Capitolo
1
Nola
correva a lato di una strada poco trafficata.
Il
vento le sferzava il viso ma non le importava: l’importante
era che
lei fosse finalmente libera. Non avrebbe resistito un minuto di
più
in quel maledettissimo orfanotrofio di campagna, dove aveva passato i
tre mesi più brutti della sua vita.
Da
quando la sua nonnina, l’unico parente ancora rimastole in
vita, se
ne era andata, lei era rimasta sola al mondo, senza nessuno che
potesse prendersi cura di lei.
Fu
così affidata alle “cure” della
direttrice
dell’orfanotrofio, la signorina Simpleton.
Nola
non si stupiva che la signorina Simpleton fosse ancora single
nonostante avesse più di cinquant’anni,
perché la sua
mascolinità non poteva essere superata da nessun uomo
esistente al mondo. Oltretutto il suo carattere freddo e insensibile
la rendeva ancora più odiosa e detestabile.
Dal
suo arrivo all’orfanotrofio, la signorina Simpleton la prese
in
antipatia, e nulla le fece cambiare idea.
-
Da questo momento farai tutto quello che ti dirò di fare.
Lavorerai e guadagnerai dei soldi, vedo che sei abbastanza grande per
farlo. È finita la bella vita per te, è ora che
tu
sappia il significato di avere un posto nella società.
–
disse la signorina Simpleton, quando Nola, esausta per aver
trasportato un bagaglio troppo pesante per le sue mani,
entrò
per la prima volta nel suo luogo di prigionia.
-
La nonna non mi avrebbe mai lasciata lavorare! Ho solo sedici anni!
–
disse lei a denti stretti.
-
Sfortunatamente tua nonna è morta, e niente potrà
cambiare questa realtà! – rispose la signorina con
un ghigno
malvagio in volto.
-
Questa sarà la tua camera d’ora in poi.
– disse indicando
una porta alla sua sinistra.
-
Domani mattina alle sette ti farai trovare in sala da pranzo per la
colazione, dopo di che deciderò il lavoro che dovrai
svolgere.
– continuò aspra, poi se ne andò.
Nola
entrò nella stanza, osservandone l’arredamento con
sempre
maggior disgusto. Esattamente davanti alla porta si trovava una
piccola finestrella con il vetro rotto, da cui entrava, abbondante,
la pioggia. Sotto la finestra c’era una branda vecchia e
smollata,
su cui poggiava un consunto materasso mangiato dagli acari. Non
c’era
ne un cuscino ne una coperta.
La
ragazza buttò la valigia in un angolo, e da una crepa del
muro
uscì uno scarafaggio, sicuramente disturbato dal tonfo.
-
Aah! – gridò Nola, e sali sopra il letto, che fece
strani
scricchiolii.
Lo
scarafaggio rientrò nel buco, e lei scese dal letto, sicura
che non avrebbe retto il suo peso ancora per molto.
-
C’è qualcuno? – chiese una voce
proveniente dalla camera
affianco a quella di Nola. Era una ragazza.
Poi
all’improvviso un pannello di legno della parete si
spostò,
facendo passare una ragazzina bionda, che si ripulì il
vestito
sudicio dalla polvere del pavimento, e infine alzò la testa,
mostrando due brillanto occhi azzurri.
-
Tu sei la ragazza appena arrivata, vero? Tutti parlano di te!
Ovviamente con me non parla nessuno, e non sei obbligata a farlo
nemmeno tu, ma ci sono abituata ormai…-
Nola
fissò intensamente quella ragazzina. Lo notava solo adesso
ma,
anche se i suoi abiti le davano l’aspetto di una poveraccia o
di
una mendicante, lei non era per niente sporca.
Certo
era molto magra, ma le sue mani erano delicate e non c’era
ombra di
terra sotto le unghie, e i suoi capelli erano morbidi e fluenti.
-
Io sono Nola, piacere! – disse, tendendo la mano alla
ragazzina.
I
suoi occhioni azzurri si illuminarono. – Allora tu parli con
me! Io
mi chiamo Arin! –
-
Perché ti fanno dormire qui su in soffitta? Non hai paura?
–
chiese Nola.
-
Oh, no! Si sta bene quassù, a parte quando piove, ma quando
fanno belle notti si vede un cielo così limpido che puoi
contare le stelle! –
Nola
si sedette sul letto, e Arin le si avvicinò.
-
Perché nessuno parla con te? – chiese ancora Nola.
Arin
rimase in silenzio per un po’, mordicchiandosi il labbro
inferiore.
-
Mia madre era una strega. Cioè, la gente dice
così, per
screditarla, ma lei non era niente del genere! Preparava solo rimedi
e infusi a base di erbe, non aveva mai fatto niente di male a
nessuno. Poi un giorno, delle guardie dell’Impero del Fuoco
bussarono alla nostra porta e la portarono via. Da quel momento la
vidi solo in occasione del suo funerale, due settimane dopo. A dire
la verità vidi le sue ceneri, l’avevano bruciata
sul rogo .
Avevo solo sei anni… Poi, non avendo altri parenti che
volessero
tenermi con se, venni mandata qui. –
A
Nola salì un groppo alla gola. In confronto a quel racconto,
la sua storia non era niente di speciale.
-
Quanti anni hai? – chiese ad Arin.
-
Tredici appena compiuti! – esclamò orgogliosa,
sorridendo.
-
È un miracolo che in questo posto qualcuno riesca ancora a
sorridere! – disse, più a se stessa che ad Arin.
-
Non preoccuparti, quando ci farai l’abitudine non
è poi così
male, anche se per farti un bagno decente devi per forza andare al
fiume. Se qui all’orfanotrofio c’è il
gabinetto è
anche troppo! –
Quella
notte Arin rimase a dormire nella camera di Nola, portando una
coperta dal suo letto, e avvolgendosi entrambe per tenersi caldo a
vicenda.
La
mattina dopo, Nola venne messa ai lavori forzati in cucina e nel
giardino.
-
Lava le pentole! – sbraitava la signorina Simpleton. E
ancora: -
Strappa le erbacce! - oppure – Pulisci le camere! –
La
ragazza non aveva un attimo di respiro e non poteva nemmeno
ribattere, perché la signorina Simpleton aveva minacciata di
toglierle tutti gli oggetti personali, comprese le vecchie foto dei
suoi parenti. Tutti i giorni era una vera tortura.
Solo
la notte poteva davvero tirare un sospiro di sollievo, tornando nella
sua piccola camera, dove chiacchierava a bassa voce con Arin, per non
farsi sentire.
A
volte era Nola ad andare a trovare la ragazzina nella sua stanza. In
realtà era una camera molto piccola, arredata solo da un
letto. Alla parete era appeso un gancio che reggeva un vecchio
straccio, che ad una seconda occhiata si rivelava per quello che era:
un vecchissimo abito nero, tarlato e ammuffito.
-
Quello era l’abito che indossai al funerale di mia madre.-
spiegò
un giorno Arin, mentre lo accarezzava, alzando un po’ di
polvere.
Nola
gli si avvicinò. Era molto piccolo, giusto per una bambina
di
sei anni.
Alla
ragazza si strinse il cuore a ripensare alla storia di Arin, e
vederle quell’espressione rassegnata in volto la fece
intenerire
ancora di più.
Gettò
le braccia al collo di quella ragazzina, dal corpo talmente magro che
aveva paura di farle male.
-
Ahia! – esclamò Arin, e si districò da
quell’abbraccio.
Nola
la guardò spaventata. L’aveva forse stretta
troppo? Ma vide
che Arin si massaggiava un braccio, quindi capì che non era
stata colpa sua.
-
Che cos’hai? Fammi vedere. – disse Nola,
avvicinandosi.
Arin
la guardò spaventata e insieme imbarazzata.
-
È meglio se non… - mormorò la piccola,
ma Nola si era
già fatta più vicina, e con un solo movimento
alzò
la manica del vestito di arin, che lei usava anche come camicia da
notte.
Un
gigantesco livido viola si estendeva dal polso e percorreva quasi
tutto l’avambraccio, tracciando una forma allungata.
-
Come te lo sei fatta? – urlò, più
spaventata che
arrabbiata.
Le
guance di Arin si rigarono di lacrime, mentre le sue gambe cedevano e
cadeva inginocchiata. – Io… non…
il… ferro da stiro… la
signorina Simpleton mi ha… - cercava di dire, ma i
singhiozzi
coprivano metà del discorso.
Incredula,
Nola sentì crescere la sua rabbia e la sua
avversità
verso la signorina Simpleton sempre di più.
Uscì
dalla stanza sbattendo la porta, prendendo per mano Arin e
trascinandosela dietro.
Trovò
la signorina Simpleton nel suo ufficio, molto più lussuoso e
pulito di tutto il resto dell’orfanotrofio.
Sbattendo
la porta annunciò il suo arrivo, e con la stessa rabbia le
urlò in faccia. – Che cosa ha fatto? –
gridò,
perdendo definitivamente il controllo.
Allungò
il braccio di Arin verso la scrivania e lo mostrò alla
direttrice.
Lei
fissò il livido per un momento, poi ritrasse lo sguardo e
voltò la testa, come disgustata da quella visione.
-
Allora! Mi risponda! – gridò ancora Nola.
-
Che cosa dovrei dirti? – chiese la signorina Simpleton con
voce
calma e composta.
Nel
frattempo davanti alla porta aperta dell’ufficio si era
radunata
una piccola folla.
-
Per esempio potrebbe dirmi perché ha picchiato Arin con un
ferro da stiro? –
La
signorina Simpleton cominciò ad agitarsi e a sudare freddo.
-
Come… chi ti ha… detto una cosa del genere?
– farfugliò,
poi tentando di ricomporsi, esclamò con voce più
acuta
del solito: - È stata lei vero? – indicando Arin.
-
Tu, piccola, spregevole bambina, sei soltanto…-
-
La
smetta!
– gridò Nola, frapponendosi tra Arin, che aveva
ricominciato
a piangere, e la signorina Simpleton, che per l’agitazione e
la
collera era rossa in viso e spettinata.
-
In punizione! – esclamò la direttrice,
ricomponendo il suo
tono di voce freddo e pacato.
-
Non tollero che nel mio istituto vengano messi in discussione i miei
metodi di insegnamento. –
-
Allora me ne andrò. Scapperò da questo posto, e
lei non
mi rivedrà mai più! –
esclamò Nola, a cui quel
tono di voce monocorde dava sui nervi.
-
Che pensiero sentimentale! Sfortunatamente non sei ancora
maggiorenne, perciò dovrai stare qui nella mia
“prigione”
ancora per due anni! –
Nola
sbattè un pugno sulla scrivania.
-
Lei è un mostro! – sibilò.
-
Perfetto. Isolamento! – disse la direttrice. Si
alzò dalla
sua poltrona e la prese per un braccio. La trascinò fino
all’esterno del caseggiato, portandola dentro un capanno
pieno di
balle di paglia.
-
Questo è un posto dove porto a riflettere i ragazzini
ingrati
come te che non rispettano la mia autorità. Resterai qui
dentro per una settimana. Ti verrà portato un pasto al
giorno
e i bisogni potrai farli qui dentro. – disse, e si
avvicinò
ad una botola vicino all’entrata del capanno. Alzò
la
copertura e si tappò il naso. Dal buco fuoriusciva una puzza
nauseabonda.
La
signorina Simpleton uscì dal capanno e chiuse
l’entrata.
Mentre
calde lacrime scendevano dalle guance di Nola, all’esterno si
sentì
un rumore di catene sfregate. Era stata chiusa dentro.
Si
riscosse subito e si mise a cercare una via d’uscita.
Notò
immediatamente quella che sembrava una finestrella. Si
arrampicò
su delle balle di paglia e raggiunse l’apertura. Era sbarrata
da
delle assi in legno.
Cercò
di toglierle con le mani, con l’unico risultato di graffiarsi
con
le schegge e farsi uscire il sangue.
Trovò
altre finestrelle sbarrate. Qualcuno sicuramente era riuscito a
scappare, per quello erano state chiuse.
Rassegnata
si accasciò sulla morbida paglia e finì per
addormentarsi.
-
Nola! – sussurrò una voce nella notte.
Nola
credeva ancora di sognare, quando infine riconobbe la familiare voce.
-
Arin! – esclamò Nola, improvvisamente sveglissima.
-
Da questa parte! – sussurrò la ragazzina, bussando
su
un’asse di legno del caseggiato.
Nola
la spostò, e dall’altra parte vide finalmente il
dolce viso
di Arin.
-
Come facevi a sapere che qui c’era un passaggio?! –
chiese,
sorridendole.
-
Quando ero più piccola sono stata rinchiusa qui molto spesso
e
molto a lungo…- disse la piccola.
Le
due si guardarono e infine, tra le risate trattenute, si strinsero in
un abbraccio.
-
Nola devi scappare! – esclamò
all’improvviso Arin. Si fece
da parte e mostrò alla ragazza una valigia piena.
-
È la tua valigia. – spiegò Arin.
– Ho raccolto
tutte le tue cose, non ne ho dimenticata nessuna! E ho messo anche
delle provviste! Sai, volevano bruciare i tuoi averi, ma li ho
recuperati tutti prima che ci riuscissero! – disse fiera,
sorridendo.
-
Che cosa è successo?! – chiese Nola allarmata.
-
Ho sentito la direttrice che parlava al telefono con
qualcuno… Non
so chi fosse… Diceva che voleva mandarti in un posto
strano… Si
chiamava Hans… Hansest… -
-
Hansenouth! Il manicomio! Vuole mandarmi al manicomio?! –
Anche
Arin rimase scioccata a quella scoperta.
Nola
uscì in fretta dal passaggio, ritrovandosi al buio della
notte, illuminato solo da uno spicchio di luna.
-
Ho sentito che alla fine del tuo periodo di isolamento sarebbero
venuti a prenderti! - disse Arin, con le lacrime che minacciavano di
invadergli le guance.
-
Arin, dimmi esattamente che cosa hai sentito! – la
scongiurò
Nola, chinandosi un poco verso la piccola.
-
Diceva… La signorina Simpleton diceva che avevi avuto uno
scatto
d’ira e che era meglio rinchiuderti
perché… potevi essere
un pericolo per noi bambini…-
-
Sarebbe lei da rinchiudere! Se solo sapessero come è gestito
questo orfanotrofio la metterebbero subito in prigione! –
Respirava
con affanno a causa della rabbia, ma dopo due boccate di aria fresca
si riprese.
-
Ti conviene andare, adesso. –
Nola
annuì, e dopo un rapido sguardo, le due si abbracciarono
nuovamente.
-
Grazie per tutto quello che hai fatto per me! –
mormorò
Nola, schiacciando la testa nei morbidi capelli di Arin.
-
Sono io che devo ringraziarti, senza di te non ce l’avrei mai
fatta! Hai portato un po’ di felicità nel mio
piccolo mondo.
–
“
È
ancora una bambina, ma parla come una donna!”
Le
due si sciolsero dall’abbraccio.
-
Arin, ricorda una cosa: anche se saremo lontane, noi due saremo
sempre sorelle, d’accordo? – disse Nola, poi,
salutandola con la
mano, si diresse di corsa verso il sentiero che portava alla strada
asfaltata.
Arin
rimase un po’ a guardare, gli occhi velate dalle lacrime, poi
decise finalmente di tornare nella sua camera.
“
Sono
sicura che tornerà a prendermi, molto, molto
presto!” pensò.
Improvvisamente
lo stomaco di Nola fece un rumore, molto somigliante ad un ruggito
furioso.
-
Forse è ora che metta qualcosa sotto i denti! –
Impresa
impossibile, dato che quella strada proseguiva imperterrita in mezzo
alla campagna, senza l’ombra di una casa ne una stazione di
servizio nel raggio di chilometri.
Si
fermò sul ciglio della strada e aprì la valigia e
trovò
un pacchetto involto e chiuso da spago. Lo aprì, e dentro
trovò tre panini con il prosciutto assieme a dei pezzi di
formaggio, in seguito notò che in un angolo della valigia
c’era anche una bottiglia d’acqua.
“
Arin,
sei davvero una ragazza d’oro!” pensò
Nola, mentre
addentava un panino, con le lacrime agli occhi.
Improvvisamente
un rumore la fece sobbalzare, veniva dalle sue spalle, e si
avvicinava pian piano. Si voltò, aspettando in ansia di
sapere
di cosa si trattasse. Poi, dalla cunetta della strada, vide spuntare
un piccolo camioncino, che trasportava qualche gallina.
Il
camioncino si fermò a pochi passi da lei, e il guidatore
abbassò il finestrino. Era un vecchietto dallo sguardo
simpatico.
-
Che ci fa una signorina come te in giro a quest’ora?
– chiese il
vecchietto.
-
Io… perché, che ora è? –
-
Santo cielo! Sono le sei di mattina! –
-
A dire la verità…- fece per spiegarsi Nola.
-
Vuoi un passaggio? – chiese ancora il vecchietto.
Lo
sguardo di Nola di illuminò. – Certo! –
rispose d’un
fiato.
-
Bada bene però, dovrai stare seduta tra le galline, qui
davanti non c’è posto! – disse, e da
dietro la spalla del
vecchio spuntò la testa di un vecchio segugio
dall’aria
vissuta.
“
Non
so dire chi sia più vecchio, se il cane o il
padrone!” pensò
Nola, mentre saliva nel cassone.
-
Ancora una cosa, dove vai di preciso? –
-
Oh, non ho una meta precisa, mi porti fin dove deve andare lei, poi
da li vedrò io… -
-
Se per te va bene cosi… Ah, stai attenta a quella gallina
con le
penne rosse, è molto permalosa!- rise il vecchio, mentre
dava
gas al camioncino sgangherato.
Il
camioncino arrivò ad una piccola fattoria, circondata da
campi
coltivati e da vari frutteti.
Nola
scese dal furgone, e così anche il vecchio e il cane.
-
Questa è la “Fattoria delle Margherite”-
annunciò
fiero. – Era il nome che le aveva dato mia
moglie…- continuò,
questa volta con una nota di malinconia nella voce.
Fece
scendere le galline dal cassone, che cominciarono a beccare qua e la
nel terreno.
-
La ringrazio per il passaggio, ma ora è meglio che vada!
–
disse Nola, con un sorriso, ma non fece in tempo a fare un passo che
si accasciò per terra.
-
San Tommaso! Ma tu sei morta di sonno! Da quando non chiudi occhio?
–
-
Forse… quasi due giorni? – rispose lei,
rimettendosi in piedi.
Solo
in quel momento si accorse di quanto fosse stanca. L’euforia
della
fuga glielo aveva fatto dimenticare.
-
Vieni, puoi sdraiarti nella camera di mia figlia, lei ha lasciato
questa casa da molto tempo, ormai. –
Nola
riaprì gli occhi, e in un primo momento non capì
dove
si trovasse. Quando vide la testa di un anziano segugio a pochi
centimetri dalla sua, ritrovò improvvisamente la memoria.
Si
alzò dal letto e si guardò intorno. Si trovava in
una
stanza piccola e sobria, ma molto accogliente. Non ricordava neanche
come ci fosse arrivata, tanto era assonnata.
C’era
un letto, coperto da una trapunta patchwork molto campagnola, un
piccolo armadio in legno e una scrivania. Affianco al letto si
trovava una piccola finestrella sulla quale era poggiato un vaso di
fiori.
Uscì
dalla camera, e trovò la cucina solo seguendo un delizioso
profumo molto invitante. Il segugio la seguì come una
guardia
del corpo.
-
Finalmente ti sei svegliata! Giusto in tempo per il pranzo! –
esclamò il padrone di casa, che indossava un buffo grembiule
da cucina e impugnava un mestolo sporco di salsa come fosse una
spada.
-
Hai dormito un giorno intero, proprio come un ghiro, e sai una cosa,
non so neanche il tuo nome! – disse, mentre porgeva una
ciotola di
stufato alla ragazza.
-
Mi chiamo Nola. – disse, mentre prendeva la ciotola e si
sedeva al
piccolo tavolo apparecchiato per due. – E lei, come si
chiama? –
-
Il mio nome è Talbot, e lui e Boris. – disse
indicando il
cane. Prese una ciotola di stufato e si sedette anche lui a tavola,
mentre Boris gironzolava attorno alla sua ciotola.
-
Allora, qual buon vento ti porta da queste parti? – chiese
Talbot.
-
A dire il vero… Sono scappata, ecco! Da
quell’orfanotrofio
disperso nella campagna! – Nola non capiva come le parole le
uscissero così spontaneamente, ma era sicura che di quel
vecchio ci si poteva fidare ciecamente.
-
Intendi l’orfanotrofio della signorina Simpleton? –
esclamò
Talbot, svegliandosi immediatamente da quella calma che lo avvolgeva.
Nola
annuì, mandando giù il brodo caldo e gustoso.
–
Proprio quello…- La ragazza si aspettava come minimo una
bella
ramanzina, ma la reazione che ebbe il vecchio la colse completamente
impreparata.
Iniziò
a tremolare e a far muovere i folti baffi, come se stesse per
starnutire, finché non esplose un una sonora risata.
-
AH! AH! AH! Non ci posso credere! Finalmente qualcuno che si ribella
a quella vipera travestita da donna! Era ora! –
esclamò, e
poi tornò a ridere.
Nola,
sbalordita da quella reazione, iniziò a ridere assieme al
vecchio, fino a quando fece male la pancia ad entrambi.
Ripresero
fiato, ansimando tra risatine e boccate d’aria.
-
Come posso ringraziarla per l’ospitalità, signor
Talbot? –
chiese Nola, non ancora ripresasi dalla risata.
-
Oh, non devi ringraziarmi, a questo vecchietto basta la tua presenza
per sentirmi felice. Sai, non ridevo così da un sacco di
tempo
ormai! Mi ci voleva questa ventata d’aria fresca!-
Boris
russava, sdraiato sul tappeto della cucina, mentre Talbot era
impegnato ad accendersi la pipa seduto sulla sedia a dondolo.
-
Lo sa, alla sua età non dovrebbe fumare! – lo
apostrofò
Nola, che lavava i piatti.
-
Me lo diceva sempre anche mia moglie! – sospirò
Talbot, e si
alzò, dirigendosi verso la credenza. Fece cenno a Nola di
avvicinarsi e da un ripiano prese una foto incorniciata. Ritraeva un
uomo di mezza età che abbracciava una donna più
bassa
di lui, e tra i due si trovava una ragazza poco più grande
di
Nola. Affianco alla ragazza stava seduto un giovane segugio
dall’aria
fiera.
-
Questa era mia figlia…- disse, indicando la ragazza nel
centro. -
Dieci anni fa si sposò con un ricco industriale, e da allora
si trasferì a River Town. Da allora venne a trovarmi dalla
città qui in campagna, sempre più raramente,
finché
un giorno non venne più. Per me era molto difficile andare a
trovarla, anche perché io e mia moglie eravamo molto
impegnati
qui alla fattoria, perciò da allora non ho più
avuto
notizie della mia bambina, la mia piccola… Susie…
-
Talbot
sfiorò la figura della figlia, con gli occhi umidi. Nola lo
osservò, comprensiva: anche lei provava nostalgia,
ripensando
alla nonna.
-
Lei invece era mia moglie… Marta… La donna
più dolce del
mondo! Era sempre sorridente e anche se qualcosa andava storto
l’allegria l’accompagnava ogni giorno! Dopo la
partenza di Susan
non fu più la stessa… Sorrideva sempre meno, e
arrivò
al punto di ammalarsi, una malattia che non le diede tregua, che me
la portò via per sempre… -
A
quel punto Talbot venne colto dalla commozione e si coprì
gli
occhi con la mano libera.
Nola
gli circondò le spalle con un braccio, dandogli leggere
pacche
sulla schiena.
-
Non preoccuparti! – disse, dopo essersi ripreso. –
Qui con me c’è
sempre Boris a tenermi compagnia, poi ci sono le galline e persino la
mucca Mafalda! –
Le
galline razzolavano tranquille, ma Nola non si era ancora abituata a
quel via vai. Certo, in tre giorni di vita campagnola aveva imparato
un sacco di cose, compreso raccogliere le uova senza schiacciare
nemmeno un pennuto.
Portò
il cesto delle uova in casa, e si mise a preparare il pranzo.
Talbot
era andato a mungere una pecora, perciò in casa con la
ragazza
c’era solo Boris, che gironzolava senza una meta. Mentre Nola
impastava il pane, il segugio si sedette vicino a lei e la
fissò
intensamente. In un primo momento, la ragazza non diede peso allo
strano comportamento del cane, ma sentendosi osservata, lo
fissò
anche lei.
Gli
occhi di Boris avevano uno strano luccichio, come se fossero proprio
occhi umani.
“
Ho
il sospetto che questo cane capisca tutto quello che
diciamo…”
pensò Nola, tornando all’impasto.
-
Bene! Vedo che stai preparando il pranzo! Cos’è?
– chiese
Talbot, tornato in casa, mentre alzava il coperchio di una pentola
che cuoceva sul fuoco.
-
È una vecchia ricetta di mia nonna, una specie di tradizione
di famiglia: verdure con farro, orzo e carne…-
-
Ottimo! Squisito! – cominciò a esclamare il
vecchio, che
assaggiava.
-
Ehi, ne lasci anche per il pranzo! – disse Nola.
Dopo
pranzo Talbot si sedette nella sua sedia a dondolo, guardando un
po’
la tv, mentre Nola era seduta a gambe incrociate sul tappeto della
cucina, e faceva dei massaggi circolari sulla pancia di Boris.
-
Signor Talbot, da quando Boris fa parte di questa famiglia? –
chiese Nola, che fissava nuovamente gli occhi espressivi del cane.
-
Ormai da più di dieci anni! In verità mi stupisco
che
sia ancora vivo, data la sua età, ma finché resta
a
farmi compagnia…
A
dire il vero era uno strano cane anche da piccolo. Ogni volta che
parlavamo di qualcosa, Boris si sedeva vicino a noi e ci fissava,
come se stesse ascoltando anche lui. Ora che siamo rimasti noi due
soli sono io che parlo con lui, e lui mi ascolta sempre, come quando
era piccolo. –
Un
rumore interruppe la loro conversazione.
Somigliava
a quello del camioncino di Talbot, ma era molto più profondo
e
scombussolato. Nola si avvicinò alla finestra e
guardò
fuori. Un furgone bianco, tagliato da una striscia azzurra in
orizzontale, passò velocemente davanti alla fattoria.
-
Tsk! Quel furgone passa qui davanti da un po’ di tempo ormai.
Quelli di Hansenouth si stanno dando da fare, ultimamente! –
Nola
si voltò, allarmata.
-
Hansenouth? – chiese, trattenendo il fiato, ma non
aspettò
una risposta. – Quanto tempo è passato da quando
sono venuta
a stare qui? –
-
Beh, direi sei giorni…- rispose Talbot.
“
Più
un giorno rinchiusa nel pagliaio fanno una settimana! Quel furgone
sta venendo a prendermi!”
-
Devo scappare! Non posso restare qui, metterei in pericolo anche lei!
– disse, e corse in camera a preparare la valigia.
-
Perché, è successo qualcosa? – chiese
Talbot,
seguendola.
-
Quelli stanno cercando me! Spero non abbiano ancora scoperto la mia
fuga! –
Talbot
corse in cucina, prese un fazzoletto e lo riempì di pane,
frutta, formaggio, lo chiuse con un nodo e lo portò da Nola,
che nel frattempo trascinava la valigia verso la porta.
-
Dimmi dove vuoi andare, ti accompagno io! –
esclamò Talbot,
uscendo prima di lei e salendo sul camioncino.
Nola
si bloccò, con la valigia ancora in mano.
Non
aveva mai pensato di dover andare da qualche parte. In
quell’ultimo
periodo era stata sballottata da un posto all’altro, e non si
era
mai fermata a riflettere su cercare un posto dove stare.
-
Io… non so dove andare… Se restassi qui
è probabile che mi
trovino molto presto, ma è probabile che mi trovino anche se
vado in qualsiasi altro posto…-
-
Facciamo così. – propose il vecchio. –
Ti accompagno fino
al limitare della foresta, poi da li prosegui da sola, va bene?
–
-
Oh… va bene! – accettò infine, e
salì sul
camioncino.
Arrivarono
in breve tempo al confine con la foresta.
Al
momento di dirsi addio, Nola divenne molto triste.
-
Mi dispiace di averle causato tutto questo disturbo… Avermi
ospitato a casa sua, avermi fatto fuggire… Io…
non so proprio
come ringraziarla! –
-
Ma scherzi? È solo grazie a te se ho ritrovato il mio
buonumore! Non preoccuparti, andrà tutto bene, e se cerchi
ancora un posto dove stare, vieni pure alla Fattoria delle
Margherite!-
Nola
e Talbot si abbracciarono, poi, prima che lei scendesse dal
camioncino, il vecchio disse: - Seguendo quel sentiero arrivi ad un
piccolo villaggio di mercanti, potrai trovare ospitalità,
sono
della brava gente! –
Mentre
il camioncino se ne tornava a casa, Nola si incamminava spedita sul
sentiero. Il peso della valigia la rallentava molto, e questo la
faceva imbestialire. La strada si era aperta su degli estesi campi
coltivati, e qua e la si scorgevano piccole fattorie.
Il
sole stava ormai tramontando, e finalmente all’orizzonte si
riuscì
a scorgere il piccolo villaggio. Entusiasmata, Nola accelerò
il passo, ma il sentiero era troppo sdrucciolevole e cedette di lato.
Nola
sentì la terra mancarle sotto i piedi, finché non
si
ritrovò a rotolare per una scarpata.
Quando
riaprì gli occhi, per un momento credette di sognare.
Davanti
ai suoi occhi si trovava un meraviglioso ragazzo dai capelli corvini,
con gli occhi di diverso colore, uno grigio e uno viola.
La
ragazza si mise a sedere, dolorante e sporca di terra.
-
E tu chi sei? – chiese il ragazzo, chinandosi verso di lei.
Vi
è piaciuto il primo capitolo? Spero tanto di si! Lasciatemi
tante recensioni, anche chi non lo avesse apprezzato (le critiche
sono molte volte costruttive!) ^^
Grazie
per averlo letto!
|