Alzò
il volume dell’mp3 al massimo. La musica gli trapanava forte
i timpani, a lui piaceva così. Quando era nervoso, ascoltava
sempre canzoni ad altissimo volume per non sentire il terribile rumore
che produce l’ambiente intorno a lui, i clacson delle
macchine, i saluti delle persone, lo scalpiccio dei pedoni. Tutti quei
rumori lo infastidivano, gli entravano nell’animo e ne
turbavano la tranquillità che aveva duramente conquistato.
Continuò
a camminare guardandosi intorno incurante anche degli improperi che gli
aveva lanciato una signora che lui aveva urtato per caso, tutto aveva
una luce diversa, un ritmo diverso con la musica come sottofondo, quel
ragazzo sulla bicicletta sembrava pedalare proprio a ritmo di quella
canzone, così anche i passi di quella signora davanti a lui
e quel gatto che gli era passato davanti.
Mormorava
le parole del testo inglese con molta facilità, quella era
una lingua che a lui piaceva molto e la capiva anche abbastanza
facilmente all’orecchio. Avrebbe voluto fermarsi e ballare
per strada ma si rendeva conto che avrebbe fatto meglio a tirare dritto
per conservare la dignità.
Pochi
passi e sarebbe arrivato alla stazione per prendere il treno.
Controllò l’ora sul display del cellulare e si
aggiustò lo zaino sulla spalla. Dopo aver obliterato il
biglietto, si mise ad aspettare sul binario, quando non accorgendosene
urtò un ragazzo con lo zaino. L’altro
imprecò e lui si girò indietro alzando la mano
per chiedere scusa ma quando alzò lo sguardo
restò come congelato dagli occhi di quello, erano di un
colore che lui non aveva mai visto negli occhi di nessun altro, avevano
una sfumatura particolare, le iridi nere con delle venature rosse,
quasi come fossero dei tizzoni ardenti.
Batté
le palpebre e quelli che guardava erano semplici occhi castano chiaro
incorniciati da lunghi capelli corvini, eppure un attimo fa gli era
parso di vederli diversi. L’altro ora gli dava le spalle
appoggiato alla colonna che stava tra i due binari e lui si
andò a sedere sulla panca di pietra, leggermente
scombussolato. Alzò ancora di più il volume
dell’mp3, ora le sue orecchie quasi non reggevano la musica
ma lui non se ne accorgeva.
Era
sovrappensiero.
Mentre
aveva lo sguardo basso, sentì qualcuno sedersi al suo fianco.
Si
girò e vide il suo amico Jamie, staccò le cuffie
dal dispositivo e se li mise in tasca, mentre l’altro gli
diceva: - Ehi, Morgan, ti ho inseguito fin qui! Ma quando imparerai a
tenere il volume basso? Ti ho chiamato si e no 4 volte per farti girare
e tu niente -.
Morgan
ora che ci faceva caso notava che l’amico aveva un leggero
affanno: - Scusa Jamie, non volevo -, dannazione
ora non si può neanche ascoltare un po’ di musica
come piace a me!
L’altro
gli disse che non faceva niente, finalmente il capostazione
annunciò l’arrivo del loro treno con voce
stentorea e loro salirono su.
Morgan
lanciò un ultimo sguardo verso il ragazzo dagli occhi di
brace o almeno dove credeva si fosse fermato, ma i suoi occhi non
videro che una colonna spoglia e grigia, di lui nessuna traccia.
Il
tragitto sul treno fu tranquillo, lui e Jamie trovarono addirittura due
posti a sedere, una cosa rara per la Circumvesuviana, parlarono un
po’ di cosa li aspettava nella loro ennesima prima giornata
di scuola. Il quinto anno li spaventava, insieme condivisero ansie e
paura in comune, dopotutto era l’ultimo anno di liceo e poi
sarebbero finiti scaraventati a calci nel culo nel mondo
dell’università o del lavoro. Ed entrambi non
erano famosi per i loro comitati di accoglienza.
Arrivati
a scuola salì le scale e imboccò il corridoio per
la sua classe, questo era affollato come sempre da studenti quando la
campanella stava per suonare, mentre camminava tra quel gruppo di
persone gli parve di distinguere quegli stessi occhi di prima, si
bloccò di nuovo ma li perse e allora riprendendosi, si
diresse dritto in classe sua senza alzare lo sguardo. Salutò
i suoi amici e si sedette.
Proprio
in quel momento suonò la campanella e subito dopo qualche
istante di forti chiacchiericci, arrivò il professor
Hafling, avevano geografia astronomica alla prima ora. In contrasto col
disappunto di tutti, lui aveva accolto con intimo favore questa
notizia, data la sua passione per quella materia.
Ma
quel giorno non era concentrato, non riuscì a seguire una
parola del prof. perché aveva un unico pensiero in testa,
quello sguardo. Era come se fosse dotato di un suo campo magnetico, che
lo attirava e respingeva nello stesso momento.
Restò
tutte e cinque le ore a cercare di convincersi che non fossero reali,
ma in effetti era convinto di averli visti due volte, e a meno che
potesse dubitare dei suoi sensi, decise che doveva capire cosa diamine
erano.
Magari
usava le lentine o qualcosa di simile, sì, doveva essere
così. Nel frattempo erano passate già le prime
tre ore. Ne mancano solo due, pensò con sollievo.
Strappò un pezzo di carta dalla pagina del quaderno e
scrisse: Dopo scuola, andiamo a prendere qualcosa da mangiare?
Lo
accartocciò e lo fece strisciare verso Jamie mentre la
professoressa di latino parlava di Petronio. L'amico lo lesse
e annuì. Ora non poteva fare altro che aspettare che
finissero quelle interminabili due ore. Il torpore gli scese addosso
come una coperta.
Stava
sognando, almeno era quella la sensazione. Era consapevole che quello
che aveva intorno non fosse la realtà. Era completamente
immerso in acqua, sembrava quasi stesse facendo un’immersione
subacquea. Ma non era così, non aveva muta né
pinne né bombole d’ossigeno.
Ossigeno!
Come riusciva a respirare senza? D’istinto si
lanciò verso l’alto per arrivare alla superficie,
per un po’ continuò ad agitarsi ma poi si accorse
che nessuna superficie sembrava avvicinarsi. Ok, pensò, questo
non è mare.
Improvvisamente
una luce soffusa si diffuse tutto intorno e sembrava provenire da
qualche parte alla sua destra. Questa volta decise di riprovare a
nuotare verso la luce, un paio di calci nell’acqua. Dai,
cazzo, puoi farcela Morgan! Hai sempre fatto piscina.
Infine
riuscì a muoversi, la luce cominciò a crescere
d’intensità fino ad accecarlo, si portò
una mano davanti agli occhi, come si fa quando si guarda verso il sole.
Tese l’altra mano in quella direzione, con le dita protese
riuscì a sfiorare qualcosa, toccò una superficie
liscia come il vetro. Diede un paio di colpi coi piedi per avvicinarsi,
era strano, quella luce non emanava calore eppure era intensissima.
Afferrò
con la mano la superficie liscia che aveva sfiorato, era una sfera.
Improvvisamente la luce svanì.
Fu
allora che sentì un dolore lancinante nella mano dove
stringeva l’oggetto. Abbassò lo sguardo e vide che
la sfera sembrava come sciogliersi nel suo palmo mentre strani
ghirigori celesti si estendevano lungo il braccio.
In
un attimo la sfera sparì, il dolore aumentò agli
estremi. Allora sentì una forte pressione sul petto, gli
mancava l’aria. Si agitò come un forsennato per
risalire finché non riuscì nemmeno più
a muoversi. Non resistette e lasciò che l’aria gli
entrasse nei polmoni.
Si
svegliò. Saltò tanto da cadere quasi dalla sedia.
Qualcuno lo stava chiamando: - Morgan, Morgan Alissa! Si svegli, la
lezione è finita vada a dormire a casa sua, per piacere -
Il
trillo squillante della campanella sembrò assordante.
Nonostante ciò la fine delle lezioni aveva sollevato l'umore
della classe, accompagnato da tanti sospiri di rilascio. Jamie che
aveva già lo zaino pronto scattò in piedi per
unirsi alla coda di compagni che uscivano dalla classe. Rimase un
attimo stordito nel ripensare al sogno che aveva fatto. Mise le cose
nello zaino alla rinfusa e uscì dall’aula.
Fuori,
il tempo non sembrava dei migliori, grandi nuvoloni si ammassavano nel
cielo. Non aveva più tanta voglia di andare a mangiare
fuori, era stanchissimo e voleva tornare a casa.
-
Hei, Jamie - esordì, - mi è venuto
improvvisamente un fortissimo mal di testa, non ti offendi se torno a
casa vero?
L’amico
si girò e gli disse che non c’era alcun problema.
Rimase ad aspettare alla fermata dell’autobus, il cielo ora
era plumbeo. Morgan guardò in alto cupamente mentre
ripensò a quante cose strane gli erano successe quella
mattina.
Il
pullman arrivò come al solito in ritardo. Il viaggio fu solo
intenso torpore. Gli venne in mente del sogno, alzò la
manica della maglia e si sfiorò la pelle del braccio. Morgan,
era soltanto un sogno,
pensò. Eppure era sembrato così vivido,
così reale.
Arrivato
a casa, ormai il cielo era quasi nero promettendo tanta bella
tempestosa pioggia.
Entrò
con un tuono che fece eco alla porta che si chiudeva.
-
Mamma? – chiamò – Ci sei?
Nessuno
rispose, evidentemente non era ancora tornata dal lavoro.
Mi
ci vuole proprio una bella doccia rilassante, il
pensiero lo accompagnò fino in bagno dove aprì il
rubinetto dell’acqua calda della vasca.
Chiuse
la porta e poi si spogliò.
Morgan
si immerse nella vasca piena di acqua fumante. Sentì il suo
corpo assorbire il calore del liquido che lo circondava e si
sentì meglio, rilassò i muscoli lasciando andare
all'indietro la testa. Cominciò a canticchiare e ad agitare
le mani a ritmo di musica.
And the arms of the ocean are carrying me,
And
all this devotion was rushing over me,
And
the question of heaven, for a sinner like me,
But
the arms of the ocean deliver me.
[Florence + the
machine - Never let me go]
Aveva
una bella voce. E quella canzone gli piaceva proprio tanto.
Abbassò
lo sguardo e vide un rivolo d'acqua risalirgli lungo il braccio invece
di gocciolare via. Alzò la mano e l’acqua dal
braccio si sospese per un secondo nell’aria.
Spaventato
agitò il braccio come si fa quando si ha addosso un insetto
indesiderato. Il risultato fu che schizzò acqua
ovunque nel bagno.
Imprecò
desiderando che l'acqua tornasse tutta nella vasca. Non accadde proprio
nulla.
Uscì
dalla vasca tutto gocciolante, e, avendo scordato di mettere un
asciugamano a terra, scivolò sul pavimento ed
andò a sbattere con la testa contro il lavandino.
Si
rialzò tenendo una mano dove aveva sbattuto, - Cazzo, che
dolore! –
Non
aveva mai dubitato della sua formidabile agilità nei
movimenti, era anche consapevole del suo precario equilibrio.
Passato
il dolore, ripulì per terra e svuotò la vasca.
Indossò un accappatoio e indugiò un attimo allo
specchio. L’immagine riflessa era quella di un ragazzo sui 18
anni, capelli corvini, pelle chiara, barba piena che a discapito dei
capelli era rossiccia, un naso nella norma e un paio di grandi occhi
blu profondi come il mare. L’unica cosa che lui aveva sempre
apprezzato del suo viso.
Si
legò l’accappatoio in vita e andò nella
sua cameretta gettandosi sul letto a peso morto.
Bene,
facciamo il resoconto della giornata.
Stamattina
uno per poco non mi bruciava con lo sguardo, non ho seguito nemmeno
un’ora di lezione, ho sognato di affogare e ho anche sbattuto
la testa come un ebete. Che culo!
Si
girò su un lato e si riaddormentò.
Rifece di nuovo lo stesso sogno, solo che ora mentre stava soffocando,
udì una voce dire: - Sei un eaufil, Morgan, risveglia i tuoi
poteri, presto ne avrai bisogno, nubi cariche di pericolo si stanno
avvicinando. Devi cercare gli altri, Morgan, cercali! -
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