I Ricordi

di Aphasia_
(/viewuser.php?uid=179619)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Vagavo ormai da mesi, senza risultato. Mi sembrava quasi che non dovessi più incontrare nessuno, che forse, oltre all'Orfana, non esistesse nessun altro capace di vedermi, figuriamoci capirmi. Sapevo di essere sola, come potrei non saperlo? Noi "ricordi" lo impariamo da subito, e, anche se viviamo tutti assieme, siamo più soli che mai, perché non siamo una comunità, l'unione di più anime che condividono stessi dolori, stessi problemi, rimpianti. Siamo una massa di solitudini diverse, e unirci non è possibile, come se fossimo magneti, ciascuno con cariche uguali, proprio perché l'unica cosa che abbiamo di uguale è l'essere morti, ciò che dovrebbe unirci, e che invece... ci separa. 

Al pensiero dell'inevitabile solitudine ricordo un episodio in particolare.
Nella casa dei "ricordi", parlai con un vecchio "ricordo", stava lì da tantissimo tempo. Lo chiamavano "Il Pazzo", perché era davvero strano, quello lì: faceva finta di essere vivo, e riteneva di essere ancora umano, che la sua morte era stata soltanto un errore, che presto lo avrebbero ripescato. E non parlava con nessuno, fermo sulla soglia, ad aspettare. Per sempre.
Un giorno mi avvicinai alla porta, lì dove aspettava e mi disse:
«Tutta la vita ad aspettare. Tutta la morte ad aspettare»
Capii che non era veramente pazzo. Era semplicemente solo, molto solo.

Capitai in una classe. Decisi di entrarvi, volevo entrarvi. Perché. sì, ne ero profondamente curiosa, dopotutto, e lo ero perché le persone al suo interno stavano scrivendo, tutte e contemporaneamente. Entrai, e, con mia grande delusione, nessuno poteva vedermi. Pensai, allora, che sarebbe stato inutile restare lì, che nessuno avrebbe potuto dirmi nulla sull'amore. Esitai, una delle persone scriveva con più foga rispetto agli altri. Mi avvicinai alle sue spalle e lessi quel che stava scrivendo:

"Tema: che cos'è l'amore?

Svolgimento: io l'amore proprio non so cosa sia. Saprei descriverlo, da quel che vedo in giro, ma proprio cosa sia davvero non saprei spiegarlo. E non si tratta di quelle frasi insensate, fatte di belle parole e pensieri puri che si leggono nei cioccolatini o che escono dalle bocche di improbabili spasimanti, E non si tratta nemmeno di fare regali a forma di cuore, o regalare mazzi di fiori. Posso fare delle supposizioni, scientificamente: e se si trattasse di un impulso? Come la scintilla del motore a scoppio, l'impulso di un'energia fisica. Ecco, dopotutto credo che come risposta possa andare bene. Perché siamo fatti di chimica, e se l'amore è umano, allora l'amore è chimica. Nient'altro. Ma non "chimica" in quel senso moderno per cui tra due persone ci sarebbe un certo feeling. Io intendo quella vera, quella fatta di formule ed elementi, ordinati, schematici, dove tutto è bilanciato, tutto è spiegabile e affidabile. L'amore è affidabile perché chimico, e a predire non si sbaglia mai. Resteranno insieme, si lasceranno, la tradirà, lo tradirà. Formule chimiche. Reazioni. Feed-back.
Sta tutto lì.

E non si tratta, banalmente, del cuore, c'è solo sangue, tessuti e valvole. Batte perché deve, e penso che forse anche se non battesse ameremmo, perché anche la morte è chimica, così come l'amore. E non si tratta nemmeno della ragione, del cervello, perché sono nervi, neuroni, impulsi elettrici, e funziona perché deve e serve, e penso che forse anche se non funzionasse ameremmo, perché anche la morte è chimica, così come l'amore. 
Perché allora, non si tratta del nostro corpo, non si tratta di sesso. Siamo chimica, siamo respiro, e anche il respiro è amore. Siamo energie che si scontrano, un mini Big Bang, siamo la radiazione cosmica di fondo, ciò che resta dopo la morte di una stella. Siamo energie, siamo chimica, e allora l'amore è fuori da noi, e non dentro. Non è cuore, non è cervello. Un impulso. Come quello che ci spinge a credere.
E voi, ci credete?"


E dopo queste parole, insieme a quelle del Pazzo,pensai che allora si trattava solo di quello.
Attendere. Ora sapevo cosa.
Un impulso.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2946929