First Chapter
Salve
ragazzi! Eccoci qua con il primo vero capitolo della storia. Ci ho
messo un po' ad aggiornare (sorry) perché tra cenoni,
parenti, pranzi, feste e ultime interrogazioni (maledetti professori)
non ho avuto davvero il tempo di mettere insieme le idee e scrivere, e
infatti il capitolo che ne è uscito non mi convince per
niente, ma vabè. Su questo primo capitolo avrei due cosucce
da dirvi:
Questo è il capitolo che dà il via all'intera
storia. Scoprirete un pochino del passato dei due fratelli, ma molto
ancora c'è da scoprire, quindi non preoccupatevi se la
storia vi risulta ancora un po' confusa. Purtroppo sto avendo dei
problemi con l'impaginazione e, come mi è anche successo nel
capitolo precedente, può darsi che vedrete l'intero capitolo
scritto in corsivo. E questo è un bel problema, dato che
c'è una parte (quella dell'incubo) che ho scritto in corsivo
apposta per farla distaccare dalla narrazione, ma purtroppo, non so per
quale assurdo motivo, me la dà tutta interamente in corsivo.
E' per questo che ho deciso di racchiudere la parte dell'incubo fra due
asterischi, per farvi capire il perché del brusco
cambiamento da narrazione al passato a narrazione al presente e il
distacco tra l'incubo e il resto della storia. Cercherò poi
di risolvere questo problema.
Come capirete dal testo, i due fratelli sono nati in Italia,
è per questo che hanno molte abitudini tipicamente italiane,
tipo fare colazione con latte e cornetto. Lo dico perché nel
capitolo precedente a qualcuno era sorto questo dubbio.
Infine, il titolo del capitolo è preso dalla canzone "The
sound of silence"- Simon & Garfunkel.
Buona lettura! E recensite se vi va, mi farebbe molto piacere <3
BooksAnchor.
First Chapter - Hello,
darkness, my old friend.
Era
una mattinata grigia e plumbea, con un cielo
così pesante che sembrava quasi voler schiacciare sotto il
suo
peso tutte le case di quella piccola cittadina del Sud
dell'Inghilterra. Le temperature si erano abbassate bruscamente e un
lieve venticello freddo soffiava tra le foglie degli alberi del
giardino di quella piccola casa dalle mura giallo limone. Solo una
delle sette finestre di quella casa portava le tapparelle alzate: era
quella di Nadia, che si stava apprestando, come tutti i suoi coetanei,
ad affrontare il primo giorno di scuola. Sua madre e suo fratello
ancora dormivano nelle loro rispettive stanze, mentre lei, in piedi
davanti all'armadio, sceglieva i vestiti da indossare quel giorno.
Scelse im fretta, senza perdere molto tempo: fare una buona impressione
nella sua nuova classe era l'ultima cosa di cui si curava,
perché lei non era semplicemente tipo di curarsi di fare
buona
impressione in nessuna circostanza. Era dell'idea che se una persona
è destinata ad entrare nella tua vita, ci entrerà
comunque,a prescindere da come è vestita, da come
è
truccata, dall'acconciatura che porta o dalla musica che ascolta.
Perché ci sono persone che sono semplicemente destinate a
incontrarsi e a tenersi, o a incontrarsi e non tenersi. Ci sono cose
che sfuggono al nostro controllo, nonostante l'essere umano si ostini
ad ammettere il contrario.
In cinque minuti si lavò e andò in salotto, in un
silenzio che le entrava nel cervello facendole sentire la testa pesante
come piombo. Si era lavata il viso quattro volte, ma sentiva ancora gli
occhi assonnati e le palpebre che si ostinavano a chiudersi. Non era
sicura che sarebbe riuscita a dirigersi fino alla sua scuola a piedi.
Afferrò al volo il cornetto al cioccolato dal vassoio che
suo
fratello una volta al mese, quando i soldi glielo permettevano,
riforniva di ogni tipo di dolci, rigorosamente non-anglosassoni ne'
americani: era un modo per ricordare l'Italia. Già,
perché loro non erano nati e cresciuti in quella piccola
cittadina inglese dimenticata da Dio. Le loro radici erano in Italia,
grazie a loro padre che era nato nella bellissima e dannata
città che altro non era che Napoli. Fino all'età
di 11
anni Nadia era cresciuta lì, tra mare e salsedine, vento e
sabbia. E molto probabilmente era proprio per questo che, se c'era una
cosa che Nadia amava più dell'autunno, quella era il mare.
Poteva restare ore a fissare il movimento delle onde, la schiuma che si
infrange contro gli scogli, il cielo che si fonde con l'acqua. Era una
cosa che faceva spesso, quando era in Italia: scappava nella spiaggia
del Golfo di Napoli, si sedeva sulla sabbia asciutta e rimaneva
lì, immersa nei pensieri e nell'aria di mare. A volte,
quando il
tempo lo permetteva, si immergeva nell'acqua e restava a galla,
lasciandosi trasportare e cullare dal movimento delle onde. Ovviamente
sempre con suo fratello vicino, attento ad osservare che non si
allontanasse troppo. Trovava rifugio in quell'acqua
trasparente e fredda, trovava rifugio in quell'aria che le pizzicava le
guance e le scompigliava i capelli. Non aveva orari: poteva restare
lì ore e ore e andarci di mattina, di pomeriggio, o
addirittura di sera. Con suo fratello vicino e il mare come orizzonte,
si sentiva libera di pensare che qualcosa di bello nella vita, prima o
poi, sarebbe arrivato anche a lei. Ma ora, lontana dal mare e da quella
speranza che le riempiva il cuore di bambina, Nadia sentiva che quel
qualcosa non sarebbe mai arrivato. O forse sarebbe arrivato, ma troppo
tardi per goderselo al meglio.
Napoli era stata la città culla dei suoi ricordi peggiori.
Napoli era stato il luogo dove suo padre le aveva rovinato la vita, e
dove sua madre gli aveva dato il permesso di farlo. Ed era per questo
che se ne erano andati: l'Inghilterra doveva rappresentare la speranza
di una vita migliore, di un nuovo giorno. Ma, nonostante questo, il
giorno prima di partire per l'Inghilterra, i due fratelli si
ripromisero che prima o poi sarebbero ritornati lì, almeno
per un giorno, almeno per un'ora, per rivedere quel mare che fu loro
tanto amico negli anni peggiori della loro vita.
Le ore sembravano non passare mai. Ogni ticchettio dell'orologio appeso
al muro bianco di fronte a lei sembrava un passo in più
verso l'agonia. Tutto sembrava immobile, tutto sembrava inanimato. I
professori si susseguivano davanti a lei come marionette in uno
spettacolo di burattini, vedeva le loro labbra muoversi senza capire
ciò che stessero dicendo. Passò la giornata da
sola: pranzò da sola, se ne rimase in classe da sola. Non
aveva amici: non ne aveva avuti in Italia e le cose non erano cambiate
in Inghilterra. E Nadia nemmeno si sforzava di farle cambiare. Non era
come suo fratello: lui era bravo a farsi degli amici, era bravo ad
essere gentile con tutti anche quando il mondo gli stava crollando
addosso. Nadia avrebbe pagato oro per avere almeno un briciolo della
sua forza.
Finite le lezioni, a passo spedito si diresse verso casa, che non
distava molto dalla sua nuova scuola. Da quando era arrivata in
Inghilterra, esattamente 5 anni, aveva cambiato scuola già
due volte. All'inizio la mamma aveva fatto lo sforzo di recarsi in una
scuola privata per iscrivere sia lei che Ansel, affidandosi alle
ricchezze che i genitori le avevano lasciato. Ma ora i soldi stavano
finendo e Nadia era stata costretta ad andare in una scuola pubblica,
mentre Ansel aveva lasciato la scuola per andare a lavorare in uno
squallido e sporco pub di periferia già dall'anno
precedente. In dieci minuti si ritrovò davanti all'uscio di
casa. Aprì la porta e accese le luci, notando che tutto era
buio. Guardò l'orologio di gomma che portava al polso: Ansel
ancora non aveva staccato da lavoro. Posò la borsa sulla
sedia del piccolo tavolo di legno che si trovava al centro del salotto
e si buttò sul divano, senza nemmeno togliersi il
giacchetto: a causa della mancanza di riscaldamenti adeguati, la loro
casa era sempre e perennemente fredda. Distese le gambe e fece un
grande respiro, come a riprendere fiato dopo una lunga apnea. Si
sciolse i capelli che fino ad allora aveva portato legati in una coda e
li smosse con le mani: passandoli fra le dità senti dei nodi
e i capelli arruffati a causa dell'alta umidità.
Decise che la sera stessa si farebbe fatta una doccia. In quel momento
non ne aveva le forze.
Chiuse gli occhi. Aveva un grande desiderio di addormentarsi e
lasciarsi alle spalle quella lunga giornata, chiudere gli occhi e
dimenticarsi di tutto e risvegliarsi la mattina dopo. Ma sapeva che era
lunedì, il giorno in cui doveva occuparsi di pulire
e mettere a posto la casa, e che dopo avrebbe dovuto
preparare la cena per lei e suo fratello. Sentiva di dovergli almeno un
pasto caldo dopo tutto quello che lui faceva per lei.
Si concesse venti minuti. Prese il cellulare e mise la sveglia, per
evitare di non svegliarsi nel caso si sarebbe addormentata.
Poggiò la testa sul cuscino rosso cremisi che mal si
abbinava al divano verde acido e richiuse gli occhi stanchi. Sentiva
uno strano torpore salirle dai piedi fino alle ginocchia. Tutto era
silenzioso intorno a lei, il buio era l'unica cosa che la circondava.
Voleva dormire. Anche solo per quei pochi venti minuti, voleva dormire.
Era sempre stato traumatizzante per lei il ritorno a scuola dopo le
vacanze estive, come per la maggior parte degli studenti, dopotutto.
Era difficile abituarsi al fatto che non avrebbe più avuto
la libertà di svegliarsi quando voleva e che non avrebbe
più avuto pomeriggi interi da passare insieme a suo fratello
o con un buon libro in mano. Ma purtroppo i giorni passavano,le
stagioni si susseguivano e anche il primo giorno di scuola era
arrivato. L'unica cosa che la consolava era che presto sarebbe
subentrato l'autunno.
Nel giro di pochi minuti si addormentò.
*
E' buio. E' tutto
interamente e terribilmente buio. Non c'è una fonte di luce
nel giro di centinaia di metri. E' li, sola e al buio. Al buio.
L'oscurità la circonda, il silenzio le entra nelle orecchie
e le fa esplodere il cervello. Ha paura. Ha freddo. E' sola.
Un lampo. Una luce accecante squarcia il buio e l'acceca. Si alza in
piedi. Cerca di muoversi. Non può. Ha i piedi come incollati
a terra, le gambe pesanti come piompo, la testa le gira. Non riesce a
vedere niente. Luce e buio si susseguono velocemente. Stringe i pugni.
Alcune immagini cominciano a correre velocemente davanti ai suoi occhi.
Un uomo. Un uomo ubriaco. La chiave che gira dentro la serratura. E'
sera. Una piccola bambina dai capelli marroni e lunghi sgattaiola fuori
dal suo letto per andare in quello che deve essere di suo fratello. Il
ragazzo le parla. Le sta raccontando una storia. Una storia che parla
di draghi e oceani lontani.
Urla. Una donna seduta sulla sedia guarda fisso davanti a se'. L'uomo
è in compagnia di un'altra donna. Una ragazza. Giovane,
bella, in salute.
I loro volti cominciano a deformarsi. Gli occhi diventano grandi buchi
neri. Le bocche sono come orbite senza fine. Il naso diventa piccolo
piccolo, i capelli come serpenti.
Cerca di urlare. Quello è suo padre, lei è la
piccola bambina,sua madre è la donna sola e vuota, suo
fratello le sta raccontando una storia.
Cerca di urlare ma non ci riesce.
Sente il sapore del sangue dentro la bocca. Si accascia a terra.
L'oscurità la risucchia.
Buio.
*
Nadia urlò e si mise di scatto a sedere. Gli
occhi spalancati, la bocca aperta, spalancata, il respiro
affannoso. Cercava di parlare ma non ci riusciva. Sentì due
mani forti e salde premerle contro le braccia. Qualcuno stava cercando
di scuoterla, qualcuno stava cercando di parlarle. Non capì
chi fosse fin quando non alzò lo sguardo sul suo volto. Era
suo fratello.
-Nadia, Nadia! Che succede, sorellina?- Nadia percepì le sue
parole confuse, a tratti, come quando si sta ascoltando la radio ma il
segnale è motlo debole.
-Era solo un incubo, Nadia. Solo un incubo, d'accordo? Solo un incubo-
continuò a sussurrarle Ansel, cullandola fra le braccia.
-Solo un incubo-
-Stavo.. Stavo..- cercò di spiegare Nadia, staccandosi e
guardandolo negli occhi. -Era nostro padre. Era una di quelle sere. Una
di quelle in cui.. in cui lui portava le ragazze a casa e io ero
costretta ad andarmene e.. - Ansel cercò di zittirla,
dicendole che andava tutto bene, che non c'era bisogno che spiegasse,
ma lei continuò -e venivo nel tuo letto, perché
lui se le doveva scopare, quelle puttane. E se le doveva scopare nel
mio letto. perché certo, scoparsele nel letto suo e di mamma
era irrispettoso nei suoi confronti, certo.. E tu mi raccontavi una
storia, ricordi? Una di quelle storie che mi raccontavi e poi.. E poi
c'era tanto buio Ansel, tanto buio-
-Basta così Nadia.. E' tutto okay. Era solo un incubo-
ripetè Ansel nel tentativo di calmarla, vedendo i suoi occhi
spalancati e iniettati di sangue e la sua bocca aperta nel tentativo di
prendere più ossigeno possibile. - Hai fame?- Nadia scosse
la testa. - Voglio solo andare a dormire- rispose. Ansel
annuì e la fece alzare lentamente, ma vedendo il tremore che
la percorreva dalla testa ai piedi, decise di prenderla in braccio e
portarla a letto. Fece le scale lentamente stando attento a non cadere,
anche se Nadia era leggerissima e piccolissima rispetto a lui. Spinse
la porta della stanza di lei con il fianco facendola aprire e la
adagiò sul letto, accendendo la piccola lucina da notte
vicino al suo letto, senza la quale Nadia non riusciva a dormire.
-Ecco qui, sorellina- le disse dolcemente. - E' tutto passato, ora
dormi.- e le rimboccò le coperte, come un padre fa con la
sua bambina. Fece per alzarsi ed andarsene, ma Nadia lo
bloccò per un braccio.
-Mi racconti una storia?- gli chiese. Ansel tentennò un
attimo dinanzi a quella richiesta. Era solito quando erano piccoli.
Quando suo padre si impossessava del suo letto per portarci una delle
sue solite puttanelle, e allora lei sgattaiolava nel suo letto e lui,
per calmarla, si inventava delle storie: storie d'amore, storie
d'avventura, storie di fantasia che permettevano alla sua sorellina di
non pensare alla realtà. Era per questo che Nadia gli aveva
sempre detto che era grazie a lui che adesso lei amava così
tanto leggere. E non era un caso che il genere preferito di Nadia fosse
proprio il fantasy.
Ansel si risedette sul bordo del letto e prese ad accarezzarle i
capelli.
-Non me le ricordo bene, sorellina- le disse.
-Fa niente, basta che mi racconti qualcosa- rispose lei. -E vieni qui-
gli disse, spostando le coperte e facendogli posto accanto a lei. Non
era una cosa rara che Nadia chiedesse a suo fratello di dormire vicino
a lei. Nadia aveva paura del buio. Così lui si
sdraiò nel suo letto, la fece accoccolare sul suo petto e le
raccontò una delle tante storie che da piccoli era solito
raccontarle. E Nadia ascoltò con occhi e orecchie aperte,
facendosi cullare dalla voce dolce del fratello. Dopo un quarto d'ora
si addormentò. E Ansel rimase vicino a lei.
E Nadia non aveva più paura del buio.
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