Scire nefas — Non è lecito saperlo

di Amens Ophelia
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Settembre
 


 
Ti ricordi quando cominciammo il nostro percorso in questa facoltà? Ignoravamo la reciproca esistenza, eravamo soli e impauriti, con un’infinità di sogni a pesarci fra le mani. Io ho lasciato cadere i miei quasi inizialmente, una volta che ho compreso che il futuro è imperscrutabile, ma oggi mi mancano. Queste dita, a settembre, tremano, fredde e cadaveriche, quando dovrebbero battere su tasti e comporre una tesi che proprio non vuole saperne di vedere la luce. Mentre dovrei occuparmi di un poeta contemporaneo e dei suoi colpi di testa, dei progetti che pianificava e che ha lasciato incompiuti per l’ineluttabilità del destino, riesco solo a concentrarmi sull’osservazione dello schermo nero, spento, del portatile.
Qualche fila dietro di me, nascosta da un dizionario etimologico che fa impallidire, per la sua mole, ci sei tu. E poi c’è lui, ci sono gli altri.
 
Com’è spontanea la tua risata, anche se cerchi di nasconderla! Com’è luminosa la scia che la tua mano traccia, mentre allontani una ciocca di capelli dal volto e la spingi dietro un orecchio, arrossendo! Gesti quotidiani, che su milioni di altre ragazze nemmeno noterei – in lei non li avevo mai scorti –, ma che tu indossi come una rarefatta coltre di Empireo, ben miscelata a ossa e tessuti terreni. Sei imbevuta di vita e di luce.
 
Sei il mio decanter, Hinata. Sedimenta e chiarifica il succo del mio cuore, ti prego! Lascia che le impurità giacciano sul fondo, e che ciò che resta di ancora godibile e inebriante venga a galla, una volta per tutte.
Torna a guardarmi, a sorridermi. Non badare a lui o al resto del mondo, torna da me – da me, il codardo che non ti ha più parlato per settimane, perso a rimuginare sul passato e sul futuro, sulle cabale babilonesi e sulle fotografie che fermentano – marciscono – nel retro della sua mente.
Non ho sogni, non ho futuro, ma ho te, novella Leucònoe. Mesci il mio vino, fa’ di nuovo scorrere il mio sangue, dirigilo al cuore.
Rendi invidioso il tempo e gli occhi che ora ti arridono, perché domani ti potranno solo sognare.
 


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«Tu non chiedere, non è lecito saperlo, quale destino a me, quale a te abbiano dato gli dèi, o Leucònoe, e non interpretare le cabale babilonesi.
Quant’è meglio sopportare tutto quello che accadrà! Sia che Giove ti abbia assegnato ancora molti inverni, sia che questo sia l’ultimo – che ora, su opposte scogliere, consuma il mar Tirreno –, sii saggia, filtra il vino e contieni la tua lunga speranza entro breve spazio.
Mentre parliamo, il tempo, invidioso, sarà fuggito; cogli l’oggi e non fidarti del domani.»
(Orazio, Carmina I, 11)

 
Tu credi nel presente, lo so, ma non in te stessa; dovresti, invece, perché le mie mani hanno appena ripreso a muoversi.




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