i see things
that nobody else sees.
Era arrivato all'orfanotrofio
in una notte autunnale, senza stelle, quando aveva ancora cinque anni.
Nessuno sapeva da dove fosse venuto
— i bambini avevano ipotizzato che fosse semplicemente spuntato da
sotto la neve, come un fiore — eppure una cosa era chiara: i suoi
genitori non lo avevano amato abbastanza.
Teneva tra le dita intirizzite ed
irrigidite dal freddo un foglio scribacchiato in una calligrafia
illeggibile, che si era poi rivelata essere il suo nome: Kōtarō Amon.
Non sapeva da dove veniva e
probabilmente non aveva neppure un posto dove stare.
Eppure, quando era arrivato, i
bambini lo avevano stretto in un abbraccio caloroso, trotterellando in
un girotondo davanti al fuoco.
E poi aveva incontrato padre Donato
Porpora — quell'uomo sottile, dai modi così condiscendenti e
comprensivi.
E, da quel momento, Amon aveva saputo che
non era più solo.
A cinque anni aveva conosciuto la
sua vera famiglia.
Aveva trovato lo scarico della
fognatura quando aveva sette anni, i capelli tagliati a spazzola e poca
voglia di fare i compiti. Come per tutte le grandi scoperte, ci era
arrivato per caso — strisciando sotto i cespugli rigidi di brina e
pietre insignificanti, nel disperato tentativo di vincere l'ultima
partita a nascondino della giornata.
Era il suo gioco preferito: l'unico
in cui era l'indiscusso campione. Di campana o salto della corda non se
ne parlava neppure. Era roba da femmine.
E così aveva trovato quel grosso
tubo in cemento, nascosto sotto una collinetta erbosa, solitario ed
indifferente.
Amon non aveva pensato due volte
ad infilarsi dentro lo stretto ed ombroso ingresso — nonostante fosse
maleodorante, sembrava il posto migliore per non essere facilmente
trovati.
Strinse le gambette sottili al
petto ed gattonò dentro al grosso tubo per qualche metro, le sue
ginocchia che facevano squish-squash nella pozzanghere di acqua fredda.
Doveva essere lo scarico di qualche vecchia fognatura.
Le pareti erano viscide e coperte
da sottili crepe, nonostante non fosse in funzione. Il fondo del
passaggio si immergeva nell'oscurità più impenetrabile.
Dentro di sé gioì. Era stata una
fantastica scoperta.
Era sicuro che nessuno lo avrebbe
mai trovato lì dentro.
Nessuno.
Si dondolò pigramente, con la
schiena appoggiata al cemento freddo dietro di lui. La luce del
tramonto aveva il colore del vomito dopo aver mangiato i blini1 al salmone.
Non aveva mai sopportato i blini al
salmone.
Improvvisamente avvertì un fruscio
alla propria destra, come se le stesse ombre stessero allungando le
dita per venire ad afferrarlo.
Amon rabbrividì nonostante fosse
estate ed emise un gemito di sorpresa. I suoi occhi vagarono verso
quella muraglia scura ed impenetrabile di oscurità. Strizzò le palpebre
e notò che qualcosa brillava, lì in fondo.
Deglutì.
Non era un fan delle storie
dell'orrore, ma sapeva che in fondo, iniziavano sempre così. I
protagonisti si separavano — molto stupidamente — e alla fine venivano
ammazzati in modi terribili. Amon inspirò profondamente e lanciò un
ultimo sguardo al cielo rosato che stava al di fuori. Si mise di nuovo
sulle ginocchia e strisciò sul cemento inclemente.
Dal soffitto cadevano gocce
d'acqua, che adornavano ghirlande di muschio umidiccio. I suoi occhi si
abituarono all'oscurità quasi subito, ma il suo naso sembrava non
volersi adeguare. L'aria era diventata più stantia, assumendo un
pesante odore di muffa e di qualcosa di dolciastro, simile all'odore
dei fiori appassiti.
All'improvviso si fermò, notando
finalmente ciò che aveva visto brillare da lontano. Era una grata di
metallo, arrugginita, che bloccava il passaggio. La superficie
riflettente rimasta doveva aver catturato gli ultimi baci del sole,
riflettendola ai suoi occhi. Amon si ricordò di respirare solo in quel
momento.
Si sentì un idiota.
Che stupido che era stato.
Non c'era da aver pau—
Cacciò un urlo non appena si
accorse che c'era qualcosa di appoggiato alla sua mano. Qualcosa di
liscio, umido e probabilmente non vivo.
Le sue dita tastarono
freneticamente l'oggetto, lo esaminarono, cercando di accertarsi —
sperando — che la sua ipotesi fosse sbagliata. Impossibile.
Infine si lasciò cadere contro la
parete, le pupille allargate come quelle di un animale in trappola, i
polmoni che cercavano disperatamente di immagazzinare l'aria, anche se
fetida.
Sapeva cos'era quella cosa.
Era un braccio. Il braccio di uno
scheletro. Con ulna, radio, omero, tutte le ossa della mano, ancora
attaccate con un po' di cartilagine.
A sette anni, aveva imparato a non
farsi domande.
Era andato a pregare quel fatidico
sabato di dicembre2, prima di
Natale, quando aveva nove anni.
Il suo fiato si condensava in
nuvolette di vapore tra le sue mani guantate, mentre i suoi piedini si
muovevano frenetici, le ginocchia che si strofinavano nel tentativo di
conservare calore sotto quel giubbotto tre taglie più grande della sua.
Il prete era seduto su una delle
panche ed osservava l'altare con la solita aria assorta, la fronte
corrucciata e le mani grinzose strette debolmente.
Era un uomo forte, nonostante
l'apparenza fragile ed emaciata.
Amon restò qualche istante a
fissare suo padre e poi si sedette accanto a lui con uno sbuffo,
mettendo il broncio.
Fece dondolare le gambe,
pacatamente, oziosamente, cercando nel frattempo di riattivare la
circolazione delle falangi.
«Mi fa piacere vederti qui,
Kōtarō.» disse a voce troppo bassa, come per non svegliare qualcuno in
quella chiesa troppo buia, in quella notte troppo fredda. Amon incrociò
le braccia sul petto, espirando profondamente.
A volte aveva l'impressione che
quell'uomo potesse cogliere tutti i suoi stati d'animo semplicemente
studiando i suoi movimenti.
«Io volevo... Ecco—» biascicò a
mezza voce, cercando le parole adatte per completare la frase «Pregare.
Quello che si fa in chiesa.»
Donato annuì bonariamente ed
incrociò le braccia sul petto. Quando sorrideva, le sue rughe si
dipanavano in una ragnatela.
«E per chi vorresti pregare?»
«Per Yoichi-chan, Asuna-chan,
Meiko-chan...» contò i nomi dei suoi amici sulle dita. Tutti in nomi
dei piccoli che erano stati affidati ad una nuova famiglia e che lui
non aveva più rivisto.
«Capisco. Sei triste per loro?»
«Credo.» Amon scrollò le spalle.
«Sono fortunati. I tuoi amici
adesso hanno una famiglia. Non è fantastico? Il Signore ha provveduto a
donar loro una nuova casa ed una famiglia che li amano.» rilevò
allargando le braccia e spostando gli occhi sulla volta della chiesa. I
quadri dei santi sembravano fissarli in modo severo, inclemente.
«Mi mancano un po'.» ammise Amon,
abbassando il capo «Posso giocare ancora con loro?»
«Certamente!» qualcosa brillò negli
occhi del Prete, una scintilla fulminea che si spense quasi subito, ma
che Amon non riuscì a decifrare «Se vuoi possiamo pregare Dio per farlo
accadere.»
Amon fece una smorfia.
«Ma Dio esiste davvero?» prima che
potesse mordersi la lingua, le parole uscirono fuori dalle sue labbra.
«Pensavo ne avessimo già parlato»
Donato gli diede un buffetto sulla testa ed inclinò lateralmente il
capo, in un movimento così lento e profondo che per un in stante Amon
aveva pensato se lo fosse spezzato «Dio esiste. Come me, come te.»
«Se esistesse veramente, non
avrebbe fatto andare via i miei amici. Non avrebbe lasciato che mio
padre mi portasse qui.» ribatté Amon, piccato. Le sue labbra erano
strette in una linea rigida e pallida.
«Non
temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo
Dio. Ti rendo forte e anche ti vengo in aiuto e ti sostengo con la
destra vittoriosa.3»
citò il Prete, alzando gli occhi verso il tabernacolo «Capisci questa
citazione?»
«No.» replicò Amon cupamente.
«Non sono le parole nella Bibbia a
rendere Dio reale» spiegò pazientemente l'uomo «Sono gli occhi con cui
decidi di guardare la realtà, come decidi di rapportarti a lui. Dio
cambia in base a chi sei: può chiamarsi in vari nomi, avere varie
forme, ma in realtà rimane sempre Dio. Dio è dentro di te. E ti ama,
che tu ci creda o no.»
Amon sgranò gli occhi e si strinse
la mani al petto, avvertendo i suoi battiti aumentare rapidamente.
Tum-tum.
Il Prete gli afferrò il braccio —
una stretta forte, troppo forte per un uomo della sua età — e gli
sorrise di nuovo, un sorriso forzato, quasi folle e febbrile.
«E Dio ama anche i miei amici?»
«Certo. Dio li ama tutti.» perché
sono già con Dio.
A nove anni aveva scoperto che
qualcuno lo amava davvero.
La prima volta che aveva sentito
quei rumori aveva undici anni.
Aveva subito pensato che fosse un
gioco, che uno dei suoi amici fosse triste e che forse, forse, suo
padre stesse cercando di tirargli su il morale.
Quel gioco segreto, oscuro, che
aveva tentato di comprendere.
Eppure non capiva perché quella
stanza fosse così buia e quei gemiti sembrassero così sbagliati,
sbagliati, sbagliati alle sue orecchie. Erano i suoni di una persona
che stava — Amon si fece il segno della croce — morendo.
«S-smettil—» un altro urlo
soffocato ed Amon si costrinse a mordersi le nocche per non strillare a
sua volta. Sentiva il suo corpo venir ricoperto da sudore freddo.
Nonostante la giovane età, sapeva che quello che stava succedendo non
andava bene, che era sbagliato, eppure non riusciva a spostare lo
sguardo dalla scena che riusciva a vedere dal piccolo buco della
serratura.
Sentì il prete ridere, con quella
risata bassa profonda che aveva incominciato a dargli i brividi.
Nella luce fioca poteva vedere le
budella del bambino — come si chiamava? Teito? Shōichi? — sparire in
quella bocca vorace, grondante di sangue. Le sue mani scavavano con
precisione chirurgica, lacerando la pelle come carta velina mentre il
pianto del bimbo si faceva sempre più acuto, lamentoso, come una sirena
destinata a spegnersi.
Fiumi di rosso irroravano il
tavolo, schizzi adornavano i muri con allegri festoni vermigli. Amon
non sentiva più il suo cuore battere. Non sentiva più le sue gambe —
tremavano troppo. Non sentiva più il suo corpo.
Sentì il secco ciok di un altro
osso che si spezzava. Una costola? Il femore?
Nessuno sentiva niente.
Nessuno accorreva.
Era tutto immerso in quella gelida
indifferenza.
Quasi senza accorgersi, fece forza
sulla maniglia, spinse con le manine, facendo forza. L'uscio si
spalancò con un acuto scricchiolio, rendendo reale la scena che aveva
sperato di non vedere.
L'odore ferrigno aleggiava nella
stanza come una nube. Gli occhi bianchi di quello che era stato un
bambino — ora che era un cadavere, sembrava aver perso ogni significato
— lo fissavano accusatori nella freddezza della morte.
E capì che nessuno dei suoi amici
aveva mai lasciato l'orfanotrofio — non vivo.
E, assieme a lui, tutto
quell'inferno rosso che la sua mente stava disperatamente cercando di
negare, quel braccio tranciato che pendeva mollemente fino quasi a
toccare il pavimento, ondeggiando, ipnotizzandolo.
«Non dovresti entrare senza
bussare» suo padre si girò. Quel volto distorto, animalesco, feroce, lo
stava contemplando con un ghigno di puro sbeffeggiamento e crudeltà.
Gli occhi di un rosso pulsante lo inchiodarono sul posto. Occhi che di
umano non avevano altro che la brama di sangue e la volontà di
soffocare una vita. Amon non leggeva la Bibbia — ma sapeva che quello
era il volto del Diavolo «Kōtarō~»
13.01.15
— mi sento altamente produttiva di questi tempi, sarà per colpa di voi
persone meravigliose che avete iniziato a pubblicare in questo piccolo
fandom ♪
i mean, abbiamo già venti storie.
mi sento una mamma felice(?).
prometto che passerò a recensire il
prima possibile.
intanto, parliamo della storia:
sono ben 1806 parole, waaah~
avevo in mente questa cosa da un
bel po', perché in fondo amon merita. porpora non l'ho inventato io, ma
è un vero personaggio del manga — che io adoro.
e, insomma, ho più o meno tentato
di scrivere qualcosa sul passato di amon-kun. mi domando che tipo fosse
da piccolo, lol. il titolo è derivato da una canzone di melanie
martinez, dollhouse.
bene, devo andare.
ovviamente ogni genere di commento
mi farebbe molto piacere.
grazie in anticipo~
riecchi
1
donato porpora è russo, perciò cucinerà piatti russi. i blini sono
praticamente delle crêpes e sono molto buoni, yep.
2
in russia in realtà il natale si festeggia il sette gennaio, ma in
realtà l'orfanotrofio è cattolico ed è in giappone, perciò parliamo di
dicembre.
3
isaia 41, 10
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