Quando Callie
Torres si trasferisce da Miami ad un paesino vicino Seattle le prime
ragazze con cui stringe amicizia fanno parte della squadra di
calcetto femminile del suo liceo, un mondo da cui Callie è subito
affascinata. Liceo, primi amori, calcetto e Calzona.
È tutto qui
Dicono che è tutto qui.
Dicono che ogni tanto bisogna guardarsi
attorno e cercare di memorizzare ogni dettaglio che ci circonda.
E c'è un motivo.
Il motivo è che è davvero tutto qui.
Ma non è sempre un male, non si
intende sempre in senso negativo.
Alcune volte, è tutto solo qui.
Da nessun'altra parte.
Esiste. Ciò che vogliamo, esiste. Da
qualche parte, in questo mondo, ciò che stiamo disperatamente
cercando dal giorno in cui siamo nati, esiste.
Sfiorai il muro che avevo davanti,
tentando di imprimermi nella memoria la mia camera nei minimi
dettagli.
Avrei mentito se avessi detto che quel
posto mi sarebbe mancato.
Miami non mi sarebbe mancata, neanche
un po'.
Era piena di tizi abbronzati insieme a
ragazze in minigonna, che se ne andavano in giro cercando di far
vedere a tutti quanto si sentissero importanti. Non sopportavo
nessuna delle due categorie.
E, poco ma sicuro, non mi sarebbe
mancata la mia camera. Qualsiasi altro posto con un paio di prese
elettriche ed un bagno abbastanza grande, sarebbe stato perfetto come
nuova camera da letto, per me.
Non avevo amici che mi sarebbero
mancati.
Non avevo mai tenuto a nessuno
abbastanza da sentirmi in obbligo di dire addio.
Miami era una città emotivamente priva
di legami, per me.
Beh, ovviamente, avevo solo diciassette
anni.
Mia sorella Aria non sembrava pensarla
allo stesso modo. Tutta la sua vita, i suoi amici, il suo ragazzo,
tutto era lì a Miami.
Non sembrava essere importante, secondo
lei, il fatto che avrebbe dovuto comunque lasciare la città un anno
dopo per andare al college.
A quanto ricordo, tutto ciò di cui era
convinta era che la sua vita fosse finita.
Come facevo a saperlo?
“La mia vita è finita” mi ricordò
entrando nella mia vecchia camera da letto.
“Già” risposi distrattamente.
Ecco come potevo esserne sicura.
Mia sorella aveva le lacrime agli
occhi, il giorno che lasciammo la casa in cui eravamo nate e
cresciute.
Non feci ritorno a Miami per molto
tempo. Quel giorno, io e la mia famiglia, ci trasferimmo
definitivamente in un paesino vicino Seattle.
La mia nuova camera da letto era più
grande di quella che avevo nella vecchia casa. E, quando Aria vide
quanto era grande la sua, sembrò completamente dimenticarsi di
Miami, degli amici, del suo ragazzo.
Mia sorella era più grande di me di
quindici, imperdonabili, mesi. Avrei voluto essere io la più grande,
ma sfortunatamente dovevo sopportare il peso dell'essere nata
quindici stupidi mesi dopo, lasciando che lei fosse sempre quella al
comando. Quello sarebbe stato il suo ultimo anno di scuola superiore,
ed il mio penultimo.
Il quartiere in cui ci eravamo
trasferiti non era troppo lontano dalla scuola.
Sembravano esserci molti altri ragazzi
nel vicinato, ma io, come al solito, preferivo stare da sola, non
avere problemi, non avere amici.
Appena arrivati trovammo tutti gli
scatoloni nel corridoio del primo piano, ma ci preoccupammo di
distribuirli nelle varie stanze solo la mattina del giorno
successivo.
Circa due ore dopo che avevamo finito
di smistare gli scatoloni, indossai dei pantaloni corti ma larghi, mi
allacciai le scarpette da ginnastica, ed uscii di casa.
Aria non aveva mai capito cosa ci
trovassi di così interessante nel correre.
Scacciai il pensiero di mia sorella,
capace di innervosirmi anche a metri e metri di distanza, e, dopo un
breve riscaldamento, iniziai a correre.
Avevo le cuffie. Un'abitudine dura a
morire.
Correndo ebbi modo di osservare il
quartiere. La nostra era, ad occhio e croce, grande quanto tutte le
altre case.
Mentre correvo, cercai di isolare fuori
tutti i pensieri indesiderati di quella settimana. Il fatto che ci
eravamo trasferiti. Il fatto che mio padre avesse accettato un nuovo
lavoro che lo avrebbe tenuto impegnato ancora più del precedente e
probabilmente ancora più ore lontano da casa. Il fatto che l'ultimo
film di Julia Roberts fosse stato un totale ed incondizionato fiasco.
Insomma, fu una settimana difficile, ma
correre mi rilassò.
Dopo una ventina di minuti decisi di
essere pronta a tornare indietro.
Già da lontano, vidi che nel giardino
della casa affianco alla nostra c'era qualcuno. Erano indubbiamente
giovani. Ragazze, se i miei undici decimi di vista non mi
ingannavano.
Decisi di mantenere un profilo basso e
ignorarle.
Cercai di non farmi notare.
Ma, ovviamente, ogni piccolo quartiere
è come un piccolo paese. Non accade niente che passi inosservato
all'occhio sempre attento dei vicini.
Erano tre ragazze, come avevo
ipotizzato. Erano sedute sull'erba, parlando tra di loro in maniera
sporadica.
Furono stupite dal vedermi rallentare
in loro prossimità. Io tentai di non insospettirle, togliendomi le
cuffie e sorpassando il vialetto della casa senza una seconda
occhiata indietro.
Mi videro fermarmi del tutto davanti al
vialetto di casa mia. Mi incamminai su di esso, tentando di ignorare
il fatto che mi stessero guardando.
“Ehi” cercò di attirare la mia
attenzione una delle ragazze, alzandosi e venendomi incontro
dall'altro lato della siepe alta circa un metro. “Sei la figlia
della coppia che ha comprato questa casa?” mi chiese genuinamente
curiosa.
Io accennai un sorriso. “Callie
Torres.”
“Meredith Grey” rispose subito lei,
tendendomi la mano.
Mi pulii la mano sudata sui calzoncini,
stringendo la sua subito dopo.
“Lei è mia sorella Lexie, lei è
Cristina” disse, indicando le altre due ragazze sedute con lei
sull'erba.
Io le salutai con un sorriso.
“Siete al liceo anche voi? Io sono al
penultimo anno.”
Non riuscii a pensare a niente di più
intelligente da dire.
“Anche io e Cristina. Lexie è un
anno più piccola.”
Io annuii di nuovo.
“Allora, una corsa a quest'ora. Avevi
dello stress da smaltire o sei una sportiva?” chiese Cristina, con
fare molto diretto.
“Entrambe” risposi io, sorridendo
di nuovo timidamente. “Ci siamo trasferiti da Miami, quindi non è
stato semplice, direi anzi un bell'accumulo di stress. E ho una
piccola passione per il calcio.”
“Davvero?” Meredith si interessò
subito. “Io e Cristina eravamo nella squadra della scuola l'anno
scorso.”
“Avete una squadra femminile a
scuola?”
Lei annuì. “In che ruolo giochi?”
Feci spallucce. “Non ho un vero e
proprio ruolo. Ma preferisco in attacco.”
“Magari ti piacerebbe unirti a noi.
Avevamo in programma una partita questo pomeriggio, ma ci manca un
giocatore” mi invitò Cristina.
Guardai Meredith, assicurandomi che per
lei non fosse un problema. Mi sorrise, annuendo.
Io ricambiai il sorriso. “Mi
piacerebbe.”
“Facciamo così, io e Cristina ci
cambiamo, visto che tu sei già pronta, e andiamo al campetto con
qualche minuto di anticipo, così ti facciamo vedere com'è.
Giochiamo per un'ora, cinque contro cinque, poi ti riaccompagno a
casa. Se la nostra compagnia non ti avrà ancora stufato, questa sera
andiamo a prendere una pizza con le altre ragazze. Faresti conoscenza
con qualcuno del nostro stesso anno.”
“Mi farebbe piacere.”
Entrai in casa, posando il cellulare e
le cuffie. Dissi a mia madre che un paio di ragazze mi avevano
invitato ad una partita di allenamento e le dissi che sarei tornata
più tardi. La salutai velocemente ed uscii. L'espressione scioccata
che aveva quando le dissi che avevo già conosciuto qualcuno della
mia età mi fece piuttosto irritare.
Circa un quarto d'ora dopo io, Cristina
e Meredith – che aveva guidato – eravamo dentro un piccolo campo
perfetto per le partitelle cinque contro cinque.
“Ok, Callie. Abbiamo bisogno che tu
ci sappia fare. C'è questa ragazza, irritante in un modo quasi fuori
dal normale, che riesce sempre ad essere la migliore. Un talento
naturale. Lei ed il calcio sono stati inventati dalla stessa persona”
mi raccontò Cristina mentre si riallacciava le scarpe. “Quindi, ho
bisogno che quest'anno ci sia qualcuno più bravo di lei.”
Le avevo viste giocare solo per due
minuti, dalla panchina in cui stavo posando la borsa, ma due minuti
mi erano bastati.
Le sorrisi. “Centrocampista sinistro.
Ho indovinato?” Cristina mi guardò un po' stupita. “E tu sei il
destro” aggiunsi, guardando Meredith. “Siete veloci e brave a
controllare la palla.”
Entrambe annuirono.
“Cavolo. Se sei brava sul campo
quanto lo sei con la teoria...” Meredith lasciò la frase in
sospeso, un sorrisetto soddisfatto le aleggiava sulle labbra.
“Ehi ragazze” le salutò Lexie. Io
la guardai, perplessa. “Sono venuta con April” mi spiegò,
indicando la ragazza con lei.
La rossa mi salutò con un cenno della
mano.
“Ok, Callie, le squadre sono un
tantino...diciamo epiche. Siamo molto competitive. Perché la piccola
Lexie-pedia, è un centrale sinistro, come me, mentre April, destro,
come Mer” mi fece sapere subito Cristina.
“Nella nostra squadra” continuò
Meredith “gioca anche lei” disse indicando con un cenno della
testa una ragazza che stava arrivando.
“Miranda” la salutò April
allegramente.
Lei alzò una mano nella sua direzione.
“Non iniziare ad irritarmi, non sono neanche arrivata, ancora,
Kepner” poi si accorse della mia presenza. “Chi è la novellina?”
chiese, tono piatto.
“Callie Torres” mi presentai.
Lei mi salutò con un gesto della
testa.
“Penultimo anno anche tu?”
Io annuii.
“Ruolo?”
“Oggi, attaccante” intervenne
Cristina.
“Oh, davvero? Beh, sei fortunata ad
essere nella mia squadra, allora” mi fece sapere, tirando fuori
dalla borsa un paio di guanti da portiere.
Io deglutii. La ragazza davvero sapeva
come fare paura.
“In porta è la migliore” mi fece
sapere Meredith. “Dovevamo bilanciare le squadre, visto che loro
hanno il Capitano.”
Io aggrottai la fronte. In quel momento
arrivarono altre tre ragazze, due bionde ed una rossa.
“Salve ragazze” salutò una delle
bionde. “Tu devi essere la nuova. Piacere, Izzie Stevens.”
Le strinsi la mano.
“Non prendertela quando il Capitano
ti farà sfigurare così tanto che non vorrai più uscire di casa, è
solo che lei, sai, è fatta così” continuò la rossa. “Addison
Montgomery” si presentò dopo.
“Non ascoltarla” mi fece sapere
l'altra ragazza. “Teddy. Altman.”
Strinsi anche la sua mano.
“Allora, chi è questo capitano che
semina così tanto terrore?” chiesi, incuriosita.
“Sarei io” una voce mi fece
voltare.
Una ragazza, probabilmente la mia
stessa età, bionda, calzoncini neri simili ai miei, maglietta bianca
in contrasto con quella rossa che stavo indossando quel giorno,
capelli legati. Per un secondo non riuscii a pensare.
Quella ragazza mi aveva tolto il fiato.
Anche se, è giusto dirlo, la stessa
cosa feci io a lei.
Ci osservammo in silenzio per qualche
secondo, prima che il mondo ricominciasse a scorrere.
“Allora, Callie, le squadre sono
queste – e rassegnati al fatto che rimarranno sempre queste in
allenamento. Noi abbiamo Miranda in porta, Addison come difensore, io
a destra, Cristina a sinistra e adesso te in attacco. Loro hanno
Izzie in porta, Lexie a sinistra, April a destra, Teddy dietro in
difesa e...”
“...e il capitano in attacco”
conclusi.
Meredith annuì.
“Non preoccuparti se per oggi farai
schifo. Non ti butteremo fuori. Almeno non subito.”
Risi della schiettezza di Cristina.
Qualche minuto dopo eravamo pronti ad
iniziare la partita.
Mi trovai al centro del campo, faccia a
faccia con il Capitano. Tra di noi, solo un pallone ed una riga
bianca sull'erba. Nient'altro.
“Callie Torres.”
Le tesi la mano. Lei, senza esitazione,
e senza distogliere gli occhi dai miei, la prese.
“Arizona Robbins.”
“Ricapitolando, la palla è questa
cosa tonda, e devi fare goal in quella porta. Tutto chiaro?” mi
prese in giro Addison.
Io le sorrisi, abbastanza sicura di me.
“Farò del mio meglio per tenerlo a mente” le risposi, voltandomi
verso Arizona nuovamente.
“Inizia pure” mi offrì, facendo un
passo indietro.
Cristina mi si avvicinò, pronta a dare
il calcio di inizio.
Io mi voltai, dando le spalle ai miei
avversari e facendole cenno di avvicinarsi.
Le sussurrai qualcosa, lei annuì,
perplessa.
“Sei pazza. Completamente” mi
comunicò. “Mi piace.”
Ricambiai il mezzo sorriso che mi stava
offrendo.
Cristina fece ciò che le avevo
chiesto. Batté il calcio d'inizio, passandomi la palla tra i piedi.
Io ero leggermente spostata a destra rispetto al centro del campo.
Nessuno mi venne incontro, come avevo previsto, visto che ero la
povera, nuova ragazza. La visuale era completamente libera, il campo
da cinque molto piccolo. Neanche dieci metri da dove mi trovavo alla
porta. Allungai la palla in avanti, superando di neanche mezzo passo
la linea di metà campo, visto che i goal segnati dalla propria metà
campo non sono validi nel calcetto. Izzie Stevens non si mosse
neanche, quando la palla le passò affianco ed entrò nella porta,
dandoci il primo goal di vantaggio.
Mi voltai verso Addison.
“Non riesco a ricordare. Era quella
la porta giusta?”
“Se fossi il tipo di persona che
tocca la gente, adesso ti abbraccerei” mi fece sapere estasiata
Cristina.
Arizona si fece avanti, preparandosi a
battere dal centro.
“Impressionante. Ma quello è solo un
trucco. Perché non vediamo come te la cavi quando si gioca davvero?”
Io non mi feci scoraggiare, mostrandole
un piccolo sorriso compiaciuto.
“Qualsiasi cosa tu voglia.”
Lei ricambiò il sorriso provocatorio,
battendo la palla verso April.
La ragazza era veloce, ma ancora
inesperta. In un secondo riuscii a rubarle il pallone, lanciando
Meredith verso la porta. Lei si trovò ad affrontare Teddy in un uno
contro uno, che evitò grazie a Cristina, completamente libera, che
ricevette un passaggio dall'altra parte del piccolo campo.
Anticipando l'intervento difensivo di Arizona effettuò un cross al
centro. Io segnai, di testa, il secondo goal della partita.
“Così è abbastanza vero?” chiesi
ad Arizona, passandole accanto. Le sorrisi, facendole sapere che la
stavo solo provocando.
Lei annuì.
“D'accordo. Iniziamo a fare sul
serio, allora.”
C'era un motivo per cui Arizona Robbins
veniva chiamata il Capitano, anche quando si trattava solo di una
partitella come quella.
Lo capii quando riuscì a scartare con
facilità prima Cristina, poi Meredith ed infine Addison, tre
giocatrici niente male, portandosi in porta, e segnando con una
precisione quasi surreale.
“Abbiamo fatto arrabbiare mammina”
commentò Cristina ad alta voce.
“Ah. Ho appena iniziato. 2-1” ci
ricordò, passandomi il pallone. “Palla vostra.”
Quella volta fui io a battere, passando
il pallone a Meredith, che scartò Lexie con facilità, passandomi la
palla. Mi trovai davanti Teddy. Esitai solo per un secondo, decidendo
poi di lanciarmi nell'uno contro uno, dove non riuscii a saltare
Teddy. Aveva fatto un lavoro dannatamente buono, bloccandomi tutte le
vie d'uscita. Poi la sentii arrivare. Arizona stava raddoppiando la
marcatura.
Perfetto,
pensai.
Appena fui sicura
che fosse abbastanza vicina da non intralciare Cristina, feci
scivolare la palla all'indietro, tenendola sotto la pianta del piede.
Quando la sentii attaccarmi, calciai lateralmente, facendole prendere
il vuoto. La palla scivolò verso Cristina, che non perse tempo
nell'andare a rete.
Izzie non era una
giocatrice a livello della squadra, chiunque lo avrebbe notato. Forse
non prendeva il calcio seriamente, o forse era solo nuova. Non avrei
saputo dirlo, allora.
“Come hai fatto a sapere che ero
dietro di te?” mi chiese, sinceramente affascinata.
Io le sorrisi. “Puro e semplice
istinto.”
Quando Teddy e Arizona si furono
scaldate sul serio, tirarono fuori qualche azione davvero
sbalorditiva, così come Meredith e Cristina. Io tendevo a giocare
più da sola. Non ero ancora abituata all'idea di una squadra.
Mi piaceva il modo perfetto di Addison
di stare in difesa. Rimaneva sempre a proteggere la porta, salendo
solo quando sembrava capire che stavo disperatamente cercando di
passare la palla a qualcuno che non fosse marcato. Io e la rossa
sviluppammo da subito una certa sintonia. Niente a che vedere con ciò
che successe nella nostra prima partita a nove. Ma quello fu solo
diversi giorni dopo.
La partitella finì 9-7.
Io avevo segnato sei goal, due
Cristina, uno Meredith. E Arizona ne aveva segnati sette, tutti
quelli della sua squadra.
Sapevo bene che l'unico motivo per cui
avevamo vinto era che Miranda era formidabile tra i pali, altrimenti
Arizona avrebbe segnato almeno una decina di goal.
“Beh, bella partita. È stato un
piacere giocare con voi” dissi loro, cercando di apparire gentile e
di scrollarmi di dosso l'insicurezza che mi seguiva ovunque non
avessi tra i piedi un pallone.
“Ehi, woh-woh-woh. È stato un
piacere?” ripeté Cristina. “Non pensarci nemmeno, Rockstar. Tu
sei la mia nuova punta, quindi vedi di non usare tempo al passato”
mi corresse immediatamente.
“Ovviamente intende nostra nuova
punta. Cristina ha un concetto di proprietà molto...particolare”
tentò di farmi capire Addison.
Rockstar era la sfortunata scritta che
avevo sul retro della maglietta rossa che stavo indossando quel
giorno.
Perché sfortunata?
Perché Cristina continuò a chiamarmi
Rockstar. Per molto, molto, molto tempo.
“Bella partita” mi sussurrò
Arizona Robbins, passandomi accanto e camminando all'indietro per
guardarmi negli occhi.
Io annuii sorridendole con incertezza.
“Non sono neanche all'altezza del paragone” le risposi con una
sincera scrollata di spalle.
“Per ora” sussurrò lei in
risposta.
“Ok, allora, la squadra della scuola
ha undici titolari e quattro riserve” iniziò a spiegarmi Cristina.
“L'anno scorso l'allenatore si
ostinava a far giocare le ragazze dell'ultimo e del penultimo anno
anche se erano incapaci, mettendo in campo solo Arizona anche se era
più piccola, e facendole fare il capitano. Abbiamo perso il
campionato anche se Arizona ha giocato alcune partite fenomenali. Ma
quest'anno la storia sarà diversa. Abbiamo una nuova allenatrice, e
Lexie, April e Izzie si uniranno alla squadra. Senza contare che la
seconda punta l'anno scorso era una specie di elfo alta circa mezzo
metro e veloce quanto un bradipo” continuò schiettamente Miranda.
“Mentre tu, mia carissima, carissima
Callie” mi disse Addison passandomi un braccio attorno alle spalle
“ci hai fatto vincere una partita contro il Capitano.”
“Partitella” la corresse Arizona.
“Come ti pare. Abbiamo comunque
vinto” replicò la rossa, continuando a camminare con un braccio
attorno alle mie spalle.
“Allora, stasera casa Grey? I
genitori di Mer e Lexie-pedia sono fuori città” propose Cristina.
Ci fu qualche assenso.
“Verranno anche Derek e i suoi
amichetti senza cervello?” chiese Addison.
“Probabilmente” rispose Meredith
con una scrollata di spalle.
“Allora credo che io passerò.”
“Oh, Addison ha una cotta per Sloan.
Quanto sei carina, Addie” la prese in giro Teddy.
“Io non ho affatto...”
“Ok, andiamo, tanto stasera verrai,
che tu lo voglia o no. Non mi lascerai da sola con Alex, e sappiamo
che quella è la fine che farò se non ci sarai tu, visto che ad un
certo punto Teddy e Henry spariranno misteriosamente come succede
sempre” replicò Arizona.
“Cosa? Io e Henry non...”
“Sì, sì, risparmiatelo” la zittì
Cristina. “Allora, Star, sei dentro?”
“Perché no” risposi
distrattamente.
Non sapevo chi fosse questo Alex con
cui Arizona non voleva rimanere sola, ma non mi piaceva.
Lentamente le altre uscirono dal campo
di calcio.
Io mi guardai attorno, pensando che
quello era esattamente il posto in cui avrei voluto passare la
maggior parte del tempo.
“Callie, andiamo!”
Con un sorriso, mi voltai e seguii
Addison.
Dicono che è tutto qui.
E forse hanno ragione.
A volte trovi quello che stavi cercando
in un posto in cui non ti saresti mai aspettata di poterlo trovare.
Come al centro esatto di un campo di
calcio.
Però è tutto qui. Esiste. C'è.
Tutto ciò che dobbiamo fare è tenere
gli occhi aperti e non lasciare che ci passi davanti agli occhi senza
che neanche ci lasci provare a prenderlo.
È tutto esattamente qui. Solo e
soltanto qui.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
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