Ecco il secondo capitolo, spero vi piaccia.
Buona lettura!
Montagne russe
Entrai in casa di Meredith, e la festa
doveva essere già iniziata da un po'.
Non c'erano più di una ventina di
persone, ma la musica alta e il fatto che fossimo tutti in salotto,
faceva sembrare la casa molto più affollata.
Ero arrivata insieme a Cristina e
Addison, che si erano offerte di passarmi a chiamare prima di
entrare, avendo immediatamente capito che la timidezza era un serio
problema della mia personalità.
“Allora, ci siamo solo noi che
eravamo al campo oggi, e alcuni ragazzi. Attenta a chi metti gli
occhi addosso, perché sono quasi tutti presi” mi aggiornò
Addison, mentre entravamo e lasciavamo i giacchetti sul letto di una
piccola camera vicino al salotto. “Derek, il tizio che sta parlando
con Meredith, è il suo fidanzato. Il rosso sta con Cristina” mi
indicò con un cenno della testa un tipo alto, che parlava con un
altro paio di ragazzi. “Si chiama Owen.”
“Il tizio dalla testa rasata che è
con lui si chiama Alex” continuò Cristina. “Ha una cotta per
Arizona, ma lei non è interessata. La povera April è innamorata di
lui, ma tutti la prendono in giro da quando si è sparsa la voce che
è ancora vergine. Il ragazzo di colore, Jackson, sta insieme a
Lexie, mentre Henry è quello che in questo momento sta parlando con
Teddy. È il suo migliore amico. Così dicono loro, comunque.”
“E chi è lui?” chiesi notando un
ragazzo al telefono in un angolo della stanza.
“Lui è Mark Sloan. Proprietà di
Addison è scritto sul suo cranio, ma non ha uno specchio, quindi non
è ancora riuscito a rendersene conto” la prese in giro Cristina.
“Cristina, quante volte devo
ripetertelo? Siamo solo amici.”
Io risi.
Vidi Arizona che ci si avvicinava.
“Ho bisogno di allontanarmi da Alex”
sussurrò.
“Stavo andando da Owen” rispose
Cristina dileguandosi.
“Mark è solo” aggiunse Addison,
sparendo immediatamente dopo.
Lei scrollò le spalle, mettendomi una
mano sulla schiena e portandomi fuori.
Io, non so molto bene perché, lasciai
che lo facesse.
Si richiuse la porta alle spalle.
“Allora, Meredith ha detto che vi
siete trasferiti da Miami. Deve essere stato un duro colpo lasciare
tutto. Amici, compagni di scuola...un fidanzato, forse?”
Io risi.
“Callie!” sentii chiamare una voce
familiare.
“Eli!”
Eli era il figlio della sorella di mio
padre. Mio cugino. E, sfortunatamente, questo significava che era
anche il cugino di Aria.
Lo vidi avvicinarsi con Miranda da un
lato e mia sorella dall'altro.
Lo abbracciai.
“Miranda, lei è la sorella di Aria,
mia cugina...”
“Callie” mi salutò Miranda
accennando un sorriso. “Lei è la nostra nuova punta.”
“Cosa? Sarebbe lei quella di cui hai
parlato per tutto il pomeriggio?”
Lei annuì.
In quel momento notai le loro mani
unite.
Sorrisi, annuendo in direzione di mio
cugino. “Bella mossa, amico. In porta riesce a fare ogni tipo di
miracolo.”
Lui ricambiò il sorriso. “Lo so”
sussurrò, passandole un braccio sulle spalle.
“Allora, entriamo a questa festa o
rimaniamo fuori?” chiese Aria, spazientita dal legame speciale che
avevo con mio cugino.
Io guardai Arizona.
“Andate pure. Volevamo prendere una
boccata d'aria fresca” risposi.
Aria guardò Arizona, presentandosi.
“Aria Torres.”
“Arizona Robbins.”
“Non vorrei sembrarti rude,
ma...perché stai con mia sorella? Hai perso una scommessa?”
chiese, guadagnandosi un mio colpo sulla spalla.
“Direi piuttosto che l'ho vinta”
rispose lei, difendendomi. Non avevo capito bene perché lo avesse
fatto.
Aria rise. “Ok, certo. Forse non
stiamo parlando della stessa persona. Calliope, giusto?” chiese,
indicandomi.
Io avrei voluto sotterrarmi.
“Aria, sai che lo odio.”
Eli la colpì su un braccio, non molto
forte. “Devi essere sempre così cattiva con lei?”
Aria sospirò. “Scusa. Non ti
chiamerò più in quel modo. So quanto ti dà fastidio.”
Io annuii, sapendo che non avrebbe mai
e poi mai smesso di chiamarmi in quel modo, a meno che non fossi
diventata amica di qualcuno che le piaceva e che avesse quindi
bisogno di non farmi arrabbiare.
Eli e Aria entrarono.
“Non mi piace tua sorella” sussurrò
Miranda, seguendoli subito dopo all'interno.
Ci fu qualche secondo di silenzio.
“Allora...Calliope. É un bellissimo
nome.”
Il modo in cui lo pronunciò mi fece
smettere di respirare per un momento.
“Sei la prima persona abbastanza
gentile da fare almeno finta che il mio nome non ti faccia venir
voglia di ridere.”
“Non c'è niente di spiritoso, è il
nome di una musa. Lei dalla bella voce.”
“Sei appassionata di mitologia?”
“Un po'. È un segno, non credi?”
Guardai dentro gli occhi più azzurri
che avessi mai visto e per un istante mi chiesi se non ci fosse un
significato più profondo dietro quelle parole e l'implicazione di un
legame che andava oltre la semplice amicizia.
Mi scrollai il pensiero di dosso. Non
era possibile.
“Decisamente un segno” sussurrai
distrattamente, distogliendo lo sguardo.
“Ehi Arizona.”
Un ragazzo abbastanza basso e
mingherlino si avvicinò alla casa.
“George” lo salutò allegramente
Arizona.
“Meredith e Izzie sono dentro?”
chiese.
Il suo sguardo si spostò su di me e lo
vidi fissarmi imbambolato per qualche momento.
Arizona si schiarì la voce.
“George, stai sbavando.”
Lui ignorò il commento di Arizona,
porgendomi la mano.
“George.”
“Callie” sorrisi in modo
impacciato.
“Non ti ho mai visto da queste parti”
osservò.
“Mi sono appena trasferita.”
Lui annuì. “Allora, che ci fate qui
fuori?”
Arizona scrollò le spalle. “Alex
aveva ricominciato con la stessa storia di sempre. Non ne posso
davvero più” spiegò con un sospiro.
“Che storia?” chiesi.
George guardò Arizona, che sembrava
improvvisamente profondamente interessata alle sue scarpe.
“Beh, vi lascerò a discuterne” con
un'ultima occhiata nella mia direzione si dileguò all'interno della
casa.
Io lo seguii con lo sguardo finché non
chiuse la porta, poi mi voltai di nuovo verso Arizona, accorgendomi
solo in quel momento che lei mi aveva osservato per tutto il tempo.
“Allora, vuoi raccontarmi questa
storia?”
“É una lunga storia” mi avvertì
lei.
Io scrollai le spalle. “Abbiamo un
sacco di tempo.”
“Ma è anche molto complicata. E in
genere non ne parlo con persone che ho appena conosciuto” replicò
a bassa voce.
“Ok” risposi con una scrollata di
spalle.
Rimanemmo in silenzio, a quel punto. Ma
non era un silenzio strano, di quelli imbarazzanti. Era solo che non
avevamo bisogno di dire niente.
“Ti va di fare una passeggiata?”
chiese improvvisamente.
“Certo” acconsentii.
“Perfetto. Prendo il giacchetto.”
Annuii, alzandomi. La aspettai sul
portico e neanche una ventina di secondi dopo mi aveva raggiunto
fuori, indossando il proprio giacchetto e tenendo due birre in mano.
Me ne porse una. Io accettai, senza farle sapere che di solito non
bevevo.
Iniziammo a camminare nella direzione
opposta rispetto a casa mia.
“Allora...stavamo parlando di Miami
se non ricordo male. Di un fidanzato?” chiese cercando di suonare
casuale.
“Nessun fidanzato. Pochi amici.
Nessuno di loro era importante in ogni caso. Mia sorella è quella
che se ne va in giro a lamentarsi in realtà. Io sto bene. Non mi è
importato molto del trasferimento, a dire la verità. Non credo che
cambierà niente. Continuerò ad essere la ragazza che si siede in
fondo alla classe e non dice mai una parola.”
“Problemi di timidezza?”
Io la guardai facendole capire che era
impossibile non notarlo. “E di autostima” aggiunsi. “E un altro
paio di problemi che sicuramente dovrei evitare di raccontare a
qualcuno che non conosco” aggiunsi più tristemente.
“Non sarebbe saggio” concordò. Poi
prese un sorso della sua birra. “Dimmi, Calliope, sei una persona
saggia?”
“La maggior parte del tempo”
risposi indecisa su cosa avrei dovuto fare con la bottiglia che avevo
in mano. “Probabilmente una persona saggia ti direbbe 'io non bevo
birra' invece di fingere di avere un'esperienza diversa da quella che
ha. Mi dispiace.”
Le porsi la bottiglia. Lei accettò con
un cipiglio serio, ingoiando il sorso che aveva preso e facendo una
smorfia.
“Grazie a Dio. Non sopporto il sapore
di questa roba. Stavo cercando di fare colpo.”
Gettò entrambe le bottiglie nel primo
cassettone che incontrammo.
“Cercavi di fare colpo?” chiesi
ridendo piano.
“Già. Pensavo che nella tua vecchia
scuola fossi molto popolare.”
Io risi di gusto. “Scherzi vero? Per
essere popolare nella mia vecchia scuola avrei dovuto vestirmi come
Aria. Quindi praticamente non
vestirmi. Non nel mio stile, affatto. No, io probabilmente ero la
persona meno popolare del liceo.”
“Di solito gli
sportivi sono popolari.”
“Oh, io non
facevo parte di una squadra della scuola, l'unico sport era il
football. Maschile.”
Lei annuì.
Entrambe rimanemmo
concentrate sui nostri pensieri, finché, dopo aver fatto il giro
dell'isolato, ci trovammo di nuovo davanti a casa di Meredith.
C'erano due ragazzi
fuori, sul portico, che stavano discutendo con Cristina e Meredith.
“Senti, ti ho
detto di andare a casa, va bene? Sei ubriaco, Alex. Vattene.”
“Ma tu che ne sai
O'Malley? Non sai nemmeno che significa bere sul serio.”
“Piantala Alex,
sul serio” lo ammonì Meredith. “Hai bevuto. È ora che tu torni
a casa.”
“Al diavolo”
sussurrò lui, voltandosi. Fu allora che si accorsero di noi.
Arizona si
irrigidì.
“Chi è la tua
amica, Robbins? Oh, aspetta” si avvicinò di qualche passo. “Non
dirmi che hai finalmente trovato una ragazza che giochi per la tua
squadra.”
Io lo guardai,
perplessa.
“Oh, non dirmi
che non lo sai” continuò.
“Karev” tentò
di farlo tacere.
“Arizona, non
dirmi che non le hai detto il tuo piccolo sporco segreto. Tanto lo
scoprirà comunque a scuola. La gente ne parla ancora, sai?” le
ricordò con una punta di umorismo. “Da quando la tua ragazza ti ha
mollato...”
“Vai al diavolo,
Alex. Non era la mia ragazza e non mi ha mollato.”
“Non era la tua
ragazza? Bella, i suoi l'hanno mandata in una scuola cattolica dopo
che vi avevano beccato a pomiciare in camera sua. Col cavolo che non
era la tua ragazza.”
“Ok, questo è
oltre il limite Alex” Cristina lo afferrò per le spalle,
spintonandolo fino in strada. “E adesso vattene. Vai via. Subito.”
Arizona scosse la
testa, sospirando, ed entrò dentro la casa di Meredith.
Lasciai che se ne
andasse.
Non avrei saputo
che altro dire o fare.
Così la lasciai
andare.
La mattina dopo mi
svegliai presto dopo aver fatto un sogno piuttosto strano.
Ero nervosa. Ero
distratta.
Così mi vestii e
andai a correre. Mi aiutava a schiarirmi le idee.
Cercai di trovare
risposta ad alcune delle domande che continuavano a ronzarmi nella
testa.
Come avevo preso la
notizia che Arizona avrebbe potuto essere interessata alle ragazze?
Non lo sapevo
ancora.
Come
avevo preso la notizia che io
avrei potuto essere interessata alle ragazze?
Non bene.
Soprattutto
all'inizio.
Avevo vissuto per
un sacco di tempo in piena fase di negazione.
Ma alla fine,
perfino io avevo capito cosa stava succedendo. Nonostante la mia
esperienza pari a zero nelle relazioni interpersonali.
Avevo capito che le
farfalle allo stomaco che provavo quando parlavo con una ragazza,
già, quella non era esattamente amicizia. Più qualcosa sulla linea
di 'attrazione'.
Quello era stato
durante il mio primo anno di liceo.
Poi avevo dovuto
farci i conti. E neanche quella parte era stata esattamente una
passeggiata. All'inizio avevo pensato che avrei anche solo potuto
ignorarlo per il resto della mia vita. Finché mi ero resa conto che
era meglio essere me stessa che essere qualcuno che non conoscevo e
non avrei voluto essere. Avevo capito che la mia famiglia molto
cattolica non aveva il diritto di zittire una parte così importante
di me. Avevo capito che non si può ignorare questo genere di cose,
finiranno solo per crescere e crescere, finché non occuperanno una
parte così grande del tuo cervello da minacciare di farlo scoppiare.
Ed era stato allora
che mi ero chiusa in me stessa. Già prima ero molto riservata, avevo
pochi amici, andavo bene a scuola. Ma dopo, dopo non avevo più amici
se non quelli con cui studiavo di tanto in tanto, preferivo passare
il mio tempo da sola.
Avevo paura che
chiunque si fosse avvicinato abbastanza a me da conoscermi davvero,
sarebbe stato in grado di vedere improvvisamente quella parte di me
che stavo tentando disperatamente di nascondere al mondo.
Ma forse,
riflettei, avrei potuto trovare delle persone a cui non avrei dovuto
necessariamente nasconderla. Persone che avrebbero capito.
Quando iniziò ad
essere più caldo, troppo caldo per continuare a correre per molto
ancora, decisi di tornare indietro.
Rallentai un paio
di case prima della nostra. Dall'altra parte della strada, una
ragazza dai capelli biondi stava parlando con un ragazzo biondo, più
alto di lei di diversi centimetri.
L'aveva colpito sul
petto con forza. Il ragazzo indietreggiò, subendo il colpo. Lei lo
colpì di nuovo e lui le afferrò i polsi, bloccandola.
Lei gli disse
qualcosa e poi scosse la testa, allontanandosi di scatto da lui.
Fu allora che mi
vide.
E fu allora che
notai le lacrime che le avevano riempito gli occhi.
Le feci un cenno
con la testa, indicandole la mia destra.
Lei, senza dire
neanche un parola al ragazzo, mi venne incontro.
“Vieni” le
dissi solamente. Lei non rispose. Ma mi seguì.
La portai dentro
casa mia e le mostrai la mia camera.
Si sedette sul
letto, senza dire niente. Mi inginocchiai difronte a lei, cercando di
afferrare il suo sguardo con il mio.
“Vuoi raccontarmi
che è successo?”
Scosse la testa
negativamente.
“D'accordo. Vuoi
parlare di qualcosa?”
Fece di nuovo cenno
di no.
“Ok, ti offrirei
un abbraccio, ma ho appena corso e sono sudata, quindi non credo che
sarebbe una buona idea. Ma forse potremmo...” pensai a cosa avrebbe
fatto stare meglio me “...andare a fare un paio di tiri. Potresti
insegnarmi qualcuna delle tue mosse.”
Lei finalmente mi
guardò negli occhi.
Mi guardò a lungo
e forse vide qualcosa nei miei occhi, nel modo in cui la guardavo, o
dentro di me, perché sussurrò un debole assenso, prima che mi
alzassi e le porgessi la mano. La accettò senza esitare.
Avevamo riso come
non ricordavo di aver mai riso in vita mia.
Continuavamo a
cadere a terra, visto che non ci stavamo impegnando nel rimanere
concentrate, e continuavamo a ridere di tutto.
Alla fine, dopo
l'ennesima caduta, nessuna delle due trovò la forza di rimettersi in
piedi.
Così rimanemmo lì,
in silenzio, a guardare il cielo.
“Non sei
scappata.”
Io la guardai,
confusa.
“Di solito la
gente scappa. Quando la verità su di me viene fuori, la gente
scappa.”
“Oh” sussurrai,
afferrando ciò che stava tentando di dire.
“Ma
tu non sembri turbata dalla cosa. Sembra andarti bene. Ma come puoi
notare ho aggiunto il sembra, perché a un sacco di persone sembra
andar bene, finché non...”
“Dev'essere stato
difficile” la bloccai, guardando di nuovo verso l'alto. “E deve
essere ancora difficile.”
“Non sempre. Non
con tutti.”
“Chi è
scappato?” chiesi, tornando a guardarla.
Lei fece spallucce
e distolse lo sguardo. “Alcuni dei miei più vecchi amici adesso
non mi parlano più. Mia nonna pensa che i miei genitori siano
impazziti per essere dalla mia parte. Uno dei miei professori ha
cambiato totalmente atteggiamento nei miei confronti, costringendomi
a cambiare corso e passare da biologia semplice al corso avanzato. La
gente si allontana. Joanne...”
“La tua ragazza?”
chiesi prima di riuscire a frenare la mia stupida lingua.
“Non era...”
scosse la testa, continuando a guardare altrove. “Ma anche lei, sì.
Se n'è andata senza lottare per rimanere. Le persone scelgono la
strada più facile. E chi può dargli torto?”
“Io penso che
abbiano torto” conclusi, sospirando. “La strada più difficile,
il novantanove percento delle volte, è quella più bella. È quella
che ti fa provare più emozioni, che ti fa arrivare più in basso che
mai e più in alto che mai. È come andare sulle montagne russe. La
maggior parte delle persone, scelgono quelle normali, perché si
sentono più sicuri, perché quelle fanno meno paura. Cinque minuti,
qualche curva, e tutto è finito. Ma c'è qualcuno che sceglie le
montagne russe che vanno da zero a cento in due secondi. Anche se
hanno paura, anche se il loro cervello vorrebbe prenderli a calci nel
culo, c'è qualcuno che sceglie le montagne russe che fanno tre volte
il giro della morte. Perché, anche se quando sei sopra hai così
paura da voler scappare, e la cosa che vorresti di più al mondo è
urlare con tutta te stessa ma la velocità te lo impedisce e ti senti
soffocare, quando scendi senti la scarica di adrenalina che ti scorre
nelle vene più forte che mai. Ti senti girare la testa e hai voglia
di vomitare. Ma, qualche giorno dopo, cosa daresti per fare un altro
giro...”
Lei rise piano.
“Nella mia vita
ci sono state solo salite. Credo sia questo il punto. Per me non c'è
mai niente in discesa. Niente giro della morte. Niente da zero a
cento in due secondi.”
Io la guardai.
“Vedrai che ti
succederà. E spero che un giorno succederà anche a me” aggiunsi,
alzandomi.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
|