Si impara a vivere col dolore nelle ossa.

di Amy Pavlova
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Si impara a vivere col dolore nelle ossa.
 
  C’era qualcosa nell’aria, qualcosa che profumava di ricordi e parole sussurrate al vento. Odore di nostalgia, forse, che, pungente, faceva lacrimare gli occhi e sussultare piano le spalle.
  Scorpius sospirò e si passò le mani sul volto stanco.
  Aveva bisogno di un caffè, o non avrebbe passato la notte. Di dormire non se ne parlava, non con il fagiolino che strillava nella cameretta. Non con i mostri di un passato troppo recente per essere scordato che strillavano nella sua testa.
  Sospirò nuovamente, troppo stanco per fare altro. Ebbe appena la forza di agitare la bacchetta per azionare la macchina del caffè.
  Se non ci fosse stato quel cosino, l’avrebbe seguita senza pensarci due volte, ma c’era chi ancora aveva bisogno di lui.
  Rose, invece, era sempre stata troppo indipendente per aver bisogno di qualcuno e tutti, persino lui, erano stati la banale cornice di quel meraviglio quadro che era stata. E aveva deciso da sola sino all’ultimo, pure quando il medimago aveva detto loro che non sarebbe sopravvissuta al parto.
  «O il bambino o lei, Rose» aveva detto loro.
  «E cosa pensa possa scegliere una madre?»
  E a Scorpius era crollato il mondo addosso, perché lui, senza Rose, non sapeva muovere un passo. Si era talmente abituato alla sua presenza da darla per scontata, ma poi lei aveva lasciato il vuoto.
  L’aveva lasciato vuoto.
  «Scorpius…»
  E impazziva, impazziva al punto da sentirne la voce.
  «Esci» sussurrò alla voce. «Ti prego, esci dalla mia testa!»
  Una risata. «Non stai impazzendo, Scorpius: sono qui. Devi solo girarti.»
  E Scorpius ubbidì, perché Scorpius obbediva sempre.
  Aria.
  Rose era diventata aria ed era lì, davanti a lui, e sorrideva. Indossava lo stesso abito bianco e semplice con cui l’aveva raggiunto all’altare e con il quale aveva preteso essere seppellita.
  «Rose?» chiese, ancora incredulo. «Sei davvero tu, Rose?»
  Lei annuì e si avvicinò. Gli sfiorò il viso con una mano, facendolo rabbrividire.
  «Sono così felice di rivederti, Scorp, così felice…»
  Avrebbe voluto poterla stringere, ma era aria, era sfuggente, era impalpabile.
  «L’hai visto?» le chiese.
  Annuì. «E lui ha visto me: per questo non piangeva» gli disse, orgogliosa. «Cresce bene, lo sai?»
  Scorpius annuì.
  «Rimarrai, Rose?» chiese dopo alcuni istanti di silenzio.
  «No, Scorpius» gli sussurrò e gli carezzò nuovamente il viso umido di lacrime.
  «E io come faccio?» Il tono disperato. «Come faccio io ad andare avanti? Hai mai pensato a me, Rose, ci hai mai pensato?»
  Lei annuì, poi, avvicinatasi, posò le sue labbra leggere su quelle calde di Scorpius.
  «Si impara a vivere col dolore nelle ossa.»




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