Cronache
di inenarrabili eventi.
«Nonno,
ci aiuti a
leggere questa rivista?» cinguetta Gary eccitato,
spingendogli sulle
ginocchia un settimanale che reca il titolo I
Superquattro della Lega Pokémon: gli imbattibili allenatori
dell'Altopiano Blu e, poco sotto, il sottotitolo
provocatorio: Sicuri
di sapere
tutto?
Deve
averlo comprato
Margi, Samuel ne è certo, ormai ha quasi undici anni e sta
sviluppando una cotta per quel bel giovanotto di nome Lance. I suoi
nipoti lo stanno guardando speranzosi, e anche se Margi è
grande
abbastanza da leggere per entrambi, Samuel sa che per loro leggere
con il nonno è una tradizione immancabile la sera. Beh, non
è una
rivista per bambini, ma di certo non può contenere niente di
inadatto a loro, e poi ci penserà lui a censurare il
necessario,
eventualmente. Perciò si siede sulla poltrona del salotto,
con la
rivista aperta sulle ginocchia in modo che i suoi nipotini possano
guardare le fotografie, e domanda: «Da dove volete
partire?»
«Da
Bruno» esclama
Gary, che nutre per quell'energumeno un'ammirazione senza pari
–
qualche volta Samuel ha paura che possa farsi male nei suoi tentativi
di emularlo quando gioca, questo scricciolo di sei anni che
peserà
forse venti chili con tutti i vestiti addosso. A volte Gary
è un po'
irruento – un bambino vivace, era solito dire suo figlio, al
contrario di Margi, così dolce e posata e casalinga, e
Samuel teme
che a volte possa metterle i piedi in testa. Perciò si volta
verso
sua nipote e dice: «Gary, lascia scegliere tua sorella, per
una
volta! Tu, Margi, di chi vorresti leggere?»
È
così sicuro
della risposta che sta già consultando l'indice per cercare
le
pagine che trattano di Lance, ma quando sua nipote gli risponde, con
la sua vocina flebile che sembra non volersi fare udire, dice
qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.
«Possiamo
partire
da Agatha, per favore?»
Samuel
la guarda
sorpreso. Margi è accomodata tranquillamente sul tappeto,
col mento
appoggiato sulle ginocchia reclinate, e attende che lui cominci.
«Beh,
va bene. Non
sapevo che ti piacesse Agatha» risponde in tono incerto,
tornando a
consultare l'indice.
«Da
grande mi
piacerebbe essere come lei» risponde la bambina, guardandolo
dal
basso coi grandi occhi castani. «Tu la conoscevi, vero,
nonno?
Sembra forte e coraggiosa e indipendente...»
Dolce,
innocente
Margi, così responsabile e premurosa verso il fratellino di
cui si
prende cura come un' affettuosa mamma di dieci anni. Da quando i loro
genitori sono morti, lei è la piccola donna di casa, attenta
e
dimessa, e vive la sua infanzia appartata e sola. Samuel le ha detto
più volte che, se volesse partire, potrebbe farlo: si
occuperebbe
lui di quella peste di suo fratello. Ma Margi è fatta
così, il
sacrificio le viene spontaneo e le riesce meno doloroso di un atto di
egoismo, e anche se nei suoi occhi egli legge tutti i giorni il
dolore di sentirsi orfana e sola e un desiderio inappagato di
avventure e cose grandi, sa che preferisce rinunciarvi
perché Gary
possa goderne più appieno tra qualche anno.
Esiste
forse una
creatura più diversa da Agatha?
«Sì,
la conoscevo»
ammette Samuel. Tutto sommato, non può che dirsi contento
che sua
nipote voglia prendere a esempio una donna fiera e assoluta come
Agatha, piuttosto che da un'oca superficiale e vanitosa come Lorelei,
per esempio, coi suoi vestiti corti e oscenamente scollati –
perché
per quanto riguarda certe cose, come l'abbigliamento, Samuel Oak
è
un terribile tradizionalista ed è il primo ad ammetterlo.
«È una
validissima allenatrice, Margi, e probabilmente la donna più
coraggiosa che io abbia mai conosciuto. Non può farti che
bene
prendere esempio da lei.»
A
questo punto, Gary
scoppia a ridere senza ritegno, di quella sua infantile risata
sguaiata e irrefrenabile, e Margi lo fulmina con un'occhiataccia.
«Zitto, Gary! Sei antipatico!»
«Cosa
c'è da
ridere?» chiede Samuel senza capire.
Ma
ora anche Margi
sta ridendo e Samuel sente di essersi perso qualche passaggio.
«Su,
bambini, ditemi che cosa c'è!»
«La
nonna di Ash
dice che da piccoli eravate fidanzati!» esclama Gary come se
lo
avesse appena colto in fallo. Samuel è sconvolto.
«La
nonna di Ash?»
ripete perplesso, guardando alternativamente entrambi i suoi nipoti.
«Ma io non la conosco.»
«Dice
che lei e
Agatha hanno la stessa età e vivevano entrambe a Lavandonia
da
giovani» spiega Margi sorridendo deliziata, di quell'ingenuo
sorriso
che hanno le bambine che parlano d'amore. «Dice che avete
viaggiato
insieme e a quei tempi lo facevano solo i fidanzati.»
Samuel
non potrebbe
essere più esterrefatto di così. Tossisce
discretamente, un po'
irritato, e cerca di mettere le cose in chiaro. «Beh, la
nonna di
Ash dovrebbe sapere che non è gentile raccontare le faccende
private
degli altri. Comunque deve aver capito male: io e Agatha non eravamo
fidanzati. Abbiamo viaggiato insieme per qualche tempo, anche se quei
tempi era raro, ma questo è quanto.» Non
è propriamente tutta la
verità, ma non sta mentendo su quello che interessa ai suoi
nipoti.
I
due bambini si
scambiano uno sguardo deluso e appoggiandosi alla sua poltrona Margi
insiste: «Non vi siete mai neppure baciati?» Margi
va matta per le
storie d'amore in cui due innamorati si baciano, ma Samuel deve
disilluderla di nuovo.
«No,
Margi, a quei
tempi i baci erano una cosa seria. Ci si baciava solo quando si era
fidanzati.»
«Allora
la nonna di
Ash deve aver sbagliato» conclude Gary arrabbiato. Samuel
vorrebbe
dirgli che la nonna di Ash, evidentemente, è una gran
pettegola e
dovrebbe farsi gli affari propri, ma non vuole che suo nipote
apprenda un linguaggio del genere, perciò si limita ad
annuire.
Frattanto
Margi sta
sfogliando la rivista per cercare le pagine che parlano di Agatha.
«Era bella da giovane, nonno?»
Questo,
almeno,
Samuel pensa di poterglielo concedere. «Beh, sì.
Era una ragazza
molto bella, anche se già allora aveva un suo
caratterino.»
Dopo
un po', Margi
smette di girare le pagine e a Samuel fa quasi male vedere quella
donna anziana dal profilo severo e lo sguado torvo – ma i
suoi
occhi sono ancora quelli di una volta sotto le palpebre pesanti, neri
e profondi tanto da potervi sprofondare. Non si sono schiariti con la
vecchiaia. Guarda le pagine con simulata indifferenza: c'è
anche una
foto d'epoca, di quelle che andavano tanto ai loro tempi, scattata
per qualche occasione ufficiale. È in un nitido bianco e
nero e
un'Agatha di vent'anni è di tre quarti, coi capelli ordinati
e
raccolti come si usava allora per le fotografie –
perché per
quanto può ricordare i suoi capelli erano sempre onde
scomposte e
ribelli di riccioli turbinosi; il suo profilo è
già severo e cupo,
ma ancora armonico e giovanile, la sua bocca è come fatta di
petali
di rosa sovrapposti, ma nei suoi occhi c'è già
quel dolore amaro e
rancoroso, immedicabile, ch'egli ricorda anche troppo bene. La indica
a Margi. «Ecco, puoi vederla da te.»
«Ooooh»
esclama
Margi, ammirata, e Samuel sorride.
Ma
Gary sta
guardando le altre foto, quelle più moderne, quelle di una
donna dai
capelli bianchi che si appoggia a un bastone. «Nonno,
perché non ci
parli tu di quando viaggiavate assieme? La rivista possiamo leggerla
domani!»
«Oh,
ti prego, ti
prego!» soggiunge Margi, accogliendo l'idea del fratello e
aggregandosi a lui quasi senza riflettere.
Stretto
com'è tra
due fuochi, Samuel non se la sente di rifiutare, e del resto, non ci
sarebbe niente di male... almeno per quanto riguarda la parte del
loro viaggio e delle loro piccole sfide. Al pensiero di come si
è
sciolta quella loro alleanza, della loro ultima avventura, Samuel
sente un nodo stringersi alla bocca dello stomaco e un senso d'ansia
che lo assale, ma dura solo un attimo. Sono passati quasi
cinquant'anni da allora, ma ancora non è trascorso un solo
giorno
senza che lui abbia ripensato, anche per un minuto solamente, a
quegli eventi. È un dolore che ha imparato a sopportare, a
tollerare... chissà se Agatha, dalla cima di quell'Altopiano
Blu
dove ormai si è trasferita stabilmente, vi è
riuscita anche lei, a
modo suo, dopo tanto tempo.
Samuel
non vuole
sconvolgere i suoi nipotini proprio all'ora di andare a dormire
– è
già abbastanza difficile mettere a letto Gary in condizioni
normali
– ma dopotutto, lavorando un po' di fantasia, può
raccontare loro
qualche cosa, mitigando e alterando un po' gli avvenimenti
più
terribili.
«Va
bene» accetta
perciò, appoggiandosi più comodamente allo
schienale della
poltrona, e comincia a raccontare. I suoi nipoti non vi prestano
attenzione, ma se guardassero sulle sue ginocchia, si accorgerebbero
che non ha chiuso la rivista. Quella foto lo fa sentire come se
Agatha fosse al suo fianco e lo aiutasse a rievocare e a descrivere
la loro storia, risalente all'anno della prima Lega Pokémon.
Capitolo
primo –
Scommessa.
PRIMO
TORNEO
UFFICIALE DELLA LEGA POKEMON DELL'ALTOPIANO BLU
In
occasione del
cinquantesimo anniversario dalla sua fondazione, la Lega
Pokémon che
unifica le regioni di Kanto e di Johto ha indetto un torneo aperto a
tutti gli allenatori maggiorenni che possiedano almeno un
Pokémon
sopra il livello cinquanta. Il Torneo si svolgerà il primo
di giugno
nella modernissima arena situata presso la Sede centrale della Lega
Pokémon.
Ulteriori
informazioni saranno disponibili su richiesta presso il Colosseo di
ogni Centro Pokémon. Le iscrizioni saranno aperte dal primo
al dieci
di maggio presso la Sede centrale.
Fin
dalla sua
fondazione, la Lega si era sempre occupata di garantire la
regolarità delle lotte tra allenatori e tutelare la
sicurezza dei
Pokémon tramite l'applicazione di ferree norme e restrizioni
sulle
mosse consentite in battaglia: era ormai diventata l'istituzione di
riferimento per chiunque avesse fatto dei Pokémon il proprio
mestiere. Un torneo ufficiale, aperto oltretutto agli allenatori di
entrambe le regioni, sarebbe stato probabilmente uno dei più
grandi
eventi mai realizzati in quell'area.
Quando
Samuel lesse
questo annuncio, appeso in bella vista sulla bacheca degli avvisi del
Centro Pokémon di Fucsiapoli, ebbe l'impressione di non
avere atteso
altro per tutta la vita.
Sin
da quando si era
messo in viaggio, ormai sei anni prima, Samuel aveva percorso in
lungo e in largo sia la regione di Kanto che quella di Johto e la sua
squadra, che, modestia a parte, era piuttosto notevole, aveva
superato ormai da un pezzo il livello cinquanta. Quale occasione
migliore di un torneo come quello per mettersi alla prova e trovare
avversari del suo calibro?
Samuel
aveva raggiunto
Fucsiapoli quella sera dopo una giornata di viaggio sulla groppa del
suo Gyarados: il giorno seguente aveva stabilito di trovarsi alla
Zona Safari con un amico che aveva preferito prendere la via terra
passando dal Ponte Silenzio. Aveva perciò davanti a
sé tutta la
notte per riposarsi e far rimettere in sesto i propri
Pokémon e
aveva deciso di trascorrerla al caldo e all'asciutto all'interno del
Centro Pokémon.
Per
quanto fosse stanco
dopo aver navigato per ore attraverso le onde, quell'annuncio lo mise
di buonumore. Era il venti di aprile: non mancava poi molto
all'apertura delle iscrizioni e per quanto l'Altopiano Blu fosse
difficoltoso da raggiungere – si era sempre chiesto
cos'avesse
spinto i suoi fondatori a scegliere come sede un fianco del Monte
Argento – non sarebbe stata la prima volta che attraversava
la Via
Vittoria per recarvisi. Aveva tutto il tempo per organizzarsi,
concluse tra sé accostandosi al bancone.
Affidò
all'intermiera
i suoi Pokémon stanchi e le chiese una stanza per
trascorrere la
notte. Appena la donna ebbe preso la sua scheda allenatore per
compilare il registro ed ebbe letto il suo nome, levò gli
occhi su
di lui come a richiamare alla memoria un ricordo confuso.
«Lei
è il signor
Samuel Oak?»
«Per
l'appunto»
ribatté Samuel con rassegnazione. La donna non doveva essere
particolarmente sveglia:aveva ancora in mano il suo documento e la
foto era piuttosto recente. Doveva avere un aspetto orribile dopo
aver viaggiato per ore su Gyarados, ma era convinto di non essere
così stravolto da non ricordare il ragazzo ritratto sul
documento.
«Credo
che qualcuno
abbia mandato un telegramma per lei. Se aspetta un momento glielo
porto.»
In
quei tempi privi di
telefono cellulare, inviare telegrammi nei Centri Pokémon
era
l'unico modo che gli allenatori girovaghi avessero per comunicare tra
loro. Il telegramma era del suo amico e portava la data del giorno
prima: lo avvertiva che, a causa di un problema tra Celestopoli e
Zafferanopoli, aveva dovuto prendere la via più lunga del
Tunnelroccioso e lo pregava di volerlo aspettare a Fucsiapoli per un
altro giorno, senza rimandare il loro Safari.
Un
giorno di riposo non
gli avrebbe certo fatto male, decise Samuel con filosofia. La donna
terminò le formalità di registrazione e gli porse
le chiavi della
sua camera, informandolo in tono smorto che la mensa era già
aperta.
Da
diversi anni i
Centri Pokémon si erano dotati di mense per gli allenatori
girovaghi, dov'era possibile consumare un pasto caldo con poca spesa.
Ovviamente la qualità variava di molto a seconda del Centro:
nella
fattispecie, quella di Fucsiapoli era piuttosto scadente che
mediocre. Ma era pur sempre un pasto caldo, e Samuel si sentiva
troppo affamato e troppo stanco per andare a cercare un ristorante,
per non parlare del suo aspetto. Perciò la
ringraziò e andò a cena
senza neppure salire in camera: sentiva che se si fosse avvicinato a
un letto sarebbe crollato immediatamente.
La
sala era caotica e
affollata: via via che s'inoltrava tra i tavoli, Samuel poteva
sentire quasi fisicamente l'inusuale eccitazione dovuta alla
prospettiva del Torneo. Quando trovò un posto vuoto a un
tavolo e
sedette davanti a un vassoio ricolmo di tutto ciò che la
mensa
poteva offrire – perché, per quanto scadente, era
pur sempre cibo
e Samuel era dotato di un appetito invidiabile – nel brusio
confuso
di voci attorno a lui non riuscì a sentire altro che le
parole Lega
Pokémon, Via Vittoria e Altopiano Blu.
Al
tavolo alla sua
destra, un gruppetto di allenatori stava discutendo animatamente su
qualcosa che non riusciva a capire con precisione. Li
ascoltò
distrattamente mentre si avventava sulla sua cena con foga assai poco
dignitosa: un ragazzo basso e tarchiato dalle spalle larghe e tozze
gambe muscolose, in canottiera e pantaloni corti malgrado la stagione
non fosse poi così avanzata, stava propugnando con
ostinazione una
qualche teoria ripetendo vigorosamente: «C'è
scritto che è aperto
a tutti gli allenatori, capisci? Gli allenatori!»
Per
un po', Samuel non
riuscì a capire quale fosse l'argomento di tale fervore:
proprio in
quel momento tutti gli altri allenatori del gruppo alzarono la voce
in contemporanea, discutendo vivacemente, ed egli continuò a
mangiare senza curarsene troppo. Ma dopo forse un paio di minuti,
all'improvviso una ragazza che non aveva notato, coperta com'era dai
suoi più ingombranti vicini di posto, si alzò in
piedi e si protese
in avanti sul tavolo, esclamando: «Come ti devo dire che
allenatore
è la definizione ufficiale della Lega per chi allena i
Pokémon? Non
c'entra niente col sesso!»
A
parlare era stata una
ragazza minuta con lunghi capelli castani attorti in una folta massa
di riccioli, con un'espressione esasperata e accigliata, che scrutava
spazientita il ragazzo che aveva parlato poco prima.
«Oh,
andiamo! Anche se
le donne possono partecipare, pensi davvero di farcela a superare la
Via Vittoria?» ribatté quegli.
Per
quanto piccola e
sottile, la ragazza parve quasi gonfiarsi d'indignazione alle sue
parole. Tutto attorno a loro, gli altri ragazzi scoppiarono a ridere.
«Sono
pronta a
sfidarvi anche adesso!» affermò quella, alterata.
«Dai,
non c'è da
arrabbiarsi» esclamò un terzo del gruppo,
afferrandole un braccio
per farla tornare a sedere accanto a sé. «Nessuno
dice che non puoi
partecipare, ma devi tenere presente che la Via Vittoria è
lunga e
pericolosa e che competeranno i migliori allenatori di Kanto e di
Johto.»
«Allenatori
come te?»
lo rimbeccò la ragazza, aggrottando un ardito sopracciglio
nero
fortemente angolato.
Dunque
quella era
un'allenatrice. Per quanto la Lega Pokémon avesse
riconosciuto ormai
da quattro o cinque anni eguali diritti anche alle ragazze, esse
continuavano a essere paurosamente rare, tanto che Samuel ricordava
di averne incontrate a malapena una decina in tutti i suoi viaggi; ma
quella, decisamente, piccola com'era, non gli sarebbe sembrata
davvero una temibile avversaria. Tuttavia, quando la ragazza,
anziché
tornare a sedersi, si volse verso l'esterno del tavolo e vi si
appoggiò, incrociando le braccia sotto il petto, Samuel
notò che le
sue gambe, lasciate scoperte dalla lunga gonna, erano scolpite e dai
muscoli ben segnati sotto la pelle. Tutto sommato, pensò
fugacemente, forse non era poi davvero una ragazzina alle prime armi.
«Come
me, esatto!»
esclamò il ragazzo divertito, allargando le braccia sulla
sedia, con
la chiara intenzione di provocarla. Aveva una corporatura snella e
slanciata, ma a Samuel non piaceva la sua espressione da sbruffone.
Aveva l'impressione che quella ragazza gli piacesse e che la
indispettisse solo per farsene notare – atteggiamento
piuttosto
infantile per qualcuno che dimostrava più o meno vent'anni.
«Suvvia,
scherzi a parte, pensi davvero di poter arrivare sull'Altopiano Blu e
competere con gli altri?»
«Vogliamo
scommettere?» replicò la ragazza seccamente.
Per
un solo attimo, i
suoi interlocutori la fissarono sgomenti, colti alla sprovvista.
Subito dopo, il ragazzo che l'aveva provocata si raddrizzò
sulla
sedia. «Che scommessa?»
«Su
quello che vuoi.
Per esempio, su chi di noi si piazzerà più in
alto in classifica»
affermò la ragazza con calma. «Una scommessa
simbolica, s'intende.
Che cosa ne dici?» concluse porgendogli la mano.
Il
ragazzo scoppiò in
una risata eccessiva e le afferrò la mano senza pensarci due
volte.
«Certo che sì!»
«Ehi,
volete
escludermi?» esclamò allora il ragazzo tarchiato
dalle spalle
larghe che Samuel aveva sentito parlare per primo.
«Accomodati»
ribatté
la giovane senza scomporsi.
L'idea
della scommessa
investì la sala come un'ondata, dilagò come una
mania. Se la
ragazza l'aveva proposta solo per mettere a tacere i suoi rumorosi
interlocutori, non aveva fatto i conti con l'intraprendenza degli
allenatori che frequantavano quel Centro Pokémon,
evidentemente. Nei
minuti successivi si scatenò un inferno: la voce
circolò tra i
tavoli, cominciarono a circolare fogli di firme e banconote...
Che
iniziativa puerile.
Samuel finì di mangiare con calma, andò a riporre
ordinatamente il
vassoio sul carrello diretto alle cucine e si avviò al
bancone che
fungeva da caffetteria vicino all'uscita. Aveva bisogno di un
caffè
caldo dopo quella cena– il cibo della mensa di Fucsiapoli non
era
migliorato affatto nell'ultimo periodo. Sentiva che avrebbe avuto
diverse difficoltà a digerire quella notte e non dubitava
affatto
che, stanco com'era, sarebbe stato capace di dormire anche dopo due o
tre tazze di caffè.
Il
ragazzo tarchiato
riuscì a intercettarlo a pochi metri dalla sua meta. «Ehi,
amico, tu non vuoi partecipare alla scommessa?»
Il
secco no che
gli saliva spontaneamente alle labbra era un po' troppo rude. Samuel
gli si rivolse pazientemente, con un sospiro profondo, e chiese:
«Come funziona?»
«Siamo
in tanti a
partecipare» lo incoraggiò il ragazzo.
«Versiamo tutti cinquecento
pokédollari e li lasciamo in custodia a qualcuno che non
partecipa:
quello dei partecipanti che si piazza più in alto nella
classifica
della Lega Pokémon li usa per pagare da bere a chi ha perso.
È
meramente simbolica» concluse con un sorriso entusiasta.
A
dire il vero, Samuel
non era mai stato il tipo di persona da partecipare a una cosa del
genere; tuttavia, non aveva voglia di discutere con quel tipo per una
sciocchezza come quella cifra. Assentì con un sospiro
profondo
mentre prendeva il portafogli dalla tasca.
«Va
bene, ci sto. Devo
firmare da qualche parte?»
«Aspetta,
il foglio ce
l'ha Austin, adesso. Austin, vieni!» gridò rivolto
al suo amico
dall'altra parte della sala. Il ragazzo che per primo aveva accettato
la scommessa, intento a far firmare qualcun altro, gli fece cenno di
aver capito.
«Samuel
Oak» si
presentò nel frattempo Samuel, porgendogli la mano per
mostrarsi
educato per quanto la sua stanchezza glielo consentiva.
«Jake,
Jake Waters.»
Jake gli strinse la mano di una stretta forte e gioviale.
«Ah, ecco
Austin. Fallo firmare, Austin: anche Samuel è dei
nostri.»
Samuel
non poté che
confermare la prima impressione negativa che gli aveva dato Austin:
sembrava decisamente troppo arrogante e sicuro di sé.
Firmò
pazientemente e versò la sua quota: sul foglio c'era
già quasi una
ventina di nomi.
«La
vostra amica ha
avuto proprio un'idea di successo» commentò
restituendogli il
foglio.
«Agatha?
Oh, non è
nostra amica, l'abbiamo appena conosciuta» rispose Austin
distrattamente. «Neppure noi due ci conoscevamo prima. Beh,
grazie
per la tua quota, Samuel» concluse alla svelta: era evidente
che
aveva fretta di andare a coinvolgere altra gente nell'iniziativa.
«Ci
vediamo sull'Altopiano Blu, eh?»
Non
appena Jake e
Austin si furono allontanati, Samuel poté finalmente
ordinare il
caffè che tanto bramava e sedersi per un attimo al bancone,
gettando
uno sguardo sulla sala. Molto probabilmente, neppure la metà
di
quegli allenatori che ora aderivano tanto allegramente alla sciocca
scommessa sarebbe riuscita a superare la Via Vittoria –
persino
quell'Austin, pur con la sua aria saccente, gli sembrava decisamente
troppo ordinato e benvestito per essere un allenatore serio.
Proprio
mentre si
alzava e pagava, scorse fugacemente la ragazza che Austin aveva
chiamato Agatha mentre si avviava a lasciare la sala. Teneva le
braccia conserte sul petto, stringendosi in un golfino blu, e gli
passò accanto in una folata di lunghi riccioli castani.
Buongiorno
e buona
domenica a tutti!
Sono
rimasta molto
sorpresa quando mi sono resa conto che non riuscivo a trovare nemmeno
una storia su questi due personaggi, che almeno a me sembrano molto
interessanti, visti i pochissimi accenni al loro passato nel corso
dei videogiochi; spero di riuscire a impiegarli in qualcosa di
piacevole e degno di loro.
Ho
cominciato a
lavorare a questa storia nel mio tentativo di riutilizzare vecchie
leggende metropolitane ormai trite e ritrite in modo innovativo e
originale, senza cioè proporle passivamente come modelli
ormai
immutabili. Dunque sì, si parlerà di una leggenda
metropolitana di
prima generazione, per la precisione una di quelle che mi piacciono
di meno: volevo cercare di riproporla innovandola quel tanto che
basta a non riuscire ripetitiva e noiosa rispetto alle
poképaste che
vanno tanto di moda ultimamente, si trattava quasi di una sfida con
me stessa.
Ciò
detto, non
posso che ringraziarvi per essere arrivati fin qui.
Al
prossimo
capitolo, se qualcuno dovesse decidere di proseguire!
Afaneia
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