4:
A Strange Weapon
Saltellò
sul posto un paio di volte, ebbro d’entusiasmo.
Sapeva
di non potersi sbagliare quando credeva di aver intravisto un altro
camerino nella stanza di Rarity. Aveva sentito da lei che qualche tempo
prima ne aveva fatto installare uno nuovo per provare sul momento
qualche abito in fase di sviluppo.
Lo
stesso camerino Spike era certo di averlo notato la prima volta nel
momento in cui era entrato per cercare Opal, sebbene non si fosse preso
la briga di verificare con attenzione.
Fatto
stava che l’intuizione era giusta, e che ora poteva prendersi
un secondo di fiato mentre ragionava in tutta serenità sul
modo migliore per salvare Twilight e Pinkie.
Scostando
la tenda dello stanzino, era certo di piombare in una stanza vuota,
dove i suoi nemici portati alla vita avevano abbandonato la loro
naturale collocazione per prendere il posto nelle schiere della Mimic;
immaginatevi quindi la sua sorpresa quando, riaperti gli occhi dopo lo
schiamazzo iniziale e messo piede al di là della tenda, si
rese conto di essere in realtà circondato da un congrega
smisurata di abiti e manichini, che puntavano dritti la loro attenzione
su di lui.
Il
perché non li avesse notati fin da subito era da impuntarsi
al fatto che era troppo abituato a concepirli come parte
dell’arredamento, e non come una minaccia che potesse ledere
severamente alla sua vita.
Fosse
stato più prudente, sarebbe rientrato mogio, mogio e al
sicuro all’interno dello stanzino, e avrebbe ritentato
l’esperimento dirigendosi questa volta verso una via
più sicura, invece…
Tentò
lo stesso di tagliare la corda, ma prima di riuscirci, venne afferrato
con violenza da un manichino ed estratto a forza dalla nicchia.
La
creatura quadrupede lo lanciò contro un lato della stanza,
facendolo urtare contro vari elementi dell’arredo mentre per
terra si riversavano strumenti da sartoria dallo scopo più
disparato.
Gemette
di dolore quando alcune grucce appendiabiti di metallo –
fredde e pungenti – gli caddero sulla testa costringendolo a
riprendersi dalla confusione iniziale. Allora si rimise in piedi,
indolenzito e con le orecchie che gli fischiavano come l’eco
di un canto di sirena particolarmente stonato.
Vide
che i posseduti gli si stavano stringendo intorno, con passo lento e
risoluto, ormai certi che il draghetto non avesse altra via di scampo.
In
quella situazione, se voleva uscirne illeso, capì di dover
vendere care le proprie squame, e per farlo doveva servirsi dei suoi
rinnovati poteri, che a questo punto nessuno poteva mettere in dubbio
che avesse.
Ma
la domanda che ancora lo affliggeva fu: come?
Si
osservò intorno con la rapidità di un suricato
che sorveglia il territorio, in cerca di qualsiasi elemento potesse
adoperare per levarsi dai guai, ma più era alto il tempo che
sacrificava nella ricerca, maggiore era il vantaggio che ai posseduti
era concesso per avvicinarsi al rettile.
Impugnò
la prima cosa che gli capitò a tiro – una spazzola
per criniere – e senza pensarci due volte la
lanciò con fare deciso verso un gruppo di completi che si
stavano pericolosamente affacciando alla sua sinistra.
Quel
che successe fu che l’utensile scostò il vestito
ai bordi del tessuto, e la sua traiettoria terminò la corsa
a ridosso dell’imponente baldacchino, lasciando Spike con un
nulla di fatto e una minaccia ancora più incombente farsi
via, via più vicina.
“Cos’ho
sbagliato?!”
Si domandò ansiosamente, schiacciandosi con le spalle contro
il muro. “Perché
stavolta non ha funzionato?!”
Si
picchiò la testa per smuovere gli ingranaggi della ragione,
e ad un tratto capì. “Fantasia,
Spike! Usa l’immaginazione!”
Era
vero! Che stupido era stato!
Ora,
tutta la scena vissuta fino a quel momento si era svolta
nell’arco di non più di una decina di secondi, e
anche un solo istante di esitazione in più gli avrebbe
costato la libertà (o peggio), quindi si affidò
nuovamente al suo istinto, augurandosi che questa volta la sua prossima
mossa avesse funzionato.
Prese
in mano una delle grucce con cui la sua capoccia aveva da poco avuto
uno spiacevole contatto ravvicinato e si stupì nel
constatare la particolare forma che l’oggetto richiamava a
sé, se concedeva alla sua mente il permesso di divagare
nella creatività: quella sagoma triangolare, con
l’apice ad uncino che si stringeva da
un’estremità verso il centro, mentre una linea
verticale (od orizzontale, a seconda di come la si guardava) univa i
due vertici dalla parte opposta, gli ricordarono così tanto
la forma di un arco
che decise di stringerla tra le sue braccia nel medesimo modo cui
avrebbe fatto con l’omonima arma.
I
suoi assalitori nel frattempo avanzavano in barba ai suoi intenti, per
nulla colpiti dagli ultimi sviluppi, e questo gli ricordò
che oltre all’arco aveva bisogno anche di alcune frecce.
Ma
la solita domanda tornò a punzecchiarlo: cosa?
Si
guardò di nuovo intorno, col tempo che stringeva come una
morsa sul suo spazio vitale, finché non incappò
in un puntaspilli a forma di cuscino riverso sul pavimento che sembrava
aspettare non altro che di prestargli soccorso.
Da
esso Spike staccò un grosso ago appuntito che
afferrò per la cruna, e che quindi portò al
centro della sottile base metallica della gruccia, allineandolo con
essa e tendendola (incredibilmente) con la stessa facilità
che si sarebbe aspettato da una corda
di arco.
Non
era fondamentale quanto sensata fosse l’azione che stava
compiendo, purché si convincesse che la stava compiendo
nella maniera giusta. I poteri della Mimic avrebbero poi fatto il resto.
Quando
dunque accettò la logica dell’azione, e
rilasciò la corda
permettendo così all’arco
di proiettare la sua freccia
dritto sul bersaglio che aveva di fronte, l’ago
fluttuò nell’aria a gran velocità
ricoperto da una sottile patina di aura magica, che gli
conferì a tutti gli effetti l’aspetto di un dardo.
Esso
quindi si conficcò nel pieno petto di un manichino, che come
privato improvvisamente della sua “essenza vitale”,
si accasciò a terra tornando ad assumere le reali posizioni
della sua forma d’origine.
Gli
abiti e le altre figure equine a quel punto trasalirono, avendo
finalmente compreso che il piccolo drago aveva scoperto come difendersi.
Spike
si mosse più in fretta, stringendo in un unico pugno una
manciata di spilli con una destrezza resa possibile soltanto
dall’emozione; li lanciò uno dopo
l’altro con la sua gruccia verso ciascuno dei posseduti
attornianti, mirando nei punti in cui presumeva si sarebbero trovati i
loro “organi vitali”, stendendoli in questo modo
uno per volta senza dar loro il tempo di fare qualunque cosa, fino a
che nella stanza non rimase altri in piedi al di fuori di lui.
Alla
fine del contrattacco aveva calcolato tredici scocchi, che si erano
conficcati nei corpi di tre manichini e almeno una decina tra capi
d’abbigliamento e completi d’alta classe, che ora
tornavano ad essere solamente un’esanime massa di tessuti,
plastica e polistirolo.
Finalmente
salvo, il drago si mosse con circospezione verso i corpi, tendendo la
gruccia saldamente puntata contro di loro.
Ne
calciò alcuni con il piede, non ricevendo alcuna risposta, e
quindi si rilassò.
Era
stanco e con il cuore in subbuglio. I polmoni che annaspavano in cerca
di ossigeno.
Il
suo primo pensiero al termine di quel bizzarro combattimento fu di
cercare seduta stante un modo per andarsene da lì, quando
un’obbiezione lo fece tornare con i piedi per terra.
“No!
Twilight e Pinkie hanno ancora bisogno di me! Devo tirarle fuori in
qualche modo!”
In
fondo era lui il responsabile di tutto, aggiunse, ed era suo il dovere
di rimediare.
Guardando
con intensità la gruccia mentre la stringeva solidamente,
ora capì di avere tra le mani sia il modo che i mezzi per
farlo, e che altro non gli serviva se non di capire come congiungere le
due cose.
Cominciò
a rovistare in giro – sebbene la violazione degli spazi di
Rarity lo rendesse titubante e restio – in cerca di qualsiasi
strumento gli potesse tornare utile per l’operazione di
salvataggio.
I
cassetti in legno erano quasi tutti scoperti e svuotati, ma in qualcuno
vi si trovava ancora delle cose, e da uno di essi Spike
recuperò una piccola borsetta da viaggio con
un’applicazione a forma di diamante sulla chiusura, che
indossò a tracolla.
All’interno
v’infilò di tutto, dagli oggetti più
ovvi alle intuizioni più folli, provando ad immaginarsi i
mille possibili usi per ciascuno dei materiali che recuperava.
La
stanza del caos organizzato di Rarity era sì stata una
pessima scelta strategica per darsi alla fuga, visto il quantitativo
spropositato di capi che la unicorno era solita stiparvi giorno dopo
giorno, ma di contro, di tutto il negozio era anche il luogo migliore
per rifornirsi dell’equipaggiamento che gli serviva per la
missione.
Arraffato
tutto l’occorrente (cioè quanto la capienza della
borsetta gli aveva consentito; ormai non c’era più
spazio neppure per infilarci una monetina), Spike prese al fine una
matita per il trucco e si traccio due righe di nero sulle guance, per
suggellare in tal modo che era pronto a dar battaglia al nemico.
In
fondo alla rampa di scale per il piano terra la discesa era resa
impraticabile dalla presenza di un abito femminile in canottiera a
maniche corte e gonnellina, che faceva da palo dandogli le spalle.
Tentare
di aggirare quel blocco avrebbe richiesto più tempo di
quanto non ne avesse, e un tiro con l’arco da una tale
distanza avrebbe certamente rischiato di concludersi a vuoto, gettando
alle ortiche la sua speranza di un approccio pulito (dopotutto non era
un tiratore professionista), spingendo così il posseduto a
darsi alla fuga; Spike invece doveva agire d’astuzia, quanto
più ne era in grado.
Per
fortuna aveva una soluzione, a patto che il vestito non fosse
abbastanza sveglio da accorgersi del tranello: nella camera di Rarity
c’era un rotolo il cui colore era quasi della stessa
sfumatura violetta del draghetto, quindi si mise la gruccia di sbieco
sul collo e tornò indietro a recuperarlo.
Una
volta tornato, lo fece rotolare bruscamente sui gradini, fissando con
intensità il tessuto mentre questi si dispiegava;
immaginò in tutta fretta di tuffarsi sulla superficie di un
limpido mare tropicale, in cui avrebbe potuto liberamente sguazzarvi
per scendere al livello inferiore.
Detto
ciò, possiamo riassumere quanto successe nella seguente
maniera:
Spike
vi scomparve all’interno – letteralmente
– dopo essersi accertato di avere portato con sé
tutto l’occorrente.
Nel
frattempo il rotolo arrivava al piano inferiore passando da sotto la
gonna del vestito, che a quel punto sobbalzò allarmato. Esso
di principio vide il cilindro di cartone disfarsi e fermarsi contro la
parete, e quindi si voltò verso le scale in stato
d’allerta.
Quando
vide che in cima alla rampa non c’era nessuno, si prese la
libertà di abbassare la guardia, e si mise a tastare con
puerile curiosità il tessuto, ma fu proprio questa
serenità, alla fine, a costargli il prezzo maggiore: due
mani squamate emersero dalla tela afferrandolo per le pieghe della
canottiera, mentre una lo tirava a sé e l’altra
brandiva saldamente una lima per zoccoli (neppure così
affilata, a voler essere onesti).
L’abito
fu trascinato all’interno della stoffa, dentro la quale si
tenne una breve ed imprecisata lotta dalla quale ne emerse solo Spike,
affaticato ma trionfale.
Durante
la zuffa aveva perduto la lima, ma in borsa aveva sufficiente materiale
per sopperire a qualunque necessità futura.
Si
scrollò di dosso alcune fibre di tessuto viola come fossero
perline d’acqua e avanzò lungo il percorso una
volta accertatosi che nessuno lo stesse osservando.
Proseguire
nel corridoio gli causò non poca inquietudine.
Era
lì che aveva avvistato l’insolito soprabito
volante durante le prime ore della serata (e a questo proposito,
chissà che ora si era fatta?), ed era sempre lì,
in quello sgabuzzino laggiù, che aveva rinchiuso
un’indemoniata Opal prima di comprendere la reale
entità della situazione (e a questo proposito: era ancora
là dentro? Stava bene? Non è che sentisse
freddo?!)
“Oh,
ma a chi accidenti importa?! Ho problemi più seri
ora!”
Stretta
tra le mani la gruccia, carica, tesa e pronta a scoccare alla prima
avvisaglia di pericolo, mentre lui avanzava a passo felpato passando
davanti allo sgabuzzino, udì distintamente i soffi isterici
della gatta che strillava e grattava sulla porta dandogli per lo
più la certezza che l’animale era ancora
intrappolato all’interno.
Aveva
completato metà del percorso quando gli parve di udire un
eco di zoccoli rimbalzare lungo le pareti.
Immediatamente
svoltò l’angolo, e trovò riparo proprio
in prossimità di quel varco oltre il quale si celava il
predatore dalla pelliccia bianca, il quale forse accortosi del suo
arrivo, iniziò ad emettere lamenti e schiamazzi ancora
più rintronanti.
«Insomma,
vuoi startene un po’ zitta, stupida… » “gatta?!”
Disse
a sussurri, ma s’interruppe all’improvviso quando
qualcuno imboccò il corridoio iniziando pericolosamente ad
avvicinarsi.
Sporgendo
la testa per sbirciare al di là, vide un altro di quegli
inquietanti manichini seguito a ruota da un elegante completo, che lui
riconobbe come uno di quelli facenti parte del guardaroba personale di
Rarity: era giallo canarino con drappi che si schiarivano
sull’estremità inferiore, una gemma levigata ad
ovale sul colletto e un ampio cappello a larghe tese con rose e fiocco
azzurro che levitava sostenuto al di sopra della veste, come sorretto
da una qualche testa invisibile che lo indossava.
La
gatta non si sarebbe quietata in nessun caso, e le due figure quasi
sicuramente stavano intervenendo per indagare sul baccano, pertanto
Spike era in trappola… salvo che non fosse stato lui primo
ad attaccare la coppia.
Preso
un altro spillo dalla borsetta, stringendolo tra il dito medio e
l’anulare, mentre con il pollice e l’indice tendeva
la gruccia, decise che avrebbe puntato per primo al manichino, essendo
tra i due l’avversario più pericoloso.
Così facendo, con la giusta distanza e un po’ di
fortuna avrebbe superato incolume anche questo nuovo ostacolo.
Respirò
a fondo e provò a rilassarsi. Le braccia gli dolevano ora
come non mai, ma non era quello il momento per lasciarsi distrarre da
futili lamentele.
Rimase
in attesa che i posseduti avanzassero ancora di qualche metro,
abbastanza da assicurarsi un tiro sicuro, e quando fu convinto della
sua azione, uscì allo scoperto scoccando a bruciapelo il
primo dei dardi.
Un
istante dopo, tre metri più in là, una serie di
spasmi e il manichino fu messo fuori gioco, centrato sul collo
dall’ago, cui l’aura magica ora si spense.
Spike
passò dunque il secondo ago tra le dita e lo
lanciò verso l’abito, che invece di lasciarsi
colpire, lo evitò con gran beffa compiendo
un’agile mossa ondulatoria nell’aria.
Il
drago non se l’aspettò, e per poco non ci rimise
le squame quando l’avversario gli scagliò a sua
volta il cappello, alla maniera di un frisbee.
Per
scansarlo dovette sdraiarsi a terra, mentre il copricapo si piantava
sull’angolo alle sue spalle come l’affilata lama di
un disco rotante.
Mentre
rivolgeva lo sguardo ad esso, con il cuore che si gonfiava a mille mila
nel petto, il posseduto si defilò dalla direzione di
provenienza andando probabilmente a richiamare i rinforzi, o peggio
ancora, avvisare la Mimic della sua posizione.
“Tanti
cari saluti all’approccio Stealth, congratulazioni
Spike!” si
rimproverò da sé intanto che si rialzava da terra.
«Piano
con quello!… Muoviti con cautela!… sciocco, stai
spargendo l’olio su tutto il pavimento!… No!
Cautela ho detto!!»
A
nulla valsero gli avvertimenti della gemma stregata: la latta di
lubrificante che il manichino tentava di stringere con impaccio tra gli
zoccoli anteriori, per oliare le cerniere dello scrigno vetusto,
finì per scivolargli di zampa rovesciandosi il contenuto su
tutto il lastricato.
La
Mimic imprecò, affondando una gamba di divano sul suolo
macchiato di grasso. «Inutili abomini! Ma perché
non vi producono con le corna, perché?!»
Pensò
allora di doversi rivolgere a un altro dei suoi serventi, una canotta
bianca di candida seta: «tu, vieni qui! Prendi il suo
posto!»
La
veste sussultò esterrefatta: sebbene allietata
dall’opportunità di accontentare la sua sovrana,
il compito che le venne richiesto si rivelava impraticabile dal
semplice fatto che essa in realtà NON possedeva le maniche,
e quindi nessun modo per brandire la tanica.
«Come
non detto, lascia perdere!» Grugnì avvilita.
«Dovunque mi volto sono circondata da idioti!»
Poi
aggiunse dell’altro sottovoce. «Quando me ne
andrò, farò in modo di rifilarvi tutti ad un
banco dei pegni! È una promessa!»
In
quel momento la porta del laboratorio si spalancò ed
entrarono in processione il tubino insieme ad una truppa dei restanti
posseduti.
«Portami
buone notizie almeno tu: dimmi che l’avete trovato e che ora
si trova di là con voi!»
Sfortunatamente
per lei, la risposta fu negativa.
La
Mimic ruggì con un verso che era in parte di bestia e in
parte di lamiera corrosa. «È possibile che di
cinquanta individui non siate in grado di mettere insieme un solo
cervello?!»
Il
secondo in comando dei posseduti incassò la critica in
devoto contegno.
«D’accordo.
Andrà a finire che quando avrò i miei pieni
poteri, lo cercherò da me.»
A
un fianco della stanza, un trio di tuniche da cerimonia stava
tracciando con delle penne d’oca alcuni simboli rituali,
sopra una pedana rialzata sulla quale le due pony stavano dormendo
nell’ignavia di ciò che le circondava.
«Voi,
laggiù, quanto altro vi occorre per quelle rune?!»
Di
questi, uno rivolse alla gemma dei gesti sgraziati, che si potevano
tradurre parafrasandoli con: “manca ancora un po’
”
«Siete
più lenti a concludere voi che un giaccone invernale ad
asciugarsi al coperto! Vedete di sbrigarvi, per cortesia!»
Chissà
cosa avrebbero ribattuto le tuniche, se avessero avuto il dono della
parola.
«E
per quanto riguarda voi… » minacciò ora
la schiera del tubino: «Tornate fuori e vedete di restarci!
Non voglio rivedervi fino a quando il drago non sarà in
manica vostra, e assicuratevi che rimanga legato, stavolta!»
La
porta si spalancò di nuovo, e l’abito giallo
fluttuò davanti a tutti con movenze scombinate, come se a
sospingerlo vi fosse una violenta bora autunnale.
Oltrepassò
con poco garbo anche il suo Generale in lustrini, e rivoltasi alla
gemma acquamarina, prese a mimare gesti inconsulti davanti
all’attenzione sgomenta dei presenti.
«Adagio,
adagio! Che cosa è successo?» Chiese la Mimic
nell’intento di capirlo.
Ma
lui continuò, come se non avesse recepito la domanda.
«Un
momento, vai con calma! Ripeti tutto dopo: “manica sollevata
sinistra”.»
L’abito
giallo allora sollevò e poi abbassò la manica,
quindi ripeté – stavolta con più enfasi
e meno clamore – le gestualità di ciò
che tentava di comunicare; in sostanza: un sunto riassuntivo
dell’incontro ravvicinato con il drago fuggiasco.
La
Mimic annuì e mormorò, attendendo la fine.
«E
così il piccolo Spike è pieno di sorprese, eh?
Chi lo avrebbe immaginato. Il confronto si fa dunque
interessante.»
Dietro
la veste gialla, il tubino si stava sfregando le maniche con impazienza.
Lo
guardò e gli disse semplicemente: «Sai cosa
fare.» E lui confermò con un sicuro cenno di
assenso.
Uscì
dal laboratorio portandosi appresso i suoi, e la porta si richiuse da
sé.
La
frenesia nel laboratorio divenne totale: qualcuno che usciva per dare
manforte ai serventi di fuori, qualcun altro che rientrava per adunarsi
tra le guardie della Mimic.
E
la sovrana al suo posto, superba e magnifica, sorrideva pregustandosi
di già lo spettacolo imminente.
«Caro,
piccolo eroe, la tua tenacia rende giustizia alla tua stoltezza, ma
vedremo ora se i tuoi trucchi avranno la stessa efficacia sul campo
aperto. Io nel frattempo me ne starò qui, e ti
attenderò con pazienza… » la sua
espressione si congelò in un ghigno tronfio ed aberrante, di
cui si sarebbe potuto narrare per i secoli a venire «in
fondo, sono abituata ad attendere.»
Si
dice che il cuore dei rettili non riesca mai ad ossigenare ben bene il
loro organismo, colpa forse della struttura del ventricolo che non ne
garantisce una corretta areazione dei tessuti.
Poteva
darsi che era questa la ragione dell’affanno che stava
sentendo Spike, oppure, poteva trattarsi della più banale
paura, che lo costringeva come in una gabbia gettandogli negli occhi
flutti di confusione.
“Ho
riposto troppa fiducia nelle mie capacità e nei poteri dalla
Mimic?”
Si chiedeva mentre avanzava. “Sono
davvero pronto ad affrontare quello che mi attende dall’altra
parte?”
La
borsetta a tracolla gli provocava fitte sulla spalla, a metà
tra un torcicollo e un crampo muscolare, e le dita costantemente
strette sul filo della gruccia piangevano e lo supplicavano di
lasciarle rilassare; e dove non bastavano i segnali del suo corpo, ci
pensavano le emozioni, contrastanti, a persuaderlo di cedere.
Ma
era ormai nel bel mezzo della partita, con premi e penalità
troppo alti per decidere una strada diversa da quella che stava
seguendo.
Davanti
a sé poteva palesarsi la sua condanna oppure la redenzione,
ma se si fosse rifiutato di avanzare, c’era un solo epilogo
al quale avrebbe assistito.
E
quindi si fece coraggio, tra sé e sé,
mormorandosi frasi di conforto e sistemandosi alla bell’e
meglio la borsa addosso; la gruccia allineata con il suo avambraccio.
Avanzò,
oltrepassando quei pochi metri che separavano la codardia dalla dura
realtà…
E
lì li trovò, come se li sarebbe immaginati nel
diorama più tetro del suo pessimismo.
Gli
abiti, informati del suo arrivo, erano posizionati a macchie
disorganizzate su tutto l’atrio, intervallati dai manichini
che mai come adesso apparivano tutti così uguali e pallidi
come spettri.
Vi
vide, in quell’esercito, tutte le personalità che
aveva incontrato nel corso di quella notte: gli abiti che avevano
legato lui e le sue amiche, il Generale in lustrini blu armato di
scialle, e con essi la stragrande maggioranza dell’intero
guardaroba di Rarity.
Nessuno
si mosse nel tempo intercorso durante quel momento, a parte un sospiro
amareggiato di Spike, che con esso espirò tutto
d’un fiato la nube venefica che componevano le sue ansie.
«D’accordo…»
fece per innalzare la sua arma «se proprio dobbiamo
combattere, così sia… »
Ma
che successe all’improvviso?
Qualcosa
lo afferrò da dietro! Qualcosa che le sue orecchie non
avevano neppure captato, che la coda dell’occhio non aveva
intravisto!
Il
soprabito volante!
Le
sue maniche si erano avvolte intorno alle sue braccia come le spire di
un serpente. Lo sollevarono da terra, costringendolo ad abbandonare la
sua preziosissima gruccia.
Lo
condusse verso il centro della hall, in mezzo al più
affollato assembramento dei posseduti.
Da
questo Spike ne dedusse che non si sarebbe limitato a sganciarlo
laggiù per poi lasciarlo alla mercé dei compagni;
come in una rissa, esso lo avrebbe adagiato a terra trattenendolo,
mentre gli altri si sarebbero divertiti con lui come meglio credevano,
senza cedergli alcuna possibilità di difesa.
Sollevò
allora il collo, cercando di rovesciarlo all’indietro quanto
più gli era possibile, e sbuffò una timida
fiammetta arancione sulla superficie interna del soprabito, sperando
così di riuscire a bruciarlo. Ma non funzionò:
troppo piccola era la vampata e molta la sua stanchezza, dopo una
giornata trascorsa a pulire, ordinare… e scappare.
Sbracciando
per liberarsi dalla presa dell’assalitore, si
dondolò in tutte le direzioni fino a che non
riuscì a liberarsi della manica destra, ed infilare
rapidamente la mano all’interno della borsetta.
Ne
venne fuori armato di una piastra per criniere, che sapeva benissimo
come avrebbe utilizzato, avendone già pianificato lo scopo
come di ciascuno degli strumenti contenuti in bisaccia.
Malgrado
il cavo dell’alimentazione stesse penzolando inutilmente
dall’estremità inferiore, al drago
bastò immaginarsela accesa per far si che lo strumento si
riscaldasse dall’interno. Rivolse allora la parte arroventata
verso il tessuto, e lo sferzò impetuosamente brandendola
come fosse una spada!
La
piastra bruciò con la facilità di un panetto di
burro l’estensione del soprabito, aprendo una linea obliqua
che divise l’avversario in due parti, una delle quali
utilizzò per paracadutarsi in sicurezza a livello del
pavimento.
Quando
atterrò, nell’atrio si accese un turbinio di caos.
Non il tempo di un’esaltazione o di una qualche esclamazione
ad effetto, che gli altri posseduti gli furono tutti addosso.
Spike
brandì coraggiosamente la piastra, servendosene per
affettare gli avversari ogni volta che tentavano di bloccarlo. Ma ero
troppi, una legione inestinguibile dalle sue sole ed esigue forze.
Il
puzzo di tessuto bruciato e il fumo gli colmarono il naso e gli occhi,
facendoli lacrimare. Dopo un po’ poté
già considerarsi fortunato se riusciva a respingere a
malapena gli assalti più impetuosi.
Sprizzò
del fuoco per allontanarli da sé, quindi rimise in borsa
l’allisciacriniera, estraendo al suo posto il secondo dei tre
oggetti più ingombranti dall’interno: un phon a
batteria!
Lo
accese, e puntando il bocchettone sul primo gruppo di avversari
schiacciò la regolazione corrispondente al massimo grado
d’intensità, investendoli tutti d’un
poderoso gettito di
plasma infiammato!
Il
fascio termico si proiettò dalla strumento ed
aprì buchi sugli aggressori, come fossero fogli di carta.
Spike
ruotò poi su se stesso il phon di 360° gradi, e si
aprì un varco nelle fila nemiche investendo i restanti con
una spirale concentrica.
Questa
mossa gli fece guadagnare qualche metro di vantaggio, ma non una
rimonta, perché tanti erano gli abiti e i manichini che
ancora erano sugli zoccoli, che le schiere dell’esercito si
erano già rinfoltite di nuovi rimpiazzi.
Alcuni
abiti corsero a spegnere le fiamme che stavano dipanandosi per tutta la
stanza, e che rischiavano di dare fuoco all’intera
abitazione, occupanti inclusi.
Da
questo Spike fu costretto a convenire che un uso ulteriore del phon era
da considerarsi fuori questione.
Corse
a recuperare la gruccia, unica alternativa come arma a distanza
rimastagli nell’inventario. Ma fu proprio allora che qualcosa
gli piombò a pochi passi, scavando un alveare di piccoli
fori asimmetrici nel bel mezzo del pavimento.
Alcuni
abiti, più accorti degli altri sul netto vantaggio del drago
sulle loro schiere, si erano muniti di scatole di applicazioni per
cucito, bottoni e fibbie per cinturini, che ora stavano raccogliendo e
lanciandogli contro a grappoli. Questi, per giunta, probabilmente
alterati nella loro struttura per effetto della Magia, quando colpivano
una qualunque superficie, agivano come le schegge di una bomba
frammentaria,
scavandovi in essa solchi profondi anche diversi centimetri.
Spike
dovette sgambettare a zig zag come una gazzella per sfuggire alla
pioggia di proiettili che gli stavano scaricando contro, e si
rintanò rannicchiato dietro una pedana stringendo tra le
mani la sua preziosa gruccia.
Parte
dei frammenti riuscirono a beccarlo, causandogli dolori atroci sulla
sua povera e ammaccata testa.
Si
lanciò al contrattacco, rischiando di esporsi al fuoco
nemico, e fu in grado di metterne al tappeto alcuni (principalmente
manichini che cercavano di trottare verso di lui) scoccandogli addosso
una manciata di dardi, ma per la maggior parte erano ancora tutti al
loro posto. Anzi, nel giro di pochi secondi altri abiti si unirono ai
lanciatori, portandosi appresso nuovo scatolame pieno di cianfrusaglie
catapultabili.
“Così
non va bene per niente, devo fare qualcosa!”
Per
giunta la sua scorta di aghi stava andando esaurendosi.
Per
avere una speranza di cavarsela, Spike dovette ricorrere ad una
drastica soluzione, che fino all’ultimo si era augurato di
poter evitare.
Le
sue dita tastarono a fondo la borsa, estraendo stavolta una matassa e
due rocchetti di filo da cucito.
Li
srotolò uno ad uno di qualche centimetro, sperando di non
sforare con le tempistiche, e quando ritenne di averne abbastanza, ne
incendiò gli apici in simultanea con il suo fuoco
lanciandoli alla cieca verso le postazioni nemiche.
Chiuse
poi gli occhi e le orecchie, e si rannicchiò in posizione
fetale aspettando che succedesse.
BOOOM!!
BOOOM!!
BOOOM!!
Tre
esplosioni si susseguirono ad intervalli irregolari, accompagnati da
crepitii di vetri infranti e mobilio che si sfasciava.
Il
drago uscì allo scoperto, trovandosi nel bel mezzo di un
pandemonio fatto di cocci di finestre, arredamento in macerie e stracci
di abiti sparpagliati dovunque.
Il
corridoio conservava ancora le sue quattro mura, ma ben poco del resto
era rimasto integro.
“Ops…
forse ho un po’ esagerato…”
Una
testa mozzata di manichino poggiata diritta sulla sua base, lo fissava
all’altezza del suolo con espressione piatta e monotona, ma
dovunque fosse il resto del corpo, nessuno poteva dirlo.
“Rarity
stavolta mi ammazza. Altro che Mimic…”
In
quell’attimo, dal disordine scomposto dell’atrio,
alcuni posseduti riemersero danneggiati, ma ancora frementi di
vitalità. Non gli ci volle molto perché
rinsavissero e tornassero alla carica del povero ed esaurito drago.
“Oh,
ma andiamo!”
Spike
ingaggiò lo scontro tranciandoli uno alla volta con la
piastra per criniere, fino a che da un cumulo di stracci davanti ai
suoi occhi non si materializzò la massima espressione del
suo incubo peggiore, sottoforma di un acuto bagliore azzurro che oramai
conosceva tanto bene quanto le sue unghie.
Rimasti
da soli nell’atrio, Spike da una parte e il tubino di
lustrini dall’altra, questi (che era sì un
po’ bruciacchiato ma assolutamente in gran forma) prima lo
accecò con i fulgori del suo decoro, poi utilizzò
lo scialle per disarmarlo dalla piastra, che quindi getto lontano fuori
dal campo di battaglia.
Infierì
su di lui frustandolo con spietatezza, ogni qualvolta il drago non
riusciva ad evitare una sua sferzata (ed erano molte, più di
quante non riuscisse a scansarne; era così stanco che a
malapena aveva le forze per provare dolore).
Dopo
l’ennesima distrazione si ritrovò nuovamente
disteso lungo a terra.
La
sciarpa si avvolgeva sulle sue gambe e lo trascinava con sé,
come un tentacolo di cefalopode verso il proprio becco.
Questa
volta la stretta era fin troppo decisa perché bastasse
scioglierla con le mani, e Spike non aveva alcun modo di liberarsi.
Ma
un momento? Cos’era quella cosa sfavillante sulla quale i
lustrini del completo si riflettevano nella maniera di un faro in una
notte tempestosa? Bontà Celeste! Poteva forse trattarsi
di… ma sì! Erano senz’altro
delle…
“…
delle forbici!”
Non
perdere tempo a pensarci, forza Spike, prendile e usale!
Quasi
al cospetto – oramai – del diabolico tubino, il
rettile estese il suo piccolo arto sulla direzione
dell’utensile abbandonato e lo ghermì
strenuamente, poiché dalla sua apparente insignificanza
dipendevano le sorti di un intero regno.
Ma
attenzione a questo: perché Spike non se ne servì
nella maniera più ovvia, usandolo per dividere il cordone
che lo univa al suo carceriere! Scelse invece di lanciarglielo contro,
alla maniera di un tomahawk! No, aspettate! Non un tomahawk!
Poiché essi non compiono quella volata a ferrò di
cavallo quando vengono sferrati!
Se
si volesse cercare una corrispondenza al moto ellittico che la forbice
compì nel girare intorno alla stanza, quando poi
tornò indietro conficcandosi sul dorso del vestito, allora
quello fu proprio l’effetto che ci si sarebbe aspettato da un
efficentissimo boomerang!
Ed
era stata la sua scelta migliore, dato che a scagliarla
nell’altro modo sicuramente il tubino avrebbe intercettato
l’arma sul momento dell’arrivo e gli avrebbe
così negato la sua unica possibilità di toglierlo
di mezzo una volta per tutte.
Andò,
invece, che il Generale delle truppe della gemma acquamarina fu colpito
alle spalle da quell’abile lancio, e si spense di fronte a
Spike accovacciandosi al suo cospetto, quando invece tale destino era
serbato al drago.
Spike
aveva vinto, o per meglio dire, aveva trionfato in quella battaglia, ma
la sfida che lo attendeva nel laboratorio della boutique sarebbe stata
ancora più temibile, ora che la Mimic era bene informata del
suo valore.
Si
ripulì di dosso la polvere e il lerciume incollatisi alle
squame, cercando di non arrovellarsi per il putiferio indicibile che
aveva provocato nella Hall dell’amica.
Le
armi che si era perso per strada rientrarono al loro posto, e prima di
proseguire, decise di fare tappa in una stanza adiacente, dove un conto
in sospeso attendeva da diverse ore di essere saldato.
Cucina.
Aprì
il frigo con una serietà nello sguardo che era quasi
maestosa.
Il
parfait di gemme che da tempo si era promesso di mangiare era
lì, nella fedele raffigurazione del suo languorino
più fastasticheggiante.
Prendere
in mano la ciotola fu per lui come vivere un sogno, del quale
però ne andavano deliziati anche l’olfatto e ben
presto il gusto.
Spalancò
le fauci così tanto che avrebbe potuto insinuarvi
l’intero contenitore, fosse stato anch’esso
scolpito nel diamante, e vi rovesciò dentro il contenuto
gustandone appieno i sapori.
A
questo rito dovette concedere solo pochi secondi, poiché
altre faccende richiedevano impellenti la sua attenzione, ma
ciò non gli negò di distrarsi un po’,
almeno per alcuni istanti, in quella deliziante consolazione.
Ingurgitò
la cena con un filo di mestizia mentre gli scendeva in gola, e come
atto finale adagiò il rubino intagliato a ciliegia sul
palato, prendendo a succhiarlo come un lecca-lecca, nel frattanto che
la sfida finale lo attendeva al di là, nel laboratorio
principale.
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