Dicembre

di nals
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Alla fine t'ha travolta sul serio, quell'inverno lì, che ti piace tanto.
Quello che vorresti accanto al mare, dopo il battere d'uno spazio bianco.
La pelle ti si raggrinzisce in triangolini ruvidi tra le dita, attorno ai polsi.
Nascondi la mancanza d'altra pelle nelle tasche del giaccone.
E il vento ti soffia contro, e il vento ti soffia addosso, e il vento soffia come quella volta lì, quella volta lì.
Una volta di quelle volte che sarebbe così bello – davvero? – poter scordare, ma che poi...
Poi.
Nascondi la mancanza d'altra pelle nelle tasche del giaccone; la pelle tra la pelle tesa sulla pancia/gobba d'un motore in volo.
[Vola che volo]
Perché son, perché così, perché fredde, perché?
Perché?
Corrado dice che è colpa d'un qualcuno e che “non è questa calma”.
Tu non dici e basta, ché sei scema.
E non sai più cosa inventarti; ché, in fondo, è tutto un reiterare con ostinazione quel qualcosa che, potendo (volendo), avresti voluto (potuto) strapparti via, infilando le dita sottili nella carne, pinzando col fervore di polpastrelli gelidi a contatto, quel semino infame e, magari sterile, che t'ha piantato dentro. In testa .
Magari sterile. Ché sterile non lo è, affatto.
S'è trasformato, col vituperio d'un virus latente.
C'è, c'è e non si vede. C'è e s'accresce. C'è e ti fotte.

 

E non sai più cosa inventarti. Ché converrebbe lasciarla ricucirsi per bene, questa cicatrice.
Sul serio.
E invece gratti via l'èscara con la cocciutaggine antipatica d'una cinquenne lagnosa, tutte le notti, impregnando la federa bianca di sottili scie rosse e dolore cadenzato.
Ché forse è vero: è solo quel che ti meriti.
E quelle mani. E le tue mani.

 

Non sai più cosa inventarti.
O come acciambellarti, ché di ferite infette ti bastano quelle con cui ti sei risvegliata ogni nuovo giorno.
E fatti piccola piccola, inventati una favola.
Ché di parole ne son rimaste poche e forse non ne vale nemmeno la pena, di continuare a raccontarne.





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