Liberté, Égalité, Fraternité. di ___Ace (/viewuser.php?uid=280123)
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Liberté,
Égalité, Fraternité.
Un.
Nella
Francia del XVIII secolo, più precisamente durante il corso
del 1789,
ogni tipo di potere immaginabile era riposto unicamente nelle mani
della
Monarchia assoluta, a detta dei nobili e del sovrano, per diritto
divino. Tutta
la società era divisa in tre determinati ceti, o classi
sociali, quali: Nobiltà,
ovvero coloro che più di ogni
altro spadroneggiavano senza limite e giustizia; Clero,
quindi le anime sante che avevano intrapreso la via del
sacrificio, della fede, della devozione e, in teoria, ma non in
pratica, della
povertà; infine, proprio nel gradino più basso
della scala sociale, e anche
della catena alimentare, in poche parole il degrado, si trovava il Terzo Stato, comprendente i poveracci
che non sapevano mai se avrebbero visto o no il giorno a venire.
Quella
classe sociale costituiva la maggioranza degli abitanti presenti a
Parigi, la bellezza del novant’otto per cento della
popolazione, ed era,
inoltre, la classe maggiormente tassata, in quanto l’antica e
ingiusta
tradizione monarchica francese prevedeva dei consistenti ed infiniti
privilegi
per i primi due ceti.
I
cittadini avevano sopportato tanto per molto tempo, senza mai
lamentarsi
e continuando a seppellire vittime di quelle ingiustizie, fino a quando
una
serie di problemi economici non risolti, causa le enormi spese fatte
dalla Corona
e i fondi inviati per la Guerra d’America, avevano provocato
un malcontento generale
e disordini nella popolazione. Dopo la caduta dei prezzi e della
produzione
industriale, una violenta siccità aveva pure provocato la
morte del bestiame.
Infine, un pessimo raccolto aveva decretato un’ulteriore
grande crisi, quella
del pane, così il suo prezzo era aumentato a dismisura e
continuamente,
mandando i lavoratori nella miseria per potersi guadagnare da mangiare.
Per
risolvere la gravissima crisi in cui la Francia era precipitata e
aumentare
le entrate fiscali, la monarchia aveva imposto tasse ad ogni ceto
sociale, ma
nobiltà e clero ne erano state interessate solo in minima
parte. Le nuove
imposte avevano, invece, continuato a pesare solamente sul Terzo Stato
e non
furono quindi in grado di contrastare la perdita del Paese, facendo
aumentare all’inverosimile
il debito pubblico.
L'avversione
dei sudditi francesi, quindi, non aveva fatto altro che crescere
e inasprirsi di giorno in giorno e ad ogni fallimento.
Fu
in quel periodo che si sviluppò una nuova cultura chiamata Illuminismo, la cui filosofia si diffuse
fino ai ceti più alti della società. La monarchia
assoluta francese venne
contrapposta a quella inglese, limitata da un parlamento e da vari
organi
politici interni. Da ciò si diffuse a macchia
d’olio l’idea che il potere
risiedeva non in un’unica persona, ma nell’intera Nazione.
A
conferma di quella corrente rivoluzionaria e a sfavore delle
più alte
classi sociali, quello che era accaduto qualche anno prima al di
là
dell’oceano, ovvero nelle Americhe, aveva contribuito ad
accendere la scintilla
negli animi dei cittadini francesi, arrabbiati e stanchi della miseria,
facendo
crescere in loro il desiderio sempre più grande di cambiare
le cose una volta
per tutte.
*
Paris,
1789.
-Sabo!-
-Portatelo
via.-
-Lasciatemi!
Sabo!-
-Maledetti!
Vi ucciderò
tutti!-
-Legate
anche l’altro,
poi portateli in prigione e rinchiudeteli.-
Era una
fredda e
nebbiosa mattinata di inizio primavera; l’inverno stava
lentamente abbandonando
quelle terre, ma il gelo persisteva e il sole non ne voleva sapere di
sbucare
nel cielo per riscaldare le giornate che, lentamente, si allungavano.
Era
l’alba e le guardie
stavano compiendo il loro dovere, eliminando un seguace dei
Rivoluzionari, un
gruppo di ribelli che, da qualche tempo, stavano mettendo a dura prova
l’ordine
pubblico, incitando la folla alla ribalta contro la Corona e contro il
Re di
Francia. Ciò, per lo Stato, era inammissibile, per quel
motivo ogni fuggiasco o
complice di quei farabutti veniva catturato e giustiziato dopo essere
stato
sottoposto ad un giusto, o quasi,
processo.
Quella
volta la
sfortuna era capitata ad un giovane ragazzo, troppo spavaldo e
coraggioso,
nonché convinto di essere dalla parte della ragione. Si
accompagnava ad un paio
di altri ragazzini, straccioni per la precisione, orfani senza una
casa, e gli
ufficiali si sarebbero limitati a metterli tutti al fresco per un
po’, se solo
lui non avesse opposto resistenza, uccidendo un soldato con un colpo di
rivoltella. E tutto per difendere i due mocciosi che erano con lui.
Ah,
se solo non avessero scelto la fazione sbagliata per la quale combattere,
pensò il comandante della spedizione,
dando le spalle alla Senna, il fiume dalle acque scure e profonde che
attraversava la bella Parigi, accendendosi un sigaro tra le labbra e
ignorando
le urla isteriche dei due prigionieri che non avrebbero smesso tanto
presto di
piangere la morte del loro compagno ormai annegato.
Il
Capitano Smoker era
stato svelto e previdente nell’agire. Aveva intuito che il
ragazzo non si
sarebbe arreso tanto facilmente e, non appena uno dei suoi era caduto,
aveva
provveduto ad intervenire, sparando al nemico e facendogli perdere i
sensi per
il dolore. Era stato semplice poi legargli i polsi e le gambe,
assicurandogli
ai piedi un masso e gettandolo nel canale alle porte della
città dove nessuno
sarebbe mai andato a cercarlo. Era stato costretto a farlo. Era quello
il suo
lavoro, anche se spesso faceva schifo.
Esatto,
proprio quella
parola aveva formulato nella sua mente: schifo.
Quello non era il motivo per il quale si era arruolato anni prima; non
era
l’ideale di giustizia che aveva e per il quale combatteva;
non si avvicinava
minimamente ai suoi principi patriottici. Era solo morte e dolore,
nulla di
più. Quel giovane non era diverso dagli altri che aveva
visto perdere la vita,
ma, dannazione!, era solo un
ragazzo!
Perché aveva dovuto agire in quel modo? Se non avesse dato
di matto forse
avrebbe avuto una possibilità, forse lo avrebbero rilasciato
dopo avergli fatto
scontare qualche notte in cella.
Forse.
Forse. Forse.
A chi
voleva darla a
bere, le cose non sarebbero cambiate e donne, bambini, vecchi, giovani,
nessuno
sarebbe stato risparmiato in quella guerra.
Un brusio
dietro di lui
lo riscosse dai suoi pensieri.
-Capitano
Smoker, il
più grande ha ferito due dei nostri!-
L’uomo
sospirò
esasperato, continuando però ad avanzare verso la strada in
ghiaia, ordinando
svogliatamente ai suoi sottoposti di togliere di mezzo anche quel
piantagrane con
i capelli scuri e di trattenere solo un prigioniero. Lacrime e urla di
un
marmocchio poteva sopportarle, ma pugni e ribellioni no, ce
n’erano già troppe
in giro per la regione, meglio quindi estirpare l’erbaccia
alla radice.
Ad ogni
modo, fece
comunque di tutto per ignorare la sgradevole sensazione di stare
facendo la
cosa sbagliata che lo colse non appena decretò la morte di
un’altra persona.
Era
obbligato a farlo,
era costretto.
-No,
fermi! Vi prego!
Ace! Ace, no! Lasciatelo! Lasciatelo, è mio fratello!-
sbraitò il ragazzino più
piccolo non appena capì la svolta che aveva preso la
situazione, avvolto in una
camicia rossa e logora, tremante e stremato, ma abbastanza forte, o
cocciuto,
da reggersi ancora in piedi, mentre due guardie si allontanavano dal
resto del gruppo
di militari trascinando con forza un altro giovanotto più
robusto, ma
ugualmente malconcio dopo le botte che aveva subito.
Scomparirono
dietro
l’angolo delle mura, addentrandosi nel sentiero che portava
alle fosse comuni.
In quel punto nessuno li avrebbe disturbati dal compiere il loro dovere
di
giustizia.
-Ace!
Ace!- urlava intanto
il piccolo, dimenandosi e tirando le braccia legate dalle catene fino a
far
lacerare la pelle nel tentativo di liberarsi e correre dal suo amato
fratello.
Aveva perso un amico da nemmeno dieci minuti, non voleva rimanere da
solo. Non
poteva andare tutto così male.
Smoker lo
osservò
impassibile, avvolto dal fumo del sigaro che stringeva tra i denti
tanto forte
da poterlo spezzare. Avrebbe davvero voluto fare diversamente e
risparmiarli,
ma non poteva. Aveva anche lui le mani legate.
Stava
cercando di
convincersi che le sue azioni erano per il bene comune, quando il
prigioniero
si voltò verso di lui con gli occhi inondati di lacrime e
l’aria di chi era
appeso alla vita con un filo. Il Capitano gli rivolse uno sguardo
ammorbidito,
quasi di scuse senza nemmeno rendersene conto. Non si curò
di apparire debole,
quella situazione lo aveva fatto riflettere profondamente
sull’idea di bene e
male.
L’occhiata
carica di
odio che ricevette in cambio, però, fu un vero e proprio
colpo di grazia per le
sue convinzioni. Fu quasi come se quel piccoletto avesse fatto crollare
il suo credo con uno sguardo.
Gli aveva
portato via
la sua famiglia, e chissà quante altre volte sarebbe
successo. Le guardie
stavano mettendo a ferro e fuoco Parigi su ordine dei capricci del Re e
tanta
gente moriva inutilmente. Voleva davvero continuare ad essere trattato
come un
burattino? La parte con la quale si era schierato era davvero quella
dei buoni?
Due spari
riecheggiarono in lontananza alle loro spalle, mandando in frantumi i
ragionamenti di Smoker e spezzando il cuore del ragazzino.
Calò un silenzio che
fece gelare il sangue persino ai soldati. Era la calma prima della
tempesta, se
lo sentivano.
Poi un
urlo squarciò
l’aria.
-Ace!-
strillò il
moccioso con tutte le sue forze, tanto che sentì quasi i
polmoni scoppiare
nella cassa toracica, crollando in ginocchio quando non ottenne
risposta.
–Ace!- fece ancora, battendo selvaggiamente i pugni sul
terreno e piangendo
lacrime amare, mordendosi freneticamente le labbra fino a farle
sanguinare, non
sentendo il dolore.
Aveva
perso tutto e
tutti, non aveva più nulla e nessuno, era solo. Totalmente,
completamente e
irreparabilmente solo.
E ne suo
fratello, ne
il suo migliore amico sarebbero ritornati dalla Terra dei Morti.
Volse il
capo al cielo
grigio e nuvoloso, denso di pioggia, e prese l’ultimo respiro
puro prima che i
soldati lo trasportassero di peso verso l’oblio.
-Ace!-
Poi il
buio.
*
Osservava
la scena
nascosta nel folto della vegetazione, silenziosa e attenta, pronta a
scattare
al minimo segnale di pericolo, con le gambe immerse nel pantano e il
freddo
pungente che le trapassava la pelle. Doveva rimanere immobile se voleva
evitare
di essere vista.
Fino a
circa un quarto
d’ora prima aveva guardato con divertimento quelli che
dovevano essere tre
fratelli rotolarsi nel fango della palude, lottando tra loro, ridendo e
schiamazzando, allegri e spensierati. Le erano sembrati così
simpatici che si
era chiesta più volte perché non si decidesse ad
uscire allo scoperto e
presentarsi. Era rimasta malissimo, poi, quando la guardia della
cittadina li
aveva accerchiati, interrogandoli e scoprendoli dalla parte dei
Rivoluzionari.
Se soltanto fossero stati furbi e avessero tenuto chiusa la bocca!
Stavano
combattendo già
da un po’, e lei sarebbe corsa a dare loro man forte ma,
quando era stata sul
punto di farlo, uno sparo le aveva mozzato il respiro, lasciandola con
il fiato
sospeso. Si era coperta la bocca con una mano per celare un lamento non
appena aveva
visto un ragazzo cadere a terra privo di sensi e aveva dovuto lottare
contro se
stessa per non intervenire, rischiando di rivelare così la
sua posizione e
mettere a rischio la copertura del resto della sua compagnia.
-Ecco
dove ti eri
cacciata!- disse una voce dietro di lei, facendola sussultare per lo
spavento.
Fortunatamente aveva dei nervi d’acciaio e si riprese subito,
dando un ceffone
al suo compagno e zittendo le sue lamentele con
un’espressione che non
ammetteva repliche, indicandogli un punto oltre la boscaglia e
mostrandogli
quello che stava accadendo a pochi metri di distanza.
Il
ragazzo, massaggiandosi
la parte lesa e scompigliando così i suoi capelli castani,
si abbassò accanto a
lei per guardare cosa diavolo aveva catturato l’attenzione
della mocciosa,
rimanendo sconvolto quando le guardie francesi legarono un tizio
svenuto,
gettandolo poi nel fiume con le urla degli altri due prigionieri in
sottofondo
che fecero accapponare la pelle a entrambi.
-Per
Dio!- sussurrò con
orrore.
Fu
così che, non appena
gli ufficiali si allontanarono dalla zona paludosa con i due
prigionieri, la
ragazza saltò fuori dal suo nascondiglio, ignorando gli
avvertimenti di Thatch,
raggiungendo la riva e tuffandosi nelle acque gelide
l’istante dopo, agendo
d’istinto e con il cuore in gola.
L’acqua
era ghiacciata,
ma se l’era aspettato e, anche tenendo gli occhi aperti,
faticava a vedere per
colpa della luce del giorno totalmente assente. Si sforzò
comunque di darsi la
spinta verso il fondale con le gambe, usando invece le mani e le
braccia per
cercare a vuoto il corpo del ragazzo che avevano appena spedito a
dormire con i
pesci. Era certa che, a causa del masso, l’avrebbe trovato
sul fondo, perciò
continuò a scendere in profondità e sperando di
venire graziata per quella
volta.
Quando
riemerse con un
corpo privo di sensi tra le braccia, annaspò fino a farsi
notare dall’amico, il
quale fissava il fiume con aria preoccupata, andando avanti e indietro
sulla
riva, indeciso se chiamare i rinforzi o farsi un bagno non previsto
pure lui.
-Grazie
al Cielo!-
sospirò sollevato, andandole incontro non appena la
intercettò e aiutandola a trasportare
il corpo del ragazzo mezzo morto sull’erba in un punto
riparato da alcune folte
piante, lontano da occhi e orecchie indiscrete.
-Che
cazzo ha
combinato?- domandò nervoso, dando sfogo all’ansia
accumulata gli attimi prima,
strappandogli senza troppe cerimonie la camicia e cercando la ferita
per
bloccare l’emorragia, mentre la sua amica si affrettava a
controllare il
battito cardiaco del polso e del collo per fare una stima dei danni e
assicurarsi che il poveretto fosse ancora in vita.
-Thatch,
devi fare
qualcosa!- lo pregò con voce preoccupata, iniziando un
lento, ma efficace,
massaggio cardiaco.
-E cosa?-
sbottò lui,
alzando con fare esasperato le mani al cielo per poi strapparsi un
abbondante
lembo di stoffa dalla giacca e premendolo con cura sulla ferita,
arrestando momentaneamente
il flusso del sangue. –Qui ci vogliono dei punti! E io non
sono un dottore! E,
oh, maledizione!- stava decisamente perdendo la calma.
Non
ebbero il tempo di consultarsi
oltre perché alcune voci li misero in allerta. Il ragazzo
scostò le foglie per
controllare i dintorni, stupendosi quando avvistò due
secondini ritornare sui
loro passi con un ragazzo che si dimenava come un cane rabbioso.
Deglutì
sonoramente,
pensando che se le guardie si fossero accorte anche di loro, non
avrebbero
fatto una bella fine. E tutto per salvare il culo a due francesi mangia
baguette!
Strinse i
denti e si
voltò a guardare a che punto era la sua collega, lanciandole
un’occhiata severa
quando quella si accorse della sua attenzione. Lei sembrò
leggergli nel
pensiero perché sospirò stancamente, andando
avanti con la sua opera di
salvataggio. Sapeva benissimo che la compagnia non voleva immischiarsi
nelle
cause del paese, non erano cose che li riguardavano, ed era consapevole
che i
francesi dovevano arrangiarsi. Avevano ragione nel dire che non era la
loro
guerra, ma non riusciva a capire perché mai doveva lasciar
soffrire i più
deboli quando aveva la capacità di salvarli e aiutarli.
-Volevano
ucciderlo.-
spiegò allora, -Non potevo lasciarlo morire in quel modo.-
-Non sono
affari
nostri, lo sai.- le ricordò, tenendo d’occhio la
situazione che si stava
svolgendo ad una decina di metri dal loro nascondiglio.
-Dovrebbero!-
ribatté
con furore, continuando il suo lavoro, sussurrando preghiere sconnesse
e
supplicando il moribondo di non morire. Gli slacciò il
cravattino blu che
teneva legato malamente al collo e gli prese il viso tra le mani,
forzandogli
le labbra per posarvi poi le proprie e donargli la sua aria con
l’intenzione di
liberargli i polmoni. Doveva essere veloce e precisa, così,
passando poi a
premere sul petto con i palmi, si sentì meno in ansia quando
vide che la
procedura diede l’effetto sperato e il ragazzo
rigettò tutta l’acqua che aveva
ingerito nel fiume.
Gli
sollevò il busto,
tenendogli il capo inclinato verso di sé quando quello
iniziò a tossire, mentre
Thatch tentava di tenere fermo il corpo scosso dagli spasmi.
Ebbe
paura solo per un
attimo, ovvero quando si sentì afferrare saldamente il
polso, ritrovandosi due
occhi spaesati, ma fiammeggianti, incastrati nei suoi.
-C-chi
se-ei?- si sentì
domandare in francese.
Con calma
e gentilezza
si liberò dalla presa salda, accarezzando i riccioli biondi
del giovane appiccicati
alla fronte per tranquillizzarlo, riuscendoci un pochino.
-Sono
Koala.- gli
rispose, sperando di farsi capire, vedendolo sempre più
confuso. Conosceva la
lingua, ma non la parlava ancora in modo perfetto. -Non preoccuparti,
penso io
a te.-
Sabo
annuì, non sicuro
di aver capito bene quello che stava accadendo attorno a lui, ma il
dolore che
provava era allucinante e la stanchezza accumulata nei giorni
precedenti gli si
riversò addosso tutta in quel momento, perciò si
lasciò andare, chiudendo gli
occhi e cadendo in un sonno profondo.
-Abbiamo
fatto una
cazzata, ma almeno non l’abbiamo fatta per niente.-
ironizzò il giovane uomo
dai capelli castani scompigliati e i vestiti, in altre occasioni sempre
in
ordine, disastrati, ma venne interrotto dalle parole delle guardie, le
quali
stavano in piedi davanti ad un giovanotto traballante e
dall’equilibrio
incerto, ma con lo sguardo fiero, intoccabile e carico di sfida.
-Inginocchiati.-
gli
ordinarono, ma quello scosse il capo seccamente, sputando a terra.
-Merda,
lo ammazzeranno
di sicuro.- borbottò Thatch, guardandosi attorno alla
ricerca di qualcosa che
potesse aiutare quel disgraziato. Non gli piaceva disubbidire agli
ordini, ma a
quanto pareva la nuova arrivata non sembrava capire il concetto di ‘non immischiarsi negli affari
altrui’,
e a lui, personalmente, non piaceva veder morire la gente innocente.
Quindi, a
conti fatti, entrambi avevano trasgredito alle regole.
-Non mi
piegherò mai a
nessuno!- affermò nel frattempo il ragazzino, fissando una
guardia che gli
puntava contro una pistola.
Thatch
imprecò e Koala trattenne
il fiato quando il primo sparo sovrastò il resto dei rumori
attorno a loro.
*
Ad Ace
non era mai
importato di vivere.
Era
cresciuto in una
bettola situata nella periferia di Parigi, nella Rive
Droite, poco lontano da Montmartre,
il quartiere più malfamato, dove svettava fiera
l’icona della perdizione e del
peccato.
Ad ogni
modo, tutte
quelle balle le raccontavano le madri amorevoli ai figli viziati, nella
speranza di tenerli lontani dal pericolo e da una vita senza un futuro,
ma Ace era
sempre stato convinto che non tutto era bianco o nero. Certo, anche
lui,
all’inizio, aveva creduto che non valesse la pena vivere a
lungo perché al
mondo non c’era nulla di bello o di interessante. Non
c’era da stupirsi di quel
suo pessimismo, tutti gli orfani parigini di quell’epoca
crescevano con la
consapevolezza di dover morire abbastanza presto, non avendo famiglia,
lavoro o
qualcuno a cui fare riferimento. Se poi eri pure il figlio di un
criminale,
allora le prospettive non erano rose e fiori. Fortunatamente per lui,
però, la
vita era stata magnanima e, anche se aveva patito un’infanzia
non felice,
durante la sua adolescenza era stato così fortunato, anche
se lui continuava a
considerare quell’incontro una sfortuna, da conoscere delle
persone che gli
avevano cambiato l’esistenza in meglio.
Colui che
occupava
buona parte del suo cuore era Rufy, un ragazzino di tre anni
più piccolo e con
un temperamento degno di un combattente. Era stata la sua spina nel
fianco per
mesi, lo aveva seguito e pedinato ovunque, lo aveva stressato fino
all’esasperazione con la sua voce, la sua presenza e quelle
assurde frasi come ‘ehi, diventiamo
amici!’ che Ace non
voleva ascoltare. Alla fine, però, il piccoletto era
riuscito nel suo intento,
e il ragazzo più grande aveva dovuto arrendersi, accettando
l’idea di aver
acquisito un fratello a cui badare.
Poi era
arrivato anche
Sabo, il quale, con la sua calma e pazienza, aveva conquistato la
simpatia di
Ace, più restio a fare amicizia con chiunque, e i tre erano
diventati inevitabilmente
inseparabili.
Erano dei
terremoti,
conosciuti da tutti nella città bassa e nei quartieri
più poveri. Gironzolavano
indisturbati per le vie, guadagnandosi il pane facendo qualche
lavoretto e
vivendo sotto lo stesso tetto in un’adorabile catapecchia al
limitare delle
mura, dalla quale si godeva la meravigliosa vista della
città e
dell’agglomerato urbano assieme a tutti i suoi monumenti.
Stavano bene, erano
felici e al sicuro.
Crescendo
e maturando,
inevitabilmente, avevano abbracciato il pensiero della Rivoluzione con
patriottismo ed erano entrati a far parte della compagnia dei
Rivoluzionari
quasi subito. Si poteva dire che l’idea fosse partita da
loro, più precisamente
da un gruppo di giovani randagi che contava un alto numero di persone,
ma quell’informazione
era difficile da stabilire, perciò la gente mormorava
ipotesi e basta. Erano in
tanti, tutti amici, tutti fratelli, tutti una grande famiglia e Ace non
si era
mai sentito così contento di essere venuto al mondo. Aveva
riscoperto la gioia
di vivere e aveva anche trovato un valido motivo per cui lottare.
Da quando
aveva
incontrato quei ragazzi, aveva appreso che vi erano
un’infinita serie di
sfumature differenti tra i vari colori, lo sapeva, glielo aveva
spiegato Kanjuro,
un artista di strada piuttosto in gamba, e lui si collocava in mezzo a
tutte
quelle differenze. Un giorno la sua vita era azzurra come un cielo
estivo
tranquillo, altre era verde, quindi fresca come una foresta, altre
ancora era
gialla, ovvero divertente come il sole. Capitavano anche giornate
grigie e
tristi, addirittura nere quando era arrabbiato, ma cambiavano sempre,
senza che
lui si annoiasse.
Per quel
motivo, quando
la guardia cittadina gli puntò contro la canna del fucile,
sentì una punta di
delusione accendersi nel petto. Se fosse capitato negli anni addietro
non gli
avrebbe fatto ne caldo ne freddo, ma quei tempi erano finiti. Aveva
delle
persone per cui vivere, doveva lavorare per portare a casa il pane e
doveva
dare tutto se stesso per garantire un futuro alla sua famiglia e a
tutta
Parigi. Se lui se ne andava, chi avrebbe badato a Rufy e agli altri
orfanelli?
E chi si sarebbe scontrato con i parigini che stavano dalla parte della
Corona
nelle piazze della città? E come poteva lasciare tutto nelle
mani dei suoi compagni
Rivoluzionari? Era così ingiusto!
-Inginocchiati.-
gli
ordinò la guardia, incitando a compiere quel gesto con un
movimento secco del
braccio che reggeva l’arma.
Ace lo
guardò con
scetticismo. Davvero credeva che avrebbe fatto come gli era stato
detto? Sul
serio gli avevano appena chiesto di abbassare la testa, di arrendersi
alla
Corona prima di morire?
Mai!, pensò.
Fece una
smorfia
schifata, accompagnando l’espressione con parole dure e
cariche di libertà.
–Non mi piegherò mai a nessuno!- sbottò
furente.
E
fanculo anche la Morte,
aggiunse nella sua testa.
Non ebbe
nemmeno il
tempo di rendersene conto e di dire addio al mondo perché
uno sparo riecheggiò
nell’aria l’istante successivo e Ace si
ritrovò a serrare gli occhi. Si stupì
quando ne sentì un altro l’attimo successivo,
volevano ridurlo a un colabrodo
forse? Rimase ancora più sconcertato, però,
quando si accorse di reggersi ancora
in piedi e di stare impercettibilmente tremando come un fesso, mentre
attorno a
lui le due guardie erano stramazzate a terra.
Morte.
Aprì
prima un occhio
curioso e poi l’altro, rilassandosi e sbattendo le palpebre
confuso, alzando infine
il capo per guardarsi attorno alla ricerca del suo salvatore.
Perché, andiamo,
mica potevano essersi fatte fuori a vicenda. Forse Rufy si era
liberato, o
magari i loro compagni li avevano raggiunti dalla periferia, oppure
Sabo non
era morto, e magari…
Trattenne
il fiato
quando vide uscire una figura estranea dalla vegetazione alla sua
sinistra.
Non si
sentì affatto
tranquillo dato che non sapeva di chi si trattasse; non
l’aveva mai visto prima
quell’uomo dall’aria inquietante. Indossava degli
abiti semplici, ma non per
questo potevano essere considerati poveri; un lungo cappotto pesante
gli
ricopriva buona parte del corpo, una sciarpa azzurra penzolava
disordinata attorno
al collo e sulle spalle e una pistola era stretta nella sua mano
coperta da un
paio guanti.
Lo
sguardo fermo e
l’espressione fredda e distaccata misero Ace
sull’attenti e, se non fosse stato
per l’assurdità di quei capelli, improbabili
ciuffi biondi che sembravano avere
vita propria tanto erano disordinati, avrebbe incassato la testa nelle
spalle
come un cane. E lui non era tipo che si spaventava facilmente.
L’uomo
si avvicinò a
lui così tanto da superare le distanze di sicurezza,
arrivandogli ad un palmo
dal viso e sovrastandolo con la sua stazza. Quando poi estrasse un
pugnale, Ace
ebbe la tentazione di scappare, ma era bloccato. Non poteva proprio
muoversi,
dato che il tizio gli afferrò malamente un braccio,
girandolo di spalle. Temette
di venire colpito alla schiena per poi essere gettato nella Senna, o
peggio,
invece non accadde e la lama passò tra le corde che lo
imprigionavano,
liberandolo e togliendogli un ulteriore peso dal petto.
Si
ritrovò così libero
e, senza rendersene conto, prese una profonda boccata d’aria,
sentendosi subito
meglio, dopodiché si massaggiò i polsi, sorpreso
e allibito, trovando infine il
coraggio, e la sfrontatezza avrebbe detto qualcun altro, di voltarsi e
guardare
in faccia quello strano individuo, venendo ricambiato con
un’occhiata di
sufficienza, come se lui fosse stato un peso. E ciò, per la
precisione, gli
diede parecchio fastidio. Non sopportava di dover alzare la testa per
guardare
le persone e nemmeno essere salvato lo faceva sentire bene. Insomma,
era in
grado di arrangiarsi, lo aveva sempre fatto. E se per
quell’uomo era stato una
scocciatura, beh, avrebbe potuto risparmiarsela.
Così
gonfiò il petto e
lo guardò con superiorità, anche se era parecchio
più basso, ma quello era un
dettaglio che poteva passare in secondo piano. –Avrei potuto
cavarmela da
solo.- dichiarò, notando un sopracciglio biondo e scettico
sollevarsi sul viso
dell’altro. Cos’era, non gli credeva forse?
-Non sei
un po’ basso
per fare l’impertinente?- ghignò il nuovo arrivato
con un forte accento inglese,
scoccando la battuta finale e lasciando Ace a fissarlo con occhi
sgranati e a
rodersi il fegato.
E
questo chi si crede di essere?
*
Le fosse
comuni erano
grandi e maleodoranti buche scavate alla meno peggio nei campi, ormai
diventati
paludi, fuori dalle mura della città, poco lontano dalla
Senna. Abbastanza
vicine, ma non troppo, giusto quello che bastava per non dover faticare
per
seppellire qualcuno e per non beccare malattie infettive come la peste,
la lebbra
o altro.
Quella
mattina le fosse
non videro uno, ma la bellezza di due cadaveri freschi, ancora caldi,
rotolare
con un tonfo sordo all’interno di esse, già colme
di altri uomini a cui era
stata strappata la vita.
Allo
spettacolo
parteciparono, però, anche un gruppo di imbucati, gente
straniera, mai vista
prima e che sperava di poter continuare a mantenere
l’anonimato, ovvero essere
scambiata per un gruppo di teatranti, o addirittura per un circo, fino
a che
sostava nei dintorni della capitale.
-Abbiamo
rischiato
parecchio.- constatò un tizio dall’aria
tranquilla, nonostante il significato
pericoloso della frase, incrociando le braccia dietro la testa e
stiracchiandosi, mentre un altro accanto a lui osservava apatico le
fosse,
giocherellando con una pistola nera tra le dita.
-Mai
quanto loro.-
rispose semplicemente, indicando con il capo le due figure che erano
scampate
per un soffio alla morte, lasciate alle cure del resto della loro
combriccola.
-Quel
Sabo è stato
estremamente fortunato.- affermò Thatch, sentendosi in
dovere di sorridere.
–Non sei d’accordo, Marco?-
Il
diretto interessato
annuì, dando le spalle a quelle tombe all’aria
aperta e dirigendosi verso quei
due poveri sventurati per informarsi delle loro provenienza e, se fosse
stato
necessario, minacciarli per evitare che svelassero la loro presenza a
chi non
doveva sapere nulla.
-Se la
caverà?- stava
chiedendo il ragazzino moro che avevano salvato qualche attimo prima,
inginocchiato accanto al corpo bagnato fradicio del suo amico quasi
morto per
annegamento.
-Lo spero
tanto.-
sussurrò la ragazza minuta vicino a lui, impegnata a
fasciare la ferita al
fianco della vittima svenuta per il troppo sangue perso. –I
polmoni sono
liberi, ma è molto debole. Vediamo come si comporta nelle
prossime ore.- spiegò
con professionalità, non curandosi del freddo pungente e dei
suoi abiti
inzuppati d’acqua che le si erano appiccicati alla pelle come
anche i capelli
castani. Era il prezzo da pagare per essersi tuffata nel fiume per
evitare un
altro omicidio di un innocente, riuscendo a recidere la corda legata al
masso e
a riportare in superficie il Rivoluzionario appena in tempo.
-Ti
prego, tu lo devi
salvare.- disse ad un tratto Ace, dopo essersi mordicchiato le labbra
con
incertezza, afferrandole saldamente un polso e supplicandola con gli
occhi.
Dopotutto non sapeva nulla su quella femmina, ma era anche vero che
aveva
rischiato grosso per aiutare Sabo, quindi il minimo che poteva fare era
fidarsi
di lei.
A Koala
quasi si spezzò
il cuore.
-Farò
tutto quello che
posso, te lo prometto.- affermò.
-Grazie.-
mormorò a
quel punto Ace un po’ sollevato, permettendosi solo allora di
riprendere a
respirare, guardandosi attorno spaesato.
Era
ancora scosso per
gli avvenimenti di quella mattina e per aver visto letteralmente la Morte in faccia, così gli ci
volle
qualche attimo per mettere a fuoco la zona e riconoscere il luogo. Si
trovava
al limitare delle paludi venutesi a creare con le piogge torrenziali
del
periodo invernale e con l’ormai nulla pulizia della
città da parte degli
addetti. Erano numerosi e maleodoranti stagni, circondati da una non
indifferente boscaglia fatta di erbacce, cespugli e alberelli
scheletrici ed
inquietanti. Nessuno si azzardava ad avvicinarsi, becchini a parte,
ovviamente.
La Senna
attraversava
quel degrado, ed era proprio sulla riva di essa che si trovava Ace,
stremato,
psicologicamente turbato e incredulo. L’ansia accumulata gli
avevano lasciato
addosso un senso di stanchezza pesante, mentre la preoccupazione per la
sorte
incerta di Sabo lo stava logorando.
Guardò
il viso contorto
dal dolore dell’amico e provò un senso di profonda
angoscia. Non poteva
rimanere fuori al freddo in quelle condizioni, altrimenti oltre alla
ferita
d’arma da fuoco si sarebbe persino beccato il colera, o
peggio, visto e considerato
che si trovavano vicino alle fosse comuni.
Stava
pensando a cosa
fare per trasportarlo senza rischi a casa, quando due uomini gli si
avvicinarono chiacchierando.
-Te
l’ho detto, mi sono
voltato e non l’ho più vista, così sono
andato a cercarla e l’ho trovata qui
dietro. Poi mi sono accorto delle guardie e mi sono nascosto pure io,
ma lei dopo
si è tuffata nel fiume perché le era venuta
voglia di andare a pesca ed è
riemersa con quello! Cosa dovevo
fare? Era mezzo morto, accidenti!-
Un
ragazzo che doveva
essere sulla trentina finì la sua contorta spiegazione con
un gesticolare
continuo di mani e guardò il suo compagno che gli stava
accanto con
un’espressione carica di aspettativa, volendo praticamente
sentirsi dire che
aveva agito bene.
L’altro,
però, non
sembrava essere dello stesso parere e glielo comunicò senza
tanti giri inutili
di parole. –Dovevi prendere Koala e trascinarla via prima che
combinasse
sciocchezze. Sei più grande, avresti dovuto farti
rispettare.-
-Che
cosa?- sbottò il
castano. Poi si rivolse alla ragazza alla ricerca di un qualche
sostenimento. -Ehi,
ma l’hai sentito?-
-Marco,-
disse allora lei
con fare sconsolato e senza staccare gli occhi dal ferito, -Per favore,
non
adesso.-
Per
Thatch fu chiaro
fin da subito che non avrebbero risolto nulla se avessero deciso di
caricarsi
in spalla Koala e riportarla all’accampamento, quindi
andò a piazzarsi vicino a
lei in modo da rendere chiaro anche al fratello da che parte aveva
deciso di
stare. Il biondo, infatti, non tardò a rivolgergli
un’occhiataccia, ma sapevano
entrambi che alla bontà della giovane non resisteva nessuno.
Ace
guardò come il
ragazzo che rispondeva al nome di Marco sospirasse stancamente,
passandosi una
mano tra i capelli mentre ragionava sul da farsi. –E va
bene.- dichiarò
sconfitto, -Ma lo spiegate voi al babbo.-
Quando
poi vide i tre
sconosciuti armeggiare per sollevare il ferito, si fece prendere dal
panico e
un forte senso di protezione si impossessò di lui.
–Cosa
credete di fare?-
sibilò, scattando in avanti e coprendo con il busto il corpo
inerme di Sabo,
impedendo così agli altri di spostarlo. Non avrebbe permesso
a nessuno di loro
di portarglielo via. Chi erano poi quelle persone? Da dove erano
spuntate
fuori? Erano chiaramente degli stranieri dato l’accento e la
poca conoscenza,
quasi nulla per quanto riguardava il castano, del francese, per cui,
per quanto
ne sapeva, potevano essere contrabbandieri, zingari, rapitori o spie in
incognito. Forse volevano catturare entrambi per venderli o consegnarli
alla
polizia locale. No, non poteva rischiare di mettersi ulteriormente nei
pasticci. Sabo era in fin di vita, lui era piuttosto acciaccato e dalle
paludi
alla Rive Gauche, ovvero
dall’altra
parte della città, c’era parecchia distanza.
Doveva conservare le forze e
liberarsi di quegli impiastri.
La
ragazza cercò di
calmarlo, parlando con un tono dolce, ma allo stesso tempo deciso.
–Il tuo
amico ha perso molto sangue e se non curiamo la ferita la sua
condizione
peggiorerà sicuramente. Vogliamo solo portarlo al caldo e
all’asciutto per
aiutarlo.-
Ace la
fissò per
qualche istante, decidendo se crederle o meno.
-Lo
porterò a casa sua e lo
curerò allora.- dichiarò secco,
vedendola scuotere il capo sconsolata.
-Non
resisterà così a
lungo.- gli fece notare a quel punto Thatch, il quale lo osservava
dall’alto
con le braccia incrociate al petto e un’espressione
enigmatica sul volto,
chiaro segno della sua indecisione. Stava infatti pensando al modo
migliore per
liberarsi del moro e aiutare Koala a trasportare il poveraccio
all’accampamento
a un paio di kilometri da lì.
-Ho detto
che lo
porterò io al sicuro
dove è giusto
che stia!-
Ace non
ammetteva
repliche e, da come mostrava i canini, quasi come un animale selvatico,
Marco
ebbe la conferma che non avrebbero risolto niente continuando a parlare
con le
buone. Prese la sua decisione, ovviamente senza consultare Thatch, il
quale
glielo fece notare durante il cammino verso casa, così,
sospirando quasi con
fare annoiato, estrasse la pistola che teneva nascosta dietro la
schiena e,
senza alcun preavviso, colpì violentemente alla testa Ace
che cadde a terra
svenuto ed innocuo.
-Adesso
non morde più.-
fece con nonchalance, rimettendo a posto l’arma sotto gli
sguardi attoniti dei
due compagni, i quali lo fissarono a bocca aperta, senza parole.
Fu Thatch
a riprendersi
per primo. –Ma sei impazzito? Non serviva arrivare a tanto!-
Marco gli
rivolse
un’occhiata in tralice. –Datti una mossa e aiuta
Koala, a lui ci penso io. Faremo i conti a
casa.-
Detto
ciò, o meglio,
dopo quella minaccia velata che prometteva future torture e strigliate
di capo
sia per Thatch che per Koala, il più grande si
caricò senza sforzo Ace in
spalla e si inoltrò nella palude, diretto verso la base.
L’unico
suo pensiero
era rivolto a cercare il modo migliore per spiegare al resto della
famiglia che
la loro copertura rischiava di saltare.
*
-Brucia,
bellezza.
Brucia!-
La
sommossa non era
iniziata nemmeno da mezz’ora e già le strade basse
pullulavano di civili
incazzati che scorrazzavano senza ordine e allo sbaraglio, scontrandosi
contro
qualsiasi ufficiale che si parava di fronte al loro cammino con
l’intento di
sopprimere la momentaneamente piccola rivolta che era scoppiata.
Un gruppo
di uomini ci
era andato giù pesante, al cantiere. Certo, anche lui non
era stato da meno e
quando quel soldato gli si era avvicinato con l’intento di
perquisirlo,
puntandogli il fucile contro, non ci aveva più visto e si
era lasciato prendere
un po’ la mano, dandogli una bella lezione. I suoi compagni
di lavoro non erano
stati da meno e si erano subito lanciati addosso al resto della truppa
che era
passata dalle parti del cantiere per le solite ronde. Da lì
era cominciato
l’ennesimo scontro tra popolo e classi elevate.
Proprio
quello di cui
lui aveva bisogno per divertirsi.
Con la
torcia che
reggeva in mano diede fuoco ad un pagliericcio situato in un punto
strategico, causalmente vicino ad
uno dei patiboli
costruiti in ogni piazza e utilizzati per le esecuzioni pubbliche.
Meglio
distruggere quella merda e ridurne il numero il prima possibile ed
evitare di
vedere conoscenti penzolare con il cappio al collo.
L’incendio
divampò
quasi subito e in breve, dopo che una scia di polvere da sparo e
combustibile
venne magicamente sparsa a terra
fino
alla forca, ci fu il botto. Un’esplosione di legno, cenere e
brandelli di
qualche ufficiale che si era trovato nel posto sbagliato al momento
sbagliato
investì i presenti in strada, richiamando ulteriori rinforzi
da entrambe le
parti.
-Bel
lavoro Kidd!- si
complimentò un giovane francese del sud con
l’artefice di quello scompiglio,
affiancandolo e piazzandogli in mano una rivoltella carica,
sorridendogli
complice e incoraggiante.
Il
diretto interessato ghignò
trionfante, gongolando per quelle attenzioni. Era conscio di essere un
fenomeno, ma quando la gente glielo faceva notare si sentiva sempre un
passo
sopra agli altri. E la sensazione di potere gli piaceva immensamente,
anche se
ciò lo rendeva un autentico bastardo.
Le urla
rabbiose della
folla coprivano a malapena il rumore degli spari e delle lame
incrociate che i
più spavaldi avevano il coraggio di utilizzare, scontrandosi
direttamente con
alcune guardie della cittadina, mentre altri si limitavano a fare atti
vandalici, casino e bloccare le strade per dimostrare il malcontento
che aveva
messo radici in ogni casa nei quartieri di Parigi.
In mezzo
alla bolgia,
solo pochi erano entusiasti di tutto quel delirio, ovvero un gruppetto
di
uomini e giovanotti troppo boriosi e poco intelligenti, gente abituata
ad usare
le mani prima del cervello. Erano considerati i carpentieri
più in gamba del
vicinato; almeno, fino a qualche anno prima il pensiero comune era
quello. Con
l’arrivo della crisi e lo schieramento nelle varie fazioni,
quei lavoratori si
erano trovati a scegliere un partito per cui patteggiare e, alla fine,
com’era
stato ovvio, avevano scelto il popolo, la loro famiglia. In quel modo,
considerando gli elementi che componevano quella sgangherata compagnia,
era
stato inevitabile che le forze dell’ordine mettessero fine ai
loro affari,
obbligando il proprietario a vendere tutto e a campare diversamente.
Fortuna
volle che
Franky fosse un uomo dalle mille risorse.
Era
riuscito a
cavarsela aprendo un piccolo baretto e con quello tirava avanti, a
stento, ma
ce la faceva. Aveva ricavato dal cantiere un grande locale che usava
per due
scopi principali: il primo era vendere illegalmente alcolici a chiunque
glieli
chiedesse; il secondo era affittare l’intero edificio ai
Rivoluzionari per le
riunioni importanti.
Quel
giorno si era
ripromesso che avrebbe tenuto chiuso e si sarebbe preso una pausa, ma
le
guardie erano capitate a mettergli i bastoni tra le ruote e lo avevano
fatto
incazzare, perciò non aveva aspettato l’invito e
gli ordini di nessuno e aveva
dato inizio ad una rissa, creando una baraonda incontrollata. Pazienza
se poi i
capi si sarebbero incazzati per la sua intraprendenza, stare con le
mani in
mano a subire ingiustizie non gli era mai piaciuto.
Fu per
difendere il suo
onore che Kidd aveva sferrato il primo colpo all’ufficiale
troppo curioso ed
invadente, il quale si era pure permesso di offendere il miglior
carpentiere
della città. I suoi intenti erano stati nobili, ma i modi
avevano lasciato del
tutto a desiderare. Di certo, non ci si poteva aspettare altro da un
ragazzo
cresciuto per le strade e abituato a sopravvivere e a fare di tutto,
anche
l’assassino su commissione.
Proprio
allora,
schivando abilmente un affondo ben assestato da parte di un soldato,
raggiunse
il centro della piazza, seguito a ruota dalla sua ombra: un tizio dai
lunghi
capelli biondi sciolti sulle spalle e un pessimo gusto in fatto di
abbigliamento, ma Kidd non era nessuno per poter criticare i gusti
degli altri
perché lui per primo era un elemento alquanto particolare e
unico.
Era un
ragazzo che si
notava ovunque andasse. Forse per i capelli rosso sangue, forse per lo
sguardo
sempre corrucciato e diffidente, forse per la costante aria
intimidatoria o per
la sensazione di disagio che incuteva nelle persone, ad ogni modo,
attirava
l’attenzione, sempre.
Kidd si
appiattì contro
il muretto di una delle tre fontane presenti, prendendo fiato e
caricando
l’arma con altre pallottole. Le aveva finite tutte e tutte
avevano centrato il
bersaglio. Stava migliorando, non c’era dubbio.
-Quanti
sono?- chiese
al suo migliore amico, il quale stava calcolando velocemente gli
ufficiali più
vicini alla loro portata, concentrato sulla piazza e sulle figure che
la
riempivano.
-Quattro
alla mia
sinistra. Sei dalla tua parte. Due sono vicini, direi circa cinque
metri.-
disse preciso per poi voltarsi verso il compagno e sogghignare in un
modo
enigmatico che solo Kidd avrebbe compreso. -E ti danno le spalle.-
Bastarono
quelle parole
per far scattare il rosso allo scoperto. Uscì dal suo
nascondiglio, mentre il
biondo pensava agli altri quattro, e corse veloce e invisibile verso i
suoi
bersagli, sfilando due pugnali dalla cintola dei pantaloni e
piantandoli con
decisione e forza nelle schiene delle guardie che, ignare del suo
arrivo,
avevano prestato attenzione ad altro.
Il colpo
fu di tale
brutalità che i due uomini finirono sbalzati a terra con la
faccia sconvolta,
ma priva di vita.
Era in
quel modo che
colpiva Kidd, era quello che aveva imparato a fare vivendo per evitare
di
morire. Il più forte sopravviveva e lui, negli anni, era
diventato molto forte.
Era un bravo combattente, era veloce, era silenzioso e letale. Era un
assassino, ma almeno tornava a casa la sera con addosso la sua
pellaccia.
-Ehi,
Kidd!- lo salutò
qualcuno, sbucando dalla ressa.
-Chi si
rivede! Anche
tu a sgranchirti le gambe, Zoro?-
Un
giovane dall’aria
divertita, gli abiti a brandelli e un paio di spade affilate strette
nelle mani
gli si avvicinò, controllando che non fossero in arrivo
altri inetti leccapiedi
della Corona, salutandolo con un cenno del capo.
-E’
opera tua il botto
di poco fa?- gli chiese col fiatone, segno che si era dato un bel da
fare fino
a qualche istante prima. La prova di tale affermazione erano alcuni
cadaveri in
divisa sdraiati nella polvere a qualche metro da loro.
Kidd
gonfiò il petto
come un pavone, pronto a vantarsi. –Esattamente! Visto che
roba?-
Zoro
scosse il capo,
ridacchiando tra sé e indispettendo l’altro povero
illuso. –Me lo immaginavo.-
ammise, quasi dispiaciuto, sfoggiando poi un sorrisetto malefico.
-Che vuoi
dire?- sibilò
allora Kidd, stringendo i pugni. Non gli piaceva venire criticato,
proprio per
niente. Tutto quello che faceva era perfetto, non sbagliava mai un
colpo, mai.
-Semplice,-
spiegò
Zoro, impugnando con più decisione le spade e guardando
davanti a loro dove, in
fondo alla strada, proprio al limitare della piazza, si intravvedevano
altri
ufficiali diretti verso la mischia di scalmanati che si stavano
scannando lì
attorno. –Se fosse stato Ace non sarebbe risultato tutto
così banale.-
Detto
ciò partì
all’attacco, lasciando il rosso interdetto a riflettere su
quelle parole. Alla
fine si riscosse e, digrignando i denti, trattenendo a stento un
ringhio,
afferrò la rivoltella e prese a sfogare la sua frustrazione
giocando a tiro al
bersaglio con ogni soldato che adocchiava. Doveva tenersi impegnato e
concentrato
sul nemico se voleva evitare di uccidere un compagno d’armi.
Quello
stronzo,
pensò,
sperando che qualcuno desse una lezione a Zoro, ‘fanculo
lui e la sua combriccola di deficienti! Sono mille volte
meglio di Ace!
Improvvisamente,
si
rese conto di un particolare che avrebbe dovuto notare già
da molto, ovvero la
mancanza della presenza di qualcuno.
A
proposito, che fine ha fatto quel moccioso?
*
Era
calata la sera già
da un pezzo sulla bella Parigi. Dopo un pomeriggio passato a creare
rivolte per
le piazze, tutte soppresse con successo dagli ufficiali
dell’esercito, gli
abitanti, quelli scampati alla morte, erano tutti rientrati in casa e
si
preparavano per la notte, mentre per le vie nessun rumore disturbava la
quiete
pubblica.
In un
vicolo poco illuminato,
ma non per questo meno abitato, del tanto frequentato e rivoluzionario Quartier Latin, le luci tremolanti delle
lampade a olio poste fuori dalla porta delle modeste casette a schiera
erano
l’unico segno della presenza di vita da quelle parti.
In una di
queste, in
particolare, l’ultima della via, costruita esattamente a
ridosso delle mura di
cinta, e per quel motivo utilizzata dai rivoltosi come punto di ritrovo
per la
possibilità di entrare e uscire dalla città senza
essere visti, si trovavano un
buon numero di feriti, uomini reduci dalla rivolta del pomeriggio. Chi
con una
gamba rotta, chi con delle ferite d’arma da fuoco o da
taglio, gente che
addirittura si trovava in fin di vita, tutti attendevano con calma il
loro
turno in un’ampia stanza, affidati alle cure di gente ormai
abituata a vederne
di tutti i colori. Quelli messi peggio avevano la priorità
sugli altri, ma
nessuno si lamentava. Non ne avevano il coraggio dato il dottore che si
ritrovavano ad avere.
Il
diretto interessato
uscì dalla stanza in cui operava con
un’espressione soddisfatta stampata sul
viso magro e giovane con uno straccio tra le mani, intento ad
asciugarle e
pulirle dal sangue rappreso. C’era un che di inquietante
nella strana luce dei
suoi occhi chiari, nelle macchioline scarlatte che lampeggiavano come
insegne
sul colletto bianco della camicia, nelle occhiaie scure e nella voce
decisa, ma
i presenti ci avevano fatto l’abitudine e avevano smesso di
fare domande o
sussurrare tra loro.
Il giorno
in cui il
dottore aveva fatto la sua prima apparizione, quando il malcontento
generale
dei cittadini si era acceso come una piccola candela, divampando sempre
più e
causando le prime vittime, tutti gli abitanti dei bassifondi avevano
dato voce
al loro parere, decretando che non avevano di certo bisogno di un
borghese
doppia faccia tra loro. A primo avviso, il ragazzo non aveva nessun
problema,
se non fosse stato per la sua appartenenza alla classe sociale
benestante,
ovvero quella che, per logica e interessi, era più vicina
alla Corona francese.
Ogni
volta che lo
vedevano aggirarsi da quelle parti lo evitavano come la peste o lo
insultavano,
fremendo quando lui non rispondeva o li ignorava bellamente senza
curarsi di
loro, o della loro stupidità che dir si voglia, ma avevano
tutti dovuto ricredersi
quando il signorino si era preso la sua rivincita, salvando le vite
degli
uomini più in vista del ceto popolare. Prima una malattia
incurabile, poi un
polmone perforato ed infine un’intossicazione per
avvelenamento. Era riuscito a
curarli tutti e da quel giorno nessuno aveva più osato
fiatare o aprire bocca
sul suo conto. Non che prima lo facessero apertamente, non
un’anima era stata
tanto stolta da provocare volutamente e apertamente colui che era stato
nominato Il Chirurgo della Morte.
C’era
chi diceva,
quando lui non era nei paraggi, che fosse il figlio del Diavolo; altri
sostenevano di averlo visto praticare magia nera e altri ancora lo
paragonavano
ad una piaga, ma erano tutte dicerie, storie dell’orrore che
si raccontavano
tra ragazzini per spaventarsi a vicenda. Nessuno ci credeva
più ormai, ma il
soprannome era rimasto e, a detta di molti, calzava a pennello con la
personalità del dottore.
-Il
prossimo.- disse
semplicemente il giovane medico, mentre alle sue spalle usciva un
adulto, sostenuto
da un compagno, con un braccio fasciato e una benda
sull’occhio.
Un
ragazzo con un buffo
berretto a visiera e dei ciuffetti ramati e ribelli che gli spuntavano
da sotto
la stoffa gli si avvicinò affannato, gesticolando e parlando
velocemente,
cambiando continuamente discorso e senso logico delle frasi.
Il
chirurgo non perse
nemmeno tempo a starlo a sentire e lo superò, sapendo che
quello gli sarebbe
stato alle calcagna continuando a blaterare, e raggiunse un altro
ragazzo, più
grande e meno stupido, anche lui vestito con cappello e camice
professionale,
il quale stava annotando alcuni dati su un registro che stringeva tra
le mani.
Davanti a lui, sdraiato su una barella improvvisata, giaceva un
energumeno
dall’aria malconcia, sanguinante e privo di sensi.
Quello,
per il dottore,
era oro puro.
-Penguin,
diagnosi.-
chiese sbrigativo, ottenendo una risposta altrettanto veloce e precisa
mentre
si avvicinava all’individuo mezzo morto e iniziava a
studiarlo, fissandolo con
interesse che gli illuminava lo sguardo.
-Maschio,
circa
ventitré anni, francese. Ferita d’arma da taglio
al braccio sinistro con
parziale lacerazione dei tendini e sfregi sulla parte sinistra del
viso.
L’occhio non è stato danneggiato, ma sembra aver
subito molti attacchi violenti
in tutto il corpo. Oh, e un’altra cosa,- aggiunse infine,
sorridendo complice
al suo superiore e ricordandosi di un particolare non indifferente che
aveva
promesso di riferire, -Ha detto che avrebbe preso a calci in culo il
dottore se
gli fosse stato amputato il braccio.- concluse.
I
pazienti presenti che
si erano interessati alla scena rabbrividirono e tornarono a pensare
agli
affari propri quando videro il ghigno sadico del chirurgo prendere
posto sulle
sue labbra.
-Ottimo.
Portatelo
dentro.- ordinò, indicando la sala alle sue spalle. Poi si
voltò alla ricerca
di qualcuno non troppo idiota e abbastanza sveglio da essere in grado
di
portare un messaggio. La scelta ricadde su un moccioso appollaiato per
terra
sul tappeto accanto ad un anziano signore, forse il nonno.
-Tu,
piccoletto,- lo
chiamò, avvicinandosi e accucciandosi per essere alla sua
altezza. I brividi
sulle sue braccia finse di non vederli. –Corri dal Dottor
Chopper e digli di
venire qui a sostituirmi. Io avrò da fare per un
po’.-
Detto
ciò si alzò e
raggiunse i suoi colleghi, pronto per ricominciare da capo con bisturi,
ago e
filo.
-Vediamo
chi prenderai
a calci nel culo quando avrò finito.- sogghignò,
prima di iniziare ad operare
quel tizio dall’aria così, ecco,
qual’era la parola adatta?
Particolare, pensò
il dottore, armeggiando con
abilità e sicurezza con gli strumenti mentre cercava di
rimettere in sesto
l’arto del ferito nel tentativo di non dover essere costretto
a buttare via un
pezzo del suo corpo. Va bene, forse non lo avrebbe gettato per strada e
lo
avrebbe segretamente custodito per fare delle ricerche o per studiare
più
accuratamente i legamenti e i fasci muscolari, ma quelli erano dettagli
che non
era tenuto a spiegare al resto del mondo. Ad ogni modo, aveva preso la
frase
del moribondo come una sorta di sfida, una questione personale in poche
parole.
Non avrebbe di certo dato a quello spericolato con i capelli
assurdamente rossi
la soddisfazione di poter criticare il suo perfetto operato. Mica era
un
novellino arrivato ieri, lui.
In ogni
caso, ne era
incuriosito, soprattutto per l’aspetto fisico. Era troppo
altro e sviluppato
per poter essere un parigino; di quei tempi se si aveva il pane in
tavola si
era fortunati, figuriamoci se tutti erano ben nutriti e grossi quanto
degli
armadi con il cibo che scarseggiava in ogni abitazione. Deve
per forza venire da fuori della regione, ragionò
per conto
suo. Insomma, con quei capelli era
difficile non essersi accorti prima della presenza di un rosso per le
vie di
Parigi. Decise di chiedere informazioni, ovviamente per puri scopi
medici.
-Ehi
Penguin,
raccontami la storia di questo disperato.- fece con tono casuale,
apparendo
annoiato come sempre e non destando alcun sospetto.
Sentendosi
chiamare, il
diretto interessato drizzò le orecchie e si
schiarì la voce, contento di poter
spettegolare un poco. Lui, con la scusa di dover raccogliere dati sui
pazienti,
sapeva tutto di tutti. E poi, quello che stava sotto ai ferri in quel
momento
se lo ricordava particolarmente bene visto che per poco non gli aveva
staccato
la testa dal collo per un moto di rabbia cieca.
-Viene
dal Sud, dalla Côte
d’Azur.-
iniziò di buona lena, -E’ arrivato in
città da circa un mese per offrirsi come
volontario nella causa dei Rivoluzionari. Praticamente è
venuto qui per
combattere. Di sua spontanea
volontà.-
calcò bene le ultime parole per evidenziare quanto
quell’dea fosse stata
assurda e insensata.
Infatti
il dottore
scosse il capo. –Per quale motivo ha lasciato il caldo,
pacifico e accogliente
Sud per venire all’Inferno?-
-Bella
domanda. Potremo
chiederglielo quando si sveglierà.- propose Shachi, il
ragazzino dai capelli
ramati che non sapeva mettere assieme due frasi senza fare confusione.
Forse
era un pochino dislessico, ciò lo avevano capito tutti, ma
portavano pazienza
perché era un nuovo arrivato e anche perché aveva
superato l’esame, ovvero era
riuscito a non vomitare o svenire durante le operazioni del Chirurgo della Morte, conquistandone la
stima, oltre che a un posto di lavoro come assistente infermiere.
Praticamente
era stato nominato l’ombra di Penguin, poco entusiasta di
avere il fratello
minore alle calcagna anche a lavoro.
-Non sono
certo che
sarà cordiale, ma sei libero di provare.- affermò
il capo, chiudendo la
discussione e riprendendo a concentrarsi sulla sua opera di sutura.
Qualche
punto e il braccio sarebbe tornato quasi del tutto come nuovo. Certo,
avrebbe
continuato ad usarlo come sempre e non si sarebbe ritrovato con un
moncherino,
cosa che sarebbe di certo accaduta se a operarlo fosse stato un altro
medico e
non il migliore. Chissà se quel pezzente aveva almeno
qualche soldo per
pagarlo.
-Qui
abbiamo finito.-
dichiarò una volta che la ferita fu ricucita e disinfettata.
–Penguin, come
siamo messi con la faccia?-
-Abbiamo
pulito i tagli
e applicato alcune bende. Non rimarranno segni profondi e
tornerà come nuovo.-
affermò con orgoglio, ma poi una smorfia un po’
amara gli increspò le labbra
sottili. –Anche se devo dire che ha un naso davvero brutto.-
Il medico
sogghignò
beffardo. –Conseguenze di una frattura non sistemata in
precedenza.- spiegò
ironico, lavandosi accuratamente le mani e iniziando a riporre gli
strumenti,
aiutato dai due compagni che, nel frattempo, continuavano a parlottare
tra loro
come due vecchie signore pettegole.
-Se avete
finito di
sfottermi, io vorrei alzarmi.- grugnì ad un certo punto una
voce roca e per
niente divertita alle loro spalle, facendoli sobbalzare. Almeno, Shachi
e
Penguin si sentirono cogliere in fallo, mentre il pioniere della
medicina si
concesse un sorriso deliziato per la piega che stava prendendo la
situazione.
Era incredibile come la professione del medico gli desse
così tante occasioni
per dare aria alla sua lingua biforcuta e velenosa.
Si
girò verso il
paziente, asciugandosi distrattamente le mani e avanzando di qualche
passo per
avvicinarsi alla brandina dove lo avevano operato.
-Già
sveglio dopo
un’operazione? Sorprendente.- disse con sorpresa, o almeno,
questo voleva far
credere al rosso che lo stava fissando in modo decisamente truce, il
quale si
stava domandando se quella sottospecie di mucchio d’ossa con
le occhiaie si
stava prendendo gioco di lui o meno. –E come dobbiamo
chiamare questo uomo così
forte e coraggioso?- continuò con un ghigno il dottore.
Si,
mi sta proprio prendendo per il culo,
pensò la vittima prima di rispondere rudemente.
–Eustass Kidd. Lei chi è?-
-Quello
che non le ha
amputato il braccio.-
-E posso
sapere come si
chiama il coglione che ho di fronte?- sputò Kidd, sollevando
il capo sprezzante
e ponendo lui stesso una domanda, dando così prova della sua
poca grazia, cosa
che i tre medici avevano già dedotto in precedenza.
Il
ragazzo davanti a
lui fece una risata bassa, ma abbastanza sinistra da far accapponare la
pelle,
soprattutto per l’espressione contorta che assunse
successivamente, quasi simile
ad un sorriso demoniaco che ad altro, almeno, quello fu il pensiero del
rosso.
Non che lui avesse avuto paura, semplicemente sentiva che
quell’individuo non
era uno di cui potersi fidare. Non gli piaceva, ecco.
-Mi
chiamano Il Chirurgo della Morte,-
spiegò quello,
beccandosi un’occhiata curiosa da parte di Kidd che sembrava
non credere ad una
parola di quello che gli era appena stato detto.
Questo
è un pazzo esaltato,
si disse, pronto a prendere la sua roba e andarsene, ma poi il pazzo gli fu accanto in un attimo e
si ritrovò a chiedersi se con quella faccia macabra non
avesse sul serio
meritato quel nomignolo. Ripensandoci, gli calzava a pennello.
-Sono
Trafalgar Law.- si
presentò ghignando, -Lo tenga a mente, Monsieur
Eustass-ya.-
-E’
Eustass.- si premurò di
chiarire Kidd,
dopo qualche attimo di esitazione davanti a quel viso da schiaffi che
aveva
infranto le distanze di sicurezza che avrebbero dovuto esistere tra una
persona
normale e una malata di mente. Perché, andiamo, quello
doveva essere proprio
suonato per apparire tanto inquietante. I capelli neri spettinati; la
barbetta
lunga di qualche giorno; i vestiti sgualciti e macchiati di sangue e, che schifo, di chissà
cos’altro; due
occhi di ghiaccio e un sorriso da psicopatico. Davvero macabro da
vedere,
ancora peggio se lo si aveva a pochi centimetri di lontananza.
-Può
andare. Stia a
riposo per qualche giorno, ma domani torni qui per una visita di
controllo.- lo
avvisò il moro con uno sguardo di sufficienza, girandogli le
spalle e non
degnandolo più di altre attenzioni. Con lui aveva finito,
era arrivato il turno
di altri pazienti.
Kidd
colse al volo
l’occasione per defilarsi da quel luogo. Le gambe
funzionavano ancora bene e
probabilmente il suo amico Killer lo stava aspettando fuori per sapere
delle
sue condizioni. Se era fortunato avrebbe potuto tornare a casa con lui
e
dimenticare quella lunga ed estenuante giornata. Prima la rivolta in
piazza,
poi l’operazione e per concludere quel dottore saccente.
Decisamente doveva
buttarsi a letto e dormire.
Si
alzò con un po’ di
fatica ma, una volta testata la resistenza delle gambe, raccolse le sue
cose,
ovvero una camicia logora e una giacca autunnale, e si avviò
verso l’uscita con
i braccio fasciato legato al busto da una benda.
-Ehi.- si
sentì
chiamare prima di varcare la soglia, al che si voltò di lato
giusto per vedere
quel Trafalgar Law appoggiato al bordo del tavolo che lo fissava a
braccia
incrociate con un sorrisetto sfacciato.
Sul viso
di Kidd
apparve automaticamente una smorfia mentre si sforzava di essere
educato. –Che
vuole?-
-Faccia
attenzione a
non perdere il braccio per strada.-
-Vas te faire foutre.-
E
sbatté la porta.
Angolo
Autrice.
Buonasera
a tutti e
Buone Feste!
Grazie al
Cielo è
arrivato Natale e con esso anche la mia connessione a internet si
è
miracolosamente ristabilita dopo avermi abbandonata per più
di un mese. Non
bastava il pessimo periodaccio di novembre-metà dicembre,
pure lei si doveva
mettere a rovinarmi la vita.
Anyway,
colgo
l’occasione per fare a tutti gli Auguri
di Buone Feste, Buon Natale e Buon Anno e mi scuso anche per
essere
scomparsa, cause personali, ma eccomi di nuovo, come sempre, con
qualcosa che
era rimasto in cantiere, ma che sta procedendo, al momento, a gonfie
vele.
Da notare
che sembro
avere un feeling particolare con il sabato, ma se devo essere sincera
sono solo
in ritardo con la pubblicazione dato che era tutto pronto per la
Vigilia, LOL.
Yep,
è una nuova long,
è un’impresa complicata, ma mi ci sono
affezionata, forse per il bisogno di
evadere, forse per la disperazione di sognare sempre di più,
insomma, volevo
condividerla nella speranza di portarvi tanti sorrisi e diabete.
Non
spenderò molte
parole, la trama parla da sé e si svolge tutto durante la
Rivoluzione Francese,
uno dei miei argomenti preferiti in storia, perciò spero di
renderla bene come
lo è nella mia testa.
Temo di
incappare in
qualche imprecisione, perciò se ne trovate fatemi sapere.
Non prometto di
essere costante nelle risposte, ma spero al limite di riuscire a
inserirle
tutte nelle note alla fine dei prossimi capitoli.
Oh, e per
le frasi in
francese non so bene come organizzarmi. Insomma, se volete inserisco le
traduzioni alla fine, oppure vi lascio interpretare, ditemi voi, sono a
disposizione.
E, dato
che prendo
spunto da molte immagini che mi capitano sotto al naso, quelle ci
saranno come
sempre:
https://scontent-b-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-xfp1/v/t1.0-9/10393550_1579696172249219_6201799347061129791_n.jpg?oh=399bfb94ae74b6c4718ca0c07344e066&oe=55020FF0
Sabo lasciato affogare nella Senna;
https://scontent-a-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-xfa1/v/t1.0-9/10806412_1579696182249218_4562459023543876321_n.jpg?oh=82f6886aed4ff376432ab200a2614143&oe=5537A35D
Questa mi piaceva perché riassumeva un po’ di
personaggi in generale e volevo
metterla come copertina, ma so che ne troverò altre, quindi
diciamo che è la
prima prova, ecco;
https://fbcdn-sphotos-a-a.akamaihd.net/hphotos-ak-xap1/v/t1.0-9/10625082_1579696268915876_7646465115711332191_n.jpg?oh=fa2d56b471a9e6ada13a182164d7bfec&oe=5540D7A0&__gda__=1425916057_3e8a0b62cc4420851898d4ff0cf12a4d
Come dicevo, questa è la seconda prova.
Dunque,
è una storia, è assurda, e la dedico a tutti
quelli che, come me, passano la maggior
parte del tempo a formulare pensieri, scenari, ipotesi e film mentali
con la
speranza, un giorno, di fare qualcosa di grande e di epico.
La
dedico ai sognatori; a quelli che sorridono anche se stanno male; a
quelli
persi e a quelli che non hanno problemi; a coloro che non sanno dove
sbattere
la testa e alle persone che hanno appena trovato una nuova speranza; a
quelli
che sono tristi e che piangono e a quelli che sorridono in ogni
occasione; alla
gente che ride, che urla quando parla, o che parla poco per timidezza;
a quelli
impacciati e a quelli estroversi; a quelli che non hanno paura di
niente e a
coloro che temono il giudizio degli altri; ai coraggiosi e agli
impulsivi; agli
innamorati e agli eterni single; a quelli che pensano solo ad una botta
e via e
a quelli che sognano l’amore; a chi ha fatto tutto per la
prima volta e a chi
deve ancora scoprire cosa vuol dire essere grandi; alle persone sole e
a quelle
che amano la compagnia; a chi preferisce un libro a un film e
viceversa; a chi
adora l’horror e a chi preferisce il romanticismo; a chi ha
gli occhi di un
colore impossibile; a chi non si piace e che in realtà
è speciale; a chi deve
solo alzarsi e prendersi ciò che gli spetta; a chi deve
lottare per
sopravvivere; a chi soffre e a chi si salva; a chi piace il cioccolato
e a
quelli che preferiscono il salato; a chi crede nella fortuna e a chi fa
fatica
ad andare avanti; a quelli che sono usciti da un periodo difficile e a
coloro
che sanno sempre come cavarsela; a quelli che hanno bisogno di sentirsi
sostenere e a chi fa tutto da solo; a chi è pazzo e a chi
è normale; a chi
tiene agli amici; a chi tradisce; a chi desidera una seconda occasione;
a chi
gioca col fuoco; a chi vuole raggiungere la cima; a quelli che sono
disposti a
tutto e a quelli che prendono scorciatoie; a chi subisce ingiustizie; a
chi si
comporta bene; a quelli che non si accontentano; alle persone che non
smettono
di cercare quello che vogliono; a chi non si arrende; a chi prega e a
chi non
crede in nulla; a chi ha gettato la spugna; a chi si sente morire
dentro;
a coloro che non
hanno idea di cosa
fare; a quelli che hanno paura dell’ignoto e a chi non teme
nemmeno la morte; a
chi osa; a chi vive fino in fondo; a chi se ne frega di tutto; a chi
ama i
genitori; a chi litiga col mondo; a quelli che vengono fraintesi; alla
gente
che si sente sola e abbandonata; a chi è voluto bene da
tutti; a quelli che non
vanno d’accordo con nessuno; a chi ha bisogno di un
abbraccio; a chi sogna la
gloria; a chi racconta balle; a chi sa essere sincero; a quelli che
darebbero
la vita per i loro cari; a chi ama; a chi cresce e a chi è
già troppo grande; a
chi ha l’anima in fiamme; a chi ama e a chi odia; a chi ha
tutta una vita
davanti.
Non
fermatevi, mai.
Buon
Natale a Auguri a
tutti ^^
Con
affetto e simpatia,
See
ya,
Ace.
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