Amori Amari... Cuori Riflessi
Titolo: Amori amari,
cuori riflessi
Autore: My
Pride
Fandom: FullMetal
Alchemist
Tipologia: One-shot
[ 1889 parole ]
Personaggi: Alphonse
Elric, Edward Elric, Roy Mustang
Genere: Commedia,
Malinconico, Romantico
Rating: Giallo
Avvertimenti: Shounen
ai, What
if?
FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All
Rights Reserved.
Da
un po' di tempo, ormai, mi soffermavo a guardare il corpo
del
mio fratellone, quel suo profilo che avevo imparato a conoscere a
memoria in tutti quegli anni in cui eravamo cresciuti insieme.
Era cresciuto moltissimo da quando era
riuscito a ridarmi il mio corpo
e a riprendersi i suoi arti, e più di una volta, quando se
ne
stava seduto al tavolo della cucina per lavorare, proprio come in quel
momento, mi perdevo ad osservare il suo volto così
concentrato
senza che ne capissi realmente il perché.
Era un'età difficile, la mia.
Essendo inoltre vissuto solo con lui, nel corso di quegli anni, avevo
interagito solo con poche persone al di fuori della sua sfera
affettiva, non riuscendo però ad instaurare con loro il
forte
legame che avevo con mio fratello Edward. Era il mio idolo, il mio
appiglio, e forse, sebbene non avessi mai
assaporato il sentimento dolce-amaro
che in molti chiamavano amore,
sentivo di provare per lui qualcosa che
andava oltre al semplice affetto fraterno che mi riservava. Ogni qual
volta osservavo le sue labbra rosee che si muovevano, avevo
l'irrefrenabile stimolo di assaporarle come tanto vedevo fare dal
Colonnello quando veniva a trovarci, come se fossero per me un frutto
proibito ma squisitamente tentatore. Cosa c'era di sbagliato, in me, se
mi ritrovavo a desiderare mio
fratello?
Immerso com'ero nei miei più
reconditi pensieri, ci misi un
po' per capire che era quella del mio Fratellone la voce che
mi
stava pian piano richiamando alla realtà. Sbattei
più volte le palpebre come per abituarmi ad una zona
in
penombra, e appuntai la mia attenzione su di lui che, con il volto
poggiato sul palmo della mano, e la penna che reggeva nell'altra
picchiettata sui fogli sparsi sul tavolo, mi osservava, incuriosito e
mezzo preoccupato.
«Qualcosa non va,
Al?» mi chiese, posando la
stilografica e
sporgendosi un po' verso di me come per capire che cosa mi
turbasse. Mi sentii le guance in fiamme quando mi mise una mano sulla
fronte, premendoci subito dopo le labbra. Quelle labbra che fino a poco
prima stavo guardando. «Sei
un po' accaldato, fratellino»,
disse, e sembrava preoccupato. «Non
sarà che hai la febbre?»
Scossi con impeto la testa, deglutendo e
alzandomi per andare a
preparargli la colazione. Quello che era andato ad imporporarmi le
guance era un rossore fin
troppo marcato, non sarei mai riuscito a spiegarglielo. Così
mi concentrai solo sull'impasto per le frittelle, ma
prima
che potessi anche solo preparargliene una, sentii sfregare la sedia sul
pavimento, e il mio fratellone mi si avvicinò, posandomi
leggero
una mano sulla spalla.
«Non
disturbarti, Al, mangerò qualcosa a lavoro», mi
scompigliò amorevolmente i capelli. «Roy
deve ancora offrirmi il pranzo, gli farò sborsare
qualcosa». A quel nome, la ciotola che reggevo tra le mani mi
cadde a terra. Socchiudendo gli occhi, mi chinai per raccoglierla, ma
Edward fu
più veloce, prendendola e posandola sulla mensola.
«Sicuro
di non avere la febbre?» mi domandò ancora,
osservandomi. «Chiedo
un giorno di permesso, se stai male. Ci penso io alla casa, mentre tu
riposi».
Non potevo negare che l'offerta era
allettante.
Avrei potuto passare un po' di tempo in compagnia di Edward senza
che ci
fosse stato anche il Colonnello con noi, e vederlo alle prese con i
lavori domestici sarebbe stato
imperdibile! Stavo per rispondergli, raggiante, quando sentimmo suonare
il
campanello. Edward mi intimò divertito di sedermi sul
divano,
attraversando
l'ingresso per andare ad aprire la porta, tornando qualche attimo dopo
in compagnia della persona che mai come in quel momento non avrei
voluto assolutamente vedere. Roy Mustang. Avevo detto le ultime parole
famose, prima...
Mi salutò, sorridente come
sempre, ma risposi solo con un
breve cenno del capo. Solo ora, trovandomi faccia a faccia con lui, e
avendo avuto modo di
riflettere su alcune cose prima del suo arrivo, capivo che quel
qualcosa che provavo per il mio fratellone
era amore, forse. Era amore perché in questo momento,
vedendo gli occhi a
mandorla
del Colonnello fissare Edward con devozione, mi sentivo tremendamente
geloso degli sguardi che si lanciavano.
Forse era solo per capriccio che mi
sentivo così, chi
poteva
dirlo. Probabilmente, non sopportavo l'idea che mio fratello potesse
amare
così intensamente quell'uomo con quasi il doppio dei suoi
anni. Forse tutto questo era dovuto al fatto che non avevamo mai avuto
una
figura paterna che ci guidasse, che ci insegnasse cos'era giusto e cosa
sbagliato. Perché sentivo che, seppur non volessi crederci
nemmeno io,
il
sentimento che covavo per il mio fratellone, e quello che era nato da
un bel po' tra lui e il Colonnello, erano profondamente
errati.
«Come
va, Alphonse?» mi chiese cordiale il Colonnello.
«Ed
mi ha detto che non ti sentivi bene».
Mi limitai solo a tirare un lungo
sospiro, scrollando le spalle.
Non dovevo far trapelare nulla di come mi sentissi. «Sto
bene, Colonnello, è solo stanchezza».
Lui annuì, come se fosse
restio dal crederci, ma poco me ne importava.
«Roy
senti, ho un favore da chiederti», esordì mio
fratello, e
io lo guardai interrogativo, sbattendo confuso le palpebre.
«Dimmi»,
fece lui.
«Puoi
darmi un giorno di permesso? Non me la sento di lasciare Al da
solo».
«Fratellone,
vai al Quartier Generale, non preoccuparti», provai a dire,
ma
nessuno dei due mi prestò minimamente ascolto.
Difatti il Colonnello annuì,
rivolgendomi un sorriso. «Pensa
a rimetterti, Alphonse. Acciaio è un ottimo
infermiere»,
ammiccò verso di lui per una frazione di secondi.
«Sei
in buone mani».
La cosa, detta con quel tono allusivo,
provocò un forte
rossore
sulle guance del mio Fratellone, che prese a borbottare tra
sé e
sé ignorando le risatine soffocate del Colonnello e il mio
sguardo. Avevo sempre pensato che si fossero spinti oltre, ma...
speravo sempre
di sbagliarmi. Immaginarmi mio fratello fra le braccia di quell'uomo
era disgustoso. Non che avessi qualcosa contro di lui, però,
se
solo ci
pensavo, non potevo non sentirmi male.
«Vai a lavoro,
stupido», bofonchiò Ed,
spingendolo verso la soglia della cucina. «Non
vorrei che arrivassi in ritardo».
Prima di andarsene, lo vidi scoccargli
un bacio sulle labbra, e
mi
portai una mano al petto, sentendo il cuore stringersi in una
morsa. Perché provavo certi sentimenti? Era sicuramente
sbagliato, tutto questo. Edward era sangue del mio sangue, mio
fratello. Non potevo ritrovarmi a pensare che avrei tanto voluto poter
assaggiare
il sapore delle sue labbra sulle mie, le sue mani sul mio corpo, e il
calore di qualcos'altro...
Mi sfregai veloce le mani sulle guance,
sentendomi arrossire, e
alzandomi, ciondolai svelto verso la mia camera da letto, rifugiandomi
sotto le coperte con il respiro un po' velocizzato. Sulla
soglia, poco dopo, comparve anche Edward, che reggeva fra le mani una
bella tazza fumante di thé.
«Inizia a scaldarti con
questo», disse dolce,
avvicinandosi per porgermelo. «Dopo
ti preparo del brodo... o preferisci una minestra?»
Sorrisi, felice di quella sua premura.
Sembrava quasi volesse fare la parte della moglie perfetta... o della
madre, perfetta. «Il
brodo va bene,
grazie», gli risposi, drizzandomi a sedere e sistemandomi
meglio sui cuscini per poter bere il thé. Non avevo la
febbre, ma farmi coccolare in quel modo mi piaceva.
Quando lo vidi sorridere, per poi darmi
le spalle, gli afferrai
d'istinto la manica della camicia, ricevendo da lui uno sguardo
incuriosito. «Che
c'è?» mi chiese dolce.
Deglutii, grattandomi una guancia.
«N-Niente»,
mollai la presa.
Il fratellone scosse divertito la testa,
accarezzandomi i capelli. «Sei
un bambino anche a quest'età»,
ridacchiò.
«Senti chi parla»,
replicai io, ridendo a mia
volta.
«Stupido»,
mi sorrise. «Dai,
bevi tutto».
Annuii, obbedendogli. Quando bevvi anche
l'ultimo sorso, mi tolse la tazza dalle mani,
riponendola sul comodino accanto al letto. Restai un po' ad osservarlo
mentre risistemava un
po' la
stanza, piegando i miei indumenti e posandoli ordinatamente nei
cassetti, cosa che in teoria avrei dovuto fare io, se non fossi stato
impegnato a fare il finto malato. Si spostò un po' i capelli
dalla fronte, e una
volta terminate quelle piccole - nay,
non piccole, la parola la detestava - quelle poche
faccende, si sedette sul materasso accanto a me.
«Visto?
Qualcosa lo so fare anch'io!» esclamò gioviale,
grattandosi la testa, chiudendo gli occhi e sorridendo.
Quelle labbra erano sempre incurvate
così
splendidamente... volevo baciarle. Solo una volta, ma volevo. Senza
nemmeno riflettere, mi sporsi verso di lui, scoccandogli un bacio
a timbro su quelle sue labbra così... morbide, rosee,
dolci.
Colto di sorpresa, Edward si ritrasse,
guardandomi confuso e sbattendo le
palpebre. «A-Al?»
mi chiese, deglutendo.
Mi portai due dita alle labbra,
chiudendo gli occhi e gustando quel
sapore che avevo sentito solo per poco, quel sapore così
simile
al mio. Non pensavo che un bacio potesse piacermi tanto. Il primo bacio
al mio fratellone... il primo e l'ultimo.
«Alphonse?»
lo sentii chiamarmi ancora, e aprii gli occhi per guardarlo. I suoi,
che sfumavano in un oro un po' più scuro e
dilatato, mi osservavano fin troppo attenti, quasi scioccati.
Il mio gesto non era possibile da
spiegare a parole, quindi mi
limitai ad abbracciarlo, poggiando la testa sul suo petto e
ascoltando il ritmo velocizzato del suo cuore. Il suo corpo era caldo,
ma rigido per il mio strano comportamento,
però poi, tentennando, sentii la sua mano tremante
accarezzarmi
piano i capelli, con una leggerezza inaudita. Sapevo che non poteva
provare quel che provavo io, ma mi bastava. «Ti
amo,
fratellone»,
sussurrai di getto, sfregando il viso contro di lui.
Sussultò appena, e il suo
battito cardiaco
aumentò. Mi allontanò un po', afferrandomi il
viso fra le
mani e controllando ancora con le labbra la mia temperatura. Scosse la
testa, come se pensasse che stavo delirando. «Ti
amo anch'io», mi disse poi, sorridendo, e prima che
continuasse,
gli gettai le braccia al collo, quasi rischiando di farlo cadere dal
letto. Mi scostò nuovamente con delicatezza, sospirando.
«Ti
amo come si può amare un fratello o una sorella, Al, e tu
sei
mio fratello», quasi mi sentii mancare, a quelle parole.
«Quello
che provi per me non può essere amore, è
affetto», mi diede un buffetto sul naso. «L'amore
non si può spiegare, ma lo si sente». E su quel
punto, gli
davo perfettamente ragione. Non potevo spiegarmi l'amore che nutrivo
nei suoi confronti, ma
riuscivo a sentirlo fin troppo bene e anche chiaramente. Si
alzò, guardandomi un'ultima volta. Poi sorrise sincero.
«Vado
a prepararti il brodo», disse con semplicità.
Uscì
e mi lasciò solo con i miei pensieri, con il
suo sapore ancora sulle labbra.
In fondo, io l'avevo sempre saputo.
Meglio aver amato e perso
che non aver amato mai, no? Però quell'unico capriccio a cui
mi
ero aggrappato ero
riuscito ad averlo. Le sue labbra erano state mie per poco, anche se
non aveva risposto
come avrei voluto. Lui era del Colonnello Mustang, ormai.
Mi strinsi le gambe al petto,
circondandole con le braccia e
posando la
testa sulle ginocchia, ad occhi chiusi. Mio fratello era un qualcosa
che non potevo avere del tutto. Era come il sole, non potevo afferrarlo
in alcun modo, nemmeno
se tendevo le mani verso il cielo per attirarlo così vicino
a me.
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