L'immagine a cui mi
sono ispirata per scrivere questa storia:
http://i60.tinypic.com/dwthc4.jpg
Blind
Moon
Aija
se ne stava immobile sulla soglia di casa, fissando il vuoto davanti
a sé.
Non
riusciva a catalogare le sue emozioni, c’era qualcosa che non
andava in lei e avrebbe voluto risolverlo il prima possibile.
Una
pulsante fitta al petto le ricordò che il suo cuore stava
impazzendo, mentre la morsa che artigliava la bocca del suo stomaco
la canzonava per non aver ingerito alcunché, quella sera.
Faceva
freddo, in Finlandia faceva sempre freddo. Avrebbe dovuto esserci la
neve, ma quell’anno sembrava non arrivare più. Tuttavia,
Aija sapeva di doversi sbrigare, perché presto l’impertinente
patina di ghiaccio avrebbe ricoperto ogni superficie al di fuori
delle abitazioni.
Sentiva
che, nonostante tutte quelle sensazioni negative, doveva fare il suo
dovere. Non poteva più rimandare.
Aija
aveva paura, sentiva che non ce l’avrebbe fatta, ma allo stesso
tempo doveva darsi una mossa.
L’unica
cosa che riuscì a scorgere, nel cielo nero e vellutato, fu la
luna, una falce bianca e luminosa rispetto all’oscurità
tutt’intorno.
Le
stelle non c’erano o, in ogni caso, Aija non sarebbe riuscita a
vederle. E quella sera non fu un’eccezione.
Rabbrividì,
sentendosi pervadere da sensazioni spaventose, che rasentavano il
terrore.
Una
voce, alle sue spalle, la raggiunse con un sussurro: «Aija, sei
sicura di volerlo fare da sola?».
La
sua amica, Eleonoora, era sempre molto premurosa e sensibile,
comprensiva e dolce con lei. Era una delle poche persone che
l’avevano sempre aiutata e sostenuta, senza mai giudicarla o
tirarsi indietro nei momenti in cui Aija aveva avuto più
bisogno.
E
lei le era immensamente grata per tutto. Le voleva un bene immenso,
senza di lei si sentiva smarrita. Ma in quel momento no, non avrebbe
ceduto all’irresistibile impulso di avere Eleonoora accanto a
sé.
«Sì,
Leoo, non ti preoccupare» replicò Aija, sospirando
leggermente.
«Se
hai bisogno, però…»
«Ti
chiamo.»
«Non
credi che il corso sia finito da troppo poco tempo?» insistette
Eleonoora. Aija sapeva che stava cercando di dissuaderla dalla sua
missione, ma lei aveva
già preso la sua decisione, lo doveva a se stessa, sfidando la
paura che regnava sovrana nel suo cuore.
Era
uscita troppe volte in compagnia di altre persone, era giunto il
momento di dare una svolta alla sua autonomia.
«Ne
abbiamo già parlato. Rilassati, faccio solo un giro per
l’isolato, non sto andando a scalare l’Everest»
scherzò Aija, sorridendo tra sé, senza voltarsi. Si
rese conto che stava convincendo se stessa più che la sua
amica, il che la fece rabbrividire ancora, ignara di come sarebbero
realmente andate le cose.
«Va
bene, cerco di stare tranquilla» si arrese infine Eleonoora.
«Prima
che tu te ne renda conto, sarò già tornata» disse
la sua amica. Poi chiuse la porta, ritrovandosi sul vialetto, immersa
nell’oscurità.
Aija
guardò nuovamente la luna: lei, sicuramente, l’avrebbe
guidata. Sarebbe stato l’unico punto di riferimento per la sua
passeggiata notturna.
Aija,
la luna e il bastone bianco.
Era
quasi completamente cieca. Non si era resa conto di quanto le sue
condizioni fossero gravi, finché non aveva subito un brusco
peggioramento e questo le aveva impedito di uscire da sola, anche
quando il sole era alto nel cielo.
Aveva
smesso di vivere, rintanandosi nel suo mondo, nel suo dolore e nella
disperazione di chi sente che ormai la vita non gli appartiene più.
Poi
Eleonoora era riuscita a scuoterla, facendo sì che si
riprendesse e che trovasse una soluzione. Piangersi addosso non
sarebbe servito a niente.
E
infatti, Aija riuscì a riacquistare un po’ della sua
autonomia e a rinascere, riprendendo in mano, anche se in maniera
totalmente diversa, i frammenti della sua esistenza.
E
in quel momento, mentre la luce eterea della luna illuminava il
cammino di chiunque, ma non il suo, sentì di dover andare,
presa quasi da un impulso irresistibile.
Sarebbe
uscita per la prima volta da sola, di sera, affidandosi a quello
strumento che, nei mesi precedenti, aveva imparato a maneggiare e a
rendere il suo migliore amico.
Sospirò,
mentre sudava freddo e rabbrividiva per l'ennesima volta – il
suo era quasi un tremare continuo, incessante –, ottenebrata da
sensazioni angoscianti.
Impugnò
il bastone come le era stato insegnato e fece qualche passo avanti,
utilizzando l’indice della mano destra a mo’ di perno e
facendo ticchettare il suo ausilio, prima a destra e poi a sinistra,
poi di nuovo a destra e ancora a sinistra. Coordinò poi i suoi
passi a quei movimenti, in modo da portare il piede destro avanti,
mentre il bastone sondava il tratto di strada lasciato libero da
quello sinistro, e viceversa.
Era
un’operazione che richiedeva concentrazione, specialmente
all’inizio; una volta che ci si abituava a quel sincronismo
cadenzato, la mente tornava libera, pronta e attenta a percepire
rumori, movimenti, presenze di persone o ostacoli che il bastone
avrebbe potuto non rilevare.
Nell’uscire
da solo, un cieco deve concentrarsi tantissimo, Aija l’aveva
imparato. Prima di allora, non si era mai preoccupata di assaporare
le cose da un punto di vista diverso, non aveva mai ascoltato se
stesse arrivando una macchina prima di attraversare, non aveva mai
sentito gli ostacoli, se non guardandosi attorno.
Sentiva
l’asfalto sotto le suole delle scarpe, a tratti liscio e
levigato, a tratti sconnesso e ruvido, quasi impraticabile. Il tutto
preceduto dal suo fedele bastone, che non la tradiva nemmeno per un
istante.
Quando
usciva con Eleonoora, capitava che andasse a sbattere contro qualcuno
o qualcosa, oppure che inciampasse o perdesse l’equilibrio a
causa di un ostacolo che l’amica aveva scordato di segnalarle.
Non che lo facesse per male, ma Eleonoora a volte si dimenticava che
Aija avesse delle difficoltà, tant’era l’affetto
che provava per lei e la normalità con cui la considerava.
Aija
non si arrabbiava mai, non avrebbe mai potuto farle una colpa di
questo e, anzi, si sentiva lusingata dal fatto che Eleonoora la
trattasse semplicemente come una persona, prescindendo dalla sua
disabilità.
Persa
in quei pensieri, non si accorse di un ostacolo e fu costretta a
fermarsi, rimbalzando su qualcosa di metallico e puzzolente.
Allungò
titubante una mano e riconobbe un cestino per i rifiuti, piantato in
mezzo al marciapiede.
Indietreggio
di un passo e il suo viso si distorse in una smorfia di disappunto.
Un
pensiero fugace, negativo, infestò la sua mente: perché
la luna non poteva aiutare anche lei, come aiutava tutti coloro che
perdevano la retta via, da secoli e secoli? E le stelle, perché
non poteva più vederle? Brillanti, luminose, bellissime, quasi
eteree… perché, in quella notte vellutata, non c’erano
più?
Scacciò
con rabbia quei pensieri e tornò a concentrarsi su ciò
che doveva fare.
Riprese
la coordinazione giusta e tornò sui suoi passi, passeggiando
per le vie deserte, sempre meno impaurita, bensì più
sicura ed euforica all’idea che finalmente ce la stava facendo!
I
suoi movimenti risultavano via via più fermi, come se le
fossero appartenuti da una vita. Ogni tanto perdeva la coordinazione,
ma subito la riacquistava e, quando finì il giro dell’isolato,
non aveva nessuna voglia di rientrare.
Si
sentiva come se stesse galleggiando in un mondo tutto suo, fatto di
sensazioni amplificate e leggerezza.
Era
qualcosa che non sapeva come spiegarsi, avvertiva chiaramente la
soddisfazione crescere al centro del petto. Ogni emozione negativa
provata poco prima di uscire, era svanita nel nulla, come se non
fosse mai esistita.
Aija
si sentiva finalmente felice e libera, si sentiva normale.
Ebbe
voglia di gridare, ma si trattenne.
Avrebbe
dovuto avvisare subito Eleonoora del suo ritorno, ma voleva godersi
quel momento, perché era solo suo, suo e di nessun altro.
Una
simile euforia non poteva esistere, non dopo il terrore che l’aveva
attanagliata fino a poco prima; Aija non avrebbe mai pensato di
poterla provare, ma lei era lì, quasi tangibile, densa e
luminosa.
Luminosa
più della luna.
Aveva
raggiunto e superato alla grande quel traguardo, abbattendo uno dei
tanti limiti che l’avevano spaventata maggiormente e che non
avrebbe mai creduto di poter sconfiggere.
Ormai
si era spinta oltre, lasciandosi il passato alle spalle.
Rimase
sul vialetto per un po’, cercando di contenere quel mare di
gioia che la stava possedendo.
Poi,
rientrò in casa e trovò la sua amica ad aspettarla.
Tra
le due non ci fu bisogno di parole, bastò un lungo e intenso
abbraccio a unirle.
E
quella stretta tra amiche bastò a raccontare a Eleonoora
quanto fosse stata bella ed elettrizzante quella passeggiata sotto la
luna.
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