Ad
Anya, per l’affetto che mi mostra ogni giorno e perché senza di lei questo capitolo
non sarebbe mai stato finito. J
I’ll get you
Epilogo: “All together now”
Il quartiere di Chelsea era davvero meraviglioso.
Paul era così entusiasta per essere andato a lavorare e
vivere in quello che era sempre stato considerato il quartiere degli artisti.
Tutto era incantevole, i colori vivaci, i suoni, gli odori… Dio, già lo amava.
Aveva fatto bene a vagare un po’ per le vie
caratteristiche, di ritorno dalla stazione di polizia, ammirando affascinato il
verde rigoglioso dei parchi, il Tamigi che scorreva tranquillo, il
chiacchiericcio degli abitanti del quartiere, gli artisti di strada, i piccoli
negozi di antiquariato…
Aveva anche individuato delle gallerie d’arte che gli
sarebbe piaciuto visitare. Sicuramente agli occhi di qualcun altro sarebbe
apparso come un turista che metteva piede per la prima volta a Londra. In
realtà, vi era stato molte volte, sia per lavoro, sia per conto proprio. Ma non
aveva mai avuto modo di visitare Chelsea. E ora ci sarebbe persino vissuto.
Quanto era fortunato? Aveva una importante carriera
lavorativa, una fidanzata bella e famosa che lo adorava, un fratello
affettuoso, una casa piccola e accogliente…
Certo, non doveva essere questo
ad accendere in lui il desiderio di entrare in "quel" negozio.
Paul stava rientrando a casa, quando si accorse che
proprio lì, di fronte il suo appartamento, vi era un negozio.
Un piccolo negozio di musica dall’aspetto piuttosto
anticato. L’insegna in legno riportava il nome, "Il tempio del
rock".
Paul non seppe perché si sentì attratto da quel luogo.
C'era qualcosa di intrigante nel nome così come nell'aspetto. Ricordavano
entrambi qualcosa di molto antico, qualcosa che Paul stava cercando
disperatamente. Ma non era possibile. Lui odiava la musica!
Allora perché si sentiva attirato verso quel luogo come
se fossero i due poli di una calamita? Non lo sapeva, ma decise che l'unico
modo per scoprirlo fosse entrare e vedere con i suoi stessi occhi cosa ci fosse
di tanto interessante.
Stava per attraversare la strada, quando il suo cellulare
squillò nella sua tasca.
Si fermò davanti casa sua e prese il telefono: era Jane.
Caspita, erano secoli che non prendeva lei l'iniziativa di telefonare. Un
momento così era troppo prezioso. Paul doveva approfittarne.
No.
Rivolse un'altra occhiata al negozio davanti casa. Forse,
pensò Paul mentre vedeva due ragazzini uscire dal negozio ridacchiando con
complicità, avrebbe potuto recarsi lì un altro giorno.
Che cosa stai facendo, idiota?
In fondo il negozio non scappava e neanche il suo
proprietario. Era forse l’uomo che si poteva intravedere dalla finestra?
No, stupido. Devi entrare ORA!
Così Paul scrollò le spalle e si voltò per rispondere a
Jane ed entrare, nel frattempo, in casa.
Solo che al posto della voce delicata della giovane
donna, udì un grido, qualcosa di disperato, un urlo tanto forte che dovette
chiudere gli occhi.
Li riaprì l'istante successivo e la prima cosa che notò
fu il battito accelerato del suo cuore e il sudore che imperlava la sua fronte.
Sicuramente erano entrambi dovuti all'incubo appena avuto.
Era stato un incubo, vero?
Doveva essere un incubo, perché…
caspita, perché nel sogno lui non conosceva John. Non era mai entrato nel suo
negozio e di conseguenza John non era mai entrato nella sua vita.
Mentre quella doveva essere la realtà: Paul
sdraiato nel letto di John, nella camera di John, con le braccia di John
attorno alla sua vita, il bellissimo viso di John a pochi centimetri dal suo e
il figlio di John addormentato tra lui e il padre.
Sospirò dopo aver inspirato profondamente. Sperava con
tutto il suo cuore che fosse quella la realtà.
Non aveva mai fatto un incubo così potente e
sconvolgente, da quando le cose tra lui e John si erano sistemate. Si chiese
come mai. Forse era stato così felice nei mesi precedenti, che il suo inconscio
si stava preoccupando di dargli qualche altro pensiero.
Grazie tante, stupido inconscio, proprio oggi
tra l'altro?
Un lieve mormorio gli comunicò che John si stesse per
svegliare e Paul decise di allontanare quel brutto incubo (perché di un incubo
si trattava) per non farlo preoccupare.
"Buongiorno." gli disse l’uomo, stiracchiandosi
leggermente, facendo attenzione a non disturbare il sonno del bambino.
Questo non gli impedì comunque di stringere appena il suo
braccio intorno alla vita di Paul.
"Buongiorno." rispose Paul, ridendo per il
solletico che gli aveva inavvertitamente causato.
"E buon compleanno." proseguì John, sporgendosi
verso di lui per baciargli la guancia.
"Oh." disse Paul, muovendosi appena sul
cuscino, "Grazie. Ma così farai arrabbiare Julian.”
John aggrottò la fronte, inclinando il capo con
perplessità, “E perché mai?”
“Beh, ha detto di voler dormire qui così poteva essere il
primo a farmi gli auguri.” spiegò divertito Paul.
“A me ha detto di voler dormire qui perché aveva paura
del temporale.”
Paul rise dolcemente, mentre la sua mano si adagiò con
delicatezza sui capelli del bambino per accarezzarli brevemente. Dormiva
sereno, con la testa nascosta nel petto di John, la schiena rivolta a Paul e un
braccio abbandonato sulla vita del padre.
“Oh, è molto furbo.”
“Altroché.” concordò John, “È figlio mio dopotutto.”
“Sì.” rispose Paul, annuendo senza poter distogliere gli
occhi da Julian.
Erano veri, sicuramente era così: John, suo figlio, e
Paul insieme a loro. Doveva essere tutto vero, perché la morbidezza dei capelli
di Julian sotto le sue dita era concreta, e così anche il calore della mano di
John sul fianco di Paul.
L’incubo che aveva svegliato Paul doveva essere finito.
Non poteva essere nient’altro che uno stupido sogno, qualcosa che era stato
prodotto dal suo altrettanto stupido inconscio. Non avrebbe più dovuto
pensarci, rischiava solo di rovinare il giorno del suo compleanno, per non
parlare del fatto che avrebbe fatto preoccupare John, e quella era l’ultima
cosa che voleva.
No, non doveva pensarci. E per fortuna, un aiuto arrivò
proprio dal bambino tra loro, il quale cominciò a svegliarsi e tornare alla
realtà, aprendo i suoi grandi occhi chiari.
Li stropicciò appena, mentre John e Paul gli davano il
buongiorno. Così facendo, permisero a Julian di diventare sempre più
consapevole di dove si trovasse.
"Svegliati, piccolo, è mattina."
A quelle parole, il bambino guardò il padre sorridente,
con occhi ancora piuttosto assonati, ma nonostante questo, trovò comunque
qualcosa da dire.
"Papà?"
"Sì, amore?"
"È vero che non hai fatto gli auguri a Paul prima di
me?”
"Gli auguri di che cosa?" domandò John,
mostrando una finta curiosità.
"Di buon compleanno."
"Oh, è vero!” esclamò John, colpendosi la fronte con
la mano, “Hai proprio ragione. Devo rimediare subito. Buon compleanno,
Paul."
"Ma papà..."
Julian mise il broncio e il dispetto del padre lo fece
diventare subito sveglio e più vispo che mai. John rise divertito, mentre Paul
scuoteva il capo, sconsolato.
"Lascia perdere tuo padre, Julian." disse Paul,
prendendo tra le braccia il bambino per consolarlo, "Se tu non glielo
avessi ricordato, forse neanche mi avrebbe fatto gli auguri."
E così dicendo rivolse la linguaccia a John, che sembrava
ancora deliziato dallo scherzo appena fatto al figlio. Julian rise, notando il
gesto di Paul, e si affrettò a imitarlo.
"Anzi, sai che ti dico?” continuò Paul, “Penso che
papà si meriti una bella punizione, che ne dici, piccolo?"
Il bambino esultò con gioia, essendo totalmente d'accordo
con Paul.
"E sentiamo, di quale colpa mi sarei
macchiato?" domandò incuriosito John.
"Alto tradimento." proclamò solennemente Paul.
"Misericordia.” esclamò indignato John, “Cosa
prevede, dunque, questa punizione?"
Paul ci pensò un istante, prima di sorridere, segno che
avesse appena avuto un’illuminazione.
"Che tu prepari la colazione per tutti e ce la porti
a letto."
"Ma tu guarda.” borbottò John, incrociando le braccia,
stizzito, “E se non avessi alcuna intenzione di farvi la colazione?"
"Allora, noi non ti parleremo più, dico bene,
Julian?" disse Paul, tornando a guardare il bambino appollaiato sul suo
grembo.
"Sì, non ti parleremo più."
"Due contro uno, eh?” sospirò John, decidendo infine
di alzarsi dal letto, “A quanto pare, mi tocca proprio accettare la
punizione."
"Esatto. E ora, fila in cucina.” ordinò Paul,
trattenendo a fatica una risata e indicandogli la porta della camera da letto,
“Meno chiacchere e più lavoro."
"E scommetto che voi mi aspetterete qui..."
"Ovvio, mio caro."
John scosse il capo rassegnato, prima di uscire dalla
stanza, e Paul, sorridendo divertito, strinse a sé Julian che avvolse le
braccia intorno a lui, mentre entrambi si accoccolavano di più sotto le
coperte, per scherzare e giocare e aspettare insieme una succulenta colazione a
letto.
E all’improvviso Paul capì.
Se quella fosse stata la sua realtà, allora era tutto a
posto, perché stava bene così.
Ma se quello fosse stato solo un sogno, allora non voleva
svegliarsi mai più. Era convinto che qualunque realtà lo aspettasse, una volta
aperti gli occhi, non sarebbe mai stata bella come quel sogno, non l’avrebbe
mai reso altrettanto felice.
Così strinse di più il bambino tra le sue braccia, percependo
il suo calore, il battito del suo cuoricino nel suo petto, e per impedire che
il suo corpo si risvegliasse da quel sogno, decise di aggrapparsi a lui.
A Julian e a John.
****
Per Paul il giorno del suo compleanno non fu molto più
diverso dagli altri.
Aveva trascorso una piacevole mattinata con Julian al
parco, mentre John era in negozio con George.
Nel pomeriggio, invece, aveva avuto diverse lezioni con i
suoi allievi. Erano ormai aumentati a quattro, cinque ragazzini che volevano
studiare la chitarra. Paul doveva ammettere che, nonostante l'iniziale
disappunto per quel lavoretto, ora si trovasse abbastanza bene.
Non era di certo facile insegnare a dei ragazzini. Non
tutti erano realmente interessati a imparare a suonare la chitarra. Forse
alcuni di loro erano solo stati costretti dai genitori. Altri invece provavano
una sincera voglia di suonare e migliorare la loro tecnica.
Tuttavia con tutti loro Paul aveva imparato a mostrarsi
severo al punto giusto per farsi rispettare. I ragazzini moderni erano davvero
indisciplinati. Quando si impegnavano, riuscivano a tirare fuori il peggio di
Paul. Per fortuna che col tempo aveva imparato a essere paziente, e il merito
era anche di John. Frequentare John e
suo figlio gli aveva mostrato quanta pazienza potesse esserci in un individuo.
Così lui aveva imparato a cercare la sua, proprio come faceva John con Julian.
Questo era uno dei motivi per cui Paul arrivava sempre
esausto nel corpo, ma soprattutto nella mente, alla sera. E la sera del giorno
del suo compleanno non fu da meno.
Proprio ora stava tornando a casa, o forse era meglio
dire che si stesse trascinando a casa. Era stanco sì, ma era anche un po' giù
di morale.
Non si era fatto sentire nessuno dei suoi familiari per
fargli gli auguri. Né Mike, né suo padre. Ovviamente Paul non aveva più otto
anni, non avrebbe dovuto prendersela perché qualcuno si fosse dimenticato di
fargli gli auguri di buon compleanno. Ma Mike e Jim non erano qualcuno,
rappresentavano ciò che restava della sua famiglia.
Per di più, la sensazione di vivere solo in un sogno non
lo stava aiutando affatto a stare meglio. Insomma, era la realtà, oppure si
trattava di un maledetto sogno? Paul non sapeva più che cosa stesse vivendo.
Non voleva che fosse un sogno. Non voleva aprire gli occhi, svegliarsi e
rendersi conto che John non fosse mai entrato nella sua vita. O peggio ancora,
che John fosse presente nella sua vita, ma non nel modo in cui stava
sperimentando ora.
Come avrebbe potuto resistere?
Paul sospirò, costringendo se stesso ad allontanare una
volta per tutte quello stupido pensiero.
Suvvia, Paul, un sogno non dura così tanto, si
disse.
La notte non era formata da molte ore e sicuramente non
da un'intera giornata. Paul non poteva sognare così a lungo. Era impossibile!
E se in realtà questo sogno non fosse stato concentrato
interamente in una notte? E se ogni volta che si addormentava, Paul ripiombava
in quel sogno nel punto esatto in cui l'aveva interrotto la sera precedente?
No, no e poi no. Era semplicemente ridicolo. Era la cosa
più assurda a cui Paul potesse pensare ora. Sapeva perché stesse provando tutte
queste cose.
Aveva solo paura di essere felice. Di essere davvero
felice.
La felicità era sempre stata un’illusione per lui, non
credeva davvero di essere felice prima di tutta questa storia. Si stava forse
accontentando, aveva accettato tutto ciò che la vita gli aveva donato, senza
mai rischiare per cercare altro. Eppure con John aveva rischiato, aveva avuto
coraggio e aveva sofferto, ma ora, ora provava solo felicità. Certo, non
pensava che la loro vita sarebbe stata priva di difficoltà d'ora in poi, ma se
fossero stati insieme, avrebbero potuto superare tutto. Ne era certo.
Se solo fosse vero…
Oh dannazione!
Doveva sbarazzarsi una volta per tutte di quel maledetto
dubbio che lo tormentava. Era già riuscito a non far preoccupare John quella
mattina; non era sicuro di potercela fare di nuovo, dopo un'intera giornata di
pensieri e domande e dubbi.
Così prendendo respiri profondi, cercò di pensare solo a
cose belle, come per esempio, il suo compleanno. Sicuramente John gli avrebbe
preparato qualcosa di speciale: una cena solo per loro tre e poi avrebbero
guardato un film, accoccolati sul divano e si sarebbero addormentati tutti
insieme questa volta...
Paul stava sorridendo fra sé per l'allettante quadretto
ricreato nella sua mente, quando cercò nella tasca le chiavi dell'appartamento
di John. Lui gli aveva procurato una copia poco tempo prima, dal momento che
Paul aveva cominciato a dormire praticamente ogni sera a casa sua.
Il negozio era chiuso, notò Paul passando davanti al
locale completamente immerso nel buio. Era piuttosto presto per chiudere, e la
cosa lo fece preoccupare un po', ma se fosse successo qualcosa di grave, John
l’avrebbe sicuramente chiamato sul cellulare.
Così si rilassò e aprì la porta. Anche in casa era tutto
buio. Forse John era solo uscito un attimo con Julian, forse erano andati a
prendere un regalo per Paul, perché John si era dimenticato di cercare qualcosa
prima, o forse erano andati a comprare qualcosa da mangiare, o forse-
“Sorpresa!”
Paul quasi saltò per lo spavento, quando accese la luce
in sala.
C’erano festoni e palloncini colorati e una grande tavola
imbandita sopra cui erano sistemati stuzzichini di ogni genere; ma più di
tutto, c’erano le persone a lui più care, gli amici, George e Pattie, i suoi
familiari, Jim, Mike con la figlia e la moglie, e ovviamente John e Julian che
corse verso di lui per abbracciarlo affettuosamente.
Tutti si affrettarono a fargli gli auguri di buon
compleanno, e questo spiegò il motivo per cui nessuno si fosse fatto sentire
durante la giornata. Ovviamente, stavano aspettando la festa a sorpresa.
Una sorpresa che, effettivamente, era riuscita in pieno,
e Paul pensava di sapere chi ci fosse dietro tutta quella storia.
Rivolse a John, rimasto un po’ più indietro rispetto agli
altri, un affettuoso sguardo di biasimo, ma lui si limitò a scrollare le spalle
e sorridere incurante.
Quel sorriso, proprio quello fece sussultare dolcemente
il suo cuore.
Forse, dopotutto, non stava sognando.
In un sogno il cuore non batteva così forte. O perlomeno
non batteva in modo così reale, tanto che Paul lo sentiva persino nelle
orecchie.
E dal momento che era sempre stato John a causare
quell'incantevole sensazione, allora anche lui doveva essere reale.
Giusto?
****
La festa fu la più incredibile che Paul avesse mai
ricevuto.
Le decorazioni erano così allegre, e la musica in
sottofondo era decisamente perfetta, per non parlare dei regali avuti dagli
invitati. Erano uno più bello dell’altro.
George e Pattie avevano preparato addirittura una torta
speciale per lui, con panna, cioccolato e fragole, le quali erano state
sistemate molto abilmente da Julian.
Paul fu molto grato a entrambi. Erano due ragazzi in
gamba e meritavano tutta la felicità del mondo. Da pochi mesi erano stati
dichiarati idonei per adottare un bambino e Paul sperava davvero che al più
presto sarebbe arrivata una piccola creatura nella famiglia Harrison. Se lo
meritavano, dopotutto. E George, finalmente,
aveva superato quella sorta di gelosia che aveva provato all'arrivo di
Paul. Sarebbe stato per sempre il migliore amico di John, qualcosa molto vicino
a un fratello.
A proposito di fratelli, Paul era stato incredibilmente
felice di aver trovato anche Mike alla festa, ma soprattutto che avesse parlato
molto con Jim. Solo pochi mesi prima Paul aveva informato il fratello di aver
“ritrovato” il padre. La reazione iniziale di Mike era stata comprensibile: non
aveva alcuna intenzione di sapere cosa gli fosse successo, né per quale dannato
motivo Paul avesse cambiato idea, quando per tutta la vita aveva affermato di
non volerlo perdonare. Ma di fronte alle insistenze di Paul, Mike aveva ceduto,
aveva ascoltato la storia di Jim e alla fine, aveva accettato di perdonarlo. Era
seguito un primo incontro, dove Mike era stato impacciato tanto quanto Paul, ma
comunque l’avevano superato, anche perché l’evidente felicità di Jim era
riuscita a contagiare anche i suoi figli. E quando si è felici, è tutto più
facile, soprattutto riprendere un rapporto stroncato troppo presto.
Perciò ora, fu un’immensa gioia per Paul vedere Mike e
Jim che parlavano, con la piccola Mary che dormiva beatamente fra le braccia
del nonno.
Non c'era stato bisogno di informare Mike riguardo la
vera natura del rapporto che intercorreva tra Paul e John. Aveva capito da
solo, e la cosa sorprese infinitamente Paul, quando a un certo punto della
serata, si erano ritrovati a parlare solo loro due, come un tempo, come da
piccoli a Liverpool, e Mike glielo aveva detto chiaramente e sembrava averlo
accettato senza problemi.
Ma come aveva fatto a capirlo? Paul ovviamente era certo
che Mike non avrebbe fatto scenate disdicevoli per la loro situazione. Tuttavia
non avrebbe mai e poi mai immaginato che arrivasse a scoprirlo da solo. Nelle
poche volte in cui si erano ritrovati tutti insieme, John e Paul avevano sempre
cercato di essere discreti, almeno fino a quando anche il resto della famiglia
di Paul fosse stato a conoscenza della loro relazione. Solo che a quanto pareva,
l'unico in grado di essere discreto era stato John. Paul non aveva esattamente
ottenuto gli stessi risultati. Tutt'altro! C'era troppo nel suo volto, nel
sorriso speciale che rivolgeva a John, nei suoi sguardi carichi di un
sentimento ben familiare a Mike, nella voce che si addolciva quando pronunciava
il suo nome... E fu tutto questo a dire a Mike quali fossero i veri sentimenti
di Paul. Lui, d'altronde, lo conosceva più che bene.
Ma la sorpresa di questa scoperta non durò a lungo e ben
presto fu sostituita dalla felicità perché ora tutte le persone a lui care
sapevano e condividevano la sua gioia, non lo giudicavano, non lo
allontanavano.
Niente di tutto questo.
Ora andava tutto bene.
Così alla fine della serata, gli invitati tornarono a
casa; Paul li ringraziò uno per uno,
prima di accompagnare il fratello nella sua casa. Sarebbero rimasti lì
per un paio di giorni.
Poi tornò a casa di John e sospirando, chiuse la porta
nel momento stesso in cui John scese dal piano di sopra. Aveva appena portato a
letto un esausto e addormentato Julian.
“Allora?” chiese John, abbandonando la schiena al
corrimano.
“Allora?”
“Ti è piaciuta la festa?”
Paul rise dolcemente e annuì, “Sì, moltissimo.”
“Anche la musica?”
“Soprattutto quella.” rispose, rivolgendogli uno sfacciato
occhiolino.
“E’ un cd che ho fatto proprio per l’occasione, sai.
Sbaglio o l’anno scorso ti avevo promesso una festa con moltissima musica?”
“Oh, era una promessa? Sembrava più una minaccia.”
esclamò Paul, lasciandosi scappare una risata, “Ma ti ringrazio, davvero, è
stato tutto perfetto.”
“E’ la verità?” chiese l’altro uomo, lo sguardo era
diventato serio tutto d’un tratto.
Paul sussultò e batté le palpebre, “Certo, perché dovrei
mentire?”
John lo fissò intensamente per qualche secondo, prima di
avanzare verso di lui, "Perché è da stamattina che sembri strano. È forse
successo qualcosa?"
"No, John, non è successo niente, non ti
preoccupare. Sarà solo l'anno in più." rispose Paul, cercando di ridere
per tranquillizzare John in primis, ma anche se stesso.
Solo che a quanto pare fallì, e John se ne accorse
subito.
"Balle.” sbottò, ora a un soffio da Paul, “Sarò
anche rintronato, vista l’ora tarda, ma sono sempre attento quando si tratta di
te."
"Lo so." rispose Paul, abbassando lo sguardo.
"E sono convinto che tu stai mentendo ora, amore
mio.” gli spiegò John, preoccupato, appoggiando una mano sulla sua guancia,
incoraggiandolo a guardarlo negli occhi, “Perciò, posso sapere che cosa
succede?"
Paul sospirò, sollevando infine il viso verso John. Non
avrebbe mai voluto farlo preoccupare in quel modo: conoscendolo, anche John si
era tormentato per tutta la giornata, dopo aver intuito il turbamento di Paul,
domandandosi cosa fosse accaduto, se fosse stata colpa sua, se fosse stato
qualcosa detto o fatto da John a causare tutto ciò.
Non meritava di essere tenuto all’oscuro, si convinse
Paul, dal momento che proprio John aveva portato la felicità nella sua vita.
"Promettimi che non mi prenderai in giro."
"Perché dovrei prend-"
"Promettilo, John." lo interruppe Paul, portando
un dito sulle sue labbra.
"D'accordo.” sospirò John, alzando gli occhi al
cielo, “Prometto di non prenderti in giro."
"Bene, allora.” disse Paul, annuendo distrattamente
dopo che John si fece una croce sul cuore.
All’improvviso, sotto lo sguardo affettuoso e curioso di
John, tutti quei dubbi che avevano tormentato Paul divennero così… ridicoli.
Pensava davvero che quello che aveva costruito con John, quello che stavano
vivendo insieme fosse davvero solo un’effimera illusione?
“Stanotte ho avuto un incubo." mormorò con un filo
di voce, come se fosse appena diventato timido.
"Che tipo di incubo?" chiese John, interessato.
“Mi ero appena trasferito a Londra per il nuovo lavoro,
ed ero sul punto di entrare nel tuo negozio…”
“Oh, una specie di déjà-vu.”
Paul annuì tristemente, “Ma nel sogno non sono mai
entrato e quindi non ti ho mai conosciuto.”
John aggrottò la fronte, turbato, "Ed era questo
l'incubo?"
“Sì. Quando mi sono svegliato, pensavo che fossi troppo
felice per poter vivere nella realtà. Pensavo che questo fosse un sogno e
quell’incubo la vita vera.”
Paul si morse il labbro, leggermente ansioso mentre
aspettava la reazione di John: una risata divertita, forse, oppure, a dispetto
della promessa fatta, una bella presa in giro in stile Lennon.
Tuttavia John non fece nulla di tutto questo, anzi, lo
attirò a sé, avvolgendo le braccia intorno alla sua vita e sorridendogli
dolcemente.
"Ma, Paul, dovresti saperlo bene ormai."
"Cosa?"
"Che eravamo destinati a incontrarci.” rispose John,
ridendo debolmente, “Se non fossi entrato quel giorno, l'avresti fatto quello
dopo o quello dopo ancora. Che importa? Ciò che conta è che so per certo che ci
saremmo incontrati, in qualunque modo."
"Ne sei sicuro?" ribatté Paul, non ancora del
tutto convinto, "E se ci fossimo incontrati in modo diverso e non fossimo
diventati amici né-"
"Basta, ora." lo mise a tacere John, poggiando
un dito sulle sue labbra, "Te l'ho detto. In qualunque epoca, in qualunque
universo ci fossimo trovati, io ti avrei scelto comunque e tu mi avresti preso
con te, senza alcun dubbio."
Paul si sentì sorridere in modo più rilassato,
permettendo a se stesso di godere del tocco caldo di John, delle sue parole
dolci, del suo tono che come la più lieve delle carezze sfiorava la sua pelle.
"D'accordo, allora. Dimentichiamo questo
incubo."
"È un'ottima idea." mormorò John prima di
chinarsi per baciarlo dolcemente.
E fu quel tenero gesto, insieme a quanto John gli avesse
appena detto, che convinse infine Paul che fosse proprio quella la
realtà. Non era un sogno, non lo era affatto. Anzi, era un sogno, sì, ma
divenuto realtà. E quello era davvero tutto ciò che Paul potesse chiedere alla
vita.
“Mi dispiace di averti fatto preoccupare, John.”
“Non ci pensare.”
“È solo che sono così felice, con te e Julian, felice
come non lo sono mai stato prima d’ora; e nel momento in cui l’ho realizzato,
ho pensato che fosse impossibile che proprio a me fosse stato concesso questo
dono, che questa immensa felicità fosse vera.”
“È vera, Paul, perché noi siamo veri.”
Paul annuì, nascondendo il volto nel collo di John,
lasciando che lui lo tranquillizzasse con le carezze sulla sua schiena e le
labbra che sfioravano la sua fronte. Incredibile come con poche, semplici, giuste
parole John potesse allontanare le sue paure. Certo che loro erano veri, John
era vero e caldo e tra le sue braccia, profumava di buono e di un futuro
con Paul.
“Va meglio?” chiese poi John.
“Sì, grazie, John.” rispose Paul, regalandogli un bacio
sfiorato sulle labbra.
John sorrise e senza timore, fece scivolare la mano in
quella di Paul e intrecciare le loro dita.
“Dai, vieni con me, c’è qualcosa che ti farà dimenticare
questo brutto incubo una volta per tutte.”
“Di cosa si tratta?” domandò Paul, curioso, lasciando che
John lo conducesse di nuovo in salotto.
John non rispose. Si limitò ad avvicinarsi alla libreria
e sfilare dallo scaffale più alto un oggetto che poi porse a Paul. Era una
confezione quadrata, leggermente più piccola di uno dei tanti LP che aveva
John, ma decisamente più spessa, per non dire pesante. Era avvolta in una carta
argentata lucida sopra cui spiccava un bel fiocco blu oltremare.
“E’ un regalo?” domandò Paul.
“Cos’altro potrebbe essere?” rispose John, con una lieve
risata.
“Beh…” iniziò a dire Paul, scrollando le spalle, “In
realtà, pensavo che il regalo fosse la festa a sorpresa.”
“La festa era solo una festa, piccolo, ma è questo il mio
regalo di compleanno per te. O più precisamente, un anticipo del vero regalo.”
Paul aggrottò le sopracciglia perplesso, non riuscendo
proprio a capire cosa potesse nascondersi dietro le parole di John: di solito
era bravo a realizzare cosa frullasse nella sua mente, ma era anche vero che
John sapeva essere così dannatamente misterioso certe volte. Faceva desiderare
a Paul di poter leggere nella sua mente. Eppure come qualunque altra relazione
che si rispetti, Paul capiva anche che fosse giusto un po’ di mistero. Era ciò
che rendeva il rapporto più irresistibile, inebriante, incredibile.
“E’ inutile che ci provi.” disse John, destandolo dalle
sue riflessioni.
“A fare cosa?”
“A leggermi nel pensiero, idiota.” rispose John, dandogli
una leggera pacca sulla spalla, “Fai prima a scartare il regalo.”
Paul rise e alla fine si decise a seguire il consiglio di
John. Si sedette sul divano, impaziente a questo punto di sapere cosa si
nascondesse oltre la carta regalo, e cominciò a togliere prima il fiocco blu e
poi la carta.
Tra le mani si ritrovò quella che sembrava una scatola di
velluto verde smeraldo.
“Aprila.” lo incoraggiò John, accovacciandosi di fronte a
lui.
Paul obbedì. Fece scattare l’apertura e sollevò il
coperchio. Non sapeva davvero cosa aspettarsi, dentro quella scatola, ma di
certo non una scintillante targa di ottone.
“Cosa significa?” chiese titubante.
“Leggi bene cosa c’è scritto.” gli suggerì John con un
cenno del capo.
Paul tornò a guardare la targa e il suo cuore fece un
piccolo salto all'indietro.
C’era un bellissimo pentagramma inciso: era leggermente
ondulato, con una chiave di violino all’inizio, ma al posto delle note musicali
c’era scritto…
“Scuola di Musica Lennon/McCartney?”
“Sì, forse preferisci McCartney/Lennon?” chiese John,
mordendosi il labbro ansioso.
“Cosa... John, non capisco…”
Cosa significava, voleva chiedere, ma all'improvviso Paul
si ritrovò senza parole.
No, in realtà le aveva, le parole, aveva tante domande da
fare a John su ciò che era stato inciso sulla targa, che Paul non sapeva da
dove cominciare.
John sospirò e si
alzò in piedi, solo per andare a sedersi accanto a Paul.
“Lo sai, Paul..." iniziò a spiegare, appoggiando una
mano su quella di Paul, "È da diverso tempo che ci penso. Con il lavoro
che hai fatto con me e quello che fai ora, con tutti quei ragazzini, penso che
dovremmo proprio aprire una scuola di musica."
"Una scuola di musica?"
John annuì, sorridendo, "All’inizio tu potresti
occuparti delle lezioni di chitarra, e quando avremo ingranato un po’, potremmo
assumere insegnanti di altri strumenti musicali.”
Paul non poteva credere che John facesse sul serio, ma
conosceva quel particolare sorriso che ora gli stava rivolgendo. Era quello che
prometteva esperienze elettrizzanti, nonché qualcosa che Paul avrebbe amato
moltissimo.
“John, perché stai facendo tutto questo?"
"Perché so quanto ti piaccia lavorare, ma capisco
che questa situazione sia troppo traballante. Voglio aiutarti a renderla più
sicura. Forse un lavoro che ha a che fare con la musica non sarà ciò che avevi
sognato, ma è pur sempre qualcosa."
"No, John, non è quello il problema." si
affrettò a dire Paul, scuotendo il capo per rincuorarlo, "Voglio dire,
come faremo con tutto il resto? Che ne sarà del tuo negozio?”
“Lo lascerò a George.” rispose prontamente John, "Ne
avrà bisogno."
“E i soldi per questa scuola, dove li prenderemo?”
“Li abbiamo, non ti preoccupare." lo rassicurò John,
"Sono secoli che metto da parte dei risparmi."
"Non posso lasciare che li usi per me."
protestò vivacemente Paul.
"Sì, invece. E comunque non li sto usando per te.
Non solo perlomeno. Li userò per noi. Tu sarai l'insegnante e io mi
occuperò di tutta la robaccia burocratica." rispose John, cercando di
convincerlo, "E poi se non li uso per le persone a cui tengo di più, per
chi dovrei usarli?"
John concluse con una dolce risata e un lieve rossore
sulle guance, e Paul si ritrovò imitarlo. A quanto pareva John aveva pensato
proprio a tutto. Aveva la risposta pronta per ogni domanda di Paul.
“John, sei stupendo, sai." sospirò Paul, "E
anche questo sogno è stupendo, ma-"
"Davvero?" esclamò John, senza curarsi molto
del fatto che Paul non avesse ancora finito la sentenza, "Significa che
accetti?"
"Mi piacerebbe molto, ma abbiamo bisogno di un posto
per la scuola, no? Dovremmo cercare un edificio apposta e comprarlo e-”
“Ce l’ho già.”
La risposta di John, l'ennesima risposta pronta, fece
battere le palpebre di Paul, preso in contropiede.
"E qual è?"
John trattenne a stento un sorriso che aveva una punta di
malizia, e si affrettò a prendere la mano di Paul; lo fece alzare in piedi e lo
condusse verso la finestra che dava sulla strada.
"Vedi? È proprio lì, di fronte a noi." spiegò, indicando
l'appartamento dall'altra parte della strada.
Paul spalancò gli occhi e si voltò verso l'altro uomo,
non sapendo cosa dire. L'unica cosa che sapeva per certo era che gli occhi di
John brillassero come Paul non vedeva da un po', ed era qualcosa che riusciva
sempre a farlo impazzire.
"John, quella è casa mia."
John annuì e tornò a guardarlo, permettendo a Paul di
notare ancor di più quell'entusiasmo che stava muovendo i pensieri e le azioni
di John.
"Lo so."
Paul non aveva mai visto John così, come se fosse un
bambino alle prese con un nuovo, incredibile giocattolo, e il suo stato
d'animo, questa gioia ansiosa, riuscì a contagiare anche Paul, soprattutto
perché la proposta di John prevedeva anche una soluzione che giaceva ora lì,
fra di loro, come una presenza silenziosa fra John e Paul.
"E quindi..." continuò Paul, sorridendo,
"Vorresti sfrattarmi per fare la nostra scuola di musica?"
"Oh no." rispose John, scuotendo il capo,
"Pensavo di offrirti una sistemazione più allettante."
"Del tipo?" domandò Paul, e il sussulto del suo
cuore gli fece capire che in qualche modo lui conoscesse già la risposta.
Ora era giusto che anche Paul ne venisse a conoscenza.
Perciò attese, mentre John prendeva la targa dalle sue mani e la appoggiava di
lato, così da far intrecciare le loro dita.
Poi, finalmente, John parlò.
"Vieni a vivere con me e Julian."
A quelle parole un brivido attraversò Paul. Nacque dalle
mani strette con amore da quelle di John, per cui Paul pensò che forse lo
stesso brivido attraversò anche il suo compagno. Il che lo rese deliziosamente
affascinato.
Non poteva certo dire che Paul non ci avesse mai pensato.
Era ovvio che quell’ipotesi avesse più volte attraversato la sua mente nelle
ultime settimane. Solo che Paul non aveva mai avuto il coraggio di parlarne con
John; era qualcosa che in qualche modo lo spaventava, ma Paul sapeva che in
fondo si trattasse di una paura buona, di quelle che si provano quando arriva
un cambiamento importante nella propria vita, un cambiamento certamente
positivo.
"John, io-" iniziò a dire con voce tremante, ma
John quel giorno aveva sviluppato la sorprendente abilità di riuscire sempre a
interromperlo prima che finisse di parlare.
"Lo so che forse è un po' affrettato.” spiegò John,
gli occhi non avevano mai smesso di brillare con entusiasmo e amore, “Ma perché
rimandare ancora? Ormai dormi praticamente ogni sera da me. E poi ho già fatto
fare una targhetta simile a questa per la nostra cassetta delle lettere."
"Ah sì?” esclamò Paul, ridendo, “E cosa c'è
scritto?"
John infilò una mano nella tasca dei pantaloni per
estrarre subito dopo una piccola, lucida, targhetta rettangolare in ottone,
sopra cui vi era inciso…
"Casa Lennon/McCartney."
Paul sorrise fra sé, prendendo tra le mani il nuovo
oggetto. Sentì che lo stesso calore di John si stava ora impossessando del suo
corpo, perché John sapeva essere impetuoso in modo assolutamente adorabile.
Ogni cosa tra le sue mani diventava la più speciale ed emozionante, come quella
targhetta, come i loro nomi uno accanto all’altro e Paul desiderava solo che
fossero stati così per sempre.
"Sembra un’incantevole prospettiva."
"Lo è." concordò John.
"Allora se abbiamo già la targhetta…” continuò Paul,
avvolgendo teneramente le braccia intorno al collo di John, “Sono costretto ad
accettare, ti pare?"
"Sì, ma solo se lo vuoi davvero.” ribatté John,
stringendolo allo stesso modo.
“John, io ti amo.” sospirò Paul, felicemente, “Come
potrei non volerlo davvero?”
“Beh, ho scombussolato la tua vita..." disse John,
allargando le mani sulla schiena di Paul e avvicinandolo a sé, forse per una
sciocca e inconscia paura che potesse perderlo, ancora.
Paul sapeva che quella paura avrebbe accompagnato per
sempre John, e la preoccupazione che aveva causato in lui quel giorno ne era la
prova. Ma John non doveva avere paura, né del futuro, né di ciò che era
accaduto nel loro passato.
“Tu hai scombussolato la mia vita?”
Forse avrebbero dovuto fare i conti ogni giorno della
loro esistenza con quelle preoccupazioni, John con la sua paura di perdere
Paul, e Paul con la paura di non meritare quella felicità.
“Certo. Io ti sono molto grato, Paul, perché hai portato
ordine nella mia vita.” affermò John,
accorato, “Ma guarda cosa ho fatto alla tua. Il completo opposto. Ho portato il
disordine. Prima avevi una sicurezza economica, una vita normale e ora-”
“Oh, John, smettila, per favore. Tu non hai portato il
disordine.”
Paul sorrise, lasciandosi stringere dalle braccia di
John, in modo che i loro petti si sfiorassero, in modo che il cuore dell’uno
battesse all’unisono e accanto all’altro, come avrebbero fatto per sempre d’ora
in poi.
“Hai portato una cosa molto più importante.”
“Cosa?”
Perché dopotutto, solo questo contava.
Che importanza avevano ora tutte le sofferenze che
avevano affrontato, quei dolori, quelle delusioni, quella solitudine che
avevano attraversato e gettato ora alle proprie spalle?
Che importanza avevano se ora uno aveva allontanato
quelle dell’altro con un soffio?
Niente di tutto questo contava, se ora per Paul non c’era
altro che John.
E il suo amore.
E la sua gioia.
E…
“John, mi hai
portato la musica.”
Fine
Note
dell’autrice: infine ci siamo. Questa long che mi sembrava
infinita all’inizio è giunta alla fine.
Ho avuto molte difficoltà per l’epilogo. Sapevo cosa
dovesse accadere, ma non trovavo le parole. Anya mi ha fatto notare che forse
non volevo farla finire a livello inconscio e mi sa che aveva ragione. Ma da
quel momento grazie ai suoi incoraggiamenti sono riuscita a sbloccarmi e ora ci
siamo. L'inizio del capitolo è preso da quello in cui Paul incontra John per la prima volta, A day in the life. :)
Non sono proprio soddisfatta, non so perché, per cui aspetto
le vostre opinioni decisamente più obiettive delle mie. Magari speriamo anche
in chi ha seguito e non ha mai recensito, che ne dite? J
Grazie a kiki come sempre per
la correzione e il supporto che mi ha dato dall’inizio alla fine.
Grazie ad Anya, ovviamente, che mi ha dato il più grande
incoraggiamento.
Grazie a chiunque abbia seguito la storia, solo all’inizio,
solo a metà, o solo alla fine.
Grazie grazie grazie.
Speriamo di sentirci presto con una oneshot
di Natale, eh? :3
Intanto a presto e buon weekend.
Kia85