L’ULTIMO CAVALIERE DELLA PIETRA
CAPITOLO PRIMO
2000 anni dopo
Le terre d’Ombra erano umide e fredde e
non conoscevano molto delle stagioni.
Che
fosse Samhradh o Geamhradh le fitte foreste
che coprivano le montagne del centro e le dolci colline del nord
restavano
sempre verdi, il sole slavato, un vessillo spettrale nel cielo
inghiottito di
nuvole. Una leggenda raccontava che un tempo, millenni prima, queste
erano
state le terre degli Alfar oscuri quando ancora vivevano in superficie,
e
perciò il sole sorgeva tardi e tramontava presto e gli
abitanti dovevano
imparare a muoversi nelle tenebre fin da bambini.
Sianna
di Dokkalfar non ne aveva mai visti, eppure
in quei boschi ci era cresciuta e si sentiva a proprio agio
nell’oscurità
come un gufo o una civetta. Non le sarebbe dispiaciuto essere una
civetta, il
loro bubbolare riempiva il buio di suoni, erano bianche e morbide e
vedevano
nella notte perfettamente.
Suo
fratello però non le aveva mai permesso di
avvicinarsi ad un rapace durante le sue perlustrazioni nei boschi
vicino a casa,
era fermamente convinto che come minimo ci avrebbe rimesso un occhio se
si
fosse accostata ad un cacciatore notturno, e anche se Ynyr era di un
anno più
piccolo sapeva essere davvero testardo.
Sianna
strisciò lentamente sul ramo basso di un
albero che dava su un sentiero appena accennato nella terra e quasi
seppellito
dal sottobosco. Tese il collo per poter vedere più lontano:
era
pomeriggio presto e anche se debole la luce era ancora sufficiente,
abbastanza
da permetterle di avere il permesso di giocare appena fuori dal paese.
Si era
nascosta ormai da un buon quarto d’ora, eppure di suo
fratello non c’era
la minima traccia. Per una volta forse, era stata più furba
di lui, anche se
era insolito. Ynyr aveva un vero e proprio fiuto per i suoi
nascondigli, non le
dava mai la soddisfazione di poter credere di batterlo in astuzia.
Ad
attenderlo ora, quasi si annoiava.
Incrociò
le braccia sotto il mento e rimase
sdraiata sul ramo. Da lì poteva vederlo arrivare non vista e
in caso di
necessità nascondersi nel fogliame. Era tanto piccola che
non avrebbe potuto
cadere neanche volendo: aveva sette anni e la costituzione di un
uccellino,
tanto secca che sua madre sosteneva le sue ossa dovessero essere cave e
che
l’unico motivo per cui un soffio di vento non
l’aveva ancora fatta volare via
era che i suoi capelli erano troppo pesanti e l’ancoravano al
suolo.
Sianna
si rigirò distrattamente una ciocca bionda
fra le dita.
Se
c’era un motivo per cui suo fratello riusciva
sempre a trovarla erano proprio i suoi stupidi capelli, troppo lunghi e
troppo
biondi perché passassero inosservati. Al minimo
raggio di sole
splendevano d’oro e urlavano un “sono
qui” che a Ynyr non sfuggiva mai.
Persa
nelle sue considerazioni quasi si
addormentò.
«Che
cosa ci fai qui? Ti sei perso?»
Sussultò
e per poco non perse la presa sul legno
umido di muschio, rischiando una rovinosa caduta.
Non
c’era nessuno, non era stata scoperta.
«Piccolino,
se mi mordi non posso aiutarti»
La
voce però non se l’era sognata. Perplessa
iniziò la discesa affrancandosi con tutta la sua forza al
tronco viscido
dell’albero, più verde che marrone. Quando ormai
era quasi del tutto ridiscesa
mise il piede in fallo e ruzzolo a terra sbattendo il fondoschiena.
«Maledizione!»
Imprecò
dimenandosi sull’erba con le mani strette
sul punto offeso, come potesse far scomparire il dolore.
«Che
stai facendo?» stavolta la domanda era
rivolta a lei.
Una
strana bambina le si era inginocchiata accanto
e la studiava perplessa.
«Niente!»
Balzò
a sedere divenendo completamente rossa e la
bambina le sorrise. A Sianna parve di conoscerla. Aveva lisci capelli,
neri più
delle notti senza luna, che le arrivavano alle spalle, la pelle
pallida,
sopracciglia perfettamente disegnate e uno sguardo stranamente
pungente. Gli
occhi, profondamente bui, ricordarono a Sianna quando si era sporta per
la
prima volta sul bordo del pozzo in piazza e aveva avuto la sensazione
che non
esistesse fondo.
L’aveva
vista in paese molte volte, ma non le
aveva mai parlato. In verità non parlava con
nessun bambino della sua
età, sua madre non glielo aveva mai permesso. Il suo unico
compagno di giochi
era sempre stato solo Ynyr.
«Ti
sei sporcata» le fece notare la bambina,
accennando al suo vestito.
La
sopraveste di velluto verde era piena di fango
a causa del terreno melmoso dopo le piogge, la pelliccia di vaio che
rivestiva
i bordi delle maniche e della gonna era impiastricciata e, in alcuni
punti, si
era spelacchiata. Quasi come a rimarcarle in che stato pietoso si era
ridotta
l’intrecciatoio di corda dorata che le teneva i capelli in
ordine si allentò
del tutto facendo sfuggire le ciocche bionde che le ricaddero sul volto.
«Mia
madre potrebbe arrabbiarsi» considerò a voce
alta con un ghigno imbarazzato, contemplandosi. Le signorine per bene
non si
mostrano in condizioni simili, era una cosa che si era sentita dire
spesso ma
che purtroppo non si conciliava molto con la sua natura. E poi le
signorine per
bene non vivevano in paesini sperduti nei boschi!
«La
mia invece mi uccide, se rovino un abito tanto
bello!» scoppiò a ridere l’altra.
Solo
allora Sianna notò che il vestito dell’altra
bambina era di semplice cotone e che questa indossava tutti
gli strati
necessari a proteggersi dal freddo di Foghara.
Si
alzò sbattendosi la veste e si accorse che,
oltre al vestito e ai capelli, aveva bucato anche una delle graziose
scarpette
di seta e cuoio che sua madre le aveva fatto confezionare da poco.
«La
mamma non vuole che lo uso, ma è verde! Sembra
fatto apposta per giocare a nascondino nel bosco!» se voleva
battere suo
fratello doveva inventarsi ogni stratagemma possibile!
«Con
chi parlavi prima?»
La
bambina le diede la schiena e le fece cenno
di seguirla. Ai piedi di un albero non troppo distante da dove era
caduta
Sianna c’era un uccellino così piccolo da starle
nel palmo di una mano,
rivestito di soffici, piccole piume morbide che lo facevano
sembrare un
batuffolo di cotone.
«Con
lui» chiarì «Non vuole farsi prendere,
ma se
resta qui morirà»
Sianna
si mise a carponi per guardare l’uccellino
più da vicino e quello fece schioccare il becco acuminato
verso di lei, per
tenerla a distanza. Faticava a tenere gli occhi grinzosi del tutto
aperti, ma
si poteva vedere il colore grigio e rosato. Doveva essere albino.
«Non
è meglio allontanarsi e aspettare che la
mamma torni a prenderlo?» chiese.
«Credo
che l’hanno abbandonato, il nido è
vuoto»
le spiegò ancora la bambina, spostando una ciocca di capelli
neri dietro
l’orecchio.
«Ah»
guardò quel piccolo uccello bianco e
spelacchiato «Bèh, allora lo porterò a
casa con me!»
«Guarda
che mord…» la sua nuova amica non
fece in tempo a concludere che Sianna era già stata beccata
e le dita
gocciolavano denso sangue argentato.
«Nessun
problema» Disse sorridendo a trentadue
denti. Si ripulì le mani nella veste e, mettendole
a coppa, sollevò il
piccolo che si dimenava continuando a ferirla per liberarsi.
«Non
ti fa male?»
«Non
tanto. Vieni con me, lo portiamo dalla nonna.
Lei saprà cosa fare!»
L’altra
bambina, ora sorpresa, annuì.
«Io
mi chiamo Kea» mormorò timidamente.
«Io
Sianna Eilan, ma nessuno mi chiama così.
Chiamami Sianna e basta»
Si
avviarono ripercorrendo il serpeggiante
sentierino che si delineava appena, pieno di buche, sassi e fango.
«Non
ti avevo mai vista qui» considerò poi Sianna.
«Come mai eri da sola?»
Kea
era chiusa.
Camminava
a testa china, con i capelli sul volto
che le nascondevano il mondo, sembrava avesse paura di tutto, anche di
parlare
con lei. Quando sollevava il viso e la guardava in tralice
però, mostrava uno
sguardo vivace e intelligente.
«Non
piaccio agli altri bambini» borbottò spiccia,
socchiudendo gli occhi, come a sfidarla a commentare.
«Neanche
io» rispose scrollando le spalle. L’uccello
continuava a pigolare e punzecchiarla con quel suo becco aguzzo.
«Almeno penso.
Quando esco nessuno gioca mai con me. Però ho mio fratello!
Te lo faccio
conoscere! E anche due ragazzi che vengono a trovarmi ogni tanto. Loro
sono più
grandi ma giocano sempre con me!»
Kea
non rispose.
Camminandole
accanto Sianna si accorse di quanto
Kea fosse piccola, le arrivava solo alla spalla e sembrava perfino
più secca di
lei, aveva solo la pelle sulle ossa.
Si
ricongiunsero alla strada principale, un
pantano abbastanza grande da permettere tranquillamente il
passaggio di
due carri, completamente deserta. Kea si tenne sul bordo della strada,
sollevando la veste per non sporcarla, Sianna invece ne
approfittò per saltare
nelle pozze fangose schizzando acqua sporca a raggiera intorno a
sé.
«Non
vieni? È molto divertente!»
La
gonna navigava nell’acqua melmosa, la pelliccia
era fradicia, appiccicosa e indecente.
«No
grazie, non ho voglia di essere sgridata»
Sianna
si accigliò e continuò a giocare
proteggendo con le mani a coppa il suo piccolo ospite, innervosito
dalla sua
poca delicatezza. Anche lei sarebbe stata sgridata certo, ma era una
consuetudine a cui ormai non badava neanche più. Sperava
che, prima o poi, sua
madre si sarebbe stancata di ripetere le solite cose e le
avrebbe dato
una tregua.
Alla
porta di Gleann Dubhar c’era una semplice
guardiola e un banchetto, dove due omini su di età
controllavano le entrate, le
uscite e facevano pagare il pedaggio ai mercanti di passaggio. Non era
un paese
tanto grande, non c’erano mura di protezione e si e
no vi erano
quattrocento abitanti.
Però
c’erano sempre molti mercanti provenienti dal
lontano nord, dall’Esperia, da Emer e dalla Regione dei
Laghi, che facevano
tappa a Gleann Dubhar per poter raggiungere le ricche città
d’Ombra che
sorgevano più a Sud, e per questo il piccolo borgo cresceva
nel tempo.
I
dravidi erano molto ospitali se in cambio
ricevevano denaro.
«Rientri
già, piccola peste?» le domandò Ailbhe
richiamandola. Era un uomo quasi del tutto calvo, per questo indossava
sempre
una cuffia, aveva folti baffoni grigi e il volto grosso pieno di rughe.
Quando
sorrideva mostrava una bocca quasi del tutto priva di denti, ma era
gentile e
Sianna non ne provava orrore.
«Sì!
Guarda cosa abbiamo trovato!» scostò appena
la mano e la testa dell’uccellino spuntò
immediatamente, vispa e attenta. «Non
è bellissimo?»
Ailbhe
aggrottò le sopracciglia rade «Che
roba è?»
«è
un uccello!»
«Lascialo
perdere Sianna, questo vecchio rimbambito
non ci vede più ormai!» intervenne Brian,
sporgendosi per poter vedere la
creatura.
«Non
dire sciocchezze, ci vedo benissimo!»
bofonchiò il vecchio.
Brian,
più giovane del compagno di almeno dieci
anni, anche se altrettanto ingrigito, le fece cenno di appoggiare
l’uccellino
sulla superficie di legno.
Appena
lo fece il piccolo ricominciò a urlare i
suoi lamenti. Cercava di muoversi senza riuscirci e alla fine si
sbilanciò in
avanti battendo la testolina troppo grande per il resto del corpo.
«Guarda
Ailbhe»
«Come
posso guardare se dici che non vedo?» si
lamentò ancora il vecchio a braccia incrociate facendo
l’occhiolino a Sianna
che rise.
«Smettila
di fare il vecchio brontolone» lo
apostrofò «E guarda qui»
Sianna
era appesa con lo mani al bordo del banco
di legno e osservava incuriosita il suo piccolo, nuovo animale. Sperava
davvero
tanto che sua madre le permettesse di tenerlo.
Kea
si era messa in disparte, intimidita forse dai
due anziani, e non aveva più detto una parola,
però la stava aspettando e
questo la fece sorridere.
«Piccola
Sianna sei stata molto fortunata!» le
disse Brian sorridendole benevolo. «Questo non è
un uccellino, è un
falco.»
«Un
falco?» guardò subito Kea che annuì
abbassando
gli occhi. Lei doveva averlo capito appena l’aveva visto.
Sianna invece un
falco non sapeva nemmeno come fosse.
«Certo.
A tuo fratello piacerà tantissimo,
mostraglielo subito quando arrivi a casa. È così
piccolo che non credo
sopravvivrà»
Sianna
si arrabbiò e riprese il falco fra le sue
manine, facendo una linguaccia al vecchio Ailbhe
«Certo
che vivrà! È il mio falco, non
può
morire!» gli urlò contro allontanandosi.
Kea
chinò il capo per salutare, rossa in
viso, e le corse dietro mentre Brian urlava a Sianna
«Bambina
testarda!»
Gleann
Dubhar sorgeva sul costone della montagna e
occupava tutta la vallata. Solo il centro del paese, attorno alla
piazza, era
costruito in pietra, mentre la case più distanti e
più povere erano di legno e
paglia. La strada restava fangosa per un breve tratto della discesa per
poi venire
sostituita da lastre di pietra consumate dai carri.
«Non
è vero che non vivrai, non ascoltare quei
bruti!» ripeteva al falchetto di tanto in tanto. Aveva smesso
di morderla e il
suo sangue sulle mani si era seccato marcando con il suo rosso argenteo
i segni
della pelle morbida.
«Però
è vero che è piccolo»
insinuò Kea.
«Se
dai ragione a quei vecchiacci non ti parlo
più!» ribatté mettendo un broncio
irragionevole. Sianna di credere ad una
realtà che non le piacesse proprio non ci riusciva.
Attraversarono la piazza a
passo spedito senza più dire neanche una parola.
C’erano dei bambini che
giocavano a inseguire una palla di stracci, alcuni si diedero di gomito
quando
passarono ma le li ignorò come era sempre stata
abituata a fare.
Le
botteghe non erano molto frequentate in
generale, per questo poche persone erano nei paraggi quel giorno, a
parte
alcuni anziani che stavano seduti su seggiole scomode fuori dalla porta
di casa
parlando fitto fra loro. Solo nel giorno del mercato settimanale la
piazza si
riempiva e la gente fluiva anche dai paesi e dai villaggi vicini per
comprare
tutto il necessario. Quando era annoiata e non poteva uscire
perché il cielo
già imbruniva, Sianna spesso andava nella bottega
del vasaio, per
guardare Fèilim lavorare la creta e sua moglie
Beirnís, una donna grande almeno
il doppio del marito ma con mani estremamente delicate, decorare le
creazioni
dell’uomo.
Inizialmente
aveva dato non poco fastidio e sua
madre più volte si era dovuta presentare nella bottega per
trascinarla a casa per
un orecchio. Alla fine però la coppia si era abituata alla
sua presenza
discreta. Ora che Beirnìs era incinta poi si era
tremendamente addolcita e a
volte le permetteva di pasticciare con i colori che usava per dipingere
la
creta, causando il disappunto del marito.
Oppure
andava dal fornaio, Matha, e continuava a
girargli attorno finchè lui, esasperato, pur di levarsela di
torno, non le
cedeva una di quelle frittelle che faceva solo nei giorni precedenti al
grande
mercato e per cui lei andava matta. Allora correva dal fratello e la
divideva
con lui.
«Sei
arrabbiata con me?»
Scosse
la testolina bionda e spettinata «Certo che
no. Stavo solo pensando che ho fame!»
Kea
sospirò sollevata e le sorrise.
Costeggiarono
un muro di pietra fino ad un arco
aperto in cui Sianna s’infilò. Kea si
bloccò all’ingresso.
«Cosa
aspetti?» Le chiese Sianna confusa. La sua
nuova amica era sbiancata
«Vivi
qui?»
Sempre
confusa Sianna annuì «Non va bene?»
«No
è che… quella è casa mia»
indicò la casa
accanto alla sua, molto più piccola e modesta, e Sianna
scoppiò a ridere «è
fantastico! Allora possiamo vederci tutti i giorni! Devo dirlo a
Ynyr!»
Sianna
attraversò il piccolo cortile pieno di
cespugli raggrinziti dal freddo e spalancò la porta di casa,
entrando come un
piccolo uragano nel salotto.
«Sianna
Eilan!»
S’irrigidì
immediatamente e Kea le sussurrò
all’orecchio «Avevi detto che nessuno ti chiamava
così»
«Solo
mia mamma quando è…»
«Sono
furiosa!»
Marilien
spuntò dalla cucina con le mani sporche
di pastella sui fianchi e il volto pieno di riprovazione.
«Si
può sapere che fine avevi fatto? Tuo fratello
è rientrato da più di un’ora ormai e di
te non c’era la minima traccia!»
Le
guardò l’abito e divenne di cera «Come
devo
dirtelo che con quei vestiti non puoi giocare nel fango? Guarda come
l’hai
conciato, è rovinato! Non puoi essere un po’
più responsabile? Io proprio non…»
Marilien
s’interruppe, e guardò la sua amica
nascosta dietro di lei.
«E
lei chi è?»
«Lei
è Kea, è la nostra vicina»
spiegò Sianna
raggiante, per nulla turbata dalla sfuriata appena ricevuta, al
contrario di
Kea che si era letteralmente affrancata alla sua manica e
più di tutto avrebbe
desiderato scappare in quel momento.
«Che
ha combinato la bambina stavolta?» Korakas,
l’anziana che Sianna chiamava nonna, scese le scale
scricchiolanti
aggrappandosi al corrimano. Non era davvero sua nonna, solo
la
sacerdotessa di un villaggio dravida del nord che peregrinava per tutte
le
terre d’Ombra e ogni due o tre mesi si presentava alla loro
porta, accompagnata
sempre da Hanry e Daniel, i due ragazzi che erano i più cari
amici di Sianna.
«Niente
che non faccia tutti i giorni» sospirò sua
madre, sollevando gli occhi al cielo. «Fa’ almeno
accomodare la tua amica»
«Certo!
Nonna vieni, devo farti vedere una cosa!»
Il
salotto era composto da due poltrone e un
divanetto attorno a un tavolino di legno, davanti al camino acceso.
Sopra il
camino, appeso alla parete di pietra, stava un quadro. Sianna era stata
in molte
case, ma nessuno aveva un quadro e questo la rendeva molto orgogliosa.
Si
sedette a terra, sul tappeto, e liberò il falco, mettendolo
sul tavolo. Anche
Kea prese posto accanto a lei, ma non guardava l’uccellino,
piuttosto
continuava a studiare l’ambiente, travolta dalla meraviglia.
Korakas
si avvicinò
«Per
tutti i Serafini! Dove l’hai trovato?»
Per
la prima volta Sianna parve a disagio.
«ehm,
ecco…»
Marilien,
le braccia conserte sotto il seno, fissò
subito gli occhi su Kea, l’anello debole del duo.
«Nel
bosco» disse la bambina nascondendosi dietro
alla tenda di capelli neri.
Sianna
le tirò una piccola gomitata di protesta,
ma ormai era troppo tardi.
«Nel
bosco, eh?» sua madre alzò un sopracciglio e
si limitò a dirle, con voce gelida «Ne parliamo
dopo con calma»
«Non
dovevi dirglielo» si lamentò con l’amica
a
bassa voce, arrabbiata.
«E
cosa dovevo dirle?»
«è
molto piccolo Sianna. Non so se sopravvivrà»
considerò Korakas, che intanto aveva studiato il falco
attentamente. «è un
falco pellegrino, deve avere almeno tre settimane, ma è
debole»
«Tanto
di meglio. Non lo voglio quest’uccellaccio
in casa mia» borbottò Marilien
«Ma
io voglio tenerlo!» protestò Sianna,
rimettendo le mani a coppa attorno al falco come se potesse proteggerlo
dalla
collera di sua madre.
«Anch’io
voglio tenerlo»
Alzò
di scatto la testa per cercare il bambino che
aveva parlato. Ynyr era uscito dalla cucina con un biscotto di frolla
in bocca
e la sua perenne aria annoiata. Un sorriso le uscì spontaneo
e anche Korakas
annuì per tranquillizzarla, perché Marilien a
Ynyr proprio non sapeva dire di
no.
«Tesoro
guardalo. Non può sopravvivere»
Sua
madre tentò subito la strada conciliante per
non indisporre suo fratello, ma Ynyr scosse la testa.
«Korakas
lo sa di sicuro, come nutrirlo. Sianna
non lo farà morire»
«è
vero! Mi prenderò io cura di lui!»
L’anziana
signora dai lunghi capelli argentati si
lasciò andare ad una roca risata
«Direi
che sei sconfitta, Marilien»
Sua
madre fece scorrere gli occhi verdi da suo
fratello a lei, poi sospirò e si batté il
grembiule bianco esasperata,
sollevando una nuvoletta di farina.
«Fate
come volete, ma se muore non venite a
piangere da me» si scostò la treccia rossa dalla
spalla e rientrò in cucina
borbottando.
«Sianna
cambiati e non osare sederti da nessuna
parte finchè non sarai pulita!» urlò
dall’altra stanza proprio mentre lei si
era alzata per mettersi più comoda sulla poltrona. Con un
sospiro rassegnato si
lasciò nuovamente cadere sul tappeto.
«Pensavo
si sarebbe arrabbiata di più» mormorò
poi, guardando Kea con un sorriso «Però se ci sei
tu non si arrabbia così
tanto!»
«Stupida
sorella» le disse Ynyr.
Il
fratello si accomodò su una poltrona e si gettò
in bocca un altro biscotto. «Aspetta che lei vada via e poi
la mamma
ricomincerà»
Sianna
gli fece una linguaccia «Antipatico. Sei
davvero insopportabile! Si può sapere dov’eri
finito? Dovevi essere nel bosco a
cercarmi e invece sei qui! Magari ti stavo ancora
aspettando!»
La
nonna guardava Ynyr come lei, vagamente
divertita.
«Ti
lamenti sempre che ti trovo subito. Mi
annoi. Così ho deciso di venire a casa a mangiare
perché avevo fame e dopo di
venire a cercarti» disse semplicemente prima di inghiottire
l’ultimo biscotto.
Sianna
diventò rossa per la rabbia.
Questa
volta si era davvero illusa di averlo
giocato, e invece era rimasta beffata ancora.
Kea
invece, inaspettatamente, si mise a
ridere di gusto, umiliandola di più.
«Sei
davvero cattivo! Tu il mio falco non lo
tocchi!»
Ynyr
alzò le spalle, incurante «Come vuoi tu»
Balzò
giù dalla poltrona e uscì di casa senza
darle alcuna soddisfazione.
«Saccente
nanerottolo» sibilò lei a denti
stretti.
«E
tu come fai a sapere cosa significa
“saccente”?» la interpellò
Korakas.
Arrossì
di nuovo «Non lo so» balbettò in
imbarazzo
«Però me lo dice sempre Ailbhe»
Korakas
rise «In effetti quel vecchio brontolone
ha proprio ragione, sei una piccola saccente Sianna!»
«Anche
lui lo è» fece notare Kea aprendo bocca per
la prima volta. Con quelle semplici quattro parole si
conquistò
irrimediabilmente la simpatia di Sianna che le saltò al
collo e la strinse a sé
come fosse un animale di pezza.
«Lo
sapevo, lo sapevo! Tu sarai la mia migliore
amica!»
Il
piccolo falco, sul tavolo, pigolò la sua
approvazione, almeno questo era ciò di cui Sianna fu
convinta.
Era
il suo falco d’altronde, era naturalmente
portato a darle ragione.
«Come
lo chiami?» domandò Kea, sgusciando dalla
sua stretta, rossa in viso per la vergogna e con lo
sguardo basso
sul tappeto.
«Non
dargli un nome, non sappiamo se vivrà. Se ti
affezioni troppo ci rimarrai male» la redarguì
nuovamente Korakas.
Sianna
gonfiò una guancia, infastidita, e si chinò
sul piccolo uccellino spiumato e buffo con gli occhietti tutti
raggrinziti «è
bianco» valutò semplicemente «lo
chiamerò Gael»
La
nonna ridacchiò sommessamente «Non è
proprio
così Sianna»
«Perché?»
Sollevò
gli occhi sull’anziana, perplessa, come
alla ricerca di approvazione, ma il suo sguardo si posò solo
sulla sala,
completamente vuota.
«Korakas?
Kea?»
Una
fitta di panico, nell’esatto istante in cui
realizzò che era da sola, non c’era nessuno. Anche
Gael era sparito, e un
leggero strato d’impalpabile fumo grigio si stava lentamente
diffondendo nella
stanza.
«Gael!
Kea! Ynyr! Dove siete?»
Le
mani, le sue mani, non erano più coperte di
sangue, ma erano d’improvviso grandi, mani da adulta.
«Sianna!»
Si
alzò di scattò e corse alla finestra,
spalancando l’imposta accostata. La luce improvvisa
l’accecò, insieme ad una
vampata di calore che quasi le bruciò il volto e
le fece lacrimare gli
occhi.
Il
rosso dominava l’oscurità e le urla di puro
terrore riempivano il silenzio della casa.
«Sianna!»
Non
riusciva a muoversi, era bloccata,
affrancata allo stipite di legno. Il panico l’aveva
inchiodata al pavimento e
ogni istinto l’aveva abbandonata. Quello era un bel ricordo,
il suo primo
ricordo con la sua migliore amica, e nel suo ricordo non
c’erano fiamme,
non c’era paura.
«Sianna
maledizione!»
La
voce d’Ynyr, la sua mano che le afferrava
bruscamente il braccio all’altezza del gomito e la
costringeva a voltarsi e la
tirava a sé «perché non
rispondevi? Stupida ero preoccupato da morire!
Stai bene vero?» le prese il viso fra le mani e Sianna
ritrovò negli
occhi del fratello, lo specchio dei suoi stessi occhi, un
briciolo di
razionalità.
Le
mani le tremavano mentre a sua volta si
aggrappava alle dita magre e nervose del fratello, serrate intorno al
suo viso,
e annuiva, gli occhi grandi spalancati dal terrore e dalla confusione.
Ynyr
era più lucido di lei, le afferrò saldamente
il polso e la trascinò con sé.
Spalancò
la porta e corse fuori casa con Sianna al
seguito. Il calore che le aveva infiammato le guancie si
moltiplicò, le parve
quasi di essere entrata in una fornace, il sudore le entrava negli
occhi e le
annebbiava la vista. Le urla la intontivano, le persone la urtavano,
suo
fratello correva, la presa ferrea sul suo polso le bloccava la
circolazione.
«Resta
presente Sianna! Sianna! Non svenire, non
lasciare la mia mano!»
Un
urlo
«Sianna!»
SPAZIO AUTRICE
Buongiorno!
Niente,
finalmente ho introdotto la protagonista
della storia, e.. nulla, spero vi piaccia! Tengo a questa storia
infinitamente,
quindi dateci un occhio anche se è lunga e ditemi seriamente
cosa ne pensate! è
il mio lavoro di una vita (sembra esagerato e invece non lo
è. Sono sette anni che
lavoro a questo maledetto intreccio, a volte credo di averlo
intrecciato
troppo) e mi piacerebbe capire se potrebbe mai essere qualcosa di
più di una
storiella abbandonata in un computer quindi... sparate a zero, senza
pietà! Ma
non siate indifferenti, per favore! =)
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