che facciamo." E ora invece, parlava
come
se fosse stato colpito improvvisamente da quella brutta consapevolezza:
I Tokio Hotel vendevano perchè erano quattro tipi con delle
belle faccie, dei bei culi, erano single, e pensavano solo a far felici
fan e casa discografica. E ovviamente lo sarebbero rimasti
finchè avrebbero mantenuto lo status quo. Non era previsto
che
fossero felici, avessero delle ragazze, o che si
divertissero. Andavano sfruttati finchè avrebbero portato
soldi,
finchè ci sarebbero state milioni di ragazzine con gli
ormoni in
tempesta decise a prosciugare tutti i loro beni materiali e non per
quella band di tedeschi con i capelli sparati per aria.
Non sapeva che rispondere, non sapeva che pensare. Tom aveva perso
tutte le sue sicurezze in quel momento. L'unica cosa che sapeva era che
in qualunque caso ci sarebbe stato sempre Bill.
Nana stava ritta vicino a Fey, e le sistemava i capelli lunghi e
liscissimi in piccole trecce. Erano nella stanza d'albergo, accogliente
e larga, davanti allo specchio. Si guardavano attraverso il loro
riflesso, e tutte e due avevano
dipinta in viso la stessa espressione triste, e un pò vuota.
"Non deve essere per forza un addio, Fey. Loreen capirà."
Provò a dire Nana, sforzandosi di sorriderle per
rassicurarla.
Ma Fey sembrava decisa a restare pessimista. "E invece no. Io ho fatto
la mia scelta, e non è stata la mia amica che ho deciso di
seguire, ma il mio ragazzo, e mi sento un vero schifo. Vorrei che
lei capisse: io amo questa band fino in fondo, Nana, e adesso che sono
qui con loro, che Georg..."
"Lo so, ti capisco benissimo." La interruppe l'assistente, quando si
accorse che non c'era bisogno che lei si spiegasse. "Sarebbe atroce per
me se mi chiedessero di scegliere tra voi e la band, ma credo
che tu stia facendo la scelta giusta. Infondo il fatto che
resterai qui con noi non implica
che tu perda Loreen per forza, credimi. Comprenderà i tuoi
sentimenti. Chi meglio di lei, Fey? Ci è passata in prima
persona."
La biondina abbassò lo sguardo. "Se lei non fosse fuggita da
loro non mi avrebbe mai conosciuta, oggi sarebbe felice. E invece ora
riceverà l'ennesima delusione; non solo perderà
Bill, ma
anche me."
Nana non riuscì a tenere a freno quel senso di tenerezza che
d'improvviso le strinse il cuore. Sospirò, andò
ad
abbracciarla, e la strinse per un pò. Si
rendeva conto di quanto dovesse essere difficile stare al suo posto, e
ora aveva capito di volerle davvero bene. Le faceva male vederla
così triste. "Si sistemerà tutto, te lo
prometto." Le
sussurrò.
Si accorse che Fey stava piangendo quando sentì la sua
maglietta inumidirsi sotto i suoi zigomi alti. "Come fai a promettermi
questo?" Le domandò.
Nana sorrise debolmente. "Farò tutto ciò che
è mio potere per calmare le acque."
Fey si allontanò tanto quanto bastava per poterla guardare
negli
occhi azzurri. La vide con in volto un espressione decisa, e un piccolo
sorriso affettuoso. "Grazie, Nana. Sei una vera amica."
Si ritrovarono tutti a cena, ma per la prima volta mangiando in tavoli
separati. Le ragazze stavano tutte nell'angolo vicino al lungo buffet,
e la band nel tavolo
di fronte a qualche metro da loro.
Bill si comportava in modo strano: fissava il tovagliolo, non guardava
mai dalla loro parte, e beveva solo acqua. Non aveva toccato cibo. Era
passata mezzanotte e non aveva fame. Come era possibile? Aveva appena
finito un concerto! Il tempo di salire in camera una mezz'oretta per la
doccia, ed era sceso di sotto. Avrebbe dovuto essere affamato.
Loreen tirò un lungo sospiro silenzioso e pensò
che gli
stava facendo del male continuamente. Era un vero mostro. Continuava a
torcersi le dita. Aveva paura persino di guardarlo, si sentiva talmente
cattiva! Si vergnognava e non sapeva come prenderlo. Non gli aveva
rivolto la parola da quando l'aveva messa davanti a quella scelta.
Aveva
poco tempo per decidere, ma nel suo cuore sapeva che il giorno dopo
avrebbe fatto le valige, cercando di convincere Fey a seguirla. Avrebbe
voluto che lei fosse felice con Georg, certo, ma se fosse rimasta
avrebbe creato solo scompiglio e avrebbe sofferto.
Era inutile illudersi, David aveva ragione. Quella non era una favola,
non era una storia. Era la loro vita, e la dovevano gestire con estrema
attenzione, o tutto sarebbe andato in pezzi. I ragazzi non potevano
permettersi distrazioni.
"Loreen, per favore pinatala di fare quella faccia, ok?"
Fey la riportò alla realtà bruscamente. Loreen
alzò gli occhi su di lei, stupita.
"Che faccia?" Domandò.
"La faccia da cagnolino ferito. Hai fatto tutto tu, ora spetta a te la
scelta, ma nessuno te lo aveva chiesto e sopratutto nessuno ti sta
puntando un fucile contro!" Rispose la biondina guardandola male.
Loreen a quelle parole assottigliò lo sguardo, con un livore
che raramente trovava spazio nei suoi tratti gentili e nei suoi modi
pacati.
"Si dà il caso che io abbia una coscienza, e che nella mia
testa
passino anche concetti come l'altruismo e il sacrificio quando si
tratta qualcosa di più importante del mio appagamento
personale."
"Stai dicendo che io sono egoista?"
"Sì, esatto."
"E io dico che tu stai solo facendo la povera martire. E' inutile che
ti fai tutti questi problemi, Loreen! Bill vuole stare con te, ha tutto
il diritto di essere felice, e tu invece di sentirtene lusignata e di
ricambiarlo, lo vuoi lasciare. E poi dici che sono io l'egoista!"
Loreen reagì immediatamente a quelle accuse, rizzandosi con
uno scatto dalla sedia, e tutti si voltarono
verso di lei. "Non voglio discutere con te stasera, Fey. Domani me ne
vado, e mi auguro sinceramente che capirai il motivo dopo aver rovinato
il loro sogno."
Restarono tutti a fissarla mentre se ne andava via a grandi passi, ma
poi si voltarono
verso Bill, e nessuno fiatò finchè non lo videro
andarsene via di corsa e sparire oltre la porta di vetro senza dare
spiegazioni.
"Loreen! Loreen, per favore, aprimi! Ti prego..."
Lei non rispondeva. Restava in silenzio, non poteva singhiozzare, non
poteva respirare, ma avrebbe tanto voluto aprire e stringerlo forte.
Aveva una voce piena di pianto e si sentiva con solo quel legno
sottile a dividerli.
"Loreen, ti scongiuro, non te ne andare."
Oddio, basta. Per
carità, smettila, Bill.
"Se te ne vai io...io...non so che farò. Potrei anche fare
una cazzata, Loreen."
"Non lo dire nemmeno per scherzo!"
Lo sentì sospirare di sollievo, e si maledì per
aver dato voce a quell'istitnto improvviso.
Che razza di stupida.
"Allora ci sei! Aprimi, per favore, Loreen."
"Bill, vai via. Ho già deciso, ormai."
"Non me ne vado finchè non mi apri e parliamo."
La ragazza sbuffò sonoramente. Si prese qualche secondo per
riflettere, ma poi pensò che almeno un confronto glielo
doveva.
Non poteva lasciarlo così, sia che se si fosse
trattato di poche settimane, sia che sarebbe stato davvero un
addio.
Si alzò dal pavimento, e aprì la porta con uno
scatto, dopo essersi fatta coraggio.
Bill aveva ancora il respiro affannato per averla rincorsa, e i suoi
occhi erano talmente tristi e supplicanti che le risultò
difficile non tentare di buttarsi giù dalla tromba delle
scale.
"Devo andarmene, sai anche tu che è giusto." Disse, invece,
con
una voce ferma, e affatto intenerita. Odiava mentire così,
ma in
quel caso era necessario.
Lui entrò dentro, superandola senza guardarla, e le
ordinò di sedersi.
Loreen lo fissò per un attimo, e capì che la cosa
sarebbe andata per le lunghe. Lo assecondò comunque, e gli
sedette accanto sul letto, dopo essersi chiusa la porta alle spalle.
"Non è giusto, invece. Io non sono un manichino. Voglio
averti
nella mia vita e loro non possono decidere di mandarti via
perchè, Loreen, prima di essere una rockstar sono un essere
umano, lo capisci?"
Il suo sguardo ora era deciso. Le prese una mano nella sua, e Loreen si
sentì ancora di più una schiofosa bastarda.
Tentava con
ogni umano sforzo di guardarlo negli occhi, ma era così
difficile!
"Bill, io capisco quello che stai dicendo, però se perderai
questo
momento, se perderai quello che hai adesso, lo rimpiangerai per sempre,
e io non posso permetterti di rinunciare a questo sogno, per me."
"Non lo rimpiangerei mai quanto l'amore, Loreen. Potrò
essere la
persona più ricca e famosa, potrò girare il mondo
e
conoscere tante belle ragazze, ma se mi mancherà l'amore,
non
avrò niente di niente. E se tu te ne vai, io
l'avrò
perso."
A quelle parole Loreen non seppe resistere e si sporse con impeto per
abbracciarlo. Pianse.
Si disse che era veramente
stupida, ma come poteva
trattenersi? Era la cosa più bella che qualcuno le avesse
mai
detto, ed era stato Bill a farlo. Il suo Bill, e non il Bill Kaulitz
del mondo intero.
"Non te ne andare." La pregò ancora lui, accarezzandole i
capelli.
Loreen singhiozzò ancora per qualche istante, poi si decise
a
trattenersi, e strinse la mano di Bill più forte quando
sciolse
l'abbraccio.
Era così debole! Aveva ceduto senza neanche provare a
resistere.
Ma dinanzi a Bill, ogni sua difesa si sgretolava, perdeva ogni
inibizione, ogni decisione, ogni freno, e non sapeva resistergli. Ma
avrebbe comunque cercato di uscirne non del tutto sconfitta. Quello che
andava fatto, doveva essere fatto, o si sarebbe sentita sempre una
codarda e una stupida per aver contribuito alla rovina della band.
"Resto solo a delle condizoni." Sussurrò, con voce fievole,
ma cercando si sembrare ben decisa.
Bill stava già sorridendo, ma si vedeva che cercava di
trattenersi. Loreen sentì la presa sulla sua mano farsi
più forte.
"Quali?" Domandò il ragazzo.
Lei lasciò prima che il ragazzo capisse, guardandola dritto
negli occhi, che avrebbe mantenuto fede a quel patto, e che nel caso le
sue condizioni non fossero state rispettate, sarebbe andata via. Poi
disse: "Devi promettermi che sarai
concentrato, che penserai solo alle fan, che accontenterai David, e non
farai niente che possa mettere in pericolo la band."
E il volto di Bill si aprì definitivamente in un sorriso
luminoso e raggiante. "Loreen, io amo i Tokio Hotel. Non
farei
mai niente che possa farli finire."
Sarebbe stata dura affrontarli e lo sapeva, ma non poteva di sicuro
rintanarsi per sempre. Prima o poi avrebbe dovuto guardarli in faccia.
Doveva prendersi la responsabilità di ciò che
aveva fatto
ed essere coerente con se stessa.
Idiota, idiota, idiota,
idiota...No,
continuare a ripetersi che era stata una perfetta idiota non serviva a
niente. Ma le cose erano anche drasticamente peggiorate con il fatto
che David fosse nervoso, e avesse chiesto più o meno
gentilmente
alle ragazze di levare le tende. Quei quattro le avrebbero sicuramente
affibiato anche quella colpa, ci avrebbe scommesso, e non poteva fare
altro che convincersi della sua indubbia deficenza.
Il confilitto interiore era stato superato già da parecchio,
ormai. Non aveva scuse e ne era consapevole, non poteva difendersi, non
ne
aveva il diritto, e aveva torto su tutti i fronti. Basta chiacchiere.
Ora si trattava solo di fare una scelta: continuare con quella farsa, o
abbassare la testa e chiedere scusa a tutti.
Se avesse scelto la prima opzione, probabilmente avrebbe mantenuto il
posto, ma avrebbe continuato a sentirsi sempre una schifosa stronza. Se
invece avesse optato per la seconda, i ragazzi avrebbero potuto anche
non perdonarla affatto e sarebbe stata licenziata in tronco di certo,
ma almeno sarebbe stata a posto con la coscienza,
perchè...sì...lei aveva una coscienza.
Incredibile, vero, Gin?
Hai anche una fotutta coscienza! Anzi, direi che ora come ora ti resta
solo quella.
Certamente le sarebbe rimasta solo quella finchè non si
fosse
decisa a confessare le sue malefatte, avesse strisciato come
un
verme supplicando il perdono, e pregato in ginocchio fino al
prosciugamento totale dei sui liquidi salivali di poter restare
lì con loro.
Si era davvero affezionata ai ragazzi, ora se ne rendeva conto,
e le dispiaceva per tutto quello che aveva fatto. Le parole di Bill
l'avevano fatta piombare in un'orribile stato di consapevolezza. Aveva
sempre negato, per abitudine o per un inconscio processo di
autoconservazione, di dire la verità a se stessa, ma Bill le
aveva appena sputato in faccia tutta la sua indicibile cattiveria, con
uno sguardo ferito che avrebbe fatto sentire in colpa persino la strega
Malefica, che in questo caso era perfettamente impersonificita da lei
stessa. (Ma perchè quando si trattava di fare paragoni con
quell'istrice benedetta le venivano in mente solo i personaggi dei
cartoni animati?).
Ma si stava perdendo di nuovo in troppi pensieri inutili. Era
mezzanotte e doveva scendere di sotto per la cena, o sarebbe rimasta a
digiuno (prospettiva certamente più allettante, ma comunque
poco
conveniente).
Prese un bel respiro.
Coraggio Ginevra, puoi farcela.
Non ancora aveva deciso che fare. Pensò che
l'improvvisazione
sarebbe stata sicuramente la scelta più plausibile, in quel
caso, almeno. Andare incontro all'ignoto era più comodo che
prendere posizione.
Razza di inguaribile
codarda.
Aprì la porta, la richiuse dietro di sè, e
camminò
a passi lenti fino all'ascensore. Premette il pulsante rosso,
respirando con
affanno. Sentì le corde del gigantesco aggieggio tirarsi e
cigolare, salì rapido, e quando le porte si aprirono,
fu felice di vedere che era vuoto. Era piccolo e lievemente angusto,
cosa che rese la discesa ancora più tremenda. Il suo
respiro aveva deciso di non volersi stabilizzare, e la sua gola si era
già seccata.
Le porte si aprirono di nuovo, ma questa volta il panorama di fronte a
sè era diverso. C'era una grande sala, con tanti tavoli, e
lì infondo stava un piccolo gruppo di ragazzi.
Ginevra pensò subito che era strano vederli cenare in tavoli
separati, ma sapeva che c'era stato un diverbio tra Bill e Loreen, e
quindi capiva perfettamente il motivo di quel distacco. Vide con
piacere però che nè Bill, nè la
ragazza erano scesi
per la cena. Sarebbe stato di sicuro più semplice senza Bill
attorno.
Ma era inutile aspettare ancora. Forse sarebbe stato meglio affrontarlo
da subito. Fece spallucce mentalmente, e cominciò a muovere
qualche passo, ostentando una sicurezza che in realtà ormai
le
mancava completamente.
Ma quando tutti gli sguardi furono su di lei, Ginevra si
sentì
la persona più orribile del mondo e anche quella effimera
sicurezza sparì così com'era venuta, e non
lasciò
nessun segno del suo breve passaggio sul volto pallido e spento della
ragazza.
Ce l'avevano a morte con lei, tutti quanti, nessuno escluso. Al tavolo
della band, che era quello che le interessava di più,
non sapeva chi avesse lo sguardo più pieno di astio. Georg
sembrava deluso, Tom furente, e Gustav....Gustav aveva abbassato gli
occhi, evitando completamente un contatto con lei.
E' giusto, non merito
nemmeno questo.
Abbassò anche lei la testa biondo cenere, ma con uno sforzo
disumano si
costrinse a sorridere lievemente. Poi alzò gli occhi sul
tavolo
di fronte, dove stavano sedute Fey e Nana, e loro non avevano paura di
guardarla in faccia. Il loro non era odio, ma solo disgusto, e questo
la fece sentire ancora più male.
Non che non le comprendesse, anzi. Ma doveva ammettere che era
difficile restare in piedi di fronte a quegli sguardi così
feroci, implacabili. Avrebbe voluto scappare, ma le gambe si erano rese
immobili. Sapeva che sarebbe stato da codardi, e seppur convinta del
fatto che lo fosse a tutti gli effetti, doveva almeno provare ad
instaurare un dialogo. Dunque si avvicinò a piccoli
passi incerti al
tavolo dei ragazzi.
Tom la fissò per tutto il breve tragitto, forse cercando di
intimidirla, ma Ginevra non mollò, e si fermò
proprio
dinanzi a lui.
"Ciao, ragazzi." Soffiò, con voce affatto tremante,
nonostante
dentro di sè si stesse scatenando un terremoto di emozioni.
Il chitarrista assottigliò gli occhi nocciola in un
espressione
di allibito rancore, e scosse il capo. "Hai anche il coraggio di
venirci a parlare? Ma non ti vergogni neanche un pò?"
E Ginevra si prese un bel cazzotto dritto nella bocca dello stomaco. Se
lo aspettava, certo, sopratutto da Tom, eppure sentirselo dire
così faceva tutt'un altro effetto.
"I-io...veramente...." Tentò di parlare, ma era impossibile.
Cominciava a sentire un nodo pulsarle forte nella gola, gli occhi
pizzicare pericolosamente, la sua voce era un filo udibile appena.
Decise quindi di arrendersi e andarsene, sopratutto quando vide
Georg abbassare gli occhi proprio come aveva fatto Gustav.
Era il suo unico amico, e l'aveva deluso.
Andò a sedersi vicino alle ragazze, che però
avevano
già finito di mangiare, e così le vide alzarsi,
non
appena lei si fu seduta.
I ragazzi le imitarono, Gustav lasciò anche metà
della
cena nel piatto. Camminarono tutti e cinque verso la porta, a passi
svelti, e bisbigliando tra loro.
Le venne quasi automatico alzarsi e correre fino a raggiungere il
batterista. Lo afferrò per il braccio forte, facendolo
voltare
verso di lei. Quando i loro occhi si incontrarono fu come se una
potente scossa elettrica li attraversò, facendo sciogliere
quel
breve ma fortissimo contatto.
Gustav aveva gli occhi pieni di stupore, rabbia, insolenza. Era ferito,
inqiueto, pronto a scattare.
Ginevra riuscì miracolosamente a non abbassare il suo
sguardo,
ma a tenere quello del ragazzo con una tenecia che credeva di aver
perso, e che invece possedeva ancora in parte.
"Gustav, ti prego, ascoltami un secondo." Disse.
Vide tutti i ragazzi voltarsi verso di loro, e allargare gli occhi.
Tom, dopo un brevissimo istante di esitazione, si fece subito vicino ai
due, e prese Gustav per il gomito. Ma il batterista teneva ancora gli
occhi fissi dentro quelli vitrei e supplici dell'assistente al
suono.
"Dai, andiamocene, non darle retta." Gli disse il chitarrista,
spingendolo via. Ma Gustav fece sì che l'amico mollasse la
presa, liberandosi dalla sua stretta. Non toglieva lo sguardo da quello
di lei.
Ginevra sentì le gambe indebolirsi, il respiro mozzarsi. Il
suo
corpo si stava estraniando. Non sapeva tenerlo a bada, stava perdendo
il controllo. Eppure si lasciò portare via da quelle
sensazioni,
e non si frenò. Non voleva più fermarlo.
"No, andate." Sibilò il ragazzo. "Vi raggiungo dopo."
Continuò,
voltandosi solo per un attimo vero Tom, con l'intenzione di
rassicurarlo con uno sguardo deciso.
Non sarebbe andato da nessuna parte, almeno fino a che non avesse
capito cosa diavolo stava provando, cos'era quella sensazione di
assoluta incapacità di pensare razionalmente, e
perchè
non riuscisse a muoversi.
Sarebbe rimasto per ascoltare cosa quella gelida stronza aveva da
dirgli, per sentire le sue scuse, per credere che ci fosse ancora una
speranza di tornare come prima.
Tom gli si avvicinò, e gli strinse la maglietta. "Non merita
questo, Gustav. Lasciala stare." Gli sussurrò, come se la
ragazza non potesse sentirlo.
Invece aveva sentito perfettamente, e non gliene importava un
accidente. Sapeva che era stata una vera serpe, e una subdola
infame, ma ora voleva solotanto poter guardare Gustav ancora
per
un pò, e chiedergli scusa, cercare il perdono nei suoi occhi
scuri.
Il battersita, per sua immensa gioia, negò col capo e si
allontanò dall'amico. "Voglio sentire cos'ha da dire, ma
lasciateci soli, per favore." Disse.
Tutti i ragazzi si guardarono tra loro, stupiti. Perchè
voleva questo? Lei non lo meritava! Tom aveva ragione!
Ma Georg capiva perfettamente il motivo di quella richiesta, anzi
credeva di aver capito già da un pezzo cosa c'era nel cuore
di
Gustav. E si fece vicino a Tom. Gli sussurrò: "Lascialo
fare. Ci
racconterà dopo. Andiamo."
Il chitarrista lo guardò e si convinse finalmente a
lasciarli
soli. Fece cenno agli altri di seguirlo, e prese a camminare verso la
porta. Ma non si sarebbe limitato a questo, avrebbe voluto
sapere
tutto non appena quel colloquio sarebbe terminato. Gustav gli doveva un
pò di spiegazioni.
Restava fermo e rigido. Ginevra lo fissò per un lungo
istante, senza nascondere un pò del suo imbarazzo. Si
rendeva
conto solo in quel momento di quanto le costasse ammettere con
sè
stessa di provare qualcosa di forte per lui. Non sapeva dire cosa ci
fosse in quel batterista che la rendeva così diversa da come
era
abituata a vedersi. Sin dal giorno in cui era entrata in contatto con
quel piccolo universo che era quello dei Tokio Hotel, aveva subito
provato una sensazione di empatia nei suoi confronti. Apprezzava il suo
modo di
pensare, limpido e sincero, privo di fronzoli. Il suo modo di porsi
sempre gentile, e pacato, la sua voce mite. Da subito si era creata
sintonia tra loro due, e per quanto lei fosse soltanto una dipendente
dai modi freddi, distaccati e professionali, aveva capito da subito,
che Gustav Shafer era uno dei motivi per cui la mattina si svegliava
con la voglia di andare a lavorare, si sforzava, e si impegnava
così tanto.
Lui forse non l'aveva mai apprezzata per qualcos'altro che non
fossero le sue brillanti capacità nell'ambito del suono, e
questo le faceva un pò male. Ma in qualunque caso aveva
cercato
di ricucire i rapporti con lei, e ora Ginevra si pentiva di avergli
sbattuto più volte una porta in faccia. Non se lo meritva.
Non
meritava niente di tutto quello che gli aveva fatto. E quella era l'ora
di chiedere scusa. Per tutto.
"Senti." Esordì, avvicinandosi a lui di un passo.
"Perchè non ci sediamo?" Gli domandò. Lui la
guardò per un attimo, poi annuì, e
camminò
fino al tavolo più vicino, a passi lenti. Gin lo
seguì, e
gli sedette di fonte.
Era così difficile! Ma doveva farlo, ormai era
lì, e
probabilmente quella sarebbe stata la sua unica occasione di
riscattarsi.
Gustav restava in silenzio, di certo non voleva aiutarla. Aspettava che
fosse lei a parlare, e Ginevra lo fece, seppur con non poca
difficoltà. Prese un bel respiro e non smise di guardarlo
nelle sue iridi imperscrutabili.
"Lo so che ce l'hai a morte con me, e va bene, lo capisco, è
perfettamente comprensibile. Non voglio giustificarmi, Gustav. Voglio
solo spiegarti il motivo per cui vi ho..."
"Traditi e messi in ridicolo?"
Ecco, sapeva che sarebbe successo. Prima o poi avrebbe sicuramente
trovato il modo di rinfacciarle le sue colpe in modo brutale. Era nel
suo carattere.
Ma lei non demorse, anzi gli sorrise a mezzabocca, e annuì,
completamente priva di rancore, o vergogna.
"Sì, esatto." Soffiò.
Gustav inclinò il capo, e sorrise in modo beffardo. "Sono
tutt'orecchi." Sibilò, alzando le spalle.
Ginevra, i cui occhi grigi si velavano di una sempre più
limpida
luce, prese un respiro, e si convinse a confessare ciò che
non
avrebbe mai creduto possibile confessare.
"E' stata una vendetta, contro Bill. E non perchè
mi abbia costretto a stare al freddo e al gielo a trenta metri
d'altezza per due ore, o perchè ci abbia lasciati senza
cena,
Gustav. Ma per un motivo ben diverso, di cui forse tu non sei a
conoscienza."
"E sarebbe?" Fece il batterista, ora curioso, e lievemente stupito.
C'era qualcosa che non sapeva?
Ginevra passò la lingua sulle labbra sottili, e lo
guardò
con occhi inquieti. Se ci avesse pensato troppo non lo avrebbe
più detto, e così buttò lì
quella frase,
con voce tremante: "Avevo chiesto a Bill di non rivelarti mai un mio
segreto, di non fare niente di avventato che potesse farti capire
qualcosa, ma lui ha tradito la mia fiducia, e ha voluto aiutarmi a
superare la mia paura."
Gustav arricciò le sopracciglia confuso, e sconcertato. Di
che cosa stava parlando?
"Paura?" Chiese, a bassa voce. Non c'era la più assoluta
traccia di livore nel suo sguardo, ora c'era solo confusione.
Gin annuì, sorridendogli lievemente. "Gustav, ascoltami. Tu
quella sera, sulla terrazza di quell'albergo, mi hai chiesto se il
nostro sarebbe rimasto sempre un rapporto professionale, ricordi?"
Lui annuì, immediatamente. Pensò di
cominciare a
capire qualcosa, ma non era sicuramente possibile che lei stesse
cercando di dirgli quello che credeva.
"E io ti dissi di sì." Continuò lei. Fece una
pausa,
senza smettere di osservarlo, con attenzione, quasi con cautela. Poi
sussurrò: "Non sai quanto mi è costato farlo, ma
ti
assicuro che è stata la bugia più difficile a cui
tener
fede, tra tutte quelle che ricordo. E credimi io ho ingannato gli altri
molte volte, e me stessa forse anche di più."
"Bugia? Gin, che stai cercando di dirmi? Cosa ti ha fatto Bill?
Perchè hai cercato di vendicarti?" Gustav la fissava negli
occhi
di perla. Il suo respiro si stava facendo leggermente accellerato, il
battito del suo cuore più rumoroso, veloce.
E in quel momento, dopo essersi fatta tutti quei problemi, dopo aver
combinato tutti quei casini, dopo tutte le mensogne che aveva profilato
a se stessa, la ragazza si ritrovò a rispondere,
nella
più assoluta onestà.
"Chiesi a Bill di non dirti mai che stavo percependo
di provare qualcosa di...forte
per te."
****
Il cuore del batterista perse il ritmo veloce.
Gli sembrò quasi che si fosse fermato, nel
silenzio più assoluto, nell'aria testa, mentre sentiva la
testa
affollarsi di nebbia fitta e i suoi occhi accendersi di stupore.
Dovette ricredersi riguardo il suo scetticismo di poco prima,
perchè invece aveva capito benissimo cosa la ragazza stesse
cercando di dirgli. E anche adesso gli sembrava impossibile crederci.
Forse era solo un sogno, l'ennesima tortura atroce che la sua testa si
divertiva così tanto ad elaborare nel suo sonno inconscio.
"Gustav, dì qualcosa." La voce di lei, pulita e chiara,
seppur
tremante e fievolissima, lo ridestò da quello stato di
trance
nel quale era caduto. E quando alzò gli occhi su Gin e la
guardò, si rese conto che quella era la realtà,
che
davanti a lui stava seduta la ragazza che aveva segretamente sognato
per un anno intero, e che quella stessa ragazza gli aveva appena
rivealto di provare un sentimento per lui.
"I-io...credo di...non so se..." Stava farfugliando.
Riprenditi, scemo!
"Ti prego, non costringermi a ripeterlo. Hai capito perfettamente." Lo
supplicò lei, con uno sguardo che non celava affatto la
sua vergogna. Sentiva le gote bruciare, la testa
pulsare, il
cuore
battere ad una rapidità mortale. Era sempre stata
così
dannatamente orgogliosa, eppure in quel momento non riusciva davvero
più a recitare.
Il ragazzo la guardò lungamente, prima di riuscire a parlare
con
una certa chiarezza. Dovette abituarsi con calma all'idea che
ciò che era appena accaduto non era frutto della sua
delirante
fantasia.
Poi disse: "Gin, in tutta sincerità, mi risulta difficile
crederci."
Lei subito scosse il capo, esasperata. "E invece è la
verità. Non sto cercando di
fregarti, Gustav." Rispose, seria, anche se terribilmente imbarazzata.
La sala sembrava così piccola intorno a loro, per quanto
gigantesca fosse. Ascoltava la sua voce forte, ne risentiva
ogni
sfumatura, e la sensazione di inadeguatezza aumentava drasticamente,
fino quasi a farla soffocare.
"E così vorresti dirmi che tu provi qualcosa per me?" Fece
il
batterista, riprendendo miracolosamente il suo solito tono mite e
pacato. Ginevra sospettò comunque che lui, al contrario di
lei,
si stesse tenendo a freno, e che in realtà fosse molto
più arrabbiato e stupito di quanto desse a vedere.
In ogni caso, si limitò ad annuire con uno sforzo non
indifferente. Era
difficile essere tanto sinceri, soprattutto quando la situazione
era così delicata.
"Ti avevo chiesto di non farmelo ripetere." Buttò
lì, però, con un espressione torva, e un
pò mesta.
Gustav non riuscì ad impedirsi di sorridere lievemente,
divertito. Fu solo un attimo, ma era bello averla davanti, per una
volta priva di quella odiosa barriera, e riuscire a leggere nei suoi
occhi tante emozioni nuove, che col suo viso facevano un contrasto
pazzesco e bizzarro.
"Ed è per questo motivo che tu hai mandato a monte il nostro
concerto?" Domandò, fissandola, quando tornò
serio.
La vide quasi rimpicciolirsi sulla sedia, ma ricambiava comunque il suo
fissarla. "Sì, è per questo." Rispose,
schiettamente.
"Ma così hai fatto del male anche a noi altri, e alle fan."
Replicò lui.
"Ho dovuto per forza, puntavo a ferire Bill, e nient'altro lo avrebbe
fatto stare più male. Non credere che mi abbia fatto piacere
mettere in mezzo anche voi."
Il batterista roteò gli occhi, sbuffando. "L'orogoglio
è
una cosa stupida, tutto quello che hai fatto è stato
stupido, e
perdipiù ingiustificato perchè io non
sapevo niente,
Bill non mi ha mai
rivelato quella cosa."
Ginevra trabballò per un istante, ma poi, il suo stupido
orgoglio, appunto, le fece riprendere il controllo. "Ha cercato di
costringere me a farlo, e mi ha messo in una brutta
situazione. Dopo quella sera non potevo più nemmeno
guardarti
senza sentirmi una stronza." Ribbattè, incrociando le
braccia, come per difendersi da quella inaspettata raffica di
affermazioni brutali, che quasi la stavano mettendo in crisi. Certo,
sapeva di aver commesso una lunga serie di errori, uno peggiore
dell'altro, ma credeva di avere anche delle ragioni dalla sua parte.
"E dopo quello che hai fatto stasera a diecimila persone, ti senti
meglio?"
Ginevra impallidì a quell'accusa. Stavano
litigando di nuovo, e lui aveva maledettamente ragione, anche se lei
era stata sincera, anche se cercava in ogni modo di convincersi delle
motivazioni che l'avevano spinta a rovinare quel concerto, con annessi
e connessi. Non poteva certo sperare di uscirne fuori soltanto
confessando il perchè di quel darsi tanto da fare per
rovinare
la vita
a tutti.
"No, Gustav. Non mi sento affatto meglio. Ma perchè diavolo
credi che sia qui?"
Lui alzò un sopracciglio. "Non lo so, dimmelo tu."
"Perchè voglio scusarmi!" Sbottò lei, in preda ad
uno
scatto di nervosismo. Sentiva addosso una pressione troppo forte.
Provava troppe emozioni tutte insieme, e non ci era affatto abituata,
la cosa la stava davvero mettendo in difficoltà. Eppure,
sentiva che l'unica cosa
giusta che stava facendo era quella. Chiedere il perdono. E con lo
stesso impeto coninuò a farlo.
"Vorrei che non mi giudicaste
così male per quello che ho fatto anche se ho
sbagliato, che non mi credeste una persona priva di coscienza.
Mi
dispiace per i
casini che ho causato a tutti, e vorrei poter sistemare le cose."
"Temo che sia troppo tardi per quello, Ginevra."
La ragazza sbuffò, passandosi una mano tra i capelli biondi,
e
poi lasciandoli cadere sulla fronte alta e liscia fino a coprire parte
del suo sguardo stanco e spento.
"E allora cosa dovrei fare?" Sospriò.
Gustav scrollò le spalle, e scosse il capo leggermente.
"Niente
di niente. Per ora basta che tu sia stata onesta e ti sia scusata. Devi
solo sperare che gli altri ti perdonino." Disse.
Ginevrà restò zitta, cogitabonda per alcuni
istanti, poi
lo guardò di nuovo e sussurrò: "Tu non
mi vuoi
perdonare?"
Il batterista ricambiò il suo sguardo intenso, e non si
impedì di sorridere, con un sorriso genitile, e paziente.
"Io
l'ho già fatto."
La vide allargare il suo sguardo perlaceo, non più
così vuoto e implacabile, ma anzi lucido e vivo.
"Davvero?" Domandò.
Lui annuì, sorridendole con più allegria. Era
felice nonostante tutto, e non poteva mentire a se stesso.
"Perchè?" Gli domandò la ragazza, proprio nello
stesso istante in cui se lo chiese lui stesso.
E Gustav conosceva quella risposta, l'aveva sussurrata milioni di volte
alla sua coscienza, quando questa con insistenza gli chiedeva il motivo
di quella esasperazione, e del suo pensare a lei così
dannatamente spesso.
"Perchè tu mi piaci." Disse, in tutta sincerità.
Notre dell'autrice.
Mi scuso (come al solito)
per il ritardo. E' un capitolo più corto degli altri,
nonostante sia passata un'infinità di tempo dal mio ultimo
aggiornamento. Mi dovete perdonare, ma ho avuto un sacco di cose da
fare! Certo, succedono un pò di macelli, però
resta sempre un capitolo un pò deludente, secondo me. Mi
auguro che vogliate dirmi che ne pensate con onestà anche
bruta.
Passo ai ringraziamenti ad personam.
Princess: Sì,
è vero: Ginevra ha reagito in modo esagerato, ma nel
prossimo capitolo capirai che in realtà ci sono delle
motivazioni inconsce dietro quel caos. Di Ginevra non si sa quasi
niente, per ora.
Comunque lei è
un maestro del suono, aveva calcolato tutto, nei dettagli. Nessuno
l'avrebbe scoperta. I membri dello stuff si fidavano tanto ciecamente
di lei che l'avevano lasciata al timone. Eppure il casino succede. Lei
finge, perchè una grande stronza. E ci riesce anche bene.
Che prove avevano contro di lei? Nessuna. Una semplice svista, pagata
con una semplice lavata di capo.
Mi fa piacere che abbia
fatto pochi errori grammaticali, perchè mi interessa
moltissimo quell'aspetto come sai, e devo ringraziare te e e Pao per
questo, te l'ho detto. Sii sempre onesta, e grazie mille dei consigli.
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, perchè mi sono
messa nei panni di Gin talmente tanto, da stupire persono me stessa.
Baci, Mary. Alla prossima.
Colinde: Oh, ma sei
sempre così gentile! Eh sì, Bill e Loreen sono
teneri, in questo chap ancora di più, Georg e fey,
insparabili, al prossimo capitolo vedrai...e comunque anche per quanto
riguarda Gin al prossimo aggiornamento capirai il suo gesto
così eccessivo. Contenta per il lieto fine con Gusti? Baci,
cara, e mi raccomando, aspetto la recensione con ansia!
Angeli neri: Non ti
preoccupare, capisco che le recensioni per ordine numerico sono
più comode! :-) Beh, grazie mille dei complimenti, mi fai
arrossire! Bill e Loreen non si lasciano, basta con gli addii,
però di certo non staranno del tutto in pace, poi capirai.
Gin è stata così stronza per un motivo ben
preciso, e lo capirai nel prossimo capitolo! A tutto c'è una
spiegazione! Allora ti saluto, e ti ringrazio molto di nuovo. Fammi
sapere che ne pensi di questo ultimo chap, Baci.
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