contest
Zoro
si accorse di essere sveglio quando sentì un frusciare di
pagine solleticargli le orecchie e un delicato profumo di fiori, fin
troppo familiare, invadergli piacevolmente le narici. Aprì
di poco l’occhio sano: Robin, come immaginava, era seduta
sulla sua sdraio e sfogliava un tomo grosso e visibilmente antico,
sorseggiando di tanto in tanto il suo drink. Gli occhi di ghiaccio
scorrevano avidi tra le righe, le dita bianche e affusolate
accarezzavano delicatamente la carta ruvida. A Zoro piaceva guardarla.
Gli piaceva guardarla quando si appoggiava all’albero maestro
dopo una sessione di allenamento intensivo, perché la sua
immagine gli donava ancora più pace e più calma
per addormentarsi. Ma gli piaceva anche trovarla davanti a
sé al proprio risveglio, perché gli trasmetteva
la giusta carica per aprire completamente gli occhi e rimettersi in
azione.
Sorrise impercettibilmente, aprendo del tutto l’occhio per
godere interamente di quell’immagine paradisiaca, quando
quest’ultima venne deturpata dall’arrivo di quel
damerino del cuoco, il quale andò incontro
all’archeologa con un sorriso emozionato stampato sul volto e
un piattino tra le mani.
«Ti ho portato il dolce, Robin-chan!»,
squittì mellifluo, mostrando all’archeologa il suo
operato in un gesto fin troppo teatrale.
Robin chiuse il libro, riponendolo sulle gambe, e sorrise affabile al
cuoco.
«Grazie, cook-san, mi ci voleva proprio. Di cosa si
tratta?».
«Torta di mele», rispose Sanji, inchinandosi e
avvicinandole il piattino al viso.
Robin afferrò il cucchiaino per poi affondarlo nel dolce e
portarselo alla bocca.
«Delizioso», si complimentò, leccandosi
le labbra [un po’ troppo sensualmente, per i gusti di Zoro].
«Come sempre, d’altronde».
La figura di Sanji venne avvolta da un alone di cuoricini e arcobaleni.
«Oh, Robin-chan, così mi fai
arrossire!», rispose, volteggiando stupidamente su se stesso.
Zoro non si era mai preoccupato delle attenzioni che Sanji rivolgeva a
Robin perché in fondo il cuoco trattava in quel modo ogni
donna di discreta bellezza. E Robin non era solo bella, di
conseguenza Sanji le rivolgeva complimenti ancora più
melensi e smancerie ancora più patetiche.
Lo spadaccino richiuse l’occhio, con tutta
l’intenzione di tornare a dormire.
«Sai, Robin-chan, ho utilizzato un ingrediente molto
particolare per questo dolce».
«Quale, cook-san?». Seguirono pochi attimi di
silenzio in cui Zoro si chiese, non senza un certo fastidio, cosa
stesse accadendo, e valutò l’idea di ritornare a
spiare i due interlocutori. Poi la voce di Sanji, distorta dalla
dolcezza con cui si rivolgeva alle donne, mise fine ai suoi dubbi.
«L’amore, Robin-chan. Ci ho messo
l’amore».
Lo spadaccino storse il naso, ma continuò a starsene ad
occhi chiusi.
«Pensavo che ci mettessi amore in ogni tuo piatto»,
sentì dire all’archeologa con tono perplesso.
«Oh, ma è così, Robin-chan! Quando
cucino, metto nei miei piatti tutta la passione che provo per
l’arte culinaria. Ma in questa torta ci ho messo un tipo
diverso di amore... il mio amore... per te!».
Zoro aprì di scattò l’occhio: Sanji
guardava Robin come una dea scesa in terra, mentre lei sembrava
confusa, indecisa se parlare o meno.
«Per me?», ripetè incredula, alternando
occhiate al piattino e al viso del cuoco.
«Sì, mia adorata. Era da tanto che desideravo
dirtelo».
Sanji poggiò il piattino sul tavolo e si mise in ginocchio,
cercando le mani dell’archeologa e stringendole tra le sue.
Il suo sguardo, ora, era dannatamente serio, ben lontano da quello da
cascamorto che lo caratterizzava.
«Io... credo proprio di amarti».
Robin si lasciò sfuggire un “Oh” di
stupore e Zoro, a pochi passi da loro, strinse i pugni reprimendo la
voglia di mettersi in piedi e sfoderare le sue spade.
«Sanji», cominciò Robin, con aria quasi
materna. «Tu non ami forse tutte le donne?».
«Sì, ma per te provo qualcosa di diverso, qualcosa
di più profondo. Io mi sono innamorato di te,
Robin-chan».
Robin sorrise, ma un attimo prima che potesse aprire la bocca Zoro
scattò in piedi e ridusse la distanza che lo separava
dall’archeologa e dal cuoco.
La sua figura, ora, troneggiava minacciosa su quella del
malcapitato. «Direi che basta così»,
proclamò, la vena che pulsava violentemente sulla tempia. «Falle mangiare in santa pace quel dannato dolce e tornatene in
cucina prima che ti faccia a fettine». Sanji lo
fissò indignato, gli occhi ridotti a due fessure.
«Ma non ci penso nemmeno!», esclamò
mettendosi in piedi. «Come ti sei permesso di interrompere la
mia dichiarazione a Robin-chan?!».
Zoro lo fulminò con lo sguardo. «Chiacchiere, a
Robin non interessano queste smancerie».
Sanji gli si avvicinò sfidandolo con lo sguardo.
«Cosa ne sai tu
di ciò che interessa o meno a Robin-chan?».
Zoro non seppe cosa rispondere. Non lo sapeva. Come avrebbe potuto?
Aveva detto quelle parole solo perché era lui che
disprezzava quel patetico romanticismo, specie se rivolto da Sanji a
Robin, ma forse... forse a lei piaceva. Era pur sempre una donna.
«Sono sicuro che Robin-chan apprezza di più un
cuoco che le apre il suo cuore rispetto ad uno spadaccino che non ha
nemmeno le palle di farle un complimento!». A quelle parole
Zoro fremette di rabbia.
«Mi stai dando del codardo, cuoco da strapazzo?».
«Sì!», esclamò l’altro di
rimando. «E visto che non trovi il coraggio di dichiararti a
Robin-chan, allora me la prendo io!».
Allungò la mano verso l’archeologa e la
tirò delicatamente verso di sé, per poi
stringersela al petto.
Robin non si oppose, ma rimase in silenzio a sorridere sotto lo sguardo
esterrefatto e addolorato di Zoro.
Lo spadaccino si sentì invaso da una rabbia incontrollabile.
Afferrò Robin per un braccio e la allontanò
bruscamente dal cuoco, spingendola via.
«Chi ti dà il diritto di decidere cosa
è meglio per lei, eh?!».
Sanji sorrise furbescamente. «Nessuno. Propongo uno scontro
diretto».
Zoro portò istintivamente una mano sulle spade.
«Per il cuore di Robin-chan», proclamò
il cuoco, indicando con lo sguardo l’archeologa ferma poco
più in là.
«E sia!», gli concesse Zoro, guardandola a sua
volta.
Lo spadaccino e l'archeologa si scambiarono una lunga occhiata consapevole.
Ormai Robin doveva aver capito quali fossero i suoi sentimenti, tanto
valeva mostrarle che per lei era disposto anche a combattere.
Infine Zoro si rivolse nuovamente a Sanji e i due contendenti si
guardarono un’ultima volta, prima di lanciarsi nello scontro.
Si mossero l’uno verso l’altro, il cuoco sollevando
la gamba e lo spadaccino sfoderando le sue tre spade.
Ma prima che il potente calcio entrasse in contatto con la lama
affilata, due sonori pugni si infransero sulle teste dei combattenti,
bloccandoli e stordendoli all’improvviso. Entrambi si
accasciarono per terra con un grosso bernoccolo dolorante sulla testa.
«Voi due idioti non vi alzerete nemmeno un dito per
Robin!», urlò Nami con occhi fiammeggianti di
rabbia. «Ed ora tu vieni con me!», aggiunse,
afferrando Sanji per un orecchio e trascinandolo via.
Sistemandosi le spade sulla schiena, Zoro si accorse che Robin lo
fissava con un sorriso enigmatico tra le labbra.
«Che c’è?»,
borbottò, voltando lo sguardo di lato.
Aveva fatto la figura dell’idiota. Come pretendeva di avere
una misera possibilità con lei che era sempre
così composta, così perfetta?
«Ti sembro una persona particolarmente loquace,
Zoro?», gli chiese Robin, spiazzandolo.
«No», rispose lui di getto, pur non capendo il
motivo di quella domanda.
Decisamente no,
Robin era una persona di poche parole. Un po’ come lui, che
con le parole era un disastro ed evitava di usarne troppe. Quel
pensiero riaccese un minimo di speranza nel cuore dello spadaccino.
Qualcosa in comune, in fin dei conti, ce l’avevano.
«Esatto», disse Robin, andandogli lentamente
incontro. «Cosa ne deduci?».
Ora lei era a pochi centimetri da lui. Zoro si grattò la
testa, confuso. «...che preferisci startene in
silenzio?».
«...che non mi servono discorsi strappalacrime o complimenti
alla maniera di Sanji».
Zoro sgranò gli occhi, cogliendo al volo il concetto.
Nell’ultimo periodo aveva notato qualcosa di diverso anche in
Robin: occhiate più lunghe e più profonde del
solito, sorrisi sfuggenti, chiacchiere sussurrate
all’orecchio di Nami mentre lo guardava con un velo di
malizia negli occhi. Si era imposto di pensare che fosse tutto frutto
della sua immaginazione, ma ora Robin gli stava confermando che era
tutto vero. Ed era anche più di quanto si aspettasse.
«Mi basta un segno qualunque, spadaccino»,
concluse l’archeologa.
Robin aveva capito tutto, ormai, e aspettava solo che lui facesse la
sua mossa.
Ma Zoro le donne non le aveva mai capite: non sapeva come comportarsi,
non sapeva cosa volessero, non sapeva cosa fosse l’amore.
«Perché una
come te dovrebbe amare uno come me?».
La domanda gli uscì dalle labbra ancora prima di averla
pensata.
Robin sorrise dolcemente. «Me lo sono chiesta tante di quelle
volte che sono giunta ad un’unica conclusione».
«Quale?», chiese Zoro, ammaliato dalla piega che
aveva preso il discorso.
Robin gli si avvicinò ulteriormente: a quella distanza, Zoro
riusciva a cogliere tutte le sfumature dei suoi occhi azzurri.
«Non esiste una risposta», sussurrò lei
muovendo appena le labbra, quasi fosse un segreto.
Zoro la guardò negli occhi e non ci fu bisogno di altre
parole.
La mano si mosse automaticamente verso la schiena della donna, spingendola a sé per poterla baciare senza esitazione.
Le labbra di Robin erano morbide e carnose, così diverse
dalle sue, sottili e screpolate.
E la pelle liscia e diafana contrastava con la sua, ruvida, abbronzata.
E i capelli color pece erano così vellutati rispetto ai
suoi, ispidi.
E tra le sue braccia grandi e muscolose sembrava così esile
e fragile da potersi spezzare alla minima pressione.
Erano troppo diversi, eppure a nessuno dei due sembrava importare.
Si staccarono solo un attimo per riprendere fiato. Zoro
poggiò la fronte contro quella di Robin, il respiro di lei
che gli solleticava il viso.
«Lo sai, no?,
che per me verranno sempre prima loro
tre», la avvertì, indicando con lo
sguardo le spade.
Robin annuì con un sorriso e Zoro continuò.
«...che non ti chiamerò con stupidi nomignoli
affettuosi, che non ricorderò mai gli anniversari, che non
ti farò regali, che non ti dirò “Ti
amo” o cose così».
«Non importa». Questa volta fu Robin a baciarlo,
accarezzandogli con il pollice la cicatrice sull’occhio.
«Sei qui con me. È questo che conta».
Parole sussurrate contro le sue labbra.
Un altro bacio, poi un altro e un altro ancora.
«Giuro che se il cuoco si comporta di nuovo come prima lo
faccio veramente
a fettine».
«Zoro... ma non ti sei accorto che l’ha fatto per
noi? Il suo cuore appartiene a Nami».
Lo spadaccino scosse la testa esasperato. «Un giorno lo
ringrazierò. Un giorno molto lontano, si intende».
***
«Erano vere quelle cose?».
Sanji si massaggiò l’orecchio arrossato a causa
della stretta nella navigatrice.
«Quali cose, Nami-san?».
«Quelle che hai detto a Robin. Che la ami e tutto il resto».
Il cuoco la guardò. Aveva le braccia incrociate al petto e
il cipiglio più severo del suo repertorio, ma era rossa
dall’imbarazzo ed evitava di guardarlo troppo negli occhi.
Sanji sorrise dolcemente. «Erano vere».
Si preparò a subire l’ira della navigatrice, ma
inaspettatamente quest’ultima sbuffò, gli occhi
pieni di delusione.
«Insomma, perché?
Hai sempre detto che ero io l’unica regina del tuo cuore e blablabla.
Perché all’improvviso ti sei dimenticato di me?
Forse perché ti sei stancato di essere rifiutato? O
perché Robin è più bella di me, più matura?».
Gesticolava vivacemente per enfatizzare l’idea. Sanji le
afferrò le mani e se le strinse al petto, facendola
arrossire ulteriormente.
«Nami-san, quelle cose erano vere perché io
immaginavo il tuo viso al posto di quello di Robin-chan».
La navigatrice sgranò gli occhi e Sanji continuò,
senza smettere di sorridere.
«Ho finto di amare Robin-chan per far ingelosire il marimo e
spingerlo a dichiararsi. Per quanto volgare e insensibile sia, lei lo
ricambia e possono essere veramente felici solo se stanno
insieme».
Nami lo fissava con sguardo indecifrabile.
«Giuramelo».
«Lo giuro sull’amore che provo per te,
Nami-san».
Sanji aveva appena terminato la frase quando si ritrovò le
labbra di Nami sulle proprie.
Questa volta fu il suo turno di spalancare paurosamente gli occhi, ma
non ci mise molto a fare due più due: poggiò le
mani sui fianchi della navigatrice e la strinse a sé,
sorridendo contro la sua bocca.
A quanto pare, fingersi innamorato di Robin non era servito
solo a quel buzzurro di Zoro.
Note
dell'autrice:
Oneshot scritta di getto che spero possa piacervi.
Ultimamente mi sto appassionando veramente tanto a One Piece, quasi ai
livelli di Naruto, quindi può darsi che mi vedrete tornare
con altre oneshot o raccolte. Spero che questa storia
vi sia piaciuta e che mi farete sapere cosa ne pensate!
Grazie mille a tutti,
alla prossima!
Soly Dea
|